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Erice: un piano per la vita
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Erice: un piano per la vita
E-book286 pagine2 ore

Erice: un piano per la vita

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Info su questo ebook

Trattasi di un libro che è costato tanti sforzi e sofferenze all'autore, compreso il carcere. E' anche un libro per tutti quanti desiderano approfondire la conoscenza della trimillenaria città di Erice per la profonda analisi effettuata. Il linguaggio pur trattandosi di un libro di Urbanistica è semplice e comprensibile anche per i non addetti ai lavori.
LinguaItaliano
Data di uscita19 dic 2016
ISBN9791220015257
Erice: un piano per la vita

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    Anteprima del libro

    Erice - Matteo Tusa

    vita

    Cap. 1

    La situazione territoriale e sociale

    Il territorio comunale di Erice è molto esteso e comprende diverse frazioni: Adragna, Baglio Rizzo, Ballata, Casa Santa, Case sparse, Crocefissello, Lenzi, Lenzi Sottano, Napola, Pizzolungo, Pozzo Rocca, Quartana, Rigaletta, San Giovannello, San Giuliano Trentapiedi, Specchia, Torretta.

    Tanto è esteso il territorio quanto esiguo è il centro abitato, situato sull’omonimo Monte Erice, e per questo chiamato comunemente Erice Vetta, che conta poco più di mezzo migliaio di abitanti, e che fino al 1934 ebbe il nome di Monte San Giuliano.

    Fino agli anni ’50 il territorio comunale di Erice era pressocchè adibito al pascolo o all’agricoltura con orti e giardini. Dal dopoguerra in poi si assistette ad un processo disordinato di espanzione urbanistica soprattutto nelle frazioni di Trentapiedi, San Giuliano, Pizzolungo, Raganzili, Sant’Anna, Borgo Cià, Argenteria, San Giovannello e Fontanelle in cui si riversò un flusso migratorio proveniente dalla vicina Trapani e che si aggiunse alla più popolosa frazione di Casa Santa. Questo rese quantomeno particolare Erice che comprende, oltre al centro storico trimillenario, anche due frazioni agricole ed un quarto della città di Trapani. E che, ancor prima, comprendeva anche i distanti comuni confinati: Valderice, Custonaci, Buseto Palizzolo e San Vito Lo Capo.

    Nel 1955, anno in cui anche l’ultimo dei comuni confinanti, Valderice, prima nominato Paparella San Marco, ottenne l’indipendenza, Erice comune rimaneva costituito da Erice Vetta e dalle frazioni di Casa Santa, Ballata e Napola. Centri molto diversi tra loro, sia dal punto di vista dell’economia che da quello delle problematiche politiche e sociali: Erice Vetta con un’economia nel settore terziario caratterizzata da una vocazione turistica, Casa Santa basata sul commercio ed attività inerenti, Ballata e Napola prevalentemente agricole.

    Tutto ciò si rifletteva anche sugli esiti prodotti dalla popolazione elettorale. Fino a quando il numero di elettori provenienti dal capoluogo e dalle frazioni era abbastanza equilibrato, il corpo elettorale riusciva a far fronte ai problemi di diverso tipo provenienti appunto dai diversi contesti territoriali. Dal 1963 tale equilbrio venne meno a casusa dell’incontrollata espansione edilizia della città di Trapani che coinvolse il territorio di Erice e procurò una serie di problemi sia dal punto di vista urbanistico che economico e sociale. Infatti causò un aumento della popolazione ed un nuovo riassetto di quella elettorale che portò i cittadini di Erice, con i loro problemi legati al turismo, a non essere più rappresentati politicamente in maniera efficace.

    Dall’analisi del territorio si nota come progressivamente questi cambiamenti abbiano portato ad un’involuzione anche economica e sociale.

    Il degrado in cui riversa la città è lo specchio di uno stato di abbandono generale che ha avuto avvio con l’abbandono dell’attività primaria, soprattutto quella agricola, a favore del terziario; processo che ha interrotto lo storico rapporto medievale tra città e campagna che si era consolidato nel tempo.

    Lo spopolamento della città fu progressivo, le prime ad abbandonarla furono le famiglie aristocratiche la cui ricchezza si fondava sullo sfruttamento del territorio, con loro scomparvero anche i ceti ad esse legati, e così via fino ad arrivare a meno di un migliaio di abitanti, molti dei quali anziani o imprenditori che hanno lì la loro attività, o ancora investitori che ad Erice non vivono, ma che vi passano solo pochi giorni l’anno.

    Cap. 2

    La storia

    Nessuna notizia certa abbiamo dell'origine della città e delle caratteristiche di quella che dovette essere la sua originaria struttura residenziale, sorta e sviluppatasi in epoca assai remota e, comunque, non posteriore al X-Vlll sec. a.C., in relazione al ruolo di santuario di un culto aborigeno che in epoca storica, avrebbe assunto risonanza e dimensione mediterranea e parallelamente anche a quello di luogo forte dal punto di visto strategico-militare; ruoli entrambi che ne motivarono per secoli esistenza e fama.

