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Le canzoni dei Modena City Ramblers Tomo I: Da Combat Folk a Viva la vida Muera la muerte 1993-2004
Le canzoni dei Modena City Ramblers Tomo I: Da Combat Folk a Viva la vida Muera la muerte 1993-2004
Le canzoni dei Modena City Ramblers Tomo I: Da Combat Folk a Viva la vida Muera la muerte 1993-2004
E-book278 pagine3 ore

Le canzoni dei Modena City Ramblers Tomo I: Da Combat Folk a Viva la vida Muera la muerte 1993-2004

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Info su questo ebook

"Le canzoni dei Modena City Ramblers" è una biografia dell'Italia ai tempi dei MCR, la storia del nostro paese degli ultimi vent'anni.

Il libro è un percorso fra le storie contenute nei testi, spiegando e raccontando l'ispirazione, l'origine, la fonte di ogni brano. Con la scusa di parlare del gruppo emiliano si affrontano ed esplicitano i luoghi, i personaggi, gli avvenimenti.

Capita così di trovarsi a viaggiare assieme a Emiliano Zapata o a Nestor Serpa Cartolini, di leggere in merito ad Enrico Mattei e trovare subito dopo Pinelli; si racconta di Bob Sands come di Peppino Impastato.

Tutto scorre in questo sincretismo culturale, in questa santeria laica: le canzoni dei Modena City Ramblers sono al tempo stesso il motore di questo lavoro e il carburante, sono la passione che alimenta la conoscenza, sono la poesia delle lacrime per i torti subiti e di quelle versate quando c'è da festeggiare.

Leggere "Le canzoni dei Modena City Ramblers" è come viaggiare in una Via Emilia che passa dall'Irlanda, per proseguire in Sud-America e diramarsi fra tutte quelle terre dove ci sono frontiere da superare, muri da abbattere, speranze da raccontare.

Leggere le canzoni non vuol dire scorrerne i testi, ma ascoltarle col pensiero, viaggiando fra sogni e delusioni, conquiste e sconfitte, desideri e utopie.

A chi affronta "Le canzoni dei Modena City Ramblers" non si augura "Buona lettura", ma "Buon viaggio", perché leggere le canzoni significa naufragare dolcemente in un mare di consapevolezza.

Con Prefazione di Guido Giazzi, direttore di Il Buscadero.
LinguaItaliano
Data di uscita7 ott 2012
ISBN9788897982197
Le canzoni dei Modena City Ramblers Tomo I: Da Combat Folk a Viva la vida Muera la muerte 1993-2004

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    Le canzoni dei Modena City Ramblers Tomo I - Carlo Susara

    Carlo Susara

    LE CANZONI DEI MODENA CITY RAMBLERS

    Tomo I - 1993-2004

    da Combat Folk a ¡Viva la vida muera la muerte!

    DIGITAL INDEX EDITORE

    Prefazione

    Dopo il Lungo Inverno

    Foto di gruppo con i Modena City Ramblers di Guido Giazzi

    Abito a Milano, in una zona periferica che amo molto.

    Un tempo era un’area industriale ma oggi molte fabbriche hanno chiuso i cancelli e si sono trasferite altrove.

    Nel mio quartiere alcuni vecchi edifici hanno ancora delle lapidi che ricordano i partigiani uccisi o i nostri connazionali morti nei campi di concentramento europei.

    Ricordo che da bambino c’era una lapide molto particolare: me l’aveva indicato mio padre, quando giravamo in bicicletta, spiegandomi gli avvenimenti bellici a cui lui aveva assistito.

    Mio padre mi indicava queste lapidi per ricordarmi che la guerra era stata una cosa reale e sanguinaria e quella che io studiavo sui libri di testo era, oggi si direbbe, una lotta virtuale.

    L’insegnamento di mio padre voleva farmi comprendere che gli Orazi e i Curiazi, la guerra del Peloponneso, Atene, Sparta, Roma erano tutte vicende che potevo studiare sui libri di testo ma la Resistenza, i Tedeschi, gli allarmi, le sirene e i morti lui li aveva visti realmente e ci teneva a raccontarmi tutto questo, augurandosi che io mai nella mia esistenza potessi vedere queste brutture.

