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I batteri nel restauro: I principi, l'esperienza di laboratorio e i casi studio applicati dalla biopulitura al bioconsolidamento
I batteri nel restauro: I principi, l'esperienza di laboratorio e i casi studio applicati dalla biopulitura al bioconsolidamento
I batteri nel restauro: I principi, l'esperienza di laboratorio e i casi studio applicati dalla biopulitura al bioconsolidamento
E-book323 pagine3 ore

I batteri nel restauro: I principi, l'esperienza di laboratorio e i casi studio applicati dalla biopulitura al bioconsolidamento

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Info su questo ebook

Questo testo nasce dal desiderio di raggruppare le esperienze applicative e fare il punto sullo stato di avanzamento delle ricerche e delle sperimentazioni inerenti l’utilizzo di batteri applicati ai manufatti artistici. I batteri, cioè microrganismi, comunemente confinati al ruolo di deteriogeni, si sono rivelati strumenti utili come agenti di biorimozione e bioconsolidamento per i manufatti artistici. Nonostante tale metodologia sia studiata da diversi decenni, anche nelle Università e nei Centri di Ricerca italiani, ancora oggi risulta poco conosciuta e utilizzata. Questi atti di convegno permettono di fare il punto sullo stato dell’arte della ricerca sull’argomento, a questo scopo sono stati coinvolti ricercatori, restauratori e diagnosti provenienti da diversi ambiti di studio, che hanno esposto il loro lavoro, con la volontà di fornire una pluralità di esperienze e contenuti provenienti da diversi contesti. Alcuni relatori che hanno partecipato al convegno, le cui relazioni sono pubblicate in questo volume, sono tra i primi ad aver utilizzato e studiato queste tecnologie nel nostro paese, altri sono giovani ricercatori o restauratori che stanno contribuendo a questo argomento con nuove ricerche e sperimentazioni.
LinguaItaliano
EditoreIl Prato
Data di uscita20 mar 2014
ISBN9788863362367
I batteri nel restauro: I principi, l'esperienza di laboratorio e i casi studio applicati dalla biopulitura al bioconsolidamento

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    Anteprima del libro

    I batteri nel restauro - Letizia Becagli

    INTRODUZIONE

    L. BECAGLI, S. METALDI

    Il convegno che ha trattato i batteri nel restauro, promosso dalla Confartigianato di Vicenza e da Fondazione Villa Fabris, è nato dal desiderio di raggruppare le esperienze applicative e fare il punto sullo stato di avanzamento delle ricerche e delle sperimentazioni inerenti l’utilizzo di batteri applicati ai manufatti artistici.

    Ormai da alcuni anni siamo consapevoli di quanto le metodologie atte alla conservazione delle opere d’arte siano diventate sempre più interdisciplinari. Proprio in questo panorama si colloca l’argomento del convegno che intende approfondire il contributo, proveniente dal mondo della microbiologia, offerto dall’uso di cellule batteriche vive.

    Attualmente affianco alle procedure utilizzate e consolidate dall’esperienza per la pulitura e il consolidamento dei materiali lapidei, trovano il loro ambito di collocazione queste nuove metodologie di intervento provenienti dal campo microbiologico.

    Se, in origine le tecniche molecolari furono impiegate nello studio dei fenomeni di biodeterioramento delle opere d’arte, va ricordato che, proprio attraverso tali studi, si è potuto indagare le possibili complesse interazioni tra microrganismi e Beni Culturali, scoprendo gli eventuali altri ruoli che i singoli microrganismi possono essere in grado di svolgere. I batteri, cioè microrganismi, comunemente confinati al ruolo di deteriogeni, si sono così rivelati strumenti utili come agenti di biorimozione e bioconsolidamento per i manufatti artistici.

    Nonostante tale metodologia sia studiata da diversi decenni, anche nelle Università e nei Centri di Ricerca italiani, ancora oggi risulta poco conosciuta e utilizzata.

    Il convegno ha voluto fare il punto sullo stato dell’arte della ricerca sull’argomento, con l’auspicio che la giornata potesse essere un momento nel quale, non soltanto si siano potute recepire le novità in questo settore. Auspichiamo quindi, che essa sia stata opportunità di conoscenza del sistema, in modo da poter conferire fondatezza alle scelte metodologiche che sono alla base dei progetti di conservazione futuri.

