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L'isola di Wight: Il primo grande festival della musica rock
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E-book247 pagine3 ore

L'isola di Wight: Il primo grande festival della musica rock

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Quando si pensa all’inizio dei megafestival rock, alla fine degli anni Sessanta, il pensiero corre in fretta verso Woodstock, nel luglio 1969. Tuttavia qualcosa di diverso accade già un anno prima, nell’Europa della contestazione. È il 31 agosto 1968 quando, in un concerto in mezzo al verde, diecimila freak applaudono musicisti beat, pop e folk, dagli statunitensi Jefferson Airplane ai britannici The Pretty Things, Smile, Tyrannosaurus Rex e molti altri: si consacra alla storia del rock l’Isola di Wight, splendida location britannica sulla Manica, vicino alla costa francese. Da allora l’Isle of Wight Festival vanta due edizioni successive fenomenali: nel 1969 c’è il ritorno in scena del mitico Bob Dylan, seguito o preceduto fra gli altri da Joe Cocker, Richie Havens, King Crimson; e nel 1970 il trionfo con Jimi Hendrix e Jim Morrison, oltre la presenza in cartellone del gotha pop-rock tra Chicago, The Who, Joan Boaz, Donovan, Procol Harum, Joni Mitchell, Leonard Cohen, Sly and the Family Stone, Emerson Lake and Palmer, Jethro Tull, Mungo Jerry e circa settecentomila fan in delirio.
L’Isola di Wight torna essere protagonista della musica giovanile solo nel 2002, e da allora ogni estate si alterna il meglio del sound generazionale. Ma per tutti rimarranno impresse le edizioni 1968, 1969, 1970, che fanno cantare ai Dik Dik «sai cos’è l’isola di Wight, è per noi l’isola di chi ha negli occhi il blu della gioventù, di chi canta hippy, hippy, hippy». In questo libro, tra band e solisti, jeans e minigonne, danze e spinelli, utopie e desideri, l’affascinante racconto di un’epopea che rivoluziona, sul Vecchio continente e poi nel mondo intero, non solo la canzone, ma anche l’immaginario collettivo, il modo di vivere, pensare, vestire, amare, di chi allora aveva solo vent’anni o anche meno.
 
LinguaItaliano
EditoreDiarkos
Data di uscita20 lug 2023
ISBN9788836163250
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    L'isola di Wight - Guido Michelone

    ISOLAWIGHT_COVER_EBOOK.jpg

    Guido Michelone

    L’Isola di Wight

    Il primo grande festival

    della musica rock

    «Dev’esserci un’isola più a sud,

    una corda più tesa e più vibrante […]»

    José Saramago

    Prefazione.

    di Jesse Chastain Dayle

    Qualcosa, forse, da scoprire (o riscoprire)

    Per i rockettari incalliti è oggi il luogo in cui ogni anno, a inizio estate, si tiene un buon festival musicale. Per i turisti non-per-caso un’isoletta molto british. Per i nostalgici dei favolosi anni Sessanta un luogo mitico (e forse mistico). Per i vecchi fricchettoni ultrasettantenni la Woodstock europea. Per gli storici della popular music un importante riferimento nell’evolversi dei mega raduni giovanili. Per i collezionisti di 45 giri il ricordo di un brano dei Dik Dik. Per i giovani d’oggi qualcosa forse da scoprire (o riscoprire).

    Guido Michelone, l’autore di questo libro, sta parlando ovviamente dell’isola di Wight (Isle of Wight), che nell’immaginario collettivo del XX secolo resterà per sempre famosa per aver ospitato una triade di festival rock, probabilmente la prima per importanza, in senso storico-cronologico, e di certo nella top ten dei grandi eventi pop di ogni tempo.

    Infatti, a differenza di Woodstock, di Wight ne esistono due. O meglio tre, se si va a fondo nelle ricerche: tre edizioni consecutive in anni cruciali per la storia dei giovani (e della cultura e controcultura a loro connesse). Dunque il primo Isle of Wight Festival (1968) oggi appare quasi come l’anticamera dei successivi. Il secondo festival (1969), notissimo, è la risposta inglese all’americano Woodstock. Il terzo Wight (1970), infine, risulta il migliore, essendo quasi destinato, più o meno consapevolmente, non solo a fotografare l’esistente ma ad anticipare il futuro della musica di almeno un decennio.

