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Tempo che distrugge, tempo che conserva, sentimento del tempo nel restauro: Sentimento del tempo nel restauro
Tempo che distrugge, tempo che conserva, sentimento del tempo nel restauro: Sentimento del tempo nel restauro
Tempo che distrugge, tempo che conserva, sentimento del tempo nel restauro: Sentimento del tempo nel restauro
E-book436 pagine4 ore

Tempo che distrugge, tempo che conserva, sentimento del tempo nel restauro: Sentimento del tempo nel restauro

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Analogamente all’angelo della storia di Benjamin, che volge lo sguardo al passato mentre viene vorticosamente sospinto nel futuro, l’uomo contemporaneo avrebbe bisogno delle rovine, perché vive in un mondo divorato dal presente, come sostiene Marc Augè, denunciando il continuo sbilanciamento temporale in cui viviamo. L’affermazione di Augè e l’immagine benjaminiana suscitano una riflessione generale sul significato che ha assunto il tempo nella cultura contemporanea e, conseguentemente, una serie di domande sulle possibili ricadute di questo tema nel campo del restauro, dove il legame fra senso del tempo e volontà conservativa, che pure ha alimentato e continua a finalizzare il rapporto con le testimonianze del passato, non viene quasi mai dichiarato in forma esplicita. Così il tempo, forse proprio perché per sua natura richiede forme di approfondimento filosofico, diventa una sorta di elemento animatore inespresso di ogni azione conservativa. È quindi interessante ricercare, per esempio, in che modo e con quali limiti una percezione sempre più articolata della temporalità, come è quella dell’uomo contemporaneo anche in relazione ai monumenti, possa contribuire allo sviluppo della coscienza conservativa e suggerire possibili nuovi significati e modi di apprezzamento delle opere del passato. Si delinea un percorso personale di ricerca, che richiede continue verifiche e aperture, ma soprattutto un approccio complesso al tema della conoscenza, in cui convergono letture tecniche e percezioni, ragione e emozioni, che può essere significativo tentare di comporre nel progetto di restauro.
LinguaItaliano
EditoreIl Prato
Data di uscita4 giu 2013
ISBN9788863362084
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    Tempo che distrugge, tempo che conserva, sentimento del tempo nel restauro - Angela Squassina

    1

    DAL FATTO ALL’EVENTO

    TRASVERSALITÀ DEL SENSO DEL TEMPO NELLA SCIENZA E NELLA CULTURA FRA IL XIX E IL XX SECOLO

    L’interesse di questa indagine introduttiva è rivolto al ruolo assunto dalla tematica del tempo nel periodo compreso fra la fine del XIX secolo e il XX, come nucleo di uno sviluppo che coinvolge ogni settore della cultura, innescando una serie di mutazioni a catena e di influssi reciproci fra i diversi ambiti, portando a modificare i modi di concepire la conoscenza, la storia e, non da ultimo, il senso del passato da cui dipende l’idea di restauro.

    Tuttavia, le diverse motivazioni, anche pratiche, che sottendono un intervento di restauro inibiscono la pretesa di immediata ricaduta disciplinare di un tema speculativo come quello del tempo. Un tema che va inquadrato in un ambito culturale più ampio, dal quale solo successivamente si può pensare di verificare i riverberi nel restauro. Per rintracciare le radici culturali e legittimarne alcuni possibili percorsi di ricaduta in questo ambito, si rende quindi necessaria una sorta di breve preambolo su due aspetti: in primo luogo, come la percezione del tempo sia inerente al problema filosofico della conoscenza scientifica; se alle categorie filosofiche del tempo e dello spazio viene attribuita l’attitudine a strutturare una storia culturale globale¹, la cultura stessa può essere vista come una funzione dello spazio e del tempo, sia nel suo complesso, che nei suoi vari ambiti, fra i quali l’architettura² e dunque anche il restauro.

    Fig. 3. Un albero secolare nel giardino di Borris House, Borris (Irlanda)

    In modo analogo, può essere letta in termini temporali la dicotomia anticomoderno³ che alimenta tutte le fasi di svolta e soprattutto il periodo preso in considerazione, al quale si correla, fra e diverse acquisizioni, anche lo sviluppo di una coscienza conservativa rispetto alle testimonianze del passato.

