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Le lame scarlatte
Le lame scarlatte
Le lame scarlatte
E-book324 pagine4 ore

Le lame scarlatte

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Info su questo ebook

NUOVA EDIZIONE da Maggio 2024.

Romanzo autoconclusivo, ambientato su Blover, il terzo pianeta dell'Aetermundi.
Trovate tutte le opere, le curiosità, i contatti e altro sull'autore, su robhimmel.com

PREMIATO al TROFEO CITTADELLA 2018, durante il DEEPCON19

L’equilibrio è stato infranto. I pezzi sono sulla scacchiera. Il gioco del potere è cominciato… e reclamerà sangue.

Quando Lince, il più celebre sicario di Ganderia, fa ritorno nella capitale dopo dieci anni di assenza, gli equilibri di potere vengono infranti. Le otto organizzazioni che gestiscono nell’ombra la vita della città abbandonano il loro torpore e ricominciano a tessere intrighi. Re Nuldest è disposto a qualunque cosa pur di scoprire perché, dopo tutto questo tempo, l’uomo sia ricomparso in città e non esita a mobilitare l’Ordine. E Anguilla sarà pronta a rincorrere il suo sogno: divenire la migliore assassina della storia, facendosi un nome sulla pelle di Lince… Persino la Regina dell’Alveare è pronta a calare le sue carte. Il gioco degli intrighi è cominciato. Chi trionferà?

La stupidità uccide più di una lama.


RECENSIONI DAI BLOG

"Se siete appassionati dei romanzi di George R.R. Martin non potete perdere questo volume. Un perfetto equilibrio di trama avvincente e scrittura scorrevole." Urban, Fantasy & Co.

"Un libro denso di intrighi e di colpi di scena, un racconto corale che gioca con i sentimenti e le ambizioni dei suoi protagonisti, costruendo una storia dove nessuno palesa le sue reali intenzioni e gli eventi si susseguono con ferocia inesorabile. Una lettura avvincente che si divora pagina dopo pagina." Il Gufo Lettore

"È un romanzo accattivante per la sua capacità di creare un'atmosfera di suspense, ed è una storia dal ritmo incalzante, in cui alcuni personaggi si muovono con cautela e astuzia, dopo aver studiato tutte le mosse, come abili giocatori di una partita a scacchi con la morte." Finestra sul Mondo
LinguaItaliano
EditoreAetermundi
Data di uscita2 lug 2017
ISBN9788826465906
Le lame scarlatte

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    Anteprima del libro

    Le lame scarlatte - Rob Himmel

    Capitolo 1

    Il ritorno della lince

    Un mal di testa lacerante sconquassò la testa di Furetto facendolo rinvenire. Si svegliò ritrovandosi legato a una sedia.

    Con fare lento e stordito cominciò a guardarsi attorno.

    «Ti starai chiedendo cosa è successo» gli disse una voce calda, alle sue spalle. «Come hai potuto commettere una leggerezza simile visto che avevi pianificato tutto, era solo un ubriacone, eccetera eccetera…» elencò con noia.

    Furetto prese a tremare, poi balbettò qualcosa di incomprensibile.

    «Quindi andiamo veloci, perché questa fase mi secca parecchio» avvisò l’uomo. «Sono tre giorni che mi spii, hai studiato la zona e le mie abitudini, sei entrato in casa mia, hai manomesso la serratura e hai aspettato che dormissi. Un metodo banale, poco fantasioso, ma soprattutto largamente prevedibile.» Fece una piccola pausa, in attesa di qualche reazione che non ci fu. «Almeno hai il buon senso di non replicare. Se la cosa può farti piacere, devo ammettere che, se fossi stato sprovvisto della mia esperienza, probabilmente non ti avrei udito, hai un ottimo passo.»

    «Grazie» farfugliò.

    «Prego. Tutto il resto era un vero disastro. Chi è stato il tuo maestro, Orso? Anzi no, scommetto sulla burbera di Mantide, vero?»

    Furetto annuì.

    «Lo immaginavo… Come ti ha rinominato la Congrega?»

