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La misteriosa morte dello scrittore Egidio Valdés
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E-book243 pagine2 ore

La misteriosa morte dello scrittore Egidio Valdés

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La prima indagine del commissario Donnarumma

Una scia di macabri ritrovamenti sconvolge Salerno: libri contenenti dita mozzate, a mo’ di segnalibro, vengono ritrovati in diversi luoghi della città. Filippo Donnarumma, commissario capo della Mobile, intuisce subito che la scelta dei libri e degli autori – Tolstoj, Stanislao Nievo e due scrittori salernitani contemporanei – deve avere un significato, o almeno contenere un indizio. Le indagini rivelano ben presto che le dita appartengono a un’unica persona, uno scrittore noto per il suo cinismo, per la sua arroganza e antipatia. I sospettati e i moventi per il suo omicidio non mancano di certo: non si è mai fatto scrupolo di rovinare colleghi, critici e librai pur di accrescere la propria fama. Sarà proprio negli ambienti letterari che si concentreranno quindi le ricerche di Donnarumma. Sullo sfondo una
Salerno spocchiosa e perbenista, che prova a nascondere il volto dello spaccio e dell’usura. Ad aggirarsi per le sue strade, un commissario dall’animo altrettanto scisso: il suo senso del dovere lo porterebbe dritto all’obiettivo, ma il suo amore per le donne può essere fonte di distrazioni fatali…

Un commissario alle prese con un macabro caso che ruota attorno al mondo della letteratura

Hanno scritto dei suoi romanzi:

«La forza di Domenico Notari è sempre stata quella dell’artigiano (il sarto, il ceramista, il vetraio) che siede davanti alla materia grezza e sa che il raggiungimento della forma desiderata è solo questione di tempo.»
Sandro Veronesi

«Ha il dono, raro, dell’affabulazione senza pretese, della ricchezza senza sfarzi e dell’emozione diretta.»
L’Indice dei libri del mese

«Il nostro sogno, il sogno volenteroso di chi vuole ancora leggere libri fatti quasi su misura, con tutti gli ingredienti giusti sapientemente dosati, si materializza nelle pagine di Domenico Notari.» 
Giacomo Leronni, Exlibris
Domenico Notari
Architetto e scrittore, vive a Salerno. Ha pubblicato racconti su «Nuovi Argomenti», «Linea d’ombra», «Achab», «Webster Review», «TriQuarterly», «Viola». È autore del documentario a puntate Salerno, un archivio della memoria, per Radio RAI, e dei romanzi 9, la rabbia del rivale e L’isola di terracotta. Ha fondato il laboratorio di scrittura L’officina del racconto. Ha insegnato Scrittura creativa all’Università di Salerno. Con Newton Compton ha pubblicato Breve storia del Regno di Napoli e La misteriosa morte dello scrittore Egidio Valdés.
LinguaItaliano
Data di uscita9 set 2021
ISBN9788822753502
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    Anteprima del libro

    La misteriosa morte dello scrittore Egidio Valdés - Domenico Notari

    1

    «Stasera, Savè, sei un vero maestro di cerimonie!», disse Donnarumma sulla soglia. E uscì dal bar Buonocore sorbendosi, beato, una soffice e spumosa coviglia alla nocciola.

    La Salerno normanna lo accolse con i suoi vicoli stretti e in ombra e le sue luci fioche. E Donnarumma lasciò che quella matrona mediterranea e pudica lo prendesse per mano.

    Percorse via Mercanti col passo lento del turista, annusando aromi di caldarroste, incenso, salmastro, punch al mandarino; accarezzando con lo sguardo le botteghe ottocentesche che esponevano, con la stessa enfasi démodé, bonbon pralinati, ciuciù¹, orologini da polso, piviali, scolapasta.

    Era di buonumore quel tardo pomeriggio di gennaio: tempo sereno e calma piatta in questura.

    Superato il Caffè Mercanti, si fermò, puntando lo sguardo sull’angolo di via Botteghelle, dove il flusso di passanti era più rado. Attese, l’occhio febbrile del giocatore d’azzardo.

    Dall’angolo sbucò una fresca ventenne in minigonna.

    «E una!», mormorò, mandando giù un cucchiaino di coviglia.

