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I sentieri del tempo: 1244 Anno Domini"
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E-book205 pagine2 ore

I sentieri del tempo: 1244 Anno Domini"

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Info su questo ebook

Dopo la condanna a morte, l’anima di Francesco, segretario del marchese di Rutigliano, resta legata a questo mondo a vegliare sui propri cari. Osserva le vite di sua madre Maria, dell’amata Sara e del figlio che porta in grembo. Vite che scorrono come sentieri e che si intrecciano le une con le altre, incontrandosi, separandosi e ritrovandosi.
LinguaItaliano
Data di uscita29 set 2023
ISBN9788892967427
I sentieri del tempo: 1244 Anno Domini"

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    Anteprima del libro

    I sentieri del tempo - Natalino Faletti

    ORME

    frotnespizio

    Natalino Faletti

    I sentieri del tempo – 1244 Anno Domini

    ISBN 978-88-9296-742-7

    © 2023 Leone Editore, Milano

    www.leoneeditore.it

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono il frutto della fantasia dell’autore o sono usati in modo fittizio. Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti è da ritenersi puramente casuale.

    A Paola

    Il legame con chi non c’è più percorre il libro perché sospetto che un legame esista veramente. Sono fantasie sulla realtà ultima, permeata dalla speranza della continuità, e sono convinto che qualche domanda al riguardo tutti se la siano posta.

    Il racconto si inoltra in un mondo composito, fatto di trasmigrazione in un’altra dimensione e di ritorno alla nostra, in compagnia degli stessi protagonisti dei miei precedenti romanzi – Francesco, Sara, Matteo – e degli altri personaggi del marchesato di Rutignano. Quella storia continua.

    PRIMA PARTE

    I

    Francesco

    Sulla folla radunata intorno al patibolo calò il silenzio; si udirono soltanto, lontani, il suono dei campanacci e l’insistente abbaiare dei cani che custodivano le greggi.

    Francesco guardò il cesto che avrebbe raccolto la sua testa e l’assito di legno al di sotto. Furono le ultime cose che vide, poi la scure sibilando gli cadde dentro il collo.

    Non sentì dolore, fu solo buio improvviso.

    Il buio non durò; spuntò infatti un grigio chiaro, come l’alba del mattino, prima timido poi evidente, che lo circondò. Francesco guardò intorno e sotto di sé distinse un lago color madreperla, lievemente increspato.

    Appena sotto la superficie dell’acqua si formò il suo volto, prima tremolante sotto le piccole onde poi, quietatesi queste, nitido ma privo di espressione.

    Francesco accennò una smorfia con la bocca, ma il volto nel lago rimase immobile; riprovò ma nulla cambiò nella sua immagine; tentò di toccarsi la fronte ma trovò il vuoto e il volto nell’acqua non ebbe reazioni.

    L’aria divenne madreperla e si confuse con il lago, Francesco smarrì i confini e il vuoto gli diede vertigine perché sentì che la vita lo aveva abbandonato.

    Ricordò la morte di suo padre Arnulfo, la pozza di sangue in cui lo aveva trovato sul sentiero ai margini del Bosco dei Cinghiali, con la testa fracassata dalla spada di Lapo di Rutignano. Ricordò il dolore che lo aveva travolto alla vista del corpo esanime e l’odio che aveva guidato il suo pugnale nel ventre dell’assassino. Ricordò l’amore quasi rubato a Sara alla luce del camino, violento e disperato, poco prima di essere arrestato per l’omicidio.

    Ritornò al volto nel lago, che fissò avido, con apprensione, perché solo quello rimaneva di lui.

    Un refolo d’aria si sollevò, miriadi di piccole onde si formarono nuovamente in superficie e il suo volto si confuse nell’acqua. Francesco si sforzò di trattenere l’immagine ma non ci riuscì perché questa svanì, il lago scomparve e al suo posto apparvero i luoghi dai quali era stato strappato.

    Sotto le mura del castello non c’era più nessuno; il patibolo era stato smontato, i soldati marciavano per tornare in caserma e il carro che portava il suo corpo sobbalzava sulla strada verso il cimitero dei giustiziati.

    Sara non lo accompagnava; la ragazza era svenuta al momento dell’esecuzione e Francesco la vide riprendere i sensi quando ormai il carro svoltava troppo lontano.

    Sara, levatasi in piedi, aveva tentato di seguirlo, ma fatti alcuni passi aveva rinunciato, le forze le mancavano e barcollava.

    Tanto che cosa sarebbe cambiato? pensò Francesco.

    Nemmeno Maria, sua madre, lo aveva accompagnato. Era ferma a una ventina di passi dietro Sara; gli sembrò che, dopo avere guardato il carro, lei volgesse gli occhi verso la ragazza.

    Entrambe rimasero ferme per qualche istante, i loro sguardi non si incrociarono perché Sara era di spalle e ciascuna prese una direzione diversa per andare a casa. Non si conoscevano perché Francesco aveva tenuto separate le loro esistenze.

    Francesco osservò il suo corpo che sussultava ogni volta che le ruote del carro colpivano un sasso, ma quelle scosse gli erano indifferenti poiché quella carcassa non gli apparteneva più.

    Il becchino si fermò all’ingresso del cimitero dei giustiziati e cercò con lo sguardo un posto libero. Lo individuò verso il fondo, percorse con il carro quasi tutta l’area e si fermò sotto una pianta di salice che faceva un’ombra leggera sul terreno.

    Scavò una fossa, non profonda perché in quel punto la superficie era dura; coprì perciò il corpo di Francesco con una montagnola di terra. Non mise nome perché nessuno dei giustiziati lo aveva. Asciugò il sudore della fronte con la manica della giubba e tossì perché aveva la gola riarsa; buttò la pala sul carro, salì e se ne andò. Il dondolio del carro e l’andatura dell’asino gli diedero sonnolenza perché si era alzato all’alba e si assopì; per fortuna l’animale conosceva a memoria la strada di casa.

    Arrivò che il sole era quasi calato. La moglie lo attendeva sulla porta e il bambino giocava nel cortile rincorrendo un gatto. Un odore di cipolla aleggiava intorno e il fuoco del camino distribuiva lingue color arancio che serpeggiavano sul pavimento, sino alla soglia. Il colore mise allegria all’uomo, che sorrise al figlio, fece un cenno di intesa alla moglie ed entrò in casa.

    Sara e Maria

    Nella notte il desiderio si faceva più acuto e l’attenzione per cogliere un segno che facesse intuire a Sara la presenza di Francesco era talmente forte da farle male.

    Il buio nel quale la ragazza si rifugiava appena coricata diventava opprimente e la delusione di non sentire accanto Francesco si sfogava in singhiozzi che le facevano sussultare il petto. Sara, infatti, era certa che Francesco non l’avrebbe lasciata sola, nemmeno ora.

    Doveva farlo per il bimbo che aveva nella pancia. Adesso Francesco doveva sapere di essere padre, anche se lei non aveva potuto dirglielo perché lo avevano arrestato prima che la gravidanza si manifestasse e in carcere non aveva potuto avvicinarlo.

    Per il figlio doveva farsi sentire!

    Invece non fu così, forse perché Francesco se ne era andato da assassino. Per questo motivo al loro figlio non avrebbe parlato di lui, ma Francesco avrebbe capito, così come avrebbe capito che lei non andava a trovarlo al cimitero dei giustiziati perché rifiutava di pensarlo morto.

    Maria voleva tenere compagnia al figlio perché era sicura che Francesco la vedeva e l’ascoltava: per questo ogni giorno andava al cimitero dei giustiziati e parlava con Francesco, pur non sapendo dove il corpo riposasse.

    Francesco e il marito Arnulfo erano morti, uno assassino e l’altro assassinato, ma lei nel villaggio guardava tutti dritti negli occhi, senza abbassare lo sguardo. Quando era sola però la spossatezza aveva la meglio e Maria sentiva il dolore della solitudine e la fatica degli anni.

    Da Arnulfo non andava molte volte: il marito al camposanto aveva la croce con il nome che Francesco aveva messo sulla tomba, mentre Francesco aveva solo la terra. Quando era da Arnulfo, Maria pensava a Francesco e per questo soffriva ancor di più; poi, avendo ucciso Lapo, Francesco aveva più bisogno di preghiere di Arnulfo.

    Al camposanto vasi di fiori adornavano qua e là le tombe mentre al cimitero dei giustiziati c’erano solo erbacce. Per questo Maria portava con sé fiori raccolti nei prati e li lanciava come capitava e qualcuno di certo finiva anche a Francesco.