    «Furetto.»

    «Nome appropriato… Tu sai chi sono?»

    «Sì… Sei il celebre…»

    «Bene, lo sai» lo interruppe. «Quindi eri consapevole. Se fossi stato vittima di un inganno, forse ti avrei lasciato vivere. Poiché sapevi e hai acconsentito, hai la possibilità di scegliere soltanto il modo in cui morire: rapidamente, indolore, oppure in bla bla bla… lo sai bene.» Si concesse un’altra pausa. «Maggiore sarà la collaborazione, minore la sofferenza. Ti è chiaro?»

    Furetto tornò ad annuire, questa volta in maniera flebile, rassegnata.

    «Cominciamo con il dare le risposte a voce» precisò l’uomo.

    «Sì, capito.»

    «La Congrega di Foltorp ti ha proposto il contratto?»

    «Sì.»

    «Esclusivo o aperto?»

    «Esclusivo.»

    «Diavolo, sei proprio stupido, ragazzo» sentenziò l’uomo dopo una breve risata. «Chi può assoldare un semplice sicario con un contratto esclusivo per assassinare una persona come me? Soltanto chi ti vuole morto. Ovviamente il mandante è anonimo.»

    «Sì.»

    «Era un’affermazione, non una domanda. Chi ha inviato te e i tuoi due predecessori sapeva benissimo che sareste morti. Esatto tu sei il terzo» ribadì notando lo stupore sul volto di Furetto. «Il primo l’ho ucciso subito, poteva essere un caso. Il secondo, quello che hai accoltellato nel mio letto, era un sospetto. Tu sei la certezza.»

    «La certezza… di cosa?» chiese facendosi coraggio.

    «Qualcuno sta inviando fantocci come te per infastidirmi, cercano di farmi tornare in città.»

    Furetto ammutolì, si sentì la persona più stupida di Ganderia. Aveva accettato con entusiasmo un incarico suicida. Qualcuno lo aveva usato per iniziare un gioco più grande di lui.

    «So che adesso cominciano i rimorsi» esordì l’uomo con fare saccente. «Ti senti un fesso per esserti fatto fregare e ti confermo che è proprio così. Avresti voluto fare tante cose nella vita. Invece ti ritrovi legato a una sedia, prossimo alla morte per il gioco architettato da qualche figlio di cagna. Tutto vero.»

    L’uomo prese a passeggiare avanti e indietro restando alle sue spalle.

    «Voglio darti una possibilità di rivalsa… ti interessa?»

    Furetto aprì subito la bocca per replicare mentre già stava annuendo.

    «No» lo bloccò l’uomo. «Prima di fare lo stupido e dire di sì pur di aver salva la vita, rifletti su cosa comporta.» Girò attorno alla sedia piazzandoglisi davanti.

    Un fremito di paura gli solcò l’animo. Non aveva mai visto occhi così, di un uomo senza scopo, senza nulla da perdere, senza paura. Erano grigi e profondi, in un volto inespressivo e coronato da capelli neri, trasandati quanto la barba. Una cicatrice spezzava in due il sopracciglio sinistro, mentre un’altra segnava il labbro superiore sulla parte destra.

    «Se accetti» proseguì l’uomo scandendo bene ogni parola, «farai parte di questo gioco, qualcosa più grande di te. Con molta probabilità troverai una morte peggiore di quella che ti darei io. Se però saprai giocartela bene, seguendo le mie istruzioni, potresti uscirne vivo, magari con parecchi soldi in tasca e qualche donna nel letto».

    Furetto rifletté sulla cosa. In cuor suo aveva già deciso, ancora prima che l’uomo iniziasse a parlare. In fondo, allontanare la morte era ciò che contava.

    «Va bene, accetto» asserì cercando di essere il più convincente possibile.

    «Quale prova è richiesta per il mio assassinio?» chiese l’uomo.

    «Devo riportare le tue lame.»

    «Nel caso tu non le avessi trovate?»

    Furetto deglutì a fatica prima di rispondere. «La tua testa.»

