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Non dirle che non è così
Non dirle che non è così
Non dirle che non è così
E-book196 pagine2 ore

Non dirle che non è così

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Info su questo ebook

Due figlie e due padri ai margini del vecchio mondo. Amina e Ljuba camminano sul crinale della Storia, con i loro lunghi capelli sciolti nel vento della Goulette di Tunisi, in piena Primavera. Involontarie paladine di una rivolta che le ha travolte senza interrogarle, scoprono l'amore, la lotta contro le ingiustizie sociali, la libertà, l’appartenenza. Non dirle che non è così è un racconto di frontiere: emotive, storiche, geografiche. Un intreccio di storie dentro la Storia, un ritratto visionario dei confini dell'Europa impressi negli sguardi di due giovani che si scoprono donne nel breve corso della Primavera 2011.
LinguaItaliano
EditoreBlonk
Data di uscita20 nov 2016
ISBN9788897604549
Non dirle che non è così

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    Anteprima del libro

    Non dirle che non è così - Raffaella Greco Tonegutti

    (http://write.streetlib.com).

    Non dirle che non è così

    Amo come l'amore ama.

    Non conosco altra ragione di amarti che amarti.

    Cosa vuoi che ti dica oltre a dirti che ti amo,

    se ciò che ti voglio dire è che ti amo?

    Fernando Pessoa

    Qualquer amor já é um pouquinho de saúde,

    um descanso na loucura.

    João Guimarães Rosa

    A K.

    Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale.

    She might think that I've forgotten her,

    don't tell her it isn't so

    Bob Dylan

    Il Palais des Delices era ancora all’angolo di rue Saint Josse. La chiesa, il venditore di kebab, la lavanderia, il murale spagnoleggiante sul palazzo di fronte alla fermata del tram. Si avvicinò all’ingresso. Il profumo di thé e di menta le fece girare la testa. Ferma sull’uscio, si guardò intorno spostando lentamente lo sguardo a destra e a sinistra. Le note di una kora la riportarono a Tunisi, al Caffè de la Paix.

    Incontrò Thiam per la prima volta in una bella mattina assolata. Non l'aveva visto entrare in sala e quando si era accorta della sua presenza, Thiam era già al tavolo In fondo, accanto alla vetrata decorata con ghirlande turchesi che sorseggiava lentamente un caffè. Il rosa intenso delle sua labbra la colpì. Di fronte a lui sedeva una ragazza vestita di bianco con i capelli neri lucidi che le coprivano la nuca. Ljuba li osservava dal divanetto all’angolo opposto della stanza, ciocche bionde a sfiorarle le sulle spalle e una pashmina al collo. Lui ricambiò il suo sguardo, mentre la ragazza di bianco si passava una mano fra i capelli. I minuti scorrevano, Thiam picchiettava sul tavolo con il cucchiaino, poi con le dita, sempre in silenzio, senza scambiare una sola parola con la sua accompagnatrice. Qualcuno aveva aperto la porta del locale. Entrò un ragazzo con la kefya al collo e una folata di vento caldo. Erano appena le dieci di mattina.

    Ljuba estrasse dalla borsa il suo taccuino e cominciò a sfogliarlo nervosamente. Gli appunti per quell’intervista erano ordinati secondo un criterio preciso cui aveva lavorato per settimane mentre rileggeva stralci di romanzi, raccolte di racconti, scritti giornalistici. Aveva studiato le critiche, gli articoli e le tesi di laurea che erano state dedicate a quello che era considerato il più autorevole intellettuale africano vivente, certamente lo scrittore più conosciuto del continente. Aveva a memoria i passaggi sulla figura della donna, sul rapporto con la terra d’origine, le note del suo amico Babacar sui Racconti da Saint Louis, i consigli di Rivet. Si era preparata al meglio, eppure quella mattina al Caffè de la Paix era nervosa, molto nervosa. Babacar l'aveva mandata sola ad affrontare una prova infinitamente più grande di lei.

    Il suono della kora, l'odore di thé, Thiam dall'altra parte della sala proprio accanto alla vetrata che dava sulla piazza, la solitudine disarmante, un paio di occhi scuri che l'avevano inchiodata allo schienale del divanetto di velluto color verde bottiglia. Uno strano gioco di sguardi e l'attesa di qualcosa che sembrava dover succedere da un momento all'altro. Respirò profondamente e si mise a leggere sprofondando la testa nel volumetto dei Racconti che Babacar le aveva regalato. Era un vero gioiello: la prima edizione chez Gallimard. Scelse la storia dell'uomo che aveva attraversato il continente in cerca di un amore annegato nel fiume Senegal e che aveva cosparso i flutti rosati del tramonