Cronaca di un Suicidio
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Questa è la storia delle circostanze, raccontate in prima persona dal protagonista, che hanno portato un giovane immobiliarista a commettere il peggior atto che una persona possa commettere contro sé stessa: togliersi la vita.
È la spiegazione dettagliata degli avvenimenti che l'hanno portato all'ossessione e alla follia.
La storia inizia con il cambio di sede di un ufficio, in un luogo dove il nostro protagonista conosce colei che sarà la causa dei suoi deliri: una bella giovane di sedici anni appena compiuti.
Fin dal primo giorno in cui si conoscono, i due rimangono completamente stregati dagli influssi dei loro sentimenti amorosi.
Tuttavia, il passare del tempo, il loro vincolo di parentela (sono cugini), l'influenza nociva della madre della ragazza e la sua immaturità fanno sì che le cose prendano una piega che si rivelerà fatale.
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Anteprima del libro
Cronaca di un Suicidio - Franklin Díaz
Cronaca di un Suicidio
Escrito por:
Franklin Díaz Lárez
Smashwords Edition
Copyright 2013 Franklin Díaz Lárez
"Cronaca di un Suicidio"
Smashwords Edition
Published by Franklin Díaz Lárez at Smashwords
Edizione Smashwords
Pubblicato da Franklin Díaz Lárez su Smashwords
Tutti i diritti riservati.
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Questa è la storia di come ho messo fine alla mia vita, delle cause e degli avvenimenti che mi hanno portato a compiere un simile gesto.
Tutto iniziò il giorno in cui decisi di mettermi in società con lo zio Rafael e di cambiare l’ubicazione della mia piccola agenzia immobiliare. Dopo averne parlato a lungo, avevamo deciso che la cosa migliore era trasferirci in un posto più grande. La scelta era ricaduta su un locale accanto alla farmacia di alcune mie zie.
Il giorno del trasloco, la suoneria del telefono mi svegliò alle sette in punto del mattino. Di soprassalto mi misi seduto, quindi allungai il braccio sul comodino, presi l’auricolare, me lo portai all’orecchio e ascoltai. Erano gli uomini del trasloco, che mi stavano già aspettando nel mio vecchio ufficio. La sera prima avevo dimenticato di mettere la sveglia, o forse era suonata ma non le avevo fatto il minimo caso, come successo anche in altre occasioni.
-A che ora vieni?- domandò Conrado, un mio vecchio conoscente che mi aveva già aiutato con altri traslochi –Io sono già qui con gli altri.
-Dove sei? Chi c’è?- domandai, ancora mezzo addormentato.
-Stai ancora dormendo? Dove vuoi che sia? Davanti alla porta del tuo ufficio ovviamente.
-Ah ok, scusa- risposi finendo di svegliarmi –Mi era sfuggito. Andate pure a fare colazione, poi mi porti lo scontrino. Arriverò fra una mezz’ora.
-Va bene, va bene...- disse, prima di chiudere la telefonata.
Un attimo dopo ero già sotto la doccia. Mi lavai alla veloce e mi misi dei vestiti comodi: sarebbe stata una giornata di duro lavoro.
Decisi di andare a piedi. Con il traffico che c’era a quell’ora, si faceva quasi prima a piedi, visto anche che l’ufficio era a pochi isolati da casa mia.
-Meglio- pensai –Così mi finisco di svegliare.
Uscii di casa alle sette e quindici minuti. Faceva abbastanza caldo. Il cielo era completamente limpido, senza nemmeno una nuvola, di un azzurro reso brillante dal sole. Era chiaro che sarebbe stata una giornata molto calda.
Di solito ci mettevo una ventina di minuti da casa mia all’ufficio. Quel giorno ci misi di più, una mezz’ora credo. Mi fermai in un bar lungo la strada a prendere del succo d’arancia. Sentivo un fastidioso bruciore allo stomaco. Comprai anche due panzerotti al formaggio, che mangiai lì stesso: mi piacevano di più appena fatti, appena fritti. Poi presi un caffè bello scuro, pagai e ripresi il cammino.
Quando arrivai a destinazione, vidi che Conrado era già lì, insieme a due uomini di colore, grandi e forti. Di fronte all’edificio c’era il suo vecchio camion parcheggiato, e un altro dei suoi aiutanti che cercava di srotolare un grosso telo, di quelli che si usano per coprire il carico dei camion.
-Che persona responsabile che è Conrado- pensai.
Erano circa le quattro del pomeriggio quando finimmo il lavoro. Facemmo due viaggi. Tra l’imballaggio, il carico, lo scarico e la messa a posto di tutto, passò tutta la giornata. Uno pensa sempre di avere poche cose, ma quando si trasferisce si accorge che non è così.