    «Come immaginavo» replicò meditabondo. «Non c’è dubbio che la testa resti dov’è, non posso andare in giro senza. Dovrò darti le lame.»

    L’uomo gli poggiò le mani sui polsi legati alla sedia e portò il volto a un palmo dal suo.

    «Tornerai a Foltorp, mostrerai le mie lame alla Congrega, come garanzia per aver assolto il contratto. Sarai una celebrità, non sei contento?»

    «Devo dire che ti ho ucciso?» domandò perplesso, temendo fosse un trabocchetto.

    «Esatto, questa notte mi hai ucciso, un colpo alla schiena e uno alla nuca. Racconterai tutto come avvenuto. Dovrai soltanto omettere il tuo risveglio in casa mia e la nostra conversazione. Ti è chiaro?»

    Furetto esitò, poi annuì.

    «Stanno facendo in modo che io torni in città e non mi lasceranno in pace finché non farò il loro gioco oppure sarò morto stecchito.» L’uomo inarcò un sopracciglio al suo indirizzo e Furetto si affrettò ad assentire. «Finché crederanno che sono morto, sarò fuori dai loro intrighi. Altrimenti continueranno a mandare fessi come te.» Si staccò dal sicario mettendosi braccia conserte. «Tu invece diverrai popolare, adulato e con le tasche piene. A proposito, di quale importo parliamo?»

    «Cinquemila corone.»

    «Però, una bella somma per uno come te. Non saprai nemmeno come spenderle. Devo ammettere che mi sarei aspettato una cifra più alta in realtà, penso di valerne almeno diecimila.»

    «Sono d’accordo» convenne Furetto sincero. «Quando mi è stato proposto il contratto ho detto la stessa cosa.»

    «E cosa ti hanno risposto?»

    «Che ormai sei fuori dal giro da dieci anni, pensano che tu sia invecchiato e non benefici dei riflessi di una volta. Un ubriacone rammollito, mi avevano detto. Be’ adesso vorrei che ci fossero loro al mio posto.»

    «Un ubriacone rammollito? Forse non sono così lontani dalla realtà.»

    «Oh, non credo sia così, penso…»

    «Puoi togliere la tua lingua dal mio culo, non serve. Non siamo diventati buoni amici. Limitati a fare quello che ti ho detto, inoltre ti impongo una condizione, se la trasgredirai lo verrò a sapere e ti ucciderò» lo minacciò guardandolo dritto negli occhi.

    «Ti ascolto…»

    «Sarebbe già un enorme passo in avanti» commentò aspramente. «In alcun modo, per nessuna ragione o prezzo, dovrai separarti dalle mie daghe. Chiunque cerchi di sottrartele, uccidilo. Sono la testimonianza e il vanto del tuo successo in questo incarico. L’intera città deve sapere che mi hai ucciso e ricordarlo ogniqualvolta veda quelle lame tra le tue mani. Chiaro?»

    Il sicario annuì serio e l’uomo uscì dalla casa senza dire nulla. Furetto rimase solo, legato alla sedia, per una buona mezz’ora. Quando l’uomo ricomparve, aveva un baule tra le mani, che poggiò sul pavimento. Lo aprì e tirò fuori due daghe identiche: l’elsa era di metallo nero, mentre la lama aveva la base d’acciaio lucente per poi sfumare nei restanti due terzi in un vivido scarlatto.

    «Si racconta che siano state forgiate con il sangue di dieci uomini…» disse Furetto con stupore.

    Fu sufficiente una sola occhiata dell’uomo per fargli capire che non erano cose che lo riguardavano. Gli si avvicinò con le daghe in mano, accostandoglisi con fare minaccioso.

    «Queste lame non sono giocattoli, né storielle per pivelli. Hai una vaga idea di quante vite ci ho reciso? Innumerevoli, io stesso ho perso il conto.» L’uomo tagliò le funi che lo tenevano legato alla sedia. «Prendile e va» gli ordinò porgendogli la coppia di armi.

    «Le lame scarlatte…» sussurrò Furetto prima di afferrarle, incantato dalla loro bellezza.

