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Isulka la magessa, Libro 1: La pietra di Iside: Isulka la magessa
Isulka la magessa, Libro 1: La pietra di Iside: Isulka la magessa
Isulka la magessa, Libro 1: La pietra di Iside: Isulka la magessa
E-book248 pagine3 ore

Isulka la magessa, Libro 1: La pietra di Iside: Isulka la magessa

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Romanzo vincitore del “ Prix Imaginaire Découverte 2017 des Petits Mots des Libraires

Isulka è una magessa che vive ai margini della società, un po’ venale e, soprattutto, piena di debiti che per sopravvivere si esibisce in spettacoli di magia nei locali di cabaret parigini.

Scipione è uno spadaccino veneziano come non ne esistono più ormai, una vera e propria reliquia del passato. Un uomo esiliato dalla Serenissima, tradito da coloro che considerava amici e in cerca di Vendetta.

Entrambi vengono assunti da un gentiluomo inglese, che affida loro il compito di rubare un anello di rubini.

LinguaItaliano
Data di uscita14 mag 2019
ISBN9781547584802
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    Anteprima del libro

    Isulka la magessa, Libro 1 - Dorian Lake

    Dorian Lake

    ISULKA LA MAGESSA

    Libro 1: La Pietra di Iside

    Traduzione di: Veronica Todaro

    A Mélanie,

    Capitolo I

    Isulka non aveva mai brillato per la sua fortuna al gioco.

    Questo non le aveva tuttavia mai impedito di puntare su somme molto al di sopra dei propri mezzi, con le immaginabili conseguenze. Quella sera non era diversa dalle altre: la gentaglia che affollava la bisca non rappresentava certo il fior fiore di Parigi. Il tugurio si trovava in uno scantinato buio, invaso da una cappa di fumo grigio e nero. Il pavimento era appiccicoso, i tavoli incrostati di sudiciume e le carte da gioco avevano senza dubbio subito una vita di crudeltà e abusi. La regina di quadri, unica testa coronata nelle mani della magessa, aveva perso metà del capo in un vecchio combattimento contro una sigaretta.

    Isulka, unica rappresentante del gentil sesso a quel tavolo, era una creatura dalla bellezza difficile da classificare. Il suo corpo esibiva troppe curve per poterla definire vestale, ma non abbastanza per permetterle di servire Ishtar. Il suo seno non evocava più la purezza dell'infanzia, tuttavia un Edipo non l'avrebbe trovata abbastanza materna. Un sorriso di sfida campeggiava sulle sue labbra rosse, né davvero innocenti, né risolutamente seduttrici. Blu-grigi, i suoi occhi vivaci trapassavano e maltrattavano coloro che la osservavano, suscitando al tempo stesso disagio e desiderio.

    La giovane donna, con una smorfia, contò per l'ennesima volta i franchi che le restavano. Era ancora presto e aveva già perso pressoché tutto il ricavato di una settimana di spettacoli. Dio, tuttavia, sapeva che i suoi numeri di magia avrebbero potuto essere pericolosi. Non che rischiasse di ferirsi: la sua affinità con il fuoco era troppo grande perché ciò accadesse. Attirare l'attenzione della Chiesa e dei benpensanti però non si era mai rivelata un'idea brillante, neppure nel 1888.

    «Allora, capelli di fuoco, giochi o no?» le domandò un ragazzone dalla barba mal tagliata e con un alito dall'indubbio tasso alcolemico.

    Lei contemplò ancora una volta la misera mano che le era toccata. Gli altri giocatori erano maschere impenetrabili, al punto che non avrebbe saputo dire se fossero fiduciosi oppure sull'orlo della disperazione. A denti stretti, si strofinò una mano umidiccia sui pantaloni, nel vano tentativo di asciugarla.

    Avrebbe dovuto giocare e rischiare di perdere tutto ancora una volta? Oppure limitare i danni e ritirarsi, mettendo fine alla sua esosa follia?

    La giovane era ormai sul punto di soccombere al demone del gioco quando udì una voce stridula, che purtroppo conosceva bene, scorticare il dolce suono del suo nome.

    «Signorina Isulka.»

    Lei sospirò e posò le carte prima di radunare i pochi franchi che le restavano. Poi si alzò e si voltò, trovandosi faccia a faccia con il suo interlocutore.