    Un’attesa di pochi istanti e, dopo una coppia di ragazzi e un branco di sfaccendati, apparve, avvolta in una nuvola di Obsession, una signora sulla quarantina, formosa e sofisticata.

    «E due!».

    Infine, dopo un operaio e due studenti, una vecchia signora col cagnolino al guinzaglio.

    «Mannaggia!», imprecò. Poi sorrise con un inchino alla signora, gettò la coppetta vuota in un cestino e proseguì per la questura.

    Piazza Amendola, 16. Il saluto del piantone, le luci tetre del corridoio, il fumo appestante di sigaretta per le scale.

    Appena rientrato nel suo ufficio, perennemente a soqquadro, il commissario capo della Mobile, Filippo Donnarumma, sprofondò nella sua poltroncina. Prese il «Corriere della Sera» e si mise a sfogliare la pagina degli spettacoli.

    Quasi quasi telefono a Teresella, una serata al cinema, una cenetta al Trump’s Pub, caffè, ammazzacaffè e ammazza la vecchia col flit!

    Vedeva già il corpo scattante e sinuoso della ragazza avvolgerlo con le sue spire, tra le lenzuola di seta nera della sua garçonnière in via Alfonso Gatto, di fronte al mare.

    Mentre scorrevano i titoli dei film, il telefono squillò.

    «Filippo, sono Enzo…». Era il suo amico Laurana, il direttore della «Città». «Sono sotto il cinema Fatima…».

    «Stavo appunto sfogliando la pagina degli spettacoli, la mia telepatia non perde un colpo…».

    «Telepatia un corno, qui sono cazzi amari, Donnarù…».

    La Seat partì sgommando, a sirene spiegate. «Va’ chiano, Caporà, e spegni questa sirena», disse il commissario. In macchina con lui, il sovrintendente Farina e l’assistente Caporaso. Imboccarono via Verdi e uscirono sul Lungomare Trieste. Come al solito il lungo rettifilo era ingolfato agli incroci. A piazza della Concordia pullman in sosta e bancarelle di vucumprà occupavano mezza corsia. Percorsero il Lungomare Tafuri a passo d’uomo. Il forte La Carnale sulla sinistra e la tensostruttura della piscina Simone Vitale sulla destra – una specie di scarafaggio trafitto da novantadue spilloni – sembravano pretendere minacciosi il pedaggio. Erano giunti alle Colonne d’Ercole della Salerno ragionata. Oltre, la periferia, la muraglia delle 167, gli orrori, gli scenufrèggi: hic sunt scarrafónes.

    La morsa del traffico si allentò alla fine del Lungomare Marconi. La Seat sgommò, svoltando a sinistra, e finalmente fece il suo ingresso trionfale nel quartiere Pastena, naturalmente contromano.

    La Mazda di Laurana bloccava l’uscita della bocciofila Madonna di Fatima. Un vecchietto intrappolato si agitava.

    «Non si può spostare niente, mister, se non viene la Scientifica», disse Donnarumma, accarezzandosi con gesto avvolgente i capelli impomatati.

    «Era nel libro, ho creduto che fosse un gadget, ormai non sanno più cosa inventarsi in questo paese dove non si legge nemmeno l’elenco del telefono; e invece…». Laurana si strofinò con forza le mani col fazzoletto e indicò una macchia sulla camicia.

    «Enzo, calmati», disse il commissario, «e raccontami dall’inizio».

    ¹ Per i termini in dialetto, vedi il Dizionarietto di Donnarumma in appendice, p. 247.

    2

    Il cassiere del cinema Fatima aveva telefonato a «la Città»: c’era un plico indirizzato al direttore. Laurana era andato a ritirarlo di persona, gli veniva di strada. Lo aveva aperto in macchina…

    «Nel plico c’era una busta di cellophane spessa, di quelle a tenuta stagna. Sulle prime mi sono meravigliato, ma la curiosità ha preso il sopravvento. Dentro, un romanzo di Lucio Cambiani, l’ho riconosciuto subito dalla copertina optical. Il giornale lo aveva già recensito da tempo, troppo per un’attenzione ulteriore, ma il narcisismo degli scrittori, si sa, non ha limiti… Tra le pagine c’era qualcosa di spesso, ho pensato a un pennarello. Invece, aperto il volume, mi è apparsa quella cosa, che per la sorpresa, e diciamo pure lo schifo, mi è scivolata addosso». Laurana si guardò con apprensione la camicia. «L’ho gettata lì sul sedile».