    Una di queste lapidi, ancora oggi esistente e ancora oggi ricordata ed omaggiata ogni 25 Aprile, riguarda un giovane ragazzo di nome Giuseppe. Giuseppe fu ucciso per mano dei Tedeschi il 23 Aprile del 1945: due giorni prima della Liberazione, 48 ore prima che finisse tutto.

    Sin da bambino ho pensato che per poche ore questo ragazzo di neanche vent’anni morì per un ideale e drammaticamente la sua morte avvenne pochi istanti prima che finisse il terribile incubo.

    Se si fosse nascosto meglio, se non avesse fatto qualche azione avventata la Liberazione avrebbe salvato un altro ragazzo e come mio padre anche lui avrebbe avuto dei figli e si sarebbe fermato sotto le lapidi a raccontare storie.

    Conosco i Modena City Ramblers da molto tempo ormai.

    Il primo impatto con loro avvenne in un negozio di dischi di Milano, Pshyco, un tempo in via Molino delle Armi e oggi trasferitosi in un altra zona.

    Con amici ci si trovava tutti i Sabati alla Fiera di Senigallia in via Calatafimini. Alle 7.30 del mattino eravamo tutti presenti e dopo aver fatto una perlustrazione in fiera - alcuni banchetti di dischi offrivano sempre dei dischi a prezzi speciali e noi, a corto di soldi - cercavamo di rinpinguire la nostra collezione di dischi facendo incetta di offerte e novità.

    Dopo un cappuccino con brioches in uno dei bar della zona, iniziavamo da Psyco il nostro tour delle Sette Chiese, e passavamo a setaccio gli altri negozi di dischi della zona, tra cui Suppporti Fonografici e Buscemi. Fu quindi da Pshyco che il responsabile del negozio mi fece vedere l’album Riportando tutto a casa, dicendomi questo, è il primo lavoro di una band italiana e potrebbe interessarti.

    Ammetto che già il titolo - chiaro e colto riferimento a Bringing It All Back Home di dylaniana memoria - aveva susicitato molto interesse e mentre nell’aria si espandevano le note dell’album ebbi modo di controllare la particolarità della copertina e comprendere immediatamente che i ragazzi avevano qualcosa da dire.

    Le note di Contessa, Un Giorno di Pioggia e soprattutto di Bella Ciao, rispolverata dall’energia del gruppo modenese mettevano in luce un gruppo con la testa in Irlanda ma con le radici ben piantate sul loro territorio, come Tant par tacher e Delinquent ed Modna, confermavano.

    In seguito grazie agli incontri che ho avuto con i ragazzi del gruppo dopo averli intervistati più volte per il Buscadero, ho avuto la possibilità di seguirli in diretta presso il loro studio emiliano, vale a dire l’ Esagono, situato nelle lande della desolate in quel di Rubiera (non a Modena ma per pochi chilometri nella provincia di Reggio Emilia).

    All’epoca dei fatti le case discografiche avevano peso ed energia (e soldi da investire) e in Polygram credevano nel potenziale artistico e commericiale dei Modena City Ramblers.

    Facilitati dal fatto che controllavano molti e noti artisti, per supportare meglio il lancio dei Modena, lo staff discografico - ripeto uno dei migliori che una label italiana potesse avere - decise che Bob Geldof, musicista irlandese di grande fama dopo il successo internazionale di Live Aid, potesse catalizzare al meglio i ragazzi.

    Fui testimone quindi della session di Geldof, alto e al solito stralunato, nella lande di Rubiera.

    Mi colpì molto l’ambiente: l’Esagono era accogliente e enorme e i Modena che parteciparono alla session era numerosi ma quello che mi colpì maggiormente fu il fatto che il numero dei componenti aumentava col tempo.

    Infatti con frequenza oraria un nuovo musicista (flauto, chitarra, bodhran, etc), ospite, amico, curioso si aggiungeva alla band.