    Certo è, però, che la citta Iruka dei Sicano-Elimi, Erech dei Fenicio-Cartaginesi, Eryx dei Greci e dei Romani, fondò tale fama e la conseguente ricchezza su entrambi questi ruoli, che furono motivazione primaria di sussistenza e benessere per la comunità cittadina in essa residente.

    Il nucleo urbano sorse certamente per gemellazione con il santuario-fortezza che si levava solitario sul picco più alto del monte, occupando una superficie non determinabile quanto ad ampiezza, ma certamente di varia estensione in rapporto al periodo di maggiore o minore importanza e floridità ed assai approssimativamente delimitata dalla cinta muraria che racchiudeva e difendeva, oltre che l'area abitata o abitabile in previsione di possibili sviluppi dell’insediamento, sicuramente anche la preziosa quantità di sorgenti d'acqua (delle quali ancora accenneremo alla fine del § 7, citando la testimonianza di Vito Carvini) delle quali per la presenza di rare e poco studiate favorevoli condizioni idrogeologiche, questa vetta di monte tuttora abbonda.

    Tranne la memoria, tramandata da numerose e note fonti letterarie, storiche, epigrafiche ed archeologiche, nessuna testimonianza significativa rimane ad esprimere o documentare aspetto, caratteristiche, tipologia dell'antico ed originario impianto urbano, né correlative notizie abbiamo al riguardo della sua consistenza demografica, la sua struttura socio-economica, la sua realtà istituzionale, politica, culturale.

    Appare, a questo riguardo, non priva di reale fondamento l'ipotesi, derivante da riflessione critica sulle testimonianze storiche più significative e sulle circostanze da esse riferite, secondo la quale la popolazione dell'antica città non aveva, in sostanza, radice o permanenza stabile in essa, e che era costituita, sostanzialmente, da nuclei in costante rinnovamento o transito, formati essenzialmente dagli addetti al culto della dea - centinaia di sacerdotesse ("jeròdulai") in primo luogo - attorno al quale veniva a gravitare la realtà socio-economica della città, caratterizzata principalmente dalla funzione religiosa di essa e dalle esigenze di movimento, traffico, commerci e scambi da tale funzione indotte: rifornimento, ospitalità, trasporti.

    La presenza di nuclei armati addetti alla difesa di diversa entità numerica e per diversa motivazione a seconda delle condizioni politiche generali ed il ruolo parallelo di luogo militarmente forte, integravano, ma sempre per tempi limitati e definiti, la consistenza demografica della città.

    Significativo è, a questo riguardi, anche il fatto che, nell'ordinamento politico ed amministrativo della Sicilia dopo la conquista romana, Erice fu compresa nel novero delle città "censorie".

    Tale ordinamento - giova ricordare - distingueva le città ed i rispettivi territori di Sicilia in quattro grandi classi: le città "foederatae, considerate quali alleate di Roma; quelle, che erano la maggior parte, soggette alle decime (decumanae), quelle esentate per privilegio da tale tributo (immunes) ed, infine, appunto, le censoriae", considerate come di proprietà del popolo romano. Ora è da tener presente che la riduzione di una città a totale soggezione, come in tal modo accadeva; era la sorte riservata, quale punizione, alle città ribelli o a quelle che avevano resistito per lungo tempo alla conquista. Ma questo non fu certamente il caso di Erice che, piuttosto, aveva, fra l'altro, subito un feroce saccheggio da parte delle truppe mercenarie di Amilcare e che poi era stata, da questo, cinta d'assedio, nel corso delle ultime vicende della Prima Guerra punica.

    Né meno significativo appare poi l'altro fatto per il quale, sopravvenuta nel I secolo la necessità di restaurare il tempio della dea ericina, cadente per gli anni, non fu di Ericini, ma di Segestani la delegazione che si recò a Roma, da Tiberio imperatore, per chiedere l'intervento dell'erario romano in favore di un'opera di restauro che la forte diminuzione del tradizionale flusso di pellegrini e la conseguente decadenza del culto e di mezzi finanziari rendeva assai difficile.

    Ed ancora: a parte la politica di accorto sincretismo nei confronti delle religioni e dei culti delle genti soggette, i Romani delegarono a 17 città siciliane il compito di dotare annualmente l'antico tempio per le spese di culto e stabilirono che a vigilare su di esso e sulla stessa città, venisse costituito uno speciale corpo militare di duecento soldati, denominati "Venerei".

    Tutto ciò fa, a buon motivo, concludere che la città non avesse sua propria consistenza demografica ed "individualità" politica, che la popolazione stabilmente residente in essa non fosse nelle condizioni di organizzare od assicurare il culto e che non fosse neanche in grado, per il numero poco consistente di abitanti, di esprimere una efficiente guarnigione per Ia sua difesa.

    Di una comunità stabile e permanente, di una "polis" con suoi abitanti legati da comune tradizione, con proprie istituzioni, magistrati, con propria individualità socio-economica, per quanto riguarda questa Erice dall'antichità più remota fino al tempo romano, sembra dunque non si possa propriamente parlare.