A quell’ora il sole picchiava forte e impietoso. Brillava così forte che bisognava tenere gli occhi mezzi chiusi e la fronte aggrottata. Pensavo che da un momento all’altro avrei preso fuoco. Avevamo i vestiti bagnati fradici per il sudore, e alcuni di noi gocciolavano dalle tempie, dalla fronte, o anche dal mento.
Salutai Conrado e i suoi aiutanti con una stretta di mano e la consegna di una busta con il pagamento. Se ne andarono più contenti per quello che avevano guadagnato che per il lavoro realizzato. Ebbi l’accortezza di essere più generoso di quanto avevamo concordato. Lo sforzo e la precisione che avevano messo nel lavoro mi avevano piacevolmente sorpreso. Praticamente a me non avevano fatto fare niente.
Io invece ero molto contento del lavoro. Avevo la strana sensazione di star cominciando tutto da capo, di star chiudendo un ciclo della mia vita per aprirne un altro. Il mio nuovo ufficio stava lentamente prendendo forma, con ogni cosa come volevo io: i quadri ai loro posti, la poltrona da ufficio, la scrivania, gli scaffali con i libri, le mie cose nei cassetti della scrivania, eccetera.
Anche le mie zie farmaciste erano contente.
-Che bello!- diceva Zulay, la più giovane –Ora avremo dei vicini con cui parlare.
-Bè- dissi in tono scherzoso –Io in realtà sono venuto più che altro per lavorare.
Ridemmo tutti.
Mio zio, che era il mio nuovo socio, si chiamava Rafael Ernesto, anche se i conoscenti più stretti lo chiamavano Rafelito
. Aveva già preso posto nel nuovo ufficio, anche se non aveva dovuto fare grandi sforzi per ciò: aveva solo dovuto comprare una scrivania e una sedia, che il negozio gli portò lì e gli sistemò esattamente come lui aveva richiesto.
Il resto l’avevo messo tutto io, come avevamo concordato: tre mobili nell’entrata (uno più grande e due più piccoli), la scrivania della segretaria con la sedia e il computer, le sedie per i clienti (due nella segreteria, due nel mio ufficio e due in quello di Rafael Ernesto), le decorazioni per le pareti (due grandi quadri, uno dipinto da Joseff, un mio cugino un po’ effeminato, amante della pittura, e l’altro da Sergio, un mio vecchio amico d’infanzia che dava lezioni di pittura all’Università), i cestini per la spazzatura, il portaombrelli, un congelatore, una macchina per il caffè, delle tazze, piatti e coperti, l’impianto per l’aria condizionata, tre scaffali di legno per i libri, gli oltre trecento libri della mia collezione, e alcuni articoli di cancelleria e per la pulizia.
Anche la mia segretaria era venuta ad aiutare. Era una bella ragazza, con gli occhi e la pelle chiari, i capelli castani tendenti al rosso, di circa ventidue anni. Discreta, precisa e riservata. Era sempre ben vestita e ben profumata, e sapeva sistemare ognuno nel posto giusto al momento giusto, con parole dolci e al tempo stesso ferme. Lavorava con me da quando avevo iniziato, due anni prima, in centro città. Aveva un grande rispetto e una grande ammirazione per me, che io ricambiavo. Andavamo d’accordo come ogni capo dovrebbe andare d’accordo con la propria segretaria, senza mai andare un pelo oltre. Sua madre era un’amica di famiglia da quando ero piccolo.
Le mie nuove vicine erano un gruppo di donne: le mie due zie farmaciste e le loro due aiutanti, due mie cugine. Avevamo avuto ben poco contatto fino a quel momento, la nostra relazione era sempre stata molto distante. Erano familiari da parte di mio padre, dal quale mia madre si era separata quando ero ancora bambino. Apparivano eccitate dalla mia presenza e dal trasloco. Scherzavano, ridevano, fischiavano, cantavano. Mi aiutarono per tutto il giorno nel mettere ogni cosa al suo posto.
Le mie zie farmaciste si chiamavano Aura e Zulay. Entrambe avevano superato i quarant’anni.
Aura era vedova da dieci anni. Era andata da poco in pensione come maestra, e per non annoiarsi in casa aveva seguito le orme della sorella minore, Zulay, ed era diventata farmacista. Aveva due figlie maggiorenni: María Matilde e María Herminia.
Zulay, invece, per quanto si sapeva non aveva mai avuto un partner, né uomo né donna. Era una donna strana a dir poco. Poteva sembrare tanto un uomo quanto una donna. I suoi critici più crudeli dicevano che era asessuata
, che non aveva sesso. Aveva i capelli corti, il seno scarso, un corpo rozzo e una voce ben poco femminile. Non si truccava mai, né si metteva gonne o vestiti femminili. A differenza di sua sorella Aura, che era alta e magra, lei era