    All’Esagono regnava all’epoca, Arcangelo Kaba Cavazzuti, amico e produttore artistico del gruppo che negli anni seguenti diverrà componente egli stesso della band.

    A Rubiera c’era una ambiente caldo e festoso, solo Geldof sembrava non comprendere bene dove fosse capitato.

    La line up della band è sempre stata una variabile per questo strano ensemble, molti musicisti si sono avvicendati e sempre in ogni caso tutte queste personalità hanno portato nuova linfa e nuove idee al gruppo.

    Da oltre vent’anni gli MCR portano avanti il loro progetto musicale che comprende una grande apertura a diversi generi, una grande collaborazione con vari musicisti e un enorme seguito popolare dovuto alla loro bravura e alla loro disponibilità.

    Non solo, i Modena oltre a rispolverare le canzoni della Resistenza sono stati anche capaci di attualizzare i classici del cantatutorato italiano come La Locomotiva di Guccini.

    Altra grande capacità della band è stata quella di saper attualizzare i temi trattati nei loro brani e di raccontare storie sulle contraddizioni e i problemi atavici che assillano da tempo il nostro Bel Paese. Emblematico è il brano Cento Passi, dedicato alla figura di Peppino Impastato perfettamente delineata, come si apprende dal lavoro di Carlo Susara che avete tra le mani, dal ritratto cinematografico di Marco Tullio Giordana, nel film omonimo.

    I Cento Passi dei Modena sono un bel modo per raccontare la mafia di ieri e quella di oggi.

    Ricordo poi con particolare piacere una lunga discussione con i Modena relativa all’album Clandestino di Manu Chao (1998): l’ascolto di quell’album - le idee, le trovate, gli inserti radiofonici, il collage sonoro - li aveva fortemente impressionati.

    Ai Modena sono infine grato, e con me molti genitori e molti insegnanti, per aver saputo spiegare la Resistenza partigiana, attraverso Oltre il Ponte, una canzone inciso dalla band insieme all’attore/cantante Moni Ovadia e registrato per la raccolta Appunti Partigiani (2006).

    Il brano porta la firma di Italo Calvino su musiche di Sergio Liberovici, inutile sottolineare che il testo (Oh ragazza dalla guancie di pesca / Oh ragazza dalla guancie d’aurora...) è poetico e commovente e il contrasto tra la voce matura di Ovadia, che racconta cos’era la guerra e quali speranze avevano i ragazzi che l’hanno combattuta, e l’energia di Cisco Belotti, all’epoca vocalist dei Modena, è toccante.

    Il brano originale fu pubblicato nel 1961, nella raccolta Cantacronache 1, album oggi di difficile reperibilità. La versione dei Modena, che innesta la poesia di Calvino su una ballad irlandese (The Blacksmith) è bellissima e questo brano è un piccolo gioiello della loro vasta discografia.

    Sono convinto che l’amico Giuseppe se fosse oggi tra noi, apprezzerebbe il suono e la vitalità della band modenese.

    Non è facile fare musica e raccontare il passato, soprattutto se politico e contorto come accade da decenni nel nostro Paese.

    I Ramblers sono riusciti nella grande impresa di cantare, di raccontare il reale e il politico, senza dimenticare le loro passioni per le sonorità irlandesi, le contaminazioni africane e i sapori e i colori dell’America Latina.

    Lunga vita allora a questa band che ha dimostrato nel tempo di avere coraggio e energia ed oggi gli MCR sono una felice realtà della musica italiana, vigili e attenti, come pochi altri gruppi, a tutto quello che succede nella nostra Penisola e nel mondo.

    Guido Giazzi

    direttore de Il Buscadero

    A chi sa d'essere

    Nota tecnica dell'Editore

    Per motivi legali non è stato possibile riprodurre integralmente i testi di alcune delle canzoni dei MCR. Ma è possibile leggerli nella loro interezza cliccando sul nome del brano. Il titolo di ogni canzone è linkato al testo completo presente sul sito de La Grande Famiglia, il fun club ufficiale, che ha raccolto i testi integrali delle canzoni dei MCR.