    Di quest’antica città, del resto, priva di economia primaria e quindi di autosufficienza, mancano testimonianze consistenti e veramente significative, che una multisecolare esistenza e prolungato insediamento stabile avrebbero, per Io meno in più chiara ed incisa memoria storica se non in ricchi reperti archeologici, come altrove, lasciato: edifici pubblici o tracce di essi; teatro, necropoli che non fosse (come si è piuttosto venuto riscontrando) assai più probabilmente luogo di sepoltura di uomini di passaggio e ma, come altrove, recanti tracce o testimonianze di ricchezza o preoccupazione di monumentalità.

    L'attuale insediamento risale al tempo normanno, quando, dopo ben otto secoli di silenzio di ogni fonte storica, l'antica Erice tornò a popolarsi. In conseguenza della politica africana condotta dalla monarchia normanna, la città trovava nuova motivazione ed il monte medesimo tornava ad assumere il suo antico ruolo di baluardo sul Canale di Sicilia.

    Nel tempo di re Ruggiero d'Altavilla, la testimonianza del viaggiatore e geografo arabo Edrisi (1100-1166) descrive il sito dell'antica città, dominato da "una fortezza abbandonata, come ridotto in terreno da seminare".

    Ben diversa se ne presenta, però, la situazione, a cinquant'anni o poco più di distanza, nella descrizione che altro noto viaggiatore e geografo, pure arabo, Ibn Giubàir (1145-1217), ne fornisce, al tempo di re Guglielmo Il. Sulla cima del monte sorgeva già una nuova città che, mutato l'antico nome in quello di Monte San Giuliano, si presentava già pulsante di fervore di vita e traffici.

    Assai significativo è il passo di Ibn Giubàir, e non riteniamo ozioso riportarlo testualmente perché esso è documento assai importante sulla rinascita della città, incoraggiata dalla volontà politica della monarchia normanna alla quale dianzi ci riferivamo. Interessante è anche questa testimonianza, fra l'altro, anche per il riferimento specifico alla ricchezza di sorgenti sul monte, risorsa primaria che aveva determinato, fin dai tempi della più remota antichità, la scelta del sito quale sede di insediamento umano: ... a picciol tratto dall'istmo (di Trapani) verso levante con declinazione a tramontana, sorge un gran monte altissimo, sormontato da una rupe che spiccasi dal resto. Sulla rupe è un fortilizio dei Rum, al quale si passa dalla montagna per un ponte: continuo poi al fortalizio dalla parte della montagna giace un grosso paese abitato anche dei Rum. Si dice che qui le donne siano le più belle dell'isola tutta: che Dio le renda cattive dei Musulmani! In questo monte sono delle Vigne e dei seminati, ci fu detto poi che vi scaturiscono da quattrocento sorgenti d'acqua. Chiamasi Gabel Hâmid (il monte di Hâmid). La salita è agevole da un lato soltanto: e però pensando (i Cristiani) che solo da questo monte... dipenda il conquisto dell'isola e non ceè modo che vi lascian salire un Musulmano. Per lo stesso motivo han munito benissimo questo formidabile fortilizio. Al primo rumore di pericoli, vi metterebbero in salvo le donne, taglierebbero il ponte, e un gran fosso li separerebbe da chi si trovasse nella contigua sommità del monte. Meraviglioso è questo sito (per varie qualità sue), tra le altre perché possiede gran copia di sorgenti d'acqua a che abbiamo accennato; quanto Trapani (laggiù) nella pianura, non ha che altra acqua di un pozzo, (ed anche) lontano....

    La città dal Monte fu dunque da quel tempo, e più ancora da quello di Federico di Svevia (1198-1250), che agli abitanti di essa concesse un vastissimo territorio, baluardo militare regio e, nel contempo, vivace centro residenziale di una comunità di "habitatores" che, pure faticosamente dediti alle attività agricole e pastorali che trovavano luogo nella pianura, preferivano, costretti anche e principalmente da esigenze di sicurezza, risiedervi, essendo essa unico sito del territorio dove, entro l'antica ed inespugnabile cinta muraria, potevano porre al sicuro se stessi e le famiglie ed i beni da ogni pericolo: guerre, rivolgimenti e disordini interni, briganti, intemperie e scorrerie di pirati.

    Il "Registro notarile di Giovanni Majorana (1297-1300), uno dei più antichi di Sicilia, pubblicato nel 1963 da Antonino De Stefano, è testimonianza viva ed ancora eloquente delle condizioni di vita, della floridità, del benessere della città, nella quale, attratti dalle garanzie e dai privilegi concessi da Guglielmo Il e da Federico di Svevia, si erano venuti stabilendo numerosi habitatores" provenienti da ogni città e territorio del Regno, da diverse regioni della penisola italiana, con particolare prevalenza di Lombardi, da diverse città della stessa penisola, specialmente da Genova, Amalfi, Salerno e dalle principali nazioni mediterranee, rappresentate specialmente da Catalani e Provenzali.

    Questa immigrazione composita di nuovi abitanti di diversa tradizione e provenienza, lingua, usi e consuetudini, che si vennero insediando nel giro di pochi anni ed in tempi successivi sul Monte, costituendovi un nuovo

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