    Lui se ne stava dinnanzi alle scale che conducevano all'uscita.

    L'uomo di bassa statura aveva un viso da squalo, con un naso spaventosamente importante sul quale riposavano un paio di occhiali che la moda parigina avrebbe disapprovato. Non era solo, il che non presagiva nulla di buono. Soprattutto dato che il suo compare doveva misurare pressappoco due metri, in altezza così come in larghezza. Isulka, nella propria mente, lo soprannominò Rex. E sperò che non mordesse.

    «Mio caro signor Occipis! Che piacere incontrarvi questa sera!» mentì. «Stavo giusto venendo a salutarvi.»

    Gli altri giocatori fecero il possibile per ignorare la conversazione, consapevoli della cattiva reputazione dell'usuraio. Non sarebbero mai intervenuti per soccorrere una giovane in pericolo, se le cose si fossero messe male.

    «Ah sì? Che coincidenza sorprendente, dato che sono venuto fin qui per voi, signorina Isulka. Bando ai convenevoli. Sono un uomo paziente, e non perderò certo la calma per voi. Detto questo, c'è pazienza e pazienza, e comincio a credere che voi stiate abusando della mia benevolenza.»

    «Andiamo, signor Occipis, sapete bene che non abuserei mai di voi.»

    «Allora dove sono i miei soldi? Avete un mese di ritardo, e io comincio a preoccuparmi.»

    Il silenzio che seguì la disse lunga sulle possibilità che Isulka aveva di rimborsare il proprio creditore. Sapeva che la resa dei conti sarebbe arrivata, d'altronde non era certo la prima volta che si trovava in una situazione simile, ma i soldi avevano una capacità quasi leggendaria di scivolarle tra le dita. Cosa avrebbe potuto fare, lei, contro una cospirazione cosmica?

    «Proprio come pensavo» riprese lui, sistemandosi gli occhiali. «Non avrei voluto arrivare a tanto, credetemi, ma sono ormai convinto che abbiate bisogno di una certa, diciamo, motivazione. Detesto dover giungere a questa conclusione, soprattutto quando si tratta di una donna tanto bella. Ma che volete, gli affari sono affari. Ho una reputazione da difendere. Spero comprenderete che non c'è nulla di personale in tutto questo.»

    «Niente ci obbliga ad arrivare a tanto. Capisco il vostro punto di vista, davvero. Che ne direste se vi pagassi domani? È già scesa la notte, ormai, domani non è mai stato più vicino di quanto lo sia ora, non è così?»

    Isulka arretrò di qualche passo, avvertendo che la minaccia si era ormai fatta fisica, più cosciente che mai della propria fragilità tutta femminile. I suoi occhi si posarono su Rex. Deglutì e tentò di nuovo di negoziare:

    «Avevamo detto un'interesse del cinque per cento, non è così?»

    «Dieci per cento, signorina» rispose lui con voce spazientita. «Dieci per cento.»

    «Dieci, sì, assolutamente. Facciamo il quindici per cento. Vi restituirò la metà domattina e il resto dopodomani? È una proposta onesta la mia, ne converrete.»

    «Signorina...» sospirò il creditore scuotendo la testa. «E sia. La metà per domani e l'intero saldo per il giorno seguente, a un tasso del quindici per cento.»

    Isulka sorrise tra sé soddisfatta della negoziazione, fino a quando l'uomo, sempre nel medesimo tono, aggiunse:

    «Ma fino ad allora, lascerò il mio amico qui presente, Georges, a occuparsi di voi. Sapete, per quella questione della reputazione di cui parlavamo prima. Signorina, a domani. Georges, cercate di non ucciderla, per favore.»

    Isulka era una donna con molti difetti: giocatrice accanita, chiacchierona, incostante, manipolatrice, codarda... la lista sarebbe stata ancora lunga. Era però anche dotata di grandi risorse quando si trattava di sottrarsi alle conseguenze delle proprie azioni, come scoprì Georges quando un boccale di birra lo colpì all'occhio. Questo non bastò certo a fermare un uomo tanto forte e robusto come lui, ma lasciò presagire la piega che avrebbero preso gli eventi.