    Erano bilanciate, di una leggerezza irreale, quasi fossero un’estensione delle mani. Il filo appariva intatto, come appena forgiato. In vita sua non aveva visto armi più belle e di fattura più pregevole.

    «Va’, fa’ quanto ti ho detto, racconta quello che ti ho specificato e non tornare mai più. Va’!» intimò l’uomo con sguardo ferino.

    Furetto rabbrividì. «Se qualcuno dovesse cercarti?» domandò dopo aver esitato.

    «Io non sarò più qui.»

    Il sicario annuì e infilò le lame scarlatte alla cintura prima di varcare la soglia di casa. Si voltò indietro ancora una volta, per essere certo di uscirne vivo. Guardò quel che rimaneva del celebre assassino: un uomo dall’aspetto innocuo, trasandato, ma dallo sguardo spietato. Erano passati dieci anni, ma dentro era rimasto intatto.

    Sistemandosi il mantello e alzando l’ampio cappuccio, Furetto si dileguò in pochi secondi. Non avrebbe mai dimenticato il peso della fortuna in quelle ultime ore.

    Era vivo, ancora se ne capacitava. Non aveva mai provato una gioia simile nel tornare a Foltorp. Avrebbe attraversato i cancelli della capitale con le lame scarlatte alla cinta, come trofei di un’impresa di cui vantarsi.

    Presto la sua fama si sarebbe diffusa in tutta Ganderia, presto sarebbe divenuto il sicario più importante della Congrega.

    Presto ogni assassino della città avrebbe cercato di ucciderlo.

    Capitolo 2

    Le brame dell’anguilla

    Nonostante Foltorp contasse all’incirca seicentomila abitanti, fu sufficiente un solo giorno per diffondere la notizia. Nelle locande, nei bordelli, nelle fogne e nei vicoli nascosti, non si parlava di altro. La notizia raggiunse anche la corte di re Nuldest .

    Il Consiglio dei nobili prese a valutare le conseguenze di questa novità, quanto avrebbe influito sull’economia e nel gioco del potere. Di certo avrebbe avuto delle ripercussioni sulla Congrega, una lotta interna era inevitabile e la Gilda dei ladri assaporava già le ricchezze che ne avrebbe tratto.

    Furetto aveva assoldato delle persone per la propria protezione: due sicari, un guardiano indipendente dal Circolo e un giovane orfanello come messaggero.

    «Posso parlarti in privato?» esordì una donna parandosi dinanzi a Furetto e al suo seguito.

    «Un’altra donna in cerca della mia compagnia» si vantò lui.

    «Portami rispetto, lattante!» sibilò lei con scintillanti occhi azzurri.

    «Questa è Irt Millirs» avvisò il guardiano. «Ricordi chi è Furetto? Ne avrai sentito parlare.»

    In quell’istante Furetto desiderò sprofondare. Aveva appena offeso la vecchia fiamma dell’uomo che diceva di aver ucciso, nonché guida del Circolo dei guardiani.

    «Ti prego di accettare le mie scuse Irt Millirs» scongiurò esibendo un inchino.

    La donna lo prese per la camicia e lo trascinò con sé. «Sta’ zitto idiota, prima che ti prenda a schiaffoni.»

    Incerti sul da farsi, i sicari rimasero fermi, bloccati dal guardiano che fece capire loro di non intervenire.

    Una volta soli, in un angusto vicolo della città, la donna prese a rovesciargli addosso una serie di imprecazioni prima di cominciare a parlare civilmente.

    «Va bene, mi sono sfogata abbastanza» avvisò lei ricomponendosi. «Voglio sapere la verità e non raccontarmi quella balla che vai dicendo alle tue baldracche o ai tuoi amici ubriaconi. La verità» precisò ancora una volta con sguardo furente.

    Furetto si mise braccia conserte, gonfiando il petto. «Ho detto la verità, quella che tutti conoscono già» replicò con fare sostenuto.

    «No no no, non dire idiozie, che tu abbia ucciso Lince è fuori discussione. Nemmeno se dormiva ci saresti riuscito, nemmeno se fosse stato ubriaco come racconti, non uno smidollato come te.»