    A questo scopo sono stati coinvolti per questo incontro ricercatori, restauratori e diagnosti provenienti da diversi ambiti di studio, che hanno esposto il loro lavoro, con la volontà di fornire una pluralità di esperienze e contenuti provenienti da diversi contesti. Alcuni dei relatori sono tra i primi ad aver utilizzato e studiato queste tecnologie nel nostro paese, altri sono giovani ricercatori o restauratori che stanno contribuendo a questo argomento con nuove ricerche e sperimentazioni.

    La giornata si è suddivisa in due parti: prima si è indagato il tema della biopulitura introdotto dall’esperienza dell’Università di Milano, per poi affrontare il caso studio italiano più significativo degli affreschi strappati del Campo Santo monumentale di Pisa raccontato dalle diverse figure coinvolte. In seguito il caso studio internazionale degli affreschi della chiesa di Santos Juanes a Valencia e, a chiusura della prima parte della giornata, l'applicazione sperimentale di batteri solfato riduttori sul pigmento azzurrite e l’impiego delle tecniche diagnostiche per il miglior utilizzo della tecnica.

    Nella seconda parte della giornata invece ci siamo occupati del tema del bioconsolidamento introdotto dalla ricerca dell’Università di Firenze, in seguito è stata presentata l’esperienza del CNR e del gruppo Enea anche tramite le diverse esperienze di applicazione nei diversi contesti, ed in fine uno studio sperimentale sui sistemi per il bioconsolidamento. In conclusione sono stati affrontati gli ultimi sviluppi per il passaggio da scala laboratoriale a scala industriale e quindi alla reperibilità dei batteri specifici.

    Prima di entrare nel vivo del convegno abbiamo cercato di proporre ai partecipanti un’idea di cultura della conservazione dei Beni Culturali che, per essere tale, deve essere in costante evoluzione e deve saper conoscere ed immaginare per poter approfondire e divenire qualcosa di consolidato. La speranza è che tali sistemi d’intervento possano essere ulteriormente conosciuti studiati e sperimentati, con la finalità che possano contribuire in futuro alla trasmissione del patrimonio culturale artistico in modo sempre meno invasivo e maggiormente rispettoso della natura dell’opera dell’operatore e dell’ambiente circostante.

    Gli atti di questo convegno hanno quindi lo scopo di raccogliere tutte le relazioni presentate dai relatori durante la giornata del convegno.

    Un ringraziamento sentito va alla Fondazione Villa Fabris, alla Confartigiano di Vicenza e alla Casa Editrice Il Prato che hanno reso questa giornata possibile; desideriamo inoltre ringraziare caldamente tutti i relatori coinvolti per la loro disponibilità e per l’aver consentito un così ampio confronto su temi.

    BIORESTAURO: BATTERI ALLEATI DELL’UOMO NELLA CONSERVAZIONE DELLE OPERE D’ARTE

    A. POLO, F. CAPPITELLI, C. SORLINI

    Dipartimento di Scienze per gli Alimenti, la Nutrizione e l’Ambiente (DeFENS), Università degli Studi di Milano, via Celoria 2, 20133 Milano.

    andrea.polo@unimi.it

    Non c’è dubbio sul fatto che molti batteri e microfunghi svolgano azioni dannose per l’uomo causando patologie, infezioni, deterioramento dei cibi. Anche nel campo dei beni culturali alcuni batteri, microfunghi e microalghe, svolgono un’azione deteriogena colonizzando le superfici di affreschi, monumenti, facciate, statue, quadri e libri fino ad alterarne i materiali costitutivi e mettendo a rischio la sopravvivenza dell’opera stessa. Per tali motivi nell’immaginario collettivo si ha una percezione negativa dei microrganismi, come un nemico invisibile in grado di attaccare l’uomo e interferire con le sue attività.

    Tuttavia non è sempre così. Negli ultimi decenni l’avanzamento della ricerca nel campo della microbiologia ambientale ha in realtà dimostrato che solo una minoranza dei microrganismi presenti in natura svolge un ruolo negativo mentre la maggior parte della microflora che vive nel suolo e sui vegetali è responsabile di processi virtuosi: basti pensare ai microrganismi impiegati per produrre bevande alcoliche e per il biorisanamento di ambienti inquinati (ad esempio la depurazione di acque e suoli da contaminanti chimici). Dunque molti microrganismi, anziché nemici, si possono considerare piuttosto dei microscopici amici dell’uomo! Da tale consapevolezza è nata l’idea di utilizzare i batteri per il restauro e la conservazione di opere d’arte.