    L’ex responsabile degli approvvigionamenti

    Quando l’ex responsabile degli approvvigionamenti del castello udì la chiave girare nella serratura si ritrasse in un angolo con il cuore che voleva uscirgli dal petto. Si rannicchiò a terra, deciso a non farsi trascinare via, ma la guardia rimase sulla porta e gli disse: «Siete libero, non siete voi l’assassino di Lapo di Rutignano!».

    L’ex responsabile degli approvvigionamenti incominciò a tremare, si levò sulle ginocchia e sentì l’impulso di baciare le mani del carceriere.

    Questi gli fece cenno di sbrigarsi e l’uomo uscì dalla cella, percorse il corridoio umido di muffa e, quando il portone del carcere si aprì, si buttò fuori stringendo gli occhi per il sole e si mise a correre senza voltarsi per paura che lo richiamassero.

    Davanti a casa si fermò ansimando, bussò, la moglie aprì e vide il marito davanti a sé con il viso fradicio di sudore e stravolto dall’affanno. Nessuno riuscì a dire parola: la donna allargò le braccia e sorresse l’uomo, aiutata dalla figlia, e tutti e tre si misero a piangere.

    Solo all’alba gli venne un po’ di sonno, interrotto però da alcuni colpi alla porta.

    L’uomo si nascose, la moglie andò ad aprire e non poté trattenere un gesto di preoccupazione: era il Comandante dei soldati, che si accorse dell’ansia della donna.

    «Perdonatemi, non dovete preoccuparvi, voglio parlare con vostro marito.»

    L’uomo comparve e rimase in piedi davanti al Comandante, il quale gli tese la mano.

    «Mi scuso con voi per avervi arrestato e per avervi ritenuto colpevole, ma la vostra furia contro il marchese Lapo mi ha ingannato. Dentro di me non credevo che poteste arrivare a uccidere, ma eravate stravolto per la violenza a vostra figlia! Nemmeno credevo che Francesco, il segretario, potesse essere un assassino; invece, lui ha confessato e sarà giustiziato!»

    L’ex responsabile degli approvvigionamenti rimase sbalordito.

    «Il segretario Francesco, ma io lo conosco!»

    La figlia si avvicinò mentre il Comandante proseguì: «Lo conosco anch’io e non riesco a convincermi. Ha detto che Lapo di Rutignano ha ucciso suo padre sul sentiero all’uscita del Bosco dei Cinghiali, un pomeriggio di un anno fa, poi non ha voluto dire altro».

    La ragazza si sentì avvampare: nel Bosco dei Cinghiali era stata violentata da Lapo un anno prima, era fuggita su quel sentiero mentre Lapo cercava di inseguirla. All’uscita dal bosco un vecchio si era avvicinato ma lei, terrorizzata e piena di vergogna, lo aveva evitato.

    Quell’uomo era dunque il padre del segretario del marchese e Lapo lo aveva ucciso sospettando di essere stato visto!

    L’ex responsabile degli approvvigionamenti si accorse del turbamento della figlia, il cui racconto continuava a straziarlo e al pensiero si rinfocolava il furore.

    Con Francesco aveva quasi stretto amicizia al passaggio delle consegne, quando aveva lasciato il castello di Rutignano, dove non poteva più lavorare per la presenza di Lapo, e gli aveva raccontato della violenza nel Bosco dei Cinghiali.

    Francesco, ascoltandolo, teneva gli occhi fissi nei suoi e con le mani stringeva le sue, quasi con violenza. Francesco dalle sue parole aveva capito quello che era successo al padre.

    Il responsabile degli approvvigionamenti era stato riconoscente, allora, per quei gesti e ne aveva parlato alla moglie, che aveva commentato: «Il segretario del marchese deve essere un uomo di cuore!».

    Per non turbare ancor più la ragazza non volle dare spiegazioni al Comandante; abbassò il capo e tacque sentendo montare nell’animo la pietà.

    Tutti rimasero in silenzio; il Comandante se ne andò stringendo nuovamente la mano all’uomo e facendo un cenno con il capo alla moglie e alla figlia.

    ***

    L’ex responsabile degli approvvigionamenti, lasciato il castello, aveva trovato lavoro all’economato dell’abbazia. Appena liberato, vi aveva fatto ritorno, e dopo qualche tempo vi giunse la notizia dell’esecuzione di Francesco. Fu l’abate a portarla; l’uomo sollevò lo sguardo dalle carte, convinto che quella morte non fosse un atto di giustizia.

