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Sanremo all'inferno e ritorno: quando il Festival entrò in crisi
Sanremo all'inferno e ritorno: quando il Festival entrò in crisi
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E-book251 pagine5 ore

Sanremo all'inferno e ritorno: quando il Festival entrò in crisi

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"Sanremo all'inferno e ritorno" racconta, analizza e approfondisce il periodo di più acuta crisi attraversato dal Festival della canzone italiana, a partire dal 1973, quando la tv spense le telecamere sulle prime due serate, fino alla rinascita avvenuta negli anni Ottanta. Fatti e personaggi del lungo tunnel attraversato dalla kermesse canora più popolare: le difficoltà organizzative, le battaglie fra gli impresari, i cantanti noti, meno noti e sconosciuti che animarono la ribalta ligure in quegli anni. E ancora: l'atteggiamento critico della stampa nei confronti del Festival, i grandi esclusi, le altre gare musicali del periodo, curiosità e particolari finora mai pubblicati nelle opere sul tema.
LinguaItaliano
Data di uscita8 feb 2016
ISBN9788893322065
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    Anteprima del libro

    Sanremo all'inferno e ritorno - Carlo Calabrò

    lettura.

    1973: LA RAI DIVENTA MATRIGNA

    C’è una data precisa: 9 gennaio 1973. Il periodo più cupo e travagliato nella storia del Festival di Sanremo inizia quel giorno. E’ un martedì e, da Roma, arriva una notizia destinata a minare fin dalle fondamenta le certezze della più prestigiosa rassegna canora italiana. Ecco cosa succede: la Rai comunica che trasmetterà in televisione solo la finalissima del Sanremo numero 23, riservando alle prime due serate unicamente la messa in onda radiofonica. Uno shock autentico: la trasmissione tv della manifestazione nella sua totalità, in diretta dalla prima alla terza serata, era un dato acquisito dal 1965, mentre già fra il 1957 e il 1960 l’evento, sul piccolo schermo, era stato mostrato in maniera pressoché integrale. Si trattava, insomma, di un consolidato rito collettivo fatto di tre maratone catodiche.

    Un provvedimento, quello della Rai, adottato in seguito a una sollecitazione del Comitato centrale di vigilanza sulle radiodiffusioni, immediatamente fatta propria dal Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, in un quadro di generale ridimensionamento delle trasmissioni di musica leggera proposte dall’ente radiotelevisivo di Stato. Il suddetto Comitato ha la funzione di fornire direttive di massima culturali, educative e artistiche sui programmi radio e tv.

    Il motivo della decisione? Porre un limite al fenomeno della proliferazione di festival di canzoni, il più delle volte di infimo valore culturale e sociale. La disposizione restrittiva, essendo di carattere generale e non solo indirizzata specificamente al Festivalone ligure, andrà dunque a colpire altre manifestazioni di vasta popolarità: il Disco per l’estate, il Cantagiro, la Mostra internazionale di Musica leggera. Riguardo ad altre kermesse di minor rilievo, i giornali del tempo fanno sapere che la Rai ha deciso, per gli stessi motivi, di sceglierne alcune che saranno messe in onda registrate o in sintesi in seconda serata sul Secondo canale, oppure in una collocazione pomeridiana.

    SENZA TV, CHE VETRINA E’? - Per comprendere appieno l’eccezionalità del fatto, occorre immergersi nel clima canoro dell’epoca: l’industria musicale nostrana puntava una consistente parte delle sue fiches sulle rassegne, quasi tutte a carattere competitivo. Quelle prima citate erano le più importanti, assieme al Festivalbar e a Canzonissima (la quale però rappresentava un caso a parte, per il suo format misto di gara musicale e varietà, nonché per l’abbinamento a una lotteria), ma ne esistevano altre, di risonanza inferiore, che tenevano impegnate i cantanti e i loro entourage per quasi dodici mesi all’anno. Togliere a questi eventi l’ossigeno delle riprese televisive rappresentava un colpo durissimo, tanto più duro quanto maggiore era il prestigio delle manifestazioni colpite dal provvedimento, sbattute all'improvviso dalle stelle della massima visibilità alle stalle di un semioscuramento.

