Fiona
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Anteprima del libro
Fiona - Carla Fidecaro
978-88-9369-251-9
Prologo
Per tutto il tempo della cerimonia, non fece altro che notare l’incertezza nella voce del sacerdote e l’incredulità negli sguardi dei pochi presenti. Tranne Horace. Horace pareva essere l’unico a condividere, o quantomeno a comprendere, i sentimenti della morta, dunque, insieme a Jamie, era l’unico a non sembrare sconvolto, addirittura quasi come se l’aspettasse. Jamie, invece, non era sconvolta semplicemente perché era difficile che ciò accadesse. Il suo cinismo aveva sempre la meglio sulla sua empatia; comprendeva i sentimenti, ma non li condivideva e le interessava fino a un certo punto, fin quando non diventavano troppo elaborati. Le emozioni primitive, le impressioni, quelle le ammetteva; la gelosia, l’invidia, la pietà, no. Non ne vedeva la necessità. Perciò questa morte non l’aveva sconvolta nella maniera in cui di solito accade, perché Jamie trovava inutile domandarsi il motivo di un suicidio. Sia ben chiaro, sapeva bene di non aver più una madre, ma la consapevolezza dell’improvvisa assenza di una persona così vicina le infondeva una sensazione di anomalia, più che di mancanza. Un sasso lanciato in un lago all’inizio smuove il fondo, infine va a far parte di esso.
Jamie aveva un atteggiamento vagamente panteistico, accompagnato da un senso dell’umorismo tendente al macabro. All’obitorio, nella piccola cappella che ospitava i corpi già nelle bare perché i parenti potessero vegliarli nell’attesa del funerale, aveva osservato attentamente, estremamente interessata e a tratti divertita, il processo di chiusura della bara. Gli addetti, due uomini vestiti di tutto punto, come pronti per andare a un matrimonio, avevano poggiato sopra al corpo una lastra di metallo con una croce in rilievo sopra; quindi avevano sfoderato una stecca cilindrica di stagno e una piccola saldatrice. In un maestoso silenzio avevano sciolto lo stagno attorno alla placca e sigillato così il primo coperchio. Infine avevano posato sopra al tutto la parte superiore della bara, in legno come il resto, e l’avevano fermata con una dozzina di viti.
Paura che scappi?
Per fortuna nessuno l’aveva sentita.
In compenso, tutti avevano preso la sua freddezza per uno stato di shock.
«Sono andato a salutarla, era devastata.»
«Poverina, non sapeva cosa dire.»
Jamie non aveva nulla da dire. Aveva preso atto della situazione. Non capiva bene neanche il motivo di un funerale, a essere sinceri, ma in fondo non nuoceva a nessuno, anzi permetteva alla gente di rivedersi dopo lungo tempo; era una di quelle emozioni complesse delle quali le sfuggiva l’origine. Rimase in silenzio anche quando ci si aspettava dicesse amen, rifiutò gentilmente l’offerta della vicina di casa di farsi riaccompagnare a casa e passeggiò un po’ per il cimitero, aspettando che tutti se ne andassero. Lapide verde, lapide rosa, lapide doppia, che carini, lapide bianca, lapide con crocifisso stilizzato, decisamente kitsch, lapide con croce celtica, scelta azzardata, ma originale, lapide ornata da fiori e cornamuse, discretamente patriottica; Jamie si guardava intorno incuriosita dall’amore dei familiari che prendeva la forma di creatività. Si avviò finalmente verso il cancello, dopo essersi coperta la testa con il cappuccio; qualche gocciolina di pioggia fredda le atterrava comunque sulla punta del naso arrossato.