    La punizione tuttavia non si rivelò tanto facile da infliggere, non quanto lui aveva previsto.

    Il signor Occipis se n'era andato e Georges stava cercando di acciuffare la propria preda, che si era rifugiata dietro al tavolo da gioco. Lei gli lanciava tutto quello che le passava per le mani malgrado gli insulti della clientela, privata delle proprie bevande.

    Lo scagnozzo non si lasciò scoraggiare: afferrò il tavolo da gioco e lo ribaltò con una facilità sconcertante, obbligando i clienti e la giovane donna ad arretrare. Con una vitalità insospettabile, si gettò poi verso di lei e la agguantò per la gola, prima di spingerla con forza contro una delle pareti.

    Lei emise un grido quasi animalesco in preda al dolore e graffiò il viso del proprio aggressore. Tuttavia, non fu sufficiente: con la mano libera, lui le sferrò un pugno che per poco non le ruppe il naso. La vista della magessa si annebbiò e divenne difficile respirare. In preda al panico, ghermì con la mano destra il lobo dell'orecchio di Georges e tirò con tutte le sue forze, prima di far scattare il ginocchio verso i gioielli di famiglia di quell'orso umano. Lui lasciò la presa: il colpo era andato a segno, il pover'uomo teneva ora una mano tra le gambe e l'altra premuta contro l'orecchio sanguinante.

    Isulka sentì tra le dita un pezzettino di carne umida, e lo lasciò cadere con disgusto. Poi, senza perdere altro tempo, se la diede a gambe con il fiato ancora corto e un Georges, ora furioso, alle calcagna.

    ***

    Spossata dalla corsa nelle sudicie strade del quartiere delle Halles, popolare e alquanto pericoloso, e ormai libera e in uno stato tutto sommato decente, Isulka finì per dirigersi da Angelin, il capo dei furfanti di Rue Pêcheur..

    Vi si accedeva, non senza difficoltà, attraverso i tetti resi umidi da quell'inverno piovoso. Lei, tuttavia, ormai conosceva i tratti più infidi del percorso, avendolo già affrontato diverse volte in passato.

    Agelin era là, un dandy dai capelli biondi la cui pancia aumentava sempre più man mano che si avvicinava ai trent'anni. La maggior parte dei suoi protetti stava ancora vagando per le strade, intenta ad alleggerire folle di ubriachi e borghesi. Isulka aveva sfidato la sorte cimentandosi nelle rapine, qualche anno addietro, tuttavia quella non si era poi rivelata l'attività a lei più congeniale. Agelin le aveva consigliato quindi un raggiro più sottile in cui, invece di far scivolare la mano nella tasca della preda in questione, il suo compito sarebbe stato quello di distrarla con trucchi e magie. Era stato sempre lui a spingerla a utilizzare i propri talenti pirotecnici negli spettacoli di strada, nel corso dei quali il pubblico veniva alleggerito di qualche monetina da complici discreti. Tutto ciò presentava dei rischi, ma la sua reputazione non era mai stata messa in discussione al punto da farle udire le sirene della polizia o, peggio ancora, del Vaticano.

    «Isulka! Viva e vegeta? Che bella sorpresa!»

    «Viva sì, ma per un pelo.»

    «Lo vedo, in effetti. Hai preso freddo? Hai la gola violacea.»

    «Ho combattuto.»

    «Tu? Combattere? E chi ha avuto l'onore, Signora?

    «Un omone che ti avrebbe spezzato in due, mio piccolo Agelin, garantito. Gli sono sfuggita soltanto grazie al mio eroismo leggendario. Era così grande che non sarebbe passato dalla tua porta, e aveva la forza di tre uomini. Ma niente di tutto ciò avrebbe potuto spaventare Isulka, la borseggiatrice di gioielli.»

    «Vedo...» rispose Agelin senza troppa convinzione mentre la sua ospite si accomodava su una poltrona con un gemito di dolore. «Cosa posso fare per te, bella mia? Non sei qui per contemplare i miei splendidi occhi, immagino.»

    «Perché? Non posso venire a trovarti senza alcun secondo fine?» disse lei con aria di falsa indignazione. «Non sono quel genere di donna Agelin, lo sai molto bene. Hai qualcosa da bere?»