    ARIA PESANTE PER IL SANREMONE - Chiaro, quindi, che per il Festival della canzone italiana si tratti di un pugno da ko, o giù di lì. Il clima attorno alla rassegna si era fatto pesante già da un paio d’anni, in verità: dopo la celebrazione del ventennale nel 1970, l’edizione successiva era stata segnata dalla defezione di diversi nomi di richiamo e di alcune grosse case discografiche, laddove un tempo il Sanremo era davvero il summit delle più luminose star della canzonetta tricolore, con poche eccezioni (ad esempio Mina, che dopo le iniziali comparsate si tenne sempre bene alla larga dalla Riviera dei Fiori, o Lucio Battisti, presente nel ’69 e poi mai più; ma un Adriano Celentano, per dire, una capatina da quelle parti la faceva sempre volentieri…).

    DODICI MESI PRIMA, AVVISAGLIE DI CRISI - Ancora più forti i venti di tempesta nel 1972, quando il Comune di Sanremo si era assunto in proprio la responsabilità dell’organizzazione dopo anni di gestione privata (affidata cioè a impresari esterni), responsabilità che manterrà anche nel 1973. In seguito ad accesissime polemiche sulla selezione dei concorrenti per il 22esimo Festival, la CISAS (confederazione italiana sindacati artisti dello spettacolo) aveva proclamato un clamoroso sciopero nazionale di cantanti, complessi e direttori d’orchestra di musica leggera, iniziativa che, se sostenuta in massa dagli artisti ammessi alla rassegna, avrebbe portato alla sospensione della stessa. Tuttavia il fronte dei partecipanti alla gara ligure non si presentò, per l’occasione, particolarmente compatto, diversi furono i dubbi circa l’opportunità di incrociare le braccia. In ogni caso, la protesta rientrò solo poche ore prima della diretta della prima serata, in seguito a un confronto fra l’Amministrazione sanremese e la CISAS: le due parti, veniva annunciato in un comunicato ufficiale rilasciato al termine della trattativa, avevano concordato di attivarsi presso la Rai TV per ottenere la realizzazione di uno special sulla canzone italiana, con cantanti e con direttori d’orchestra italiani, quale manifestazione collaterale al XXII Festival.

    FORMULA SUPERATA? - Da più parti, in quegli anni, si diceva che la formula di Sanremo e delle manifestazioni analoghe fosse ormai in fase di superamento: le gare modello Festival erano state il motore del mercato dei 45 giri, che invece proprio in quell’inizio di decade stavano gradatamente cedendo il passo, nei gusti dei consumatori, ai 33 giri, i long playing. Più in generale, fra gli stessi cantanti, soprattutto quelli di nuova generazione, pareva diffondersi una certa idiosincrasia alle tradizionali tenzoni canore (L’arte non può esser messa in competizione: più o meno questo era il leit motiv dell’epoca), mentre i veterani sbocciati nei Sessanta, che grazie a questi concorsi avevano costruito buona parte delle loro fortune, stavano vedendo scemare la popolarità e il gradimento presso il grande pubblico.

    Si stava insomma vivendo, in quel ’73, una fase di passaggio epocale nelle modalità di diffusione e di fruizione della musica leggera, e il Festival di Sanremo non fu in grado di intercettarla, recepirla e farsene interprete, nonostante i proclami di rinnovamento. Al termine della precedente, tormentata edizione, erano state abbozzate alcune idee per svecchiare il carrozzone: si era parlato, fra le altre cose, di una commissione itinerante che, da settembre in poi, avrebbe dovuto fare il giro delle case discografiche e valutare le canzoni in cantiere, prenotando quelle ritenute più adatte a scendere in lizza nella kermesse rivierasca; fare insomma di Sanremo qualcosa di analogo, nei meccanismi e nella filosofia, alla Mostra cinematografica di Venezia, per offrire selezioni più qualitative e una più realistica e completa rappresentanza delle tendenze musicali della Penisola.

    Come spesso è accaduto nella storia della manifestazione, non si riuscì ad andare oltre le buone intenzioni. Tuttavia la sensazione è che, anche cambiando radicalmente la propria struttura, il Festival difficilmente sarebbe sfuggito alla mannaia catodica. La dimostrazione arriverà dal 1976 in poi, quando un Sanremone rivoluzionato nei contenuti e nelle formule continuerà a scontrarsi, per diversi anni, con l’ostilità dell’ente tv di Stato.