    Donnarumma vide qualcosa di giallo ed esangue stagliarsi sul sedile blu del passeggero. Il dito amputato gli sembrò un’opera d’arte del geniale e anche un po’ sfaccìmma Cattelan.

    Telefonò in tribunale. Il PM di turno, Eolo D’Amato, che stava per andare a cena al Rotary, gli disse di procedere, naturalmente senza di lui.

    Mentre la Scientifica fotografava i reperti e rilevava le impronte, si diresse verso il cinema Fatima, attiguo alla bocciofila. Aspettò che la gente uscisse dallo spettacolo.

    La sala era stretta e lunga: due settori di poltroncine spartane con un corridoio centrale. Si accedeva direttamente dalla biglietteria mediante una porta sul fondo.

    «La busta era poggiata sulla seduta chiusa di una poltroncina, all’ultima fila», disse Sandro Cantarella, la maschera. Poteva avere sì e no vent’anni, capelli e barba corvini, fronte bassa: sembrava uscito dal film di Squitieri Li chiamarono… briganti!. «L’ho trovata nell’intervallo, prima dello spettacolo delle venti. Nessuno se n’era accorto».

    «Che film avete dato?»

    «Trash, un film inglese di Stephen Daldry».

    Sì, Donnarumma aveva letto la recensione sul giornale, un noir ambientato nelle favelas. Era uno dei papabili, se fosse uscito con Teresella. «Com’era il film?»

    «Bello: personaggi affascinanti, ritmo mozzafiato, denuncia sociale…».

    Donnarumma quasi singhiozzò. «L’afflusso?»

    «Niente di che, le ultime tre file sono rimaste vuote».

    «I bagni?»

    «La porta di fianco all’ingresso».

    Il commissario li ispezionò senza alcun risultato. «La folla per uscire ritorna indietro?»

    «No, a fine spettacolo apriamo le porte a lato dello schermo».

    E bravo il nostro postino!, pensò il commissario.

    «Lei è il signor?…».

    «Parascandalo Mario», disse il cassiere: un uomo sulla sessantina dall’aspetto sciatto, barba mal rasata, guance cascanti e sguardo smorto.

    «Signor Parascandalo, lei era in sala durante lo spettacolo delle diciotto?»

    «No, cominciato il film, preferisco leggermi in santa pace una rivista».

    Gli risultò subito antipatico.

    «Il collega mi ha portato la busta prima del penultimo spettacolo», continuò il cassiere. «Ho telefonato subito a la Città. È venuto un signore alto con la barba a ritirarla. Questo è tutto».

    «Allora conferma quanto dichiarato dal signor Cantarella?».

    A Parascandalo si sollevarono di colpo le guance e lo sguardo si accese. «Io non so niente del signor Cantarella, non è un mio dipendente, non l’ho assunto io!».

    Cantarella lo guardò schifato.

    «Basta così», disse il commissario. «Ma domattina dovete presentarvi entrambi in questura… per la deposizione». Poi chiamò Farina perché prendesse le loro impronte.

    Si appartò con Laurana, che intanto si era cambiato la camicia.

    «Enzo, mi raccomando, stai attento…».

    «A chi, al postino?».

    Il commissario annuì con un grugnito. «Postino e con tutta probabilità mittente».

    «Filippo, non c’è da preoccuparsi», disse Laurana, tentando di cancellare col fazzoletto una macchia inesistente. «Il destinatario del dito non sono io, ma il giornale. Il nostro postino vuole solo pubblicità, e noi gliela…».

    «Negheremo!», gli troncò la frase Donnarumma.

    Il giornalista fece una faccia agra. Lui la ignorò. «Enzo, per il momento acqua in bocca».

    «Ma sei pazzo, Filì, sono un giornalista, non un pesce!».

    Fu costretto a promettergli l’esclusiva, naturalmente a caso risolto.

    3

    Donnarumma trascorse la mattinata verificando casi di ferimento o di morte. Ma dagli ospedali e gli obitori nessuna segnalazione utile.