    Certo, oggi non è facile spiegare ai giovani italiani cosa sia Wight nel triennio 1968, 1969, 1970, benché per gli inglesi e i nordeuropei sia molto più di un semplice festival; forse, però, qualche ragazza o ragazzo partecipa in questi ultimi vent’anni al sequel, affluendo in massa alla ripresa di questa iniziativa – sempre denominata Isle of Wight Festival – che ininterrottamente dal 2002 (salvo per la forzata pausa Covid) propone il meglio del rock internazionale (britannico in primis). E in tal senso Guido Michelone ci racconta che bisogna tuttavia pensare alla storia contemporanea grosso modo degli ultimi sessant’anni, da quando, insomma, iniziano a essere organizzati quelli che poi i giornalisti chiameranno megafestival; e, dalla fine degli anni Sessanta, il pensiero corre in fretta verso Woodstock, nello stesso luglio dello sbarco sulla Luna, quello del 1969 (altro evento epocale per intere generazioni), mentre ci sarebbe da ricordare che, appunto guardando alla Storia con la S maiuscola, ovvero in ordine di tempo, qualcosa di diverso accade già un anno prima nell’Europa della contestazione.

    Il 31 agosto 1968, durante un concerto all’aperto, in mezzo al verde, diecimila freak applaudono tanti musicisti beat, pop, folk – Jefferson Airplane in primis – che si esibiscono, talvolta scatenandosi, tutti insieme, uno dietro l’altro, più o meno ininterrottamente: ed ecco, senza che all’epoca gli organizzatori lo sappiano, consacrare alla musica, alla cronaca, alla gioventù, alla storia non solo del pop-rock l’isola di Wight, una splendida location turistica sulla Manica, vicino alla costa inglese, fin da subito di dominio inglese (United Kingdom o Union Jack che dir si voglia).

    Da allora, subito dopo, l’Isle of Wight Festival vanta due edizioni successive fenomenali: nel 1969 c’è il ritorno in scena del mitico Bob Dylan, seguito o preceduto dalla crème del new sound angloamericano; e nel 1970 il trionfo con tre nomi su tutti: Miles Davis (per la prima volta un jazzista in un festival pop), Jimi Hendrix e Jim Morrison, oltre la presenza di circa settecentomila fan in delirio, con un po’ di (sana) esagerazione sui numeri.

    L’Isola di Wight – dopo un blackout ultra-trentennale – torna a essere protagonista della musica giovanile solo nel 2002, e da allora ogni estate alterna il meglio del pop-rock generazionale (Paul McCartney, Lour Reed, i Rolling Stones, per fare solo tre nomi), benché lo spirito dei vecchi tempi resti irrimediabilmente perduto, visto che i suoni giovanili, proprio dal XXI secolo, irrompono nello show business globalizzato, stravolgendone regole e antiregole. Ma forse per tutti, di certo per tanti, rimarranno impresse nell’immaginario collettivo le edizioni 1968, 1969, 1970, che fanno cantare ai Dik Dik «sai cos’è l’isola di Wight? È per noi l’isola di chi ha negli occhi il blu della gioventù, di chi canta hippy, hippy, hippy».

    In questo libro, perciò, tra band e solisti, jeans e minigonne, danze e spinelli, utopie e desideri, Guido Michelone ci avvicina poco a poco all’affascinante racconto di un’epopea che rivoluziona, sul Vecchio continente e poi nel mondo intero, non solo la canzone, ma anche il modo di vivere, pensare, vestire, amare, di chi allora ha solo vent’anni o anche meno (o forse qualcuno in più).

    Ovviamente l’autore all’epoca non è a Wight in quanto troppo giovane: ma due ventenni di allora – oggi quasi maestri del rock-pop-blues tricolore – dall’Italia riescono faticosamente ad approdare sulla mitica isola. Sentirne il resoconto sembra quasi un anticipo di quanto ora si può leggere fin dalle prossime pagine. Rievoca il milanese Fabio Treves, pioniere del blues a Milano e poi in tutt’Europa: «Scapigliato, innamorato più che mai del blues e dei suoni derivati, decisi che non potevo perdermi la grande opportunità di ascoltare decine di band». E nel 2009, per la rivista «Jam», si dice contento «di poter ricordare quella mia esperienza: fu la prima di una lunga serie, unica per la situazione logistica e per l’abbuffata di buona musica. Sì, perché per un hippy come ero io, scappare per tre giorni dall’Italia provinciale, dove furoreggiavano i soliti nomi, era una vera esigenza esistenziale».

    A Wight si ritrova anche la futura Milano cantautoriale, in quegli anni ancora fortemente intrisa di un rock che, per molti versi, forse proprio grazie al Festival non abbandonerà più: in fondo Eugenio Finardi, Alberto Camerini e lo stesso Treves sono ancora gli unici a unire le parole cantate al sound alternativo degli anni Sessanta-Settanta, e forse a creare ancora un sogno incompiuto.

    Spiega infatti Finardi al quotidiano «Repubblica» nel 2008, il modo pazzesco con cui approdano a Wight, quasi a suggerire il viaggio non solo come metafora esistenzialista o rito iniziatico ma pure quale elemento costitutivo di un lungo percorso artistico-musicale, non senza qualche risvolto comico:

    Ognuno con una moto diversa. Treves in Lambretta, Camerini con la Gilera 125 di suo fratello. E io addirittura con un Guzzi 500 risistemato col chopper, tipo le moto di Easy Rider per capirsi. Faceva ridere solo a vederlo. Partimmo e chissà come tre giorni dopo riuscimmo a ritrovarci ad Amsterdam, dove ci eravamo dati appuntamento. Poi arrivammo a Wight. Ma il ritorno fu in treno, non c’era più una moto che funzionasse.

    Di chi canta «Hippy, hippy, hippy».

    E tutto fu molto veloce.

    Come un risveglio necessario

    Il pensiero corre

    Quando si pensa all’inizio dei mega-festival rock, alla fine degli anni Sessanta, il pensiero corre in fretta verso Woodstock (tenuto dal 15 al 18 agosto del 1969), mentre ci sarebbe invece da ricordare un evento tutto europeo risalente a un anno prima. Il 31 agosto 1968 durante un concerto all’aperto, diecimila persone applaudono musicisti capelloni, dagli statunitensi Jefferson Airplane ai britannici Arthur Brown, Pretty Things, Plastic Penny, Smile, Tyrannosaurus Rex, Fairport Convention, tutti insieme: si consacra alla storia del rock l’isola di Wight, storica località turistica tra Inghilterra e Francia, ma di appartenenza britannica.

    Da allora l’Isle of Wight Festival vanta due edizioni successive fenomenali: nel 1969 si rivede dopo quasi un lustro Bob Dylan, assieme a gente come Free, Family, Joe Cocker, Richie Havens, Moody Blues, Pentagle, Nice, Pretty Things, Third Ear Band, Indo Jazz Fusions, King Crimson; e nel 1970 si passa dall’exploit al trionfo, con Jimi Hendrix e Jim Morrison per le ultime volte dal vivo (è purtroppo il caso di dirlo), oltre alla presenza in cartellone del gotha pop-rock di Chicago: The Who, Joan Baez, Taste, Ten Years After, Donovan, Procol Harum, Joni Mitchell, Leonard Cohen, Sly & Family Stone, Emerson Lake and Palmer, John Sebastian, Jethro Tull, Mungo Jerry.

    Per la quarta edizione giovani, postgiovani, rockettari, nostalgici, fricchettoni, ex-hippy e neo-hippy devono aspettare il 2002, a sorpresa con i Charlatans e Robert Plant dei Led Zeppelin e via via fino al 2023 di Mika, The Enemy, Groove Armada, Manic Street Preachers, Echo & The Bunnymen, passando negli anni precedenti per David Bowie, Roxy Music, Rolling Stones, Paul McCartney, Fleetwood Mac, Rod Stewart, Tom Jones, per citare solo i ‘miti’ coevi alle prime tre edizioni, senza nulla togliere alle presenze di Bruce Springsteen, Sex Pistols, Lionel Ritchie, Police, Blondie, Tom Petty.