    SANREMO SNATURATO - Il Festival del 1973 è in calendario dall’8 al 10 marzo: la notizia giunta da Roma appena due mesi prima della kermesse getta ovviamente nel caos l’amministrazione comunale. Il sindaco Piero Parise arriva a ventilare l’ipotesi di annullare lo spettacolo, nel caso in cui la Rai non torni sulle proprie decisioni mettendo a disposizione le telecamere anche per le prime due sere. Del resto, ridurre così drasticamente lo spazio televisivo significa abbassare notevolmente l’effetto vetrina della rassegna, oltre al rischio di farla apparire monca, incompleta, dal punto di vista della narrazione: la finalissima, infatti, altro non è che il naturale prodotto delle sfide consumatesi nelle prime due sere, tengono a sottolineare in Municipio.

    L’assessore al Turismo Napoleone Cavaliere, dal canto suo, sostiene che non sarebbe peregrino, di fronte all’atteggiamento di chiusura della tv di Stato italiana, pensare di cedere i diritti di trasmissione a emittenti straniere, magari a un grande network americano, ma a viale Mazzini non si commuovono: non ci si discosta dalla linea di intransigente moralizzazione culturale. Lo stesso Cavaliere ha modo di commentare così, dopo un incontro senza esito con la dirigenza Rai nel tentativo di strappare la consueta diretta tv dell’intera manifestazione: Abbiamo spiegato che non si può mettere Sanremo, che è la rassegna principe della canzone italiana, sullo stesso piano degli altri festival, facendo presente anche che consideravamo giusto il ridimensionamento delle altre rassegne musicali che si svolgono in Italia.

    La macchina organizzativa si mette comunque in moto: seguendo la medesima procedura dell’anno precedente, vengono diramati 225 inviti ad altrettanti cantanti italiani e stranieri (nella lista anche nomi irraggiungibili come i citati Battisti e Mina); per ognuno di essi, la facoltà di presentare non più di due composizioni. Alla scadenza del termine fissato per l’invio del materiale, ossia il 10 febbraio, in Comune tirano un sospiro di sollievo, visto l’elevato numero di richieste di partecipazione e il prestigio dei cantanti che sperano di scendere in lizza al Salone delle feste del Casinò (all’epoca ancora sede dell’evento: il teatro Ariston sarebbe arrivato pochi anni dopo, ne riparleremo). Sono ben 198 gli acetati (ossia i provini) giunti all’organizzazione, con vasta rappresentanza di pezzi grossi del panorama pop non solo nostrano. Chi temeva una diserzione di massa dei big viene smentito: il Sanremo è salvo e si farà, anche se parte ad handicap. Fra le soluzioni proposte per rendere più appetibile la sola serata televisiva c’è una riduzione dei motivi ammessi in concorso: dai trentadue previsti si scenderebbe a non più di ventiquattro o al massimo ventisei, in modo che possano fare passerella in radio per poi darsi battaglia tutti quanti nell’atto conclusivo del sabato; del resto fino a due anni prima, quando ancora era in vigore la doppia esecuzione dei brani (cioè ogni canzone veniva proposta da due diversi interpreti), la finale era animata da ben ventotto performance, due per ognuna delle quattordici composizioni. Ma non se ne fa nulla.

    IN DIRETTA DAL PASSATO: LA FASE DI PREPARAZIONE DI SANREMO ‘73

    LE VOCI GIOVANI – 198 provini, si diceva, presentati da circa 150 cantanti. Per due di questi, Egilda Gilda Giuliani e Alberto Feri, il sogno del Festival è già realtà: nel dicembre precedente hanno vinto il concorso Una voce per Sanremo, organizzato dal Comune rivierasco e patrocinato da TV Sorrisi e Canzoni e da Radio Monte Carlo, un vero e proprio antenato di quel Sanremo Giovani che, lanciato da Pippo Baudo, diverrà un appuntamento fisso per buona parte degli anni Novanta. Alla finale di questa gara di esordienti, per la cronaca, è giunta anche tale Rosa Gibertini, che troveremo in gara nei due Festival più travagliati del periodo, quelli del ’74 e del ’75, con il nome d’arte di Valentina Greco.

    Il Comune ha nel frattempo assegnato all’impresario Vittorio Salvetti la funzione di direttore artistico di Sanremo 1973: dovrà sovrintendere alla preparazione e all’effettivo svolgimento della kermesse. L’inventore del Festivalbar sarà una delle figure di maggior rilievo, negli anni oscuri del Festival della canzone italiana.

    SELEZIONE PUBBLICA - Fra gli esperti chiamati a scegliere le canzoni ci sono anche Ernesto Calindri, Alighiero Noschese e Nicolò Carosio. La selezione si svolge presso la palazzina sede del Tiro a volo, in località Pian di Poma, ed è pubblica: le operazioni vengono trasmesse su schermi televisivi a circuito chiuso, in modo che possano assistervi i giornalisti accreditati e i discografici.

