Piccole storie con Grandi maestri
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"Il libro ci invita a riflettere anche sulla nozione vera e propria di “maestro”, che, nella continua e quotidiana valanga di informazioni e proliferazione esponenziale delle fonti di conoscenza, si va un po’ perdendo. Eppure, credo che la figura del maestro svolga ancora un ruolo fondamentale per la crescita di artisti, professionisti e intellettuali, e rimanga importante e valida proprio perché ci consente di inserirci in una tradizione culturale (scegliendola, quale che sia), in uno di quei solchi, di quelle “tendenze” di cui ci parlava Rogers. Quindi Aldegheri va ringraziato anche per farci riflettere ancora su questo tema, attraverso la sua ricca e articolata esperienza diretta con questi giganti."
Dalla prefazione di Maurizio Sabini
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Anteprima del libro
Piccole storie con Grandi maestri - Claudio Aldegheri
PREFAZIONE
Si narra che Bernardo di Chartes, filosofo ed erudita della Chiesa del XII secolo, sia stato il primo (anche se non ce n’è prova certa) ad aver coniato la famosa immagine retorica dei nani sulle spalle di giganti
, per esprimere il rapporto di continuità, ma anche di differenza, che noi potremmo avere con i grandi che ci hanno preceduto. Immagine che fu poi ripresa più volte nel corso dei secoli da personaggi di spicco della cultura occidentale, da Isaac Newton (se ho visto più lontano di altri, lo devo al fatto di essermi posto sulle spalle di giganti
) a Tomás Maldonado, che vedeva in Bernardo, che certamente rispettava i giganti della classicità
, ma dai quali rivendicava anche autonomia, uno dei primi esempi dell’emergere di una mentalità moderna (Maldonado, Il futuro della modernità, 1987). Comunque la sia stata usata, dal porgere doveroso omaggio a chi ci ha preceduti in una particolare esplorazione di conoscenza o di ricerca artistica, al riconoscere il carattere cumulativo del sapere umano, all’abbozzare una prima idea di modernità basata sulla conoscenza dell’uomo, l’immagine in sostanza suggerisce l’idea che per quanto modesta possa essere la nostra statura, per via di issarci sulle spalle di grandi del passato, possiamo pur sempre vedere un po’ più lontano di loro stessi. Ecco, credo che questo libro di Claudio Aldegheri si inserisca in questa linea di pensiero proprio perché, attraverso episodi, aneddoti, storie di educazione e di vita professionale veramente vissute, ci permette di issarci sulle spalle di alcuni giganti dell’architettura italiana e internazionale e di vedere un po’ più lontano.
Il libro però ha altri meriti oltre a quello di consegnarci ricordi emblematici e a volte curiosi (se non gustosi) dell’esperienza e della personalità di questi maestri. Infatti, il libro ha anche il merito di offrirci testimonianze importanti che vanno ad arricchire la nostra conoscenza, sia attraverso i ricordi stessi di Aldegheri, sia tramite i documenti inediti raccolti in Appendice, come l’intervista a Carlo Aymonino sulla sua esperienza di leadership universitaria, la bella riflessione di Vittorio Gregotti su Robert Venturi (due architetti molto distanti tra loro, eppure esemplari dell’esperienza moderna), e lo stimolante testo, purtroppo mai pubblicato, di Aldegheri stesso su Carlo Scarpa, architetto molto complicato da leggere criticamente, sospeso com’era tra aforisma e dettaglio.
Il libro poi ci invita a riflettere anche sulla nozione vera e propria di maestro
, che, nella continua e quotidiana valanga di informazioni e proliferazione esponenziale delle fonti di conoscenza, si va un po’ perdendo. Diceva Ernesto Nathan Rogers di Auguste Perret, uno dei suoi dichiarati maestri
, che è da un maestro come lui che «si sviluppò un’estetica la quale, al di là del suggello della personalità (che è sempre condizione di ogni nascimento), è capace di esprimere un linguaggio trasmissibile, onde i seguaci possono amplificare il solco della tendenza, senza diventare dei manieristi… [malgrado] il mondo intero sia pieno di imitatori pedissequi che non hanno saputo leggere il verbo, oltre la calligrafia del Maestro» (Rogers, Auguste Perret, 1955, p. 18). Questo pensiero di Rogers, che, anche se nano
certamente non era, non aveva avuto imbarazzi a riconoscere svariati maestri, pur molto diversi e distanti tra loro (da Henry van de Velde a Walter Gropius, da Le Corbusier a Leon Battista Alberti), ci suggerisce una tesi che sembra correre tra le righe del libro: cioè quella che i maestri
non sono tanto importanti per le loro scelte linguistiche, stilistiche o creative, ma soprattutto per la loro mentalità e il loro modo di essere architetti, professionisti, intellettuali.
Quindi un altro merito del libro è una domanda che, indirettamente, ci fa porre. Quali sono i maestri di oggi? Quando i maestri erano riconosciuti come tali (e con il caro amico e collega Aldegheri ne abbiamo condivisi diversi, tra quelli ricordati in questo libro: da Carlo Aymonino, ad Aldo Rossi, a Paolo Portoghesi, a Robert Venturi e a Vittorio Gregotti), lo erano in base a una loro esperienza comprovata di produzione di conoscenza e di eccellenza artistica. Ma entrambi i processi (produrre conoscenza e arrivare all’eccellenza) richiedono tempo. E alla nostra epoca dell’incessante
(proprio per usare un’espressione di Gregotti per un suo libro del 2006) il tempo è collassato all’istantaneo e la figura del maestro è diventata inattuale. Eppure, credo che la figura del maestro svolga ancora un ruolo fondamentale per la crescita di artisti, professionisti e intellettuali, e rimanga importante e valida proprio perché ci consente di inserirci in una tradizione culturale (scegliendola, quale che sia), in uno di quei solchi, di quelle tendenze
di cui ci parlava Rogers. E comunque di vedere un po’ più lontano. Quindi Aldegheri va ringraziato anche per farci riflettere ancora su questo tema, attraverso la sua ricca e articolata esperienza diretta con questi giganti.
Il piacere di leggere queste pagine sarà inoltre particolare per chi, come quelli della nostra generazione, mia e di Aldegheri, ha vissuto quegli anni formidabili
(parafrasando il motto politico di Mario Capanna del Movimento Studentesco o i versi musicali di Roberto Vecchioni), durante i quali siamo cresciuti e ci siamo avviati alla professione, sviluppando poi, com’è giusto che sia, percorsi anche molto diversi tra loro. Avendo condiviso con Aldegheri tante avventure (come il giornale studentesco Dipartimenti/Architettura
, l’esperienza redazionale con la CLUVA Editrice di Venezia, i primi concorsi di progettazione e, non ultimo, l’impegno politico), queste pagine ci stimolano carissimi ricordi. Ma ci nutrono anche la speranza che in futuro le prossime generazioni continuino a cercare maestri sulle cui spalle issarsi, proprio per vedere così un po’ più lontano.
Maurizio Sabini
Springfield (Missouri), USA, gennaio 2023
INTRODUZIONE
Questi brevi racconti riguardano momenti realmente vissuti. Storie capitate, anche casualmente, durante incontri, opportunità di studio e di lavoro. Si parla di maestri, intellettuali legati – in diverso modo - alla cultura architettonica. Il periodo di riferimento è a cavallo tra la fine del secolo scorso e i primi anni del duemila. Non sono trattazioni scientifiche, né fanno parte della saggistica o della biografia di persone culturalmente rilevanti. Sono storie autobiografiche, ma senza eccessi di