    Buon viaggio!

    COMBAT FOLK

    Uscita: Aprile 1993

    Durata: 27' 44''

    Etichetta: Autoproduzione

    Supporti: Solo su musicassetta

    Produttore artistico: MCR + Arcangelo Kaba Cavazzuti

    Produttore esecutivo: MCR + Arcangelo Kaba Cavazzuti

    Registrazione: 3 4 5 6 aprile, studio Vida di Rubiera

    Tracce lato A:

    1) Quarant'anni 2) Contessa 3) Farewell to Erin 4) O bella ciao

    Tracce lato B:

    1) The king of the faires / Fischia il vento 2) Ahmed l'ambulante 3) Pipe on the hob / The hag at the churn

    FORMAZIONE

    Luciano Lucio Gaetani: Bouzouki, banjo, mandolino, percussioni.

    Franco D'Aniello: Tin whistle, flauto traverso, ocarina.

    Alberto Cottica: Fisarmonica.

    Alberto Morselli: Voce, bodhràn, cucchiai e cozze.

    Vania Buzzini: Bodhràn.

    Stefano Cisco Bellotti: Voce, cori.

    Massimo Ghiacci: Basso, tamburello.

    Marco Michelini: Violino, legnetti.

    Giovanni Rubbiani: Chitarra.

    PARTECIPAZIONI

    Arcangelo Kaba Cavazzuti: Rullante in O bella ciao.

    Combat Folk, autoproduzione uscita nell'aprile 1993 e ristampata nel 1998 in esclusiva per i soci del fun-club, con una piccola dicitura in copertina per distinguerla dall'originale, è il primo vero demo-tape prodotto in studio dai MCR, prima avevano registrato solo esibizioni dal vivo.

    È uno dei pochissimi lavori targati MCR in cui i brani sono firmati non dal gruppo intero, ma dai titolari del deposito ai fini SIAE. È, soprattutto, uno dei rarissimi casi in cui con un disco (in questo caso addirittura con un demo) si dà il nome a un genere musicale.

    Facciamo un breve excursus: quando Armando Gil nel 1918 compone Come pioveva dà in pratica origine al cantautorato italiano, è il primo caso in cui lo stesso artista scrive la musica, scrive il testo e canta il brano; non cambia nulla nello scenario musicale, Gil non dà il nome al genere.

    Lo stesso accadrà a Bill Haley: nel 1954 registra (assieme ai Comets) lo storico Rock around the clock; l’anno successivo il brano verrà inserito nella colonna sonora del film Blackboard jungle (in italiano Il seme della violenza). Comincia così il Rock and roll, ma nonostante la genesi sia attribuita ad Haley, ancora una volta non è lui a dare il nome al genere. Per il reggae, è universalmente riconosciuto che, i primi a citarlo ufficialmente in una canzone, furono Toots & The Maytals con il loro brano Do The Reggay del 1968; anche in questo caso non saranno loro ad attribuire il nome al genere. Ancora oggi sussistono numerosi e discordanti pareri, sia in merito all’origine che al significato del termine reggae.

    Personalmente desidererei che il genere Beat derivasse da The Beatles, per dare ancora più rilevo a quel grande gruppo, ma purtroppo così non è; si tratta piuttosto di un filo che lega la sonorità in voga alla fine degli anni ‘50, caratterizzata dal battito (beat) costante della batteria, alla beat generation.

    È interessante anche capire perché la beat generation viene così chiamata:

    Fernanda Pivano racconta che una sera lei era accanto a un Jack Kerouack completamente ubriaco; improvvisamente, e senza alcun motivo, egli iniziò a dire: I'm beat, I'm beat, un non-sense successivamente spiegato nei modi più fantasiosi. Avvicinandoci ai nostri giorni, troviamo un esempio interessante: nel 1988 la Manonegra pubblica Patchanka e nasce un genere che, in questo caso, porta il nome del disco.