    Questo libro – che parla di Wight inteso come festival, territorio, contesto, punto di aggregazione e di inizio per discutere altresì di altri festival, concerti, film e dischi – appare un po’ il sequel di un testo uscito, sempre per la casa editrice Diarkos, mentre si sta ragionando (e scrivendo) sull’isoletta britannica. Is It Only Rock’n’Roll? Breve storia della canzone di protesta e dei movimenti giovanili – 348 pagine redatte dall’esperto Pino Casamassima come flusso di coscienza – porta a raccontare quanto accade anche prima e dopo Wight, come una sorta di esperienza teatrale, iniziando da un lungo articolo scritto per Bbc History. Divenuto quindi un monologo per la scena, Casamassima giunge a una narrazione coerente con la sua attenzione verso quella musica che da sempre rappresenta una parte fondamentale della sua vita e di intere generazioni, essendo lui stesso figlio di un tempo in cui non c’è settimana senza che esca un nuovo album, un nuovo libro, un nuovo film: un «tutt’uno di stampo quasi rinascimentale. Credo sia stato un periodo unico nel Novecento».

    Il fatto è che parlando di Wight – o, come suggerisce Casamassima, di un «intero lungo periodo» – il testo sfugge alle solite categorie (critica, saggistica, memorialistica…) unendo più generi: nel suo caso giocando tra autobiografia, racconto e drammaturgia. E, trattando questi argomenti – da Bob Dylan ai Rolling Stones, da Jimi Hendrix a Jim Morrison – serpeggia, forse, in questo e nell’altro libro, un senso di ricerca del tempo perduto alla Marcel Proust:

    La nostalgia? Come negarla? Fa parte di noi. Uno dei miei monologhi si chiama appunto Nostoi, tratto dai Nostoi greci, appunto, donde proviene la parola nostalgia, alias ritorno. Un passato che appunto facciamo ritornare ascoltando un disco di cinquant’anni fa o un film di quello stesso periodo.

    Nelle prime tre mitiche edizioni Wight è un onirico concentrato e al contempo una tranche-de-vie che riconduce, ancora una volta, alle parole di Pino Casamassima, rilasciate durante una personale intervista: «Non voglio ripetere gli errori delle generazioni precedenti. Una volta, mia madre entrò in camera mia per intimarmi di abbassare quella cosa che stavo ascoltando. La cosa era Like a Rolling Stone di Dylan». Ed ecco «una cavalcata attraverso più decenni di più generazioni cresciute fra contestazione, antagonismo e rock, senza sapere quanto il rock abbia condizionato quei movimenti e viceversa. È tutto meno che una storia del rock», grazie a un sound che simboleggia «una musica di riscatto, come lo era stato il soul nelle piantagioni. Il rock ha sempre rappresentato una cultura alternativa».

    La questione

    Ora: come si può, si deve e si vuole raccontare tutto questo, tenendo Wight quale referente unico? La questione si pone, ancor prima di iniziare a raccontare, da molti punti di vista: ma, alla fine, la scelta di suddividere l’argomento in questo e altri otto capitoli saggistico-narrativi più altri tre fatti di elenchi, si pensa che possa risultare utile e dilettevole anche per comprendere l’universo rock nella propria completezza.

    Riassumento, dopo questo che state leggendo, i temi di ogni capitolo: W come Wight introduce la materia dal punto di vista storico-teorico. 68, 69, 70 si concentra sulle prime tre edizioni dell’Isle of Wight Festival. Una hit parade sui generis diventa una personale considerazione sulle maggiori prestazioni di tutti gli artisti in scena nel 1970 (e documentati audiovisivamente). Wight e gli altri vuole essere un momento riflessivo su quanto di simile a Wight accade nel lontano passato e anche negli anni dei raduni hippy. Parimenti Rock al cinema allarga lo sguardo su quelle pellicole che tra gli anni Sessanta e Settanta documentano la crescita delle culture sonore giovanili. Message to Love, dal titolo dell’unico film su Wight, accoglie i pensieri del proprio autore, il regista Murray Lerner, forse a tutt’oggi il miglior commentatore di quel grandioso evento. Storia dell’isola, utile magari per scopi turistici, è uno sguardo retrospettivo su un luogo importante al di là del festival medesimo. E Prima di Wight e dopo i rave si occupa del problema – oggi di moda – dei raduni giovanili illegali, lanciando uno sguardo sull’attualità (soprattutto italiana). Infine i tre elenchiCronologia festivaliera, Discografia selezionata, Bibliografia consigliata – che citano molte cose: eventi, cartelloni, libri, album (Lp e Cd), per avere in mano una serie di testi sonori o scritti onde appagare ancor meglio il desiderio di sapere.