    In relazione al primo punto, è evidente quanto il rapporto dell’uomo con lo spazio e il tempo sia da sempre oggetto di speculazione. Al centro del tema del tempo sembra collocarsi un dualismo fra eternità e divenire⁴, che sin dall’antichità ha alimentato l’interesse filosofico, da Eraclito e Parmenide e che persiste, per tutto il corso della storia, suggerendo modalità di impostazione della conoscenza e dell’esistenza.

    L’origine stessa della storia del pensiero dell’Occidente viene attribuita alla dicotomia fra essere e nulla, laddove il pericolo dell’annientamento è ritenuto la principale motivazione di un sapere vero e universale, l’episteme, concepito come rimedio all’angoscia prodotta dal divenire⁵.

    Ripercorrendo sinteticamente la storia del pensiero filosofico sulla conoscenza, a partire dall’Umanesimo, è possibile rilevare come pressochè costante il dualismo essere-divenire, come alternanza fra le certezze di una conoscenza universale e i limiti conoscitivi legati alla condizione umana, in cui l’aspetto sensibile è al tempo stesso limite e peculiare caratteristica della conoscenza dell’uomo.

    Per gli umanisti, accanto al sapere assoluto divino esiste il sapere degli antichi, che si riflette in una temporalità ciclica fissata sul tempo stazionario del modello. Tuttavia, al tempo ciclico e al tempo lineare e teleologico della verità rivelata si affianca quello lineare e progressivo del sapere scientifico, basato sull’esperienza e sulla ragione, che si afferma fra il ’500 e il ’600, con Bacone, Keplero e Galileo, artefici di una visione che si pone in antitesi rispetto alla tradizione aristotelica della deduzione – essenzialistica, qualitativa e finalistica⁶ – e che sfocerà nel modello meccanicistico cartesiano. Una concezione razionale della realtà, che confluisce nella fisica classica newtoniana, in cui il metodo geometrico-matematico si costituisce come modello epistemologico generale, all’interno di una visione filosofico-matematica unitaria che esclude qualunque elemento di irriducibilità alla ragione. Quest’impostazione giunge fino all’Illuminismo, sfociando in un modello materialista estremo, quello dell’homme machine di J. De La Mettrie. D’altro canto permane l’esigenza di una sintesi scientifico-religiosa, già sostenuta da Spinoza nel secolo precedente e ribadita dal tentativo di Leibniz di conciliare Dio e la scienza, attraverso la stessa struttura logica del principio di non contraddizione, su cui si basano le verità della ragione.

    Il modello newtoniano produce nuove gerarchie del sapere, in cui permane netta la divisione fra il mondo esterno della natura ed il pensiero umano che tenta di coglierlo, generando visioni diverse, come quella quella materialista di Hobbes, che ammette la possibilità di conoscenza a partire dalle sensazioni soggettive. O la riflessione di Pascal⁷, che affianca alla conoscenza razionale – basata sull’esprit de géométrie – una diversa forma di conoscenza rappresentata dall’intuizione, o esprit de finesse. E così come, nell’empirismo gnoseologico di Locke, l’intuizione identifica al tempo stesso un limite ma anche il lato creativo della conoscenza umana; con Diderot, la scienza, attraversando l’Illuminismo, acquisisce la caratteristica di sapere mutevole, intento ad adattarsi ad una natura in continuo movimento.

    Si delinea un panorama complesso in cui si contrappongono, da un lato, un meccanicismo universale deterministico che conduce alla conoscenza scientifica della natura, autonoma rispetto alla teologia ma estranea all’uomo. D’altro canto si pone l’esigenza di un sapere specifico, dotato di una propria oggettività e capace di affrontare l’evoluzione della vita e di cogliere le peculiarità dell’esperienza umana.

    Con la filosofia kantiana il dualismo essere-divenire viene annullato nel fenomeno, cui tutto viene ridotto. I fenomeni sono rappresentazioni della realtà, in cui la molteplicità dei dati sensibili viene composta nella coscienza del soggetto pensante e si coglie nello spazio e nella successione temporale. Anche lo spazio e il tempo che, nella visione cartesiana sono dimensioni oggettive ed assolute, diventano modi di rappresentazione tipici del pensiero umano, funzionali alla conoscenza del mondo fenomenico.