Si riparò alla fermata dell’autobus, dove attese il mezzo viola a due piani che l’avrebbe riportata in centro. Non salì sulle scalette ripide e scivolose che conducevano alle numerose sedute del secondo piano; si metteva sempre giù, in fondo, perché i suoi viaggi non erano mai così lunghi da valere la scarpinata. Le mani affondate nelle tasche del giaccone impermeabile, Jamie si sedette nell’ultima fila, guardando fuori dal finestrino. Fissò senza vederlo il muso del cimitero scorrere veloce per far posto alle case di pietra grigia e agli alberi verdi che nascondevano Regent’s Gardens. Quando il bus passò da St. Andrew’s Square e svoltò a destra di fronte allo Scott Monument, quando all’orizzonte, tra le goccioline di pioggia sospese nell’aria si poté finalmente distinguere la forma nera del castello, Jamie si alzò senza neanche premere il pulsante. Tutti scendevano lì. Proseguì a piedi lungo Princes Street per scaldarsi ed entrò al Tesco Express in fondo alla strada. Patate, cipolla rossa, un po’ di formaggio, qualche banana, e uscì di nuovo, diretta alla fermata dell’autobus che l’avrebbe lasciata a casa. Scese in Queensferry Road e percorse gli ultimi metri a piedi, contando i passi: era un metodo più affidabile del cercare di riconoscere le case. Si tolse le scarpe umide non appena entrò e lasciò la giacca appesa al gancio della porta; posò il sacchetto del supermercato sul ripiano di gneiss della cucina e mise dell’acqua nel bollitore. Mentre lo accendeva, aprì la credenza e prese due tazze, ma sul punto di mettere una bustina di tè in entrambe si bloccò. Ah, già, disse tra sé. Tamburellò per qualche secondo con le dita sul tavolo, quindi rimise a posto la tazza verde e bianca, bene in fondo allo scaffale, e chiuse lo sportello di legno che lo nascondeva. Sedette sul divano con la propria tazza calda in grembo, le mani nascoste stavolta nelle maniche del maglione, e cominciò a riflettere, aggrottando la fronte per la concentrazione.
Cos’è che si fa in questi casi? L’avrò pur visto in qualche film. Sì, forse dovrei mettere insieme tutte le sue cose e... E? Buttarle? Lasciarle a marcire in delle scatole? Tenere tutto intatto? No, questo è stupido. Lasciamo perdere. Non lo so cosa fa la gente in questi casi. Io mi terrò la sciarpa blu e rossa, quella mi piace, e il cappello marrone. Che altro c’è? Sì, i pantaloni blu scuro, di velluto, belli caldi, quelli mi piacciono. Oddio, e dei gioielli che me ne faccio? Li regalo? A chi? Figurati. Tieni, ecco un anello di mia madre, lo portava sempre, ma quando si è uccisa se l’è tolto, sai non faceva mai il bagno con i gioielli, ho pensato che ti potesse piacere. Sai cosa? I vestiti vanno in beneficienza, i gioielli li vendo e mi compro un bel mouse e un paio di cuffie nuovi, così in ufficio posso ascoltare tutti i documentari che voglio in santa pace, senza sentire quell’allergico di Eric che tira su col naso in continuazione. Sì, facciamo così, senza dir niente, che siamo tutti contenti. Ah, ma come li porto i vestiti alle associazioni, se non ho una macchina? Se la chiedo a Rose siamo punto e a capo e mi tocca spiegarle cosa sto combinando... ma se chiedo ad Arthur di poter prendere quella di Louise mentre lei è al lavoro, Bob’s your uncle. Bob è tuo zio, che razza di espressione, quel prete inglese mi ha trascinata giù con lui nell’inferno dell’Essex.
Finì il tè e si mise a pelare le patate canticchiando tra sé Danny Boy, quando realizzò, di nuovo, che nessuno le avrebbe urlato dal piano di sopra di fare silenzio perché era stonata. Tacque.
Squillò il cellulare. Era Arthur. Non era venuto al funerale, Jamie gli aveva chiesto di non farlo.
«Come stai?»
«Da schifo.»
«Addirittura? Non te l’ho mai sentito dire.»
«Certo, Fiona non era mai morta prima d’ora.»
«Be’, almeno sai che non può farlo un’altra volta.»
Jamie arricciò le labbra e fece un cenno di assenso con il capo, ma non rispose. Arthur attese.
«Domani lavori?» chiese infine.
«Sì.»
«Sabato prossimo vuoi pranzare da noi?»
«Ho bisogno di un favore.»
«Sì?»
«Mi serve la macchina. Per portare via i suoi vestiti a una qualche organizzazione.»
Arthur schioccò la lingua.
«Dovrebbe essere fattibile, se vai mentre Louise è in negozio. Prima mettili tutti insieme, poi ci organizziamo.»
Jamie annuì anche se l’altro non poteva vederla.
«Altro?»
«Sì, un consiglio su che marca di cuffie posso comprare.»
All’altro capo del telefono si udì una porta aprirsi e richiudersi.