    I monumenti di natura lapidea sono molto suscettibili al deterioramento causato dall’invecchiamento dei materiali e dall’inquinamento, specialmente se conservati all’aperto e in ambiente urbano. I processi di deterioramento causano sulle superfici alterazioni chimiche – come nitratazione, solfatazione e croste nere – compromissione meccanica dei substrati e deposizione di polveri e particolato atmosferico. Altre patologie possono essere causate da sostanze organiche estranee al manufatto originale che si vengono a trovare sulla superficie in seguito a deposizione gravimetrica di inquinanti atmosferici (ad esempio residui di idrocarburi), e a precedenti interventi di restauro. Tali processi rendono necessaria l’esecuzione di interventi di pulitura e consolidamento delle superfici deteriorate.

    Le tradizionali metodiche di consolidamento si basano sull’applicazione di trattamenti conservativi a base di prodotti inorganici e organici. Tuttavia, tali trattamenti sollevano alcune questioni. L’utilizzo di polimeri sintetici ad esempio presenta diverse problematiche legate alla loro composizione chimica (possibilità di reazioni chimiche e fotochimiche che alterano la struttura del prodotto) e ai loro coefficienti di espansione termica molto diversi da quelli della pietra; dunque essi possono causare modificazioni nell’apparenza delle superfici trattate soprattutto a distanza di alcuni anni dal trattamento. A questo si aggiunge il rischio ambientale dovuto all’utilizzo di solventi organici nel corso dei trattamenti e la possibilità di attacco da parte di microrganismi in grado di usare i polimeri sintetici in opera come substrato di crescita.

    Le tradizionali pratiche di pulitura prevedono invece il ricorso a tecniche fisiche (ad esempio l’uso di spazzolini con setole metalliche e polveri abrasive) e chimiche (ad esempio l’uso di agenti chimici quali acidi, basi, detergenti e solventi organici), che possono essere particolarmente invasive e aggressive per i manufatti, in quanto possono abradere o intaccare anche la superficie inalterata e non agiscono selettivamente nei confronti delle alterazioni. Inoltre le tecniche chimiche possono portare all’emissione nell’ambiente di sostanze tossiche, con conseguenti rischi per la salute degli operatori e dei fruitori dell’opera oltre che per l’ambiente. Anche la pulitura al laser recentemente introdotta, sebbene efficace, solleva alcune problematiche: è un metodo costoso e lento, può porre difficoltà per l’applicazione in situ e su superfici estese, richiede personale specializzato e può causare ingiallimento della superficie della pietra.

    Le ricerche condotte negli ultimi decenni hanno portato all’introduzione di interessanti metodi biologici alternativi alle problematiche pratiche tradizionali che si basano sull’impiego di cellule microbiche vive come agenti di pulitura e consolidamento dei manufatti artistici: le cosiddette tecniche di bio-restauro.

    Si tratta di tecniche innovative, efficaci e non invasive nei confronti dei substrati. Molti batteri presenti in natura sono infatti in grado di usare per le loro attività metaboliche solfati, nitrati e sostanza organica coinvolti nel deterioramento, o portare alla formazione di cristalli di calcite (biomineralizzazione). Il principio delle tecniche di bio-restauro si basa sullo sfruttamento dell’attività metabolica di tali batteri i quali vengono immobilizzati e veicolati sulle superfici danneggiate per rimuovere le sostanze indesiderate (biopulitura) e/o consolidare i substrati (bioconsolidamento) nel pieno rispetto dei materiali originali. A seconda della tipologia dell’alterazione e del materiale in oggetto è necessario scegliere batteri ad hoc e, nella maggior parte dei casi, utilizzare un gruppo microbico funzionale specifico. Si tratta dunque di una vera e propria alleanza tra uomo e batteri virtuosi i quali sono chiamati a svolgere sulla superficie artistica la stessa attività per la quale sono stati programmati in natura, contribuendo così alla chiusura dei cicli biogeochimici della materia: ridurre solfati e nitrati, e cibarsi di sostanza organica e depositi trasformandoli in gas non tossici (rispettivamente acido solfidrico, azoto molecolare e anidride carbonica) che vengono dispersi nell’atmosfera, o innescare la biomineralizzazione di calcite (biocalcificazione) utilizzabile per consolidare i substrati calcarei. Un ulteriore vantaggio dell’uso di cellule vive, già naturalmente presenti e attive in natura, sta nella possibilità di attuare un intervento senza usare nessuna sostanza inquinante o estranea, garantendo così la sicurezza dell’uomo e dell’ambiente.