    Francesco

    Non vedo più niente! Il patibolo, sua madre Maria e Sara erano scomparsi. Un bianco lattiginoso li aveva sostituiti, sempre più intenso, tanto che Francesco non riusciva a scorgere altro, accecato dal riverbero.

    Cercò di difendersi, ma la luce penetrava ugualmente. Aveva sete ma non c’era acqua, né aveva modo di bere, e gemette. Ebbe l’impressione che il suo gemito si diffondesse e gli venne spontaneo: Un po’ di pace, pietà! L’invocazione si propagò come un eco, spento il quale la luce si fece ancor più evidente.

    Francesco non riconobbe la figura della fanciulla che si formò nel bianco, bionda e ancor più bianca, di una magrezza eccessiva.

    All’apparizione la luce si fece sommessa e la sete si attenuò. Una macchia rossa comparve sul ventre della fanciulla, in contrasto con la trasparenza.

    «Chi sei? Sei ferita?» domandò Francesco, senza ricevere risposta.

    Il dito affusolato della ragazza puntò verso di lui.

    «Hai ucciso per vendicare tuo padre, per condanna sentirai moltiplicarsi in te il dolore degli uomini e rimpiangerai la gioia dei vivi perché l’hai perduta. Il respiro della terra ti darà accoglienza, ma non pace. Non vedrai più tua madre né Sara sino a quando i tempi non saranno maturi, quando uno del tuo sangue…»

    C’era pietà nella voce della fanciulla e Francesco si aggrappò alle ultime parole bramando una spiegazione. Tentò di dire che era stato per amore, ma la figura bianca era scomparsa.

    Per quanto si sforzasse le immagini di Sara e di Maria non tornarono. Francesco non ebbe la forza di ribellarsi, ma provò a fare una promessa: Non vi vedrò, ma non vi dimenticherò!

    Con la promessa che riecheggiava, Francesco incominciò a vagare alla ricerca di qualcosa che riempisse il vuoto che gli dava angoscia.

    Non si rese conto di dove stava andando ma udì dei richiami lontani che si avvicinarono. Li distinse: sentì dai campi la fatica di una vecchia china a zappare, dalle terre dove si combatteva percepì l’odio di un soldato verso il nemico abbattuto, dall’angolo di un rifugio diroccato gli giunse la pietà di un ragazzo verso un mendicante, da un prato in primavera colse l’affanno nel cuore di una donna innamorata, e da una stanza affacciata su una via l’angoscia di una madre in attesa.

    Provò il rimorso del traditore e l’ansia del parto; provò i sentimenti degli altri come mai gli era successo quando viveva nel suo corpo, come la fanciulla bionda aveva predetto.

    Sentì il terrore dell’animale braccato, il respiro dell’aquila nei cieli, la tensione del predatore in agguato, la circospezione della lontra in caccia e l’apprensione della rondine di ritorno al nido dai suoi piccoli.

    Udì il bosco crescere, il calore del sole nei grappoli, la vanità del ranuncolo corteggiato da un’ape, il solletico del libeccio ai fili d’erba, l’orgoglio del vento nelle vele. La natura si era impadronita di lui e la nostalgia lo invase.

    Sentì nella natura l’accoglienza di una madre e l’angoscia si stemperò. Il pensiero si dilatò in una leggerezza aerea che lo ubriacò; Francesco perse il controllo, trascinato verso l’infinito da un’energia che si moltiplicava; il cervello sembrò frantumarsi ed esplodere in un cielo luminoso.

    Nella luce si formarono delle nubi che divennero un gorgo da cui Francesco fu risucchiato senza potersi opporre: un vortice che lo trascinò con sé e Francesco pensò di impazzire; il nulla stava per travolgerlo. Ebbe coscienza di dissolversi, ma quando raggiunse il nucleo centrale del gorgo la furia si acquetò, la corsa si arrestò all’improvviso e la penombra lo avvolse.

    La luce si fece soffusa e nella quiete la penombra fece da rifugio, dove Francesco colse tracce della gioia e del dolore, come quelle che provava quando il suo corpo gli apparteneva.

    Padre Golzio

    Francesco girò lo sguardo intorno; il silenzio lo rassicurò, ma fu interrotto da

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