    «Attenta a ciò che dici, donna» ringhiò il sicario. «Ricordati chi sono e cosa ho fatto, anche se non vuoi crederci.» Un rapido passo in avanti e le fu addosso con il pugnale alla gola. «Persino una guida guardiano non può minacciare un assassino da questa distanza.»

    «Hai appena sentenziato la tua morte, lo sai?» chiese in tutta tranquillità Irt Millirs. Un sorriso divertito le si dipinse sul volto.

    «Come sosterrai la tua minaccia se io ti ucciderò prima?»

    «Quante cose ignori, giovane e stupido poppante» lo schernì Irt Millirs con occhi fulgidi. «Hai puntato una delle lame scarlatte di Lince alla mia gola, sai cosa ti farà quando lo saprà?»

    Un velo di terrore discese sugli occhi di Furetto, per brevi, ma sufficienti istanti.

    «Come pensavo, è ancora vivo» esordì soddisfatta la maga.

    La presa del sicario divenne incerta, si allentò. Compì un passo indietro quasi barcollando. Aveva combinato un guaio, se lei aveva capito la verità, quanto sarebbe ancora durata la sua menzogna?

    «Sarai anche un sicario della Congrega, ma ti comporti come un topo di fogna. Non sei degno di quelle daghe.» Detto questo, Irt Millirs fece per allontanarsi, ma poi si fermò. «Tu sai, vero, cosa accade nella Congrega quando un sicario mente su un contratto? Sei nelle mie mani adesso, piccolo furetto.»

    La donna non gli lasciò il tempo di replicare e se ne andò ridendo.

    Furetto seguì l’ondeggiare dei folti riccioli neri, prima di scomparire oltre il vicolo. Sentì la necessità di gettarsi tutto alle spalle, non doveva pensare. Qualche bicchiere e delle cosce calde avrebbero sistemato tutto.

    «Andiamo, ho bisogno di bere» annunciò dopo aver raggiunto le sue guardie del corpo.

    «Tutto bene, Furetto?» chiese Arn Pollar. «Sei bianco in volto.»

    «Il guardiano ha ragione» convenne Migo, il ragazzino. «Sei bianco in volto, padrone.»

    «Niente, soltanto una mancanza dovuta alla gola secca, devo bere qualcosa. Qualcosa di forte, di molto forte.»

    «Sono qui per proteggerti, mi paghi per questo» insistette Arn Pollar. «Qualunque minaccia ti abbia fatto Irt Millirs, io posso gestirla nel Circolo.»

    Furetto scosse la testa. «Guardiano, so io cosa devi fare e cosa no, per questo ti pago.»

    «Come vuoi tu.»

    Raggiunsero la Pinta Sboccata dove Furetto bevve soltanto amarezza e preoccupazione. Era la sua locanda preferita, si rideva, ci si ubriacava, c’erano donne accondiscendenti e i costi erano relativamente bassi. Non trasse nessuno di questi piaceri in quella serata. Ci voleva altro.

    Irt Millirs stava camminando avanti e dietro nella stanza in cui l’avevano fatta accomodare nell’attesa di Regina. La sua agitazione doveva essere stata palese a Perla, dato che l’aveva confinata là senza permetterle di andare direttamente nella camera della sua padrona, nel Padiglione del Miele.

    Poco le importava.

    Dopo aver parlato con Furetto e aver scoperto che Lince doveva essere ancora vivo, era decisa più che mai a trovarlo. Il sicario aveva tante cose da spiegarle, troppe.

    La guardiana si osservò le mani: tremavano. Non era un buon segno. Si guardò attorno, nella speranza di riuscire a distrarsi quel tanto da tranquillizzarsi un po’. Tutto quel che c’era nella stanza era un letto matrimoniale pronto all’uso, nient’altro. Non fu d’aiuto, anzi.