    Cadono moltissime candidature illustri: da Nada a Rita Pavone, da Little Tony ai Nuovi Angeli, e ancora Lucio Dalla, Gianni Nazzaro, Al Bano, Marisa Sannia, Marisa Sacchetto, Don Backy, Angela Luce, Paolo Mengoli, Pino Donaggio, Robertino, Gloria Christian, Bruno Venturini, Donatella Moretti, Carmen Villani, Mario Tessuto, Mal, Fausto Cigliano, Piero Focaccia, Luciano Beretta, Annarita Spinaci… Evidente, leggendo molti nomi di questa lista, la volontà degli organizzatori di imprimere una svolta giovane, tagliando fuori veterani un po’ col fiato corto per dare spazio a volti nuovi in grado di lasciare il segno sul mercato.

    In realtà l’operazione riesce solo in parte, o forse viene portata avanti con poco coraggio, nel timore di perdere il pubblico un po’ più attempato e legato ai mostri sacri che han dominato gli ultimi due lustri: restano infatti fuori dal gruppo degli ammessi alcuni emergenti di buon livello, come Silvana dei Circus 2000, Rosalino (non ancora Ron), Simon Luca, Angela Bini (che di lì a poco si affermerà come metà femminile del duo Juli and Julie), i Romans, Fiammetta, Antonella Bottazzi, Daniela Goggi, Santino Rocchetti e, soprattutto, Antonello Venditti e Ivano Fossati, cioè due futuri colossi del cantautorato nostrano, già discretamente quotati grazie a esordi discografici di spessore.

    Discorso a parte per una big di fresco conio, Marcella Bella, che non se la sente di mettere a repentaglio il suo 1972 da sogno (exploit a Sanremo con Montagne verdi e a Canzonissima con Un sorriso e poi perdonami) andando a correre rischi in un’ennesima gara, anche perché, dichiara all’Unità, non ha trovato una canzone che le offrisse le medesime garanzie delle due sopra citate. Per un po’ – aggiunge la cantante siciliana – voglio restare lontana dalle rassegne canore e mantenere con il mio pubblico contatti diversi da quelli che offrono i festival e le manifestazioni in genere. Altra curiosità dalla fase di selezione: Wess si presenta sia in coppia con Dori Ghezzi sia come interprete singolo, ma in questa seconda versione non incontra il parere favorevole dei giurati.

    IL CAST, FRA TITOLARI E PANCHINA – Il citato Fossati, che probabilmente altro trattamento si attendeva anche in virtù dell’exploit dell’anno precedente assieme ai Delirium, con la canzone Vento caldo viene comunque inserito nel gruppetto delle sei riserve, cioè i cantanti destinati a subentrare nel caso di squalifiche e forfait dei prescelti: con lui ci sono Umberto Bindi (Sinfonia per un violino), Jimmy Fontana (Made in Italy), Oreste Vainiglia (Violino), La famiglia degli Ortega (Awa Malaia) e, udite udite, quella Rosangela Scalabrino che, col nome d’arte di Gilda, diventerà suo malgrado simbolo degli anni più tempestosi del Festival. Il titolo del suo brano è Aspetta.

    IL CAST DI SANREMO ‘73

    Alessandro - Tre minuti di ricordi

    Carmen Amato – Dove andrai

    Rosa Balistreri – Terra che non senti

    Umberto Balsamo – Amore mio

    Bassano – Cara amica

    Camaleonti – Come sei bella

    Adriano Celentano – L’unica chance

    Gigliola Cinquetti - Mistero

    Christian De Sica – Mondo mio

    Peppino Di Capri – Un grande amore e niente più

    Donatello – Tu giovane amore mio

    Drupi – Vado via

    Sergio Endrigo – Elisa Elisa

    Alberto Feri – Ogni volta che mi pare

    Peppino Gagliardi – Come un ragazzino

    Gilda Giuliani – Serena

    Anna Identici – Mi son chiesta tante volte

    J.E.T. – Anika Na-o

    Fausto Leali – La bandiera di sole

    Le Figlie del vento – Sugli sugli bane bane

    Lionello – Straniera straniera

    Lolita – Innamorata, io?