    Nel pomeriggio il telefono squillò.

    «Donnavumma, sono io». Era la voce di Gagliardi, con le sue r mosce da gagà di avanspettacolo napoletano…

    «Che onore, la Montagna che va a Maometto!».

    «Diciamo, piuttosto, una semplice covtesia».

    «Tu mi confondi, non sapevo che le montagne fossero cortesi».

    Gagliardi ignorò la frecciata. «La Scientifica mi ha dato il tuo segnalibvo».

    «Originale, vero?»

    «Sai quanti ne vedo da mattina a seva? Anche se, devo ammettevlo, sempve sfusi, mai confezionati in un libvo. Ma lasciamo stave, eccoti qualche visultato. Il vesto, se va bene, fva venti giovni: ho mandato un campione al Gabinetto pvovinciale, pev l’analisi del DNA».

    «Fuori il rospo e niente paroloni».

    «Donnavù, la tua ignovanza finivà pev contagiavmi, mi fai pavlave come la casalinga di Mavgheva».

    «Di Voghera, vorrai dire».

    «Mavgheva, Vogheva, sempve polentone sono», disse il medico legale, neoborbonico ante marcia. «Ma lasciamo stave. Il dito, anzi, la metà – seconda e tevza falange –, appavtiene a un uomo sui tvent’anni, statuva non desumibile, ma cevtamente non alta, fisico asciutto. Le falangi sono movbide e lisce: l’uomo non ha mai fatto lavovi pesanti. Potvebbe esseve indiffeventemente l’indice, il medio o l’anulave…».

    «E damme ’stu veleno, nun aspettà dimane… ca, indifferentemente…», canticchiò Donnarumma con voce baritonale: era Indifferentemente, un cavallo di battaglia del grande Sergio Bruni. «Mano destra o sinistra, commendato’?».

    Era risaputo in questura che Gagliardi si fregiava del titolo di Commendatore del regno delle Due Sicilie e in casa aveva un altarino con l’immagine dell’ultima regina, Maria Sofia.

    «Difficile divlo senza il palmo, cavo il mio Sevgio Bvuni. È stato tagliato di netto con una cesoia o un tvinciapollo, fatto dissanguave e messo in congelatove: eva scongelato da poco. Pvesenta tvacce di acqua di mave e di un detevgente, fovse pev cancellave le impvonte».

    «Acqua di mare?». La cosa si complicava. «Quando è stato amputato?»

    «Non posso vispondevti, la congelazione può avev altevato i tempi».

    «La vittima era viva o morta all’atto dell’amputazione?»

    «Non posso vispondevti bis. La pvesenza di evitvociti nei tessuti, segno di vitalità, non è stata ancova confevmata. Mi occovve un altvo esame, ci vovvà del tempo. Pev ova il vepevto ci lascia al buio. Ma poi, pevché vittima? Chi ti dice che non se lo sia tagliato lui – il nostvo tventenne – il dito? Ci sono tanti pazzi in givo».

    «Commendato’, ce lo vedi uno che prima si taglia un dito e poi se lo pulisce per bene, per togliere le sue stesse impronte?»

    «Be’, a vipensavci… Comunque il poliziotto sei tu e sono cavoletti di Bvuxelles, cavo il mio Sevgio Bvuni, senza zucchevo. Questo è quanto. Spevo solo che sia il dito di un piemontese. Ti saluto, viva il Ve Bovbone! Ah, dimenticavo, il tuo cliente si vosicchia o si vosicchiava le unghie».

    Donnarumma chiamò l’agente scelto Benincasa e l’assistente Caporaso.

    «Benincà, guarda se tra le denunce di scomparsa c’è un uomo sui trent’anni, magro, statura media, lavoro di concetto o nullafacente, insomma senza calli alle mani…».

    «Dotto’, non mi sembra molto…».

    «Hai ragione, è come cercare un Esposito a Napoli, ma facciamo il tentativo». Magari san Michele Arcangelo² ci fa la grazia.

    Poi si rivolse a Caporaso. «Voglio vita, morte e miracoli di maschera e cassiere».

    Li vide allontanarsi, ciascuno nel proprio stile: Benincasa a razzo, Caporaso col passo del bradipo.

    Telefonò alla Scientifica. «Sica, allora, che mi dici?»