«Ciao tesoro, com’è andata al lavoro? Scusami, grandi o auricolari?»
«Belle isolanti.»
«Un bel paio di Sennheiser, quelle da studio di registrazione, presente? Si sente che è una meraviglia e durano anni.»
«Grazie. Ci vediamo sabato?»
«Certo. Ti saluta Louise.»
«Falle un cenno da parte mia.»
«Ciao.»
«Ciao.»
Jamie lanciò il cellulare sul divano e tornò in cucina a pelare patate. Un po’ più a Nord, a New Haven, Arthur posò la cornetta del telefono lentamente, perché indovinasse subito il posto giusto, quindi si rilassò sulla poltrona e spense la radio; ascoltò i passi di Louise tra la cucina e il soggiorno, ne sentì l’odore quando si avvicinò per baciarlo, ne vide l’ombra nera passargli davanti. Poteva vedere solo quello, ma era sicuro fosse un’ombra bellissima.
Capitolo 1
Subito dopo aver divorato il porridge della colazione, Dorian, il figlio maggiore di Rose, correva fuori con lo zaino su una spalla e saltava sulla propria bicicletta per fermarsi due cancelli più avanti e aspettare che Jamie uscisse. Arrivare al liceo con la vicina, che poi proseguiva per andare al lavoro, era ormai la routine mattutina di anni, perfino da quando Jamie era ancora all’università. Gillian, il fratellino di Dorian, andava a scuola a piedi, vicino casa, mentre da un anno la sorella di mezzo pretendeva di imitare il maggiore, seguendolo con la sua bici rossa fiammante, un regalo della nonna. La faccenda lasciava il ragazzo piuttosto scocciato. Dall’inizio della scuola media, gli ci erano voluti mesi di allenamento e tre biciclette perché riuscisse a dimostrare a Jamie di essere in grado di stare al suo passo. Con due giri di pedali, lei era già cinquanta metri più avanti; Dorian le diceva sempre che fosse perché aveva una bici da corsa, mentre lui una semplice mountain bike, perché non voleva ammettere che una ragazza potesse avere più muscoli di lui. Inizialmente, Jamie non lo aspettava nemmeno, e quando vedeva che la raggiungeva cominciava a parlargli, così che lui si ritrovava senza fiato mentre tentava di rispondere. Rose aveva ormai dato per scontato che Jamie avrebbe sempre accompagnato i suoi figli a scuola, perciò quando Maggie terminò le elementari la madre provvide a convincere la nonna a fornirle una bici, evidentemente perché la vecchia di Dorian era stata troppo maltrattata dai suoi modi maschili e sarebbe passata al piccolo Gillian. Il primo giorno Dorian si era fregato le mani soddisfatto, già immaginandosi la faccia rossa e sudata della sorella che non sarebbe certo riuscita a tenere il passo. Con un sorrisetto malizioso si era messo al cancello di Jamie e aveva pazientemente aspettato che la ragazza uscisse con la sua bici blu e bianca, mentre la sorellina gli stava accanto, già sul sellino, con un piede appoggiato in terra e uno sul pedale. La povera ignara non sapeva che per fare meno fatica non bisogna poter arrivare a terra con i piedi, ma non sarebbe stato certo Dorian a spiegarglielo. Finalmente Jamie aveva aperto la porta di casa e si era tirata su la cerniera della giacca, portando fuori la bicicletta, che teneva nel corridoio d’ingresso; Dorian l’aveva guardata mentre li raggiungeva in strada e come tutte le mattine si era ripetuto che prima o poi le avrebbe dimostrato di essere degno di portarla a cena fuori. Anche se fino a quel momento si era limitato a offrirle del fish and chips pagato da lei. Già era pronto a mostrarle la propria destrezza con i pedali che migliorava di giorno in giorno, specie da quando era cresciuto tanto da raggiungerla e superarla, e lei era piuttosto alta; già si era scaldato i muscoli e aveva fatto stretching prima di uscire, già era saltato al volo sul sellino ed era partito in tutta accelerazione quando si era accorto che nessuno lo stava seguendo. Si era voltato e aveva visto, da sopra la sua spalla, che Jamie stava andando piano, per aspettare Maggie. Si era sentito tradito. Non lo avrebbe mai ammesso, ma gli si erano offuscati gli occhi per le lacrime. Frenando e nascondendo il volto, Dorian