    «Subito, principessa.»

    Il ladro si alzò e servì due bicchieri di vino. Fece vorticare lentamente il suo tra le dita, si trattava di un'annata di qualità accettabile. Isulka aveva già vuotato il proprio.

    «Mi serve un lavoro, Agelin. Ho un debito di circa trecento franchi, più gli interessi. Di cui la metà per domani.»

    «Ah, però!» sbuffò il giovane. «Hai di nuovo perso tutto?»

    «Per vincere dei soldi, bisogna spenderne. Si dice così, no?»

    «Peccato che tu ne spenda senza mai vincerne.»

    «Sì, più o meno» ammise lei. «Quindi, un lavoro. Ce l'hai?»

    «Può essere. C'è un inglese in città, non ricordo il suo nome ma posso ritrovartelo. È alla ricerca di mani leste per qualcosa di losco. Siccome è uno straniero, non trova facilmente gente disponibile. Per questo motivo dovrà pagare un po' di più.»

    «Un bevitore di tè per qualcosa di losco... Non hai nient'altro?»

    «Per racimolare centocinquanta franchi entro domani, no. Ti chiedo scusa...»

    «Bene, molto bene. Dov'è il tuo inglese?»

    Capitolo II

    Scipione, nudo sotto il lenzuolo di seta rossa, teneva gli occhi incollati sulla sua conquista di quella sera: una francese carina dal nome affascinante, anche se non lo ricordava. Bevve un sorso di vino francese, il suo preferito con grande disappunto dei propri concittadini che preferivano il Chianti al Bordeaux.

    I suoni di Parigi entravano dalla finestra accostata: i passanti che acceleravano il passo in balia dei primi freddi, le carrozze trainate dai cavalli da tiro e, più semplicemente, la folla che vagava senza meta per i vicini Champs-Elysées.

    Ora che la passione aveva smesso di ardergli nelle vene, l’italiano si domandò se fosse stata una buona idea, quella di sedurre un’amante tanto effimera. Era affascinante, senza dubbio. Splendidi riccioli bruni incorniciavano un visino angelico in cui erano incastonati due ammalianti occhi verdi che, uniti alle sue curve, avrebbero fatto sobbalzare anche il più glaciale dei cuori. Ma lei era, soprattutto, la donna di qualcun’altro. E se Scipione non ricordava il nome di quell’incantevole creatura, quello del Dragone a cui era sposata non lo avrebbe mai potuto dimenticare. Non dragone nel senso di creatura mitologica, ma riferito all’ordine della cavalleria francese composto dal fior fiore dell’esercito e, più precisamente, al signor Raoul Mallaré, Colonnello del 22esimo reggimento e Grand’Ufficiale di Saint-Cyr, la prestigiosa scuola militare della quale si vantavano tanto i gentiluomini francesi.

    L’avventura di una sera avrebbe potuto trasformarsi in qualcosa di molto meno piacevole, se il colonnello si fosse deciso a rientrare in un momento poco opportuno. Rischio che, secondo la signora, non avrebbero assolutamente corso. Scipione si augurò che avesse ragione, dato che il ritratto austero del signor Mallaré, appeso sopra al caminetto, non lasciava presagire nulla di buono sul carattere dell’uomo.

    «Parlatemi ancora dei vostri viaggi, Scipione.» gli disse lei, pronunciando il suo cognome con un’affascinante cadenza tutta francese.

    «Siete mai stata in Russia, mia cara signora?»

    «No, mai! Si dice che faccia molto freddo e che le anime di coloro che abitano quel paese siano violente e vendicative. Ma pure che il cuore dello Zar sia così grande come non se ne era più visto uno eguale dalla morte di Napoleone.»

    «Queste voci non mentono, mia cara, non mentono. Mi trovavo insieme ai miei compagni d’armata dell’epoca che, ve lo confesso, erano più criminali che gentiluomini. Ma chi può resistere al richiamo dell’avventura? Avevamo preso in prestito una barca da pesca. Alcuni di noi non capivano una sola parola di ciò che quegli amabili pescatori dicevano. Non ci restava quindi altro da fare che contare sulla loro, tutto sommato scarsa, conoscenza del francese. Se è vero che la nobiltà russa è in grado di esprimersi forse anche meglio di me nella vostra lingua, non è lo stesso per la gente del popolo, credetemi. Figuratevi che finirono per condurci non a San Pietroburgo, ma in un piccolo porto di cui non sarei neppure in grado di ritrovare il nome.»