    «Irt Millirs» sentì chiamarsi alle spalle, in direzione della porta. «Non è tuo solito frequentare il Padiglione del Miele, casa mia

    Si voltò per incrociare gli occhi di Regina. La padrona del bordello mostrava sempre un certo fascino, con scollature tanto abbondanti quanto quel che aveva da mostrare, e occhi intelligenti pronti a sondare chiunque avesse dinanzi.

    «Decisamente no» appuntò la guardiana. «E non penso di cambiare le mie abitudini.»

    «Oh, ne sono certa. Tanto più la tua presenza qui è indesiderata, come ben sai. Quindi cosa ti porta da me?»

    Millirs serrò pugni e mascelle prima di rispondere. «Penso proprio che tu sappia perché sono venuta. Lui dov’è?»

    Regina aggrottò le sopracciglia. «Lui chi?»

    «Non fare i soliti giochetti con me, non ci provare» ringhiò lei, mentre l’aria attorno alle mani prendeva a tremolare. «Dimmi dov’è! È inutile che lo nascondi, tanto so che deve essere venuto da te.»

    La padrona del bordello parve accendersi in volto. «Lince? Tu parli di Lince…»

    «E di chi altro!»

    «Dunque è vivo?»

    Irt Millirs si morse un labbro, furiosa. «Dannazione Regina, finiscila! Non prenderti gioco di me!»

    L’aria attorno alla guardiana prese a vibrare, tanto da far scricchiolare le assi di legno del pavimento.

    «Stai perdendo il controllo» avvisò la megera in tono allarmato. «Sappiamo entrambe cosa accade quando succede e non voglio ritrovarmi schiantata contro la parete!» concluse con autorità.

    Irt Millirs parve svegliarsi da uno stato d’incoscienza. Le era già accaduto altre volte che il Pozzo traboccasse, perdendone così il controllo e manifestandosi in ondate di potere incontrollato.

    «Già in passato hai rischiato di uccidermi» la rimproverò Regina in tono sempre più duro. «Non ti permetterò mai più di entrare nella mia dimora e minacciarmi in questa maniera! È assurdo che tu non riesca a controllare il tuo potere ogni volta che ci sia Lince di mezzo. E per la cronaca: non è venuto da me, nemmeno sapevo che fosse vivo. Adesso esci da qui, subito! Non farti rivedere più!»

    La guardiana inspirò per riprendere il controllo del Pozzo. Con dignità si ricompose e lasciò la stanza, poi il Padiglione del Miele.

    È una baldracca, una bastarda che gioca con le informazioni e le persone, ma mi ha detto la verità. Dunque dove sei Lince?

    Stava galoppando all’impazzata per rientrare a Foltorp. Era su tutte le furie. Non appena aveva udito la notizia che Furetto aveva assassinato Lince, sentì il mondo crollarle addosso. Qualunque sicario si facesse un nome era motivo di interesse per lei, la spronava verso il suo obiettivo. Mai però aveva udito qualcosa su Furetto. Chi diavolo era e da quale letamaio era sbucato?

    Bastarono poche ore per raccogliere le informazioni su di lui: era un tipo furtivo, molto silenzioso, questa l’unica dote riconosciuta da molti. Appariva più un ladro che un sicario, se solo non fosse stata la maestra Mantide ad addestrarlo e rinominarlo. Dunque era membro della Congrega a tutti gli effetti. Ma quanti meritavano più di lui un simile contratto? Uccidere Lince era il sogno di molti, lei era tra quelli.

    Qualcosa non le tornava, però. Perché offrire un contratto esclusivo di simile importanza e difficoltà a un assassino di bassa lega? Probabilmente chi l’aveva commissionato puntava a un esito diverso, forse voleva Furetto morto, ma perché disturbare Lince? E come diavolo sapevano dove si trovava? Lei lo aveva cercato per anni senza nessun risultato.

    Sbuffò riportando le attenzioni su Furetto, consolidando l’idea che difficilmente qualcuno lo voleva morto. No, il punto focale doveva essere Lince, volevano stuzzicarlo, forse intimidirlo o addirittura scuoterlo dal suo torpore. Sarebbe stato magnifico.

