Storie terminali: Racconti
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Anteprima del libro
Storie terminali - Lucio Buzzoni
parte.
A MO’ DI PRESENTAZIONE
Sono tempi, questi, che, una volta superata la scuola dell’obbligo, ci prende il bisogno di scrivere un libro e io, per distinguermi, ne ho scritti due, ma sono smilzi: sono i modesti compagni di un breve viaggio, di un’attesa o di una notte insonne.
LE PAROLE BRUCIATE
Nel 1967, in occasione della prima Comunione, ricevette due regali importanti: un orologio vero e un quaderno con il dorso di cuoio.
La zia Romea disse che pensava di fargli un regalo bellissimo e che glielo avrebbe portato un’altra volta essendo i negozi tutti chiusi per la festa del santo patrono. Lui attese per un anno e, non ricevendo niente, decise di cancellare la zia Romea dalla sua vita: non le rivolse mai più la parola e non andò neppure al suo funerale quando ella morì.
Ma torniamo ai regali importanti. L’orologio pativa il freddo e appena veniva appoggiato sul marmo del lavabo si arrestava e bisognava sottoporlo a frizioni e succussioni perché riprendesse a viaggiare con notevole ritardo sulla tabella di marcia.
Il quaderno con il dorso di cuoio era un regalo della zia Desdemona.
– Cos’è zia?
– Un diario.
– Cosa si fa?
– Ci scrivi dentro la tua vita e così rimane per l’eternità.
Solo la zia Desdemona poteva fare un regalo tanto bello e fantasioso, solo lei, che faceva la puttana, così almeno si mormorava in famiglia, ma forse era soltanto invidia perché faceva la commessa in città e alla sera andava a ballare e a vedere le commedie.
Per una settimana lui rimase bloccato senza sapere come dare principio, intimorito dalle pagine bianche che temeva di sporcare con l’inchiostro.
Un sera, invece di recitare le orazioni, prese a scrivere gli avvenimenti della giornata e andò a letto felice.
Il giorno successivo, essendo trascorso in modo identico al precedente, non poteva venire riscritto e fu un triste giorno.
Addivenne allora a un patteggiamento e prese la decisione di riempire la pagina bianca con le proprie generalità, ogni qualvolta fosse rimasto senza l’ispirazione creativa. Stava svolgendo questo lavoro quando il babbo entrò nella camera:
– Si può sapere cosa stai facendo?
– Sto scrivendo un libro – e nel dire gli mostrò l’elaborato.
Il babbo, analfabeta, fece una esclamazione molto volgare che qui ometto e poi disse convinto:
– Bravo! Continua così che da grande farai lo scrittore – e le parole di un babbo rimangono incise con inchiostro indelebile nella mente di un bambino.
Fu l’incoraggiamento paterno a fargli tornare l’ispirazione e in quel momento prese la decisione di riempire il diario non solo con gli accadimenti giornalieri ma anche con le fantasticherie.
Fu così, nel silenzio della sua cameretta, che si rese conto di avere una immaginazione talmente fervida da doverla castigare, altrimenti non riusciva a trovare il tempo per scrivere.
Adesso era talmente impegnato da non trovare il tempo per uscire di casa con gli amici e la madre, preoccupata, ne parlò col parroco.
– Stia tranquilla signora – fece lui – sono stato io a insegnargli l’atto di coscienza
e lui lo manda per iscritto perché ha molti scrupoli. Non c’è niente di male in tutto questo, anzi.
Rassicurata, la madre lasciò passare qualche mese e poi andò a parlare coi professori.
– Come va il mio figliolo?
– Male.
– Ma se studia e scrive tutto il giornou…
– Si vede che non ha lo sbuccio. Io lo ammetto all’esame di terza, ma se viene promosso, sarà bene che gli troviate un lavoro.
Lui era sempre stato un testardo e non ci fu verso di convincerlo.
– Babbo, io il lavoro ce l’ho già: da grande faccio lo scrittore – e il padre, lusingato, lasciò fare e per tranquillizzare la moglie ripeteva:
– Sta sempre in casa, si accontenta di un quaderno e di una biro, lascia che si sfoghi e segua la sua inclinazione, fa sempre in tempo a trovare un lavoro come il mio.
Il discorso era sano e la moglie non trovò da ridire.
Ben presto lui entrò in crisi: passava i giorni relegato in camera a mordicchiare la biro davanti al foglio immacolato, ma la crisi fu di breve durata perché venne folgorato da una intuizione: per diventare scrittore bisogna attingere dai ricordi e questi erano tutti registrati nei numerosi quaderni che aveva compilato nell’arco di due anni di lavoro. C’era solamente da selezionare il materiale più significativo, ma tutto era ugualmente importante per lui che aveva trasformata la sua vita in tante parole e non si può buttare via nulla di nulla della propria vita. Questo lo comprese dopo avere ricopiato fedelmente il primo quaderno del proprio diario: quello che gli aveva regalato la zia Desdemona.
– Forse è troppo presto – pensò – devo lasciare il materiale a decantare; se comincio a saccheggiare i miei ricordi adesso che sono tanto giovane, esaurisco la vena in poco tempo.
La madre gli venne in soccorso.
– Sta a sentire – gli disse un giorno esasperata – o vai a prendere un poco d’aria con gli amici, oppure ti trovo io un altro lavoro.
Per farla contenta cominciò a uscire tutti i pomeriggi dalle due alle cinque.
I genitori tirarono un sospiro di sollievo, ma non sapevano che lui aveva deciso di scrivere un romanzo. Non subito, perché un romanzo è una cosa importante e prima bisogna raccogliere tanto materiale, ma l’inizio era già pronto e gli rintronava nella testa: «La baronessa affranta si buttò singhiozzando sul letto. Inutilmente squillava il telefono mentre fuori ululava il vento gelido del Nord».
Gran parte del tempo libero lo passava a riflettere. Per quanto si concentrasse non riusciva a dare un nome ai suoi personaggi. Divise la città in settori e prese a trascrivere i nomi dai campanelli delle case, ma era tutto materiale scadente, inadatto ai suoi personaggi che erano degli aristocratici.
Finalmente ebbe un colpo di fortuna: in un solo giorno, passeggiando distrattamente, trovò tutti i nomi dei personaggi: stavano incisi sulle lapidi del cimitero comunale.
Finalmente la baronessa poteva entrare nell’hotel e fornire le adeguate generalità alla reception.
La fatica cominciava a