    Scipione si servì un altro po’ di vino prima di avvicinarsi alla giovane donna dagli occhi che brillavano. La Russia non figurava certo nei suoi ricordi migliori, ma quella landa lontana ben si prestava ai racconti di eroiche gesta, tanto più che nessuno avrebbe mai potuto andare a verificare la veridicità delle sue parole. Dubitava fortemente che il colonnello si fosse mai preso la briga di condividere le proprie esperienze con la moglie, e ora lei sognava di epopee e avventure, senza essere però mai costretta a lasciare Parigi. E lui non aveva nessuna intenzione di deluderla.

    «Non posso dire che fummo ben accolti. Senza nemmeno un centesimo per poter ripartire, eravamo quasi gli unici stranieri. E la cittadina era in preda a crimini orribili, che la gente attribuiva a vampiri e ad altre creature demoniache.»

    «Vampiri? Non posso crederci, signore.»

    «Ve lo giuro, mia signora. Neppure io ci credevo, ma i miei compagni si rivelarono essere ben più influenzabili di me, proprio come gli abitanti di quella cittadina. Anche se la causa delle morti rimase misteriosa, le voci divennero via via più insistenti. A confronto, il carissimo Jack sarebbe parso un dilettante. I russi sanno usare la fantasia, sapete...»

    La porta della stanza si aprì in quell’istante e si udì una voce di uomo:

    «Églantine, sono tornato.»

    Églantine - era quello il suo nome - si tinse di un pallore mortale e gettò il lenzuolo sul corpo dell’amante, che rimase immobile.

    «Oh... Raoul, siete già di ritorno?» esitò lei. «Pensavo foste di servizio, questa sera.»

    «Per fortuna no, mio dolce tesoro. L’ambasciatore ha almeno un giorno di ritardo, a causa delle intemperie.»

    Il silenzio calò all’improvviso e Scipione si sorprese a trattenere il fiato. Né Raoul né Églantine stavano dicendo una sola parola, e questo non lo rassicurava. I passi dell’uomo si diressero verso un angolo della stanza. L’italiano non riusciva più a ricordare dove avesse lasciato la sua roba, essendosi spogliato in tutta fretta quando era giunto il momento di conoscere in modo più intimo la giovane indemoniata.

    Udì di nuovo dei passi avvicinarsi a lui. Il lenzuolo si sollevò di colpo e una scena grottesca si svolse nella piccola stanza parigina: un uomo con indosso l’uniforme dei Dragoni, la spada in pugno e la sciabola alla cintura, se ne stava davanti al letto. Le lenzuola spiegazzate sul pavimento. Di fronte a lui: un giovane efebo italiano dai lunghi capelli arruffati e con il pizzetto curato, nudo come un verme. Églantine, impallidita, aveva avuto la buona idea di allontanarsi un poco. I due uomini restarono sbalorditi per un istante, senza che nessuno dei due rompesse il silenzio. Lo sguardo di Scipione si spostava dalla sciabola alla spada, posata con noncuranza sopra al caminetto a due metri e mezzo di distanza. Non gli era parsa lontana, quando l’uomo l’aveva poggiata là, ma ora se ne rammaricava amaramente.

    «Tipico» non poté impedirsi di commentare Scipione.

    Raoul levò il braccio per colpire. Fortunatamente per il suo obiettivo, si era trattato di un colpo guidato dalla collera. Scipione non dubitava che, se il colonnello fosse stato in grado di mantenere il suo abituale sangue freddo, non l’avrebbe mancato. L’italiano, grazie a tutti i duelli e alle avventure di cui era stato protagonista, solitamente meno umilianti di questa, ebbe il riflesso di gettarsi all’indietro e di cadere dal letto. Si rialzò poi con le mani alzate, invece di coprirsi i genitali.

    «Sono desolato, Signore, non credevo che questa giovane donna fosse sposata. Come può immaginare, se...»

    Non ebbe neppure il tempo di terminare la frase che dovette gettarsi di nuovo su

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