    Adesso, prima ancora di parlare della musica del Festival, occorre conoscere l’inventore dell’iniziativa, senza il quale oggi non si avrebbe un tasello importatissimo della recente storia inglese (e non solo). Il padrino, creator, deus ex machina delle prime tre edizioni dell’Isle Of Wight Festival si chiama Ray Foulk. E Ray Foulk, assieme a John Giddins e a Murray Lerner, rappresenta il trittico ideale degli uomini che rendono nota sull’intero pianeta la Wight del sound giovanile.

    Ray Foulk

    Raymond Ian Barnes Foulk, meglio noto come Raymond o Ray, è architetto, scrittore, ambientalista, curatore di mostre, collezionista d’arte e promotore-organizzatore di festival di musica rock, ma passerà alla storia per la fondazione dell’Isle of Wight Festival of Music nel 1968, insieme ai fratelli Ronald Anthony (Ron) e John Philip (noto come Bill). Nato a Chesterfield, nel Derbyshire, negli anni Quaranta (la data di nascita è tutt’oggi segreta), Ray Foulk si trasferisce sull’isola dall’età di dieci anni con la sorella minore e tre fratelli, portati lì dalla madre da poco vedova. A Ray va anzitutto riconosciuto il merito di portare Bob Dylan a Wight 1969, che risulterà come il primo concerto completo dell’artista dal maggio 1966, nonché unica esibizione sui generis in quasi otto anni. Per contro, questa volta in negativo, egli è anche noto per provocare il citatissimo atto del Parlamento (l’«Isle of Wight Act» del 1971) che porrà fine a un’esperienza unica. Ma di questo ne parleremo più avanti.

    Per comprendere meglio l’importanza di questa originale figura nel contesto delle prime tre edizioni wightiane occorre conoscere anche un po’ la sua personale vicenda: mentre vive sull’isola, Ray frequenta la Liverpool Blue Coat School, dove, sedicenne, assieme al fratello Ronald, di un anno più vecchio, gli si intima di andarsene, giungendo sino a un’esplulsione indiretta, a causa del basso rendimento scolastico. Durante un successivo apprendistato di cinque anni, Foulk frequenta gli istituti di Portsmouth e Southampton, nella Southern College of Art, una scuola di pittura, qualificandosi in finale con l’importante titolo di City and Guilds of London Institute Compositor’s Work in Printing.

    Nel 1985 Ray completerà gli studi con una laurea all’Open University con il massimo dei voti e, nello stesso anno, accetterà una cattedra al Christ’s College di Cambridge quale docente di Architettura. Foulk conseguirà un’ulteriore laurea con lode nel 1988 con il diploma in Architettura presso il Politecnico di Oxford (ora Oxford Brookes University), ottenendo infine il titolo di architetto nel 1991. Tornando però alla gioventù, Ray intraprende pure un apprendistato quinquennale di tipografo presso l’Isle of Wight County Press, sino a creare – nel 1967, proprio sull’isola, a Totland Bay – un’attività di stampa e design su piccola scala, la Solent Graphics Ltd.

    Con i fratelli Ron e Bill, Ray organizza quindi un festival della durata di una notte, il First Isle of Wight Festival of Music, annunciandolo come The Great South Coast Pop Festivity, il 31 agosto 1968. Ma le edizioni 1969 e 1970, splendide sotto il profilo artistico, creano malumore tra i politici ostili, portando – nel giro di poco tempo – a un disegno di legge parlamentare per ridurre ulteriori raduni notturni su larga scala organizzati sull’isola. Foulk, pur deluso, continuerà assieme al fratello Ronald a promuovere il primo evento musicale inglese con la parola rock, ovvero il Rock at The Oval - Goodbye Summer al cosiddetto Oval (il Surrey County Cricket Club di Kennington, vicino a Londra) con gli Who e Rod Stewart, il 18 settembre 1971. Poi, i due continuano con il primo evento musicale in assoluto allo stadio di Wembley, The London Rock and Roll Show, con tutti i protagonisti del primo

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