    In questa presentazione l’attenzione è stata focalizzata sul tema della biopulitura di materiali lapidei. In particolare, le ricerche condotte nei laboratori della Prof.ssa Claudia Sorlini e della Dr.ssa Francesca Cappitelli presso il Dipartimento di Scienze per gli Alimenti, la Nutrizione e l’Ambiente (DeFENS) dell’Università degli Studi di Milano, in collaborazione con l’Università degli Studi del Molise, hanno portato nel 2006 all’implementazione e al brevetto della tecnica di biopulitura di solfati (croste nere, gesso, depositi di sali) da materiali lapidei [1]. A differenza delle tecniche tradizionali, la biopulitura dei solfati, utilizzando cellule di batteri solfato-riduttori come agenti di pulitura, risponde alle caratteristiche di selettività nell’azione di pulitura e di non invasività nei confronti dei substrati e delle patine originali richieste per un moderno intervento di restauro conservativo. Questa tecnica di biopulitura è già stata applicata con successo per la rimozione, ad esempio, di croste nere da una lunetta del Duomo di Milano [2] e da statue sia marmoree che calcaree provenienti dal Castello del Buonconsiglio di Trento [3] e dal Cimitero Monumentale di Milano [4], per la rimozione dello stucco dal basamento della Pietà Rondinini di Michelangelo conservata al Museo d’Arte Antica di Milano [5], e per la pulitura di marmi policromi del Duomo di Firenze [6]. Nel corso di questi studi l’efficacia della biopulitura è stata confrontata con quella delle tecniche di pulitura chimica e laser dimostrandone i vantaggi in termini di selettività dell’azione di rimozione e rispetto dei materiali inalterati e delle eventuali patine nobili. Il successo e le potenzialità delle tecniche di biopulitura sviluppate dai ricercatori dell’Università di Milano hanno ormai varcato i confini nazionali e attirato l’attenzione e le reazioni di ricercatori, di addetti del settore e della stampa in vari paesi europei.

    L’obiettivo della ricerca è ora quello di migliorare continuamente le tecniche di biopulitura, di estendere la loro applicabilità a una gamma più ampia possibile di alterazioni e casistiche, e di testare la loro efficacia anche su nuovi e diversi materiali. Non solo, l’Università degli Studi di Milano si sta impegnando per stimolare la diffusione della biopulitura mettendola al servizio del patrimonio artistico. A tal proposito è fondamentale il ruolo svolto da Micro4you, lo spin-off che l’ateneo milanese sta incubando, dedicato alla produzione di bioformulati per il commercio.

    Il fine ultimo è quello di garantire la sopravvivenza e la conservazione del nostro enorme patrimonio artistico-culturale in maniera sostenibile, sicura e rispettosa dell’ambiente.

    Bibliografia

    [1] MI2006A000776, 19.04.2006, Procedimento di biopulitura di superfici di manufatti di diversa natura chimica ed edifici, inventori CLAUDIA SORLINI, FRANCESCA CAPPITELLI, ELISABETTA ZANARDINI, GIANCARLO RANALLI (ceduto all’azienda Micro4you).

    [2] CAPPITELLI F., TONIOLO L., SANSONETTI A., GULOTTA D., RANALLI G., ZANARDINI E., SORLINI C. 2007. Advantages of using microbial technology over traditional chemical technology in removal of black crusts from stone surfaces of historical monuments. Applied and Environmental Microbiology, 73 (17), 5671-5675.

    [3] POLO A., CAPPITELLI F., BRUSETTI L., PRINCIPI P., VILLA F., GIACOMUCCI L., RANALLI G., SORLINI C. 2010. Feasibility of removing surface deposits on stone using biological and chemical remediation methods. Microbial Ecology 60(1), 1-14.

    [4] TROIANO F., GULOTTA D., BALLOI A., POLO A., TONIOLO L., LOMBARDI E., DAFFONCHIO D., SORLINI C., CAPPITELLI F. 2013. Successful combination of chemical and biological treatments for the cleaning of stone artworks. International Biodeterioration & Biodegradation. In stampa.