    Junior Magli - Povero

    Milva – Da troppo tempo

    Mocedades – Addio amor

    Pop Tops - Angeline

    Memo Remigi – Il mondo è qui

    Ricchi e Poveri – Dolce frutto

    Lara Saint Paul – Una casa grande

    Tony Santagata – Via Garibaldi

    Roberto Vecchioni – L’uomo che si gioca il cielo a dadi

    Wess e Dori Ghezzi – Tu, nella mia vita

    QUALCHE BIG C’E’… - Viste le traumatiche premesse, non si può dire che la commissione di esperti abbia fatto un brutto lavoro. Il listone dei trentadue ammessi pare ben amalgamato e, sulla carta, sembra rispondere almeno in parte alla pressante esigenza di svecchiamento del carrozzone festivaliero. I veterani delle sette note, destinati a rassicurare il pubblico più tradizionale dello spettacolo e della tv, sono presenti in numero accettabile, a partire dagli ex vincitori Endrigo, Cinquetti e Celentano, per proseguire con Milva, Peppino Di Capri, Fausto Leali.

    I Camaleonti sono pronti a inaugurare una nuova, breve età dell’oro (pochi mesi dopo trionferanno al Disco per l’Estate con Perché ti amo), mentre fra i tanti emergenti compaiono nomi interessanti e già piuttosto noti, come Roberto Vecchioni, il citato duo Wess – Dori Ghezzi e Umberto Balsamo; molto ci si aspetta da Rosa Balistreri, con la quale il folk più schietto fa irruzione sul palco nazionalpopolare di Sanremo. Proprio il pezzo della Balistreri ha registrato il pieno di consensi (diciannove voti su diciannove) presso la commissione di ascolto, assieme a quelli di Milva, Endrigo, Vecchioni, Camaleonti, Ricchi e Poveri e Gagliardi.

    IL CASO BALISTRERI - Si procede verso il varo della kermesse in un’atmosfera di sostanziale serenità, o sarebbe meglio dire rassegnazione, visto l’atteggiamento della Rai. Si viene a sapere che Gabriella Farinon tornerà sul palco del Casinò a quattro anni dal debutto del 1969: presenterà da sola le due serate radiofoniche, per poi esser raggiunta da Mike Bongiorno in occasione della finalissima in Eurovisione.

    Ma, in un clima di così pesante recessione, le magagne non tardano a manifestarsi: e arrivano in extremis, giusto alla vigilia, a scombussolare la tabella di marcia di Salvetti e del suo staff. Innanzitutto, si scopre che il pezzo della Balistreri non sarebbe inedito come richiede il regolamento, essendo stato eseguito nel corso della trasmissione televisiva Stasera… Rrrosa (sì, il titolo era scritto proprio in questo modo), andata in onda nell’ottobre precedente sul canale Nazionale (così si chiamava all’epoca la prima rete tv). Le verifiche del caso, scattate immediatamente, purtroppo confermano: la cantautrice siciliana è fuori gioco. La squalifica ha grande eco e suscita amarezza, perché Terra che non senti, lo abbiamo visto, aveva superato la selezione a furor di giurati, ed era atteso da molti addetti ai lavori come punto di partenza per l’avvio di un processo di maturazione culturale del Festival, ossia per l’apertura della rassegna verso forme espressive più alte e meno consumistiche.

    IL PITTORESCO FORFAIT DI ADRIANO - Fuori, e il fatto è ancor più clamoroso, anche Adriano Celentano, ma per sua libera scelta e sulle ali di un curioso gesto di ribellione, messo in atto da consumato istrione quale lui è: comunica il forfait tramite telegramma, nel quale scrive di non poter partecipare all’evento a causa di una sopravvenuta piccola gastrite, che sarebbe però dovuta, egli stesso lascia intendere, al lavoro svolto dalla commissione di selezione, colpevole di aver escluso tanti artisti di chiara fama senza tener conto delle loro carriere onuste di gloria e del contributo che hanno dato, negli anni, alla crescita della musica leggera italiana.

    E’ un brutto colpo per il Sanremo targa 23, soprattutto per il prestigio del nome del contestatore; quanto alla sua canzone, onestamente non ci si perde alcunché: è un’opera non eccezionale, uno dei suoi tanti brani protestatari ed ecologisti (in questo caso, il tema è quello delle sofisticazioni alimentari), di certo non uno dei meglio riusciti. Stranamente, pur avendo designato ben sei riserve, l’organizzazione decide di non sostituire i due artisti usciti dal cast: i concorrenti scendono così da trentadue a trenta. Rimane comunque fissato a sedici, come stabilito inizialmente, il numero degli ammessi alla finalissima: ognuna delle prime due serate produrrà otto qualificati.

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