    Mentre la logica dialettica di Hegel rappresenta il superamento del dualismo fra essere e pensiero umano, dovuto al fatto che anche il primo si dà nel tempo, è assoluto ma dinamico, contiene in sé anche il divenire, l’aspetto negativo, il non-essere. Questa visione filosofica accredita come acquisizione fondamentale la storicità: il soggetto e l’oggetto, attraverso il loro reciproco rapporto, mutano continuamente nel processo storico, volgendo al perfezionamento.

    La filosofia stessa è storicamente determinata e la storicità della conoscenza è una questione che risulta speculare alla visione della storia come nuova scienza, già evidenziata da Vico e destinata ad amplificarsi nella cosiddetta storicizzazione del pensiero nel corso del XIX secolo, in cui il positivismo sviluppa, attraverso l’evoluzionismo darwiniano, l’idea di un progresso continuo nel tempo.

    La storicità come elemento individuante diventa un concetto acquisito che dà origine, nel corso dell’Ottocento, al culto della storia intesa come fonte di identità, uno dei capisaldi concettuali dell’atteggiamento conservativo nei confronti del passato.

    Accanto ai sistemi storicisti, si pone il pensiero neokantiano, per cui la storicità diventa il carattere principale della condizione umana e del suo sapere, coinvolgendo le stesse categorie interpretative della realtà, che si moltiplicano con le differenti Weltanschauungen delle epoche storiche che si susseguono. Se nel tempo non cambiano soltanto i contenuti ma anche gli strumenti interpretativi ed i linguaggi, tutto il reale è ridotto alla temporalità, effettiva dimensione della realtà umana, dunque non descrivibile in termini assoluti.

    Questa evoluzione coinvolge anche le categorie dello spazio e del tempo, indotte a variare il proprio statuto, da dimensioni universali e oggettive, quindi immutabili, a dimensioni rappresentative del soggetto, funzioni della conoscenza umana.

    La consapevolezza della soggettività di ogni manifestazione di cultura, caratterizza la crisi dello storicismo ma lascia intravedere anche nuovi orizzonti di conoscenza, talvolta legati a nuove esperienze del tempo.

    La temporalità è anche al centro della seconda dicotomia, quella fra antico e moderno, una contrapposizione altrettanto significativa, in assoluto e in relazione al periodo considerato, per i riverberi nel campo dell’architettura, in particolare in ambito conservativo.

    Jacques Le Goff ritiene questa dicotomia una costante della cultura dell’Occidente, che vede riproposta dal V al XX secolo, pur con connotazioni diverse dei singoli termini, nelle contrapposizioni passato-presente e tradizione-innovazione che alimentano ogni passaggio ad una nuova era. Ma al suo interno si palesa una dialettica più profonda, quella tra due modi di concepire il tempo, che determinano due forme di progresso: il progresso ciclico, circolare che pone l’antichità al sommo della ruota, e il progresso per evoluzione rettilinea, lineare che privilegia ciò che si allontana dall’antichità⁸. Anche Franco Rella⁹ vede nel rapporto con il tempo l’elemento cardine che accomuna diverse esperienze culturali che, nel corso della storia, possono fregiarsi dell’attributo moderno, figura che incarna il travaglio esistente in ogni mutamento del pensiero.

    Proprio per questa versatilità, una ricerca sul termine non può approdare a una periodizzazione univoca. Gli studiosi sono inclini a collocarne l’origine alla caduta dell’Impero Romano, con una connotazione neutrale di recente, priva dell’idea di distacco rispetto all’antico, allora riferito all’epoca precedente il Cristianesimo e che assume, solo a partire dal Rinascimento, l‘aura mitica dell’antichità.

    Con il XVI secolo è considerato moderno ciò che si distingue dal Medioevo – l’antico connotato negativamente – e il termine acquisisce l’accezione di progresso, delineandosi l’idea di una evoluzione positiva, che giunge fino all’illuminismo e alla rivoluzione industriale. Dove un senso del tempo progressivo lineare – che privilegia a ogni istante il moderno¹⁰ – sancisce la supremazia della modernità, che anche Rella colloca fra la Rivoluzione Francese e la crisi dell’idealismo e del romanticismo, fra il XIX e il XX

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