    [5] SORLINI C., ZANARDINI E., CAPPITELLI F. 2006. Biotecnologie microbiche per la pulitura dell’ara in La Pietà Rondanini: il Michelangelo di Milano. Conoscenza e conservazione, ed. M.T. Fiorio e L. Toniolo, Quaderni del Castello Sforzesco no. 6, Comune di Milano, 193-198.

    [6] GIOVENTÙ E., LORENZI P.F., VILLA F., SORLINI C., RIZZI M., CAGNINI A., GRIFFO A., CAPPITELLI F. 2011. Comparing the bioremoval of black crusts on colored artistic lithotypes of the Cathedral of Florence with chemical and laser treatment. International Biodeterioration & Biode gradation 65, 832-839.

    POSSONO LE BIOTECNOLOGIE MICROBICHE SALVARE L’ARTE?

    G. RANALLI, G. LUSTRATO

    Microbiologia Agraria - Ambientale

    Università degli Studi del Molise, Pesche, Italia

    Dip. Bioscienze e Territorio (DiBT)

    ranalli@unimol.it, lustrato@unimol.it

    Abstract

    Numerose sono le patologie presenti su differenti opere d’arte esposte in ambienti aperti dove peraltro tali processi appaiono fortemente accelerati dalla diffusione dell’inquinamento atmosferico. Anche la presenza di sostanze organiche talvolta riconducibili a residui di inadeguati interventi di restauro, possono rappresentare un serio problema. Da oltre un decennio, l’impiego di biotecnologie microbiche basate sull’impiego di cellule batteriche vitali opportunamente selezionate ed applicate nel campo delle biopuliture e biorisanamento dei Beni Culturali, rappresenta una tecnica originale. Lo testimoniano il grande successo ottenuto sugli affreschi del Camposanto di Pisa (Conversione di S. Efisio e battaglia, Storie dei Santi Padri), dove la rimozione di un tenace strato di colla animale irreversibile in tempi relativamente brevi (12 e 3 ore, rispettivamente). Sono presentati i principi del metodo, la definizione della procedura, dal laboratorio di microbiologia al laboratorio di restauro; i vantaggi in termini prestazionali ed economici; la sicurezza ed infine, le prospettive future.

    Introduzione

    Tra le patologie presenti su differenti opere d’arte esposte in ambienti aperti, risultano essere ben note quelle relative a matrici di natura litoide (pietra, affreschi, pitture). Infatti, negli ultimi decenni, manufatti lapidei presenti in aree urbane risultano essere affetti da alterazioni quali croste nere, la solfatazione e la nitratazione delle pietre in cui il carbonato di calcio della matrice calcarea viene trasformato rispettivamente in solfato di calcio e nitrati a causa dell’inquinamento da anidride solforosa e ossidi di azoto ed infine la formazione di patine ricche di idrocarburi incombusti derivanti dai gas di scarico degli autoveicoli. Tali processi appaiono essere fortemente accelerati evidenziando la rapida diffusione del fenomeno di corrosione. Studi condotti al riguardo confermano che queste alterazioni sono causate da inquinanti atmosferici inorganici quali ossidi di azoto e biossido di zolfo derivanti dai residui di processi di combustione di prodotti petroliferi. Inoltre, la presenza di sostanze organiche su opere d’arte, peraltro frequente, potrebbe essere riconducibile a residui ed inadeguati interventi di restauro, di origine biologica derivante da processi di lisi di cellule microbiche responsabili di una iniziale fase di colonizzazione delle superfici stesse, ed infine, alla presenza di idrocarburi provenienti da combustioni. Questo ulteriore aspetto appare oggi come il pericolo più incombente e serio per la conservazione delle stesse opere d’arte (Ranalli 1996, 2000). I fenomeni alteranti sopra richiamati sono particolarmente evidenti allorquando i manufatti artistici sono collocati in ambienti aperti (outdoor) dove l’inquinamento atmosferico può contribuire ad accelerare la degradazione dei materiali costitutivi. I fattori che maggiormente influenzano il processo sono l’umidità, il vento, le precipitazioni, le escursioni termiche, oltre alla concentrazione degli inquinanti di natura organica ed inorganica. Fino ad oggi, le tecniche fisiche e chimiche sono ampiamente adottate nel tentativo di rimuovere gli inquinanti e le sostanze indesiderate dalle opere d’arte, ricorrendo all’uso di reagenti acidi, alcalini, tensioattivi ed agenti solubilizzanti; peraltro, fino ad oggi, l’utilizzo di alcuni enzimi risulta essere applicato nel

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