    L'aver coniato un genere viene ufficialmente riconosciuto ai MCR nel 2000, quando il mensile Mucchio selvaggio pubblica una compilation dal titolo Combat Folk, nel libretto d'accompagnamento si legge:

    "In questo caso non potevano esserci dubbi: gli inventori del Combat Folk, musica di confine nella quale si celebra l'incontro tra canzone tradizionale-popolare e liriche politicamente e socialmente impegnate, sono infatti i Modena City Ramblers, che con tale termine hanno addirittura intitolato il loro primo nastro e la loro biografia";

    senza alcun dubbio il titolo del demo-tape è stato ispirato dal disco dei Clash del 1982 Combat Rock.

    È un lavoro seminale a tutti gli effetti, molte cose torneranno nel corso degli anni: Kaba, qui fonico e tecnico di studio, diventerà col tempo un membro della band; lo stesso titolo sarà di nuovo citato nel 2008 per il disco Bella Ciao - Italian combat folk for the masses, lavoro rivolto principalmente verso il mercato estero.

    Tornerà sulla loro strada anche Paolo Rossi: collaborerà nei dischi La Grande Famiglia e Appunti Partigiani, in un tour svolto assieme, e li vorrà ospiti (in un paio d'occasioni) del suo Circo.

    Approposito di Kaba, quello che segue è il racconto, scritto da lui appositamente per questo libro, nel quale parla del suo primo incontro con i Ramblers e dei loro primi tempi assieme:

    Se ben ricordo era un sabato mattina. Mi svegliai abbastanza presto, ancora intontito dalle birre della sera prima. Dovevo andare in studio per registrare un gruppo che faceva musica acustica.

    Si trattava di fare un demo - Roba all’irlandese…- Cosi mi aveva detto il mio socio.

    Gli accordi erano che in studio dovesse esserci lui, ma sopravvenne un imprevisto e passò la palla a me.

    Cosi ti racconto come sono venuto in contatto con questo gruppo col quale ho condiviso tanti anni, tanta vita e tanta strada.

    Erano molto allegri e colorati e suonavano strumenti poco consueti nell’ambiente della registrazione, dove perlopiù, in quel periodo, si lavorava su chitarre elettriche distorte, o batterie metal e heavy rock.

    Loro usavano fisarmoniche, chitarre acustiche, violini, flautini irlandesi, qualche strana cornamusa artigianale, bouzuki e mandolini.

    Al posto della batteria uno strano tamburo che si chiama bodhran.

    Lo suonava una ragazza, capelli corvini e qualche treccina colorata di rosa e di fucsia.

    Tutto abbastanza nuovo per un tecnico del suono che aveva lavorato principalmente nell’ambito del rock.

    Cominciammo le registrazioni.

    Si suonava in presa diretta, tutti nella stessa stanza con gli strumenti, solo i cantanti stavano con me in regia a fare delle guide che poi avrebbero ricantato.

    Ci mettemmo un poco a carburare, ma un po’ per volta il suono si definiva meglio.

    Ti garantisco che era molto intrigante e cominciava a soddisfarmi. Anche loro erano contenti.

    Credo che per la maggioranza di loro fosse la prima esperienza di registrazione in studio.

    I pezzi registrati vennero bene, ricordo ancora la grande energia che usciva da quel nastro…si, dal nastro, perché a quei tempi mica si usavano i computers.

    Ripenso alla forza e alla rabbia che comunicavano Quarant’anni e Contessa, alla fierezza di Fischia il vento e di Bella ciao, alla magia subsahariana di Ahmed l’ambulante e alla cascata di note vomitate dal violino in quel reel indiavolato che si chiama Farewell to Erin

    Amore e passione nacquero da subito e alla fine di quei pochi giorni in studio ci lasciammo con la certezza di aver costruito insieme un ottimo lavoro.

    Era il primo di una lunga serie.

    Di li a poco, dato che il demotape era stato polverizzato nel giro di qualche concerto, il gruppo decise di registrare il primo cd. Cosi ci ritrovammo in studio e precisamente per registrare

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