    Però avevano fatto male i conti, Lince era stato ucciso come un allocco, da un sicario indegno. Volente o nolente, adesso era questo Furetto a detenere il titolo di uccisore di Lince.

    Lei non ci voleva credere. Era andata al villaggio in cui era avvenuto l’assassinio soltanto per scoprire se la storia fosse vera.

    Gli abitanti avevano trovato il loro amico morto in casa, pugnalato sul letto. Un colpo alla schiena e uno alla nuca, esattamente come riportato nella capitale. Quello stupido di Furetto si era persino divertito a sfregiarlo in volto, sfigurandolo. Così le avevano raccontato.

    La notte era inoltrata quando varcò il cancello di Foltorp. Lasciato il cavallo, avanzò decisa tra le strade di pietra alla ricerca di qualche vicolo che dava alle fogne. Quando ne ebbe trovato uno, l’imboccò.

    Si inoltrò tra un gruppo di poveracci che in risposta si scansarono al suo passaggio. Gli assassini erano temuti e facilmente riconoscibili per via della maschera.

    «Cerchi il Ratto?» domandò un ragazzino, facendosi avanti.

    «No, voglio solo un’informazione. Se me la procuri senza costringermi a entrare nel vostro letamaio, te ne sarei grata.»

    La donna esibì una corona tra le punte di due dita.

    «Chiedi pure mia signora.» Il ragazzino si avvicinò sfiorando la moneta con fare avido, ma non osò toccarla.

    «Dove si trova Furetto?»

    Il ragazzino esultò con un saltello. «Ma è facile! Era in una locanda, ma adesso è nella casa di piacere, nel Padiglione del Miele.»

    Il sicario lasciò cadere la moneta che il ragazzino intercettò prima che toccasse terra.

    «Grazie» disse allontanandosi con la stessa velocità con cui era giunta.

    Il Padiglione del Miele però rappresentava un vero problema. Era una zona interdetta agli affari, ai contratti e alle ritorsioni. La padrona del locale, Regina, sapeva come farsi rispettare da tutte le organizzazioni della città. Nessuno si metteva contro di lei, nessuno le calpestava i piedi, era una risorsa troppo preziosa per chiunque.

    Ma le regole di Regina non l’avrebbero fermata, in qualche modo le avrebbe aggirate. Non poteva aspettare l’alba, non voleva.

    Svoltò l’angolo e vide i damerini di Furetto fuori dal Padiglione. Le regole della casa di piacere erano ferree: niente guardie, né galoppini. Entrava soltanto chi usufruiva dei suoi servigi, pagando.

    Coprendosi bene il volto sotto il cappuccio, e rimuovendo la maschera da assassina, sgusciò tra loro con indifferenza, varcò la soglia lasciandoseli alle spalle in pochi istanti. Non appena fu all’interno, venne accolta da due avvenenti donne dagli abiti succinti.

    «Buonasera gentile ospite, quali servigi possiamo fornirvi?» esordì la bionda dal taglio mascolino.

    «Regina?» chiese lei in tono glaciale.

    «Al momento è impossibilitata, ne avrà per qualche ora.»

    Meglio così, pensò. «Un uomo e una stanza al piano superiore.»

    «Ah sì?» ribatté la bionda con una sfumatura di delusione nella voce. «In genere ho fiuto per queste cose, avrei detto che avevate gusti migliori…»

    Lei le sorrise e si scambiarono uno sguardo d’intesa, ma poi rispose: «Non questa sera, mi spiace. Stasera voglio un uomo».

    Perla inclinò la testa in segno di assenso. «Peccato, avrei potuto provvedere io stessa a voi. Seguitemi» l’invitò facendo strada. «Non vi ho mai vista qui» prese a dire mentre salivano le scale. «È la prima volta che venite? Siete una forestiera?»

    L’assassina tacque. Sapeva come funzionava quel luogo, sapeva che ogni ape della regina era pronta a estrarre informazioni da qualunque cliente. Le informazioni erano denaro, ma soprattutto potere.

    «Siete un tipo silenzioso, dunque, davvero raro

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