    «Non ci sono impronte, Donnarù, a parte quelle di chi ha trovato il plico e di Laurana. Il nostro postino portava i guanti. Busta e cellophane sono dei più comuni. cinquecentotré pagine: ma quanto scrivono ’sti scrittori!? Mi è toccato controllarle tutte, nessuna impronta recente. Il dito ha lasciato il segno soprattutto su due pagine, le ho siglate. L’etichetta con l’indirizzo è stata stampata al computer e incollata con della colla comune a stick. Nessuna traccia insolita. Le foto e le impronte te le ho appena inviate sulla casella di posta. Manda qualcuno a ritirare il libro».

    Come temeva, l’impronta digitale della vittima non era schedata. Non gli restava che concentrarsi sul libro. Infilò i guanti e lo estrasse dalla busta della Scientifica. La copertina optical – un vortice di Vasarely nei toni del rosso e del blu – gli provocò una leggera vertigine. Lucio Cambiani, La vendetta della domenica, Edizioni della Leonessa. Il titolo lo incuriosì: alludeva al movente del delitto? Al giorno dell’amputazione? Immaginò una vendetta da giorno di festa, da dilettanti, come i ciclisti o i calciatori amatoriali.

    Interrogò Wikipedia col piglio da terzo grado.

    «Lucio Cambiani, scrittore, trentaquattro anni, vive a Salerno. Alla scrittura narrativa e teatrale affianca la produzione saggistica. Bibliografia e trama dell’ultimo romanzo».

    In basso c’era un link; cliccò e comparve la faccia di Cambiani a tutto schermo: capelli corvini, ciuffo ribaldo sulla fronte, occhi blu e sguardo tenebroso. Gli ricordava Jay McInerney, lo scrittore monello delle Mille luci di New York, prima maniera: prima che lo yuppie si gonfiasse per le troppe libagioni.

    Fu un interrogatorio che lo vide soccombere. Donnarumma si perse presto tra i collegamenti esterni e finì nella giungla di Facebook, tra tag, post, commenti, condivisioni, pollici alzati, torte, baci, gite aziendali, animali domestici e piante da balcone. Benvenuto nel fai da te del narcisismo, del quarto d’ora di celebrità, commissario! Per salvarsi fu costretto a chiudere il browser.

    Per saperne di più gli sarebbe toccata una lettura sistematica del romanzo. «Ma qual è il pobblema, dotto’?», avrebbe detto Saverio, il suo spacciatore di fiducia. «Per uno scienziato come a voi è nommale». Giusto, pensò Donnarumma, anzi, per un lettore appassionato come lui sarebbe stata una delizia.

    Delle due pagine segnate dal dito, la mancina era vuota. Quella di destra conteneva una scena di un erotismo raffinato e originale.

    Una giovane donna, maga dei fornelli, seduceva giorno dopo giorno l’uomo delle sue brame con ricette irresistibili: parmigiane di zucchine delicate come pan di Spagna; capponi in gelatine trasparenti come ametiste; zuppe di soffritto colorate come piedigrotte; tagliolini fini come capelli; salsicce rosee come incarnati; baccalà dorati come diaspri.

    La scena proseguiva ben oltre la pagina segnata.

    L’uomo, sedotto senza speranza, si trasformava in uno specchio veneziano, e attendeva nella camera di lei che si facesse giorno, quando la ragazza nuda si sarebbe specchiata…

    Gli ricordava le atmosfere magiche di 9, la rabbia del rivale, il romanzo di un certo Notari che gli aveva consigliato Gianni, l’amico libraio.

    Donnarumma guardò con apprensione la foto dello scrittore che pulsava sullo schermo.

    «Farì, rintracciami questo Lucio Cambiani», disse al sovrintendente. «Non vorrei che fosse morto o sequestrato da qualche parte».

    ² Patrono della polizia di Stato.

    4

    Donnarumma uscì dalla questura e si diresse a piedi verso il Lungomare Trieste.

    Il cielo era cristallino, il sole tiepido. Una leggera brezza increspava le acque del golfo e faceva oscillare i pennacchi delle palme e le cime delle tamerici: un gennaio davvero inconsueto.

    Si affacciò alla balaustra. Sotto il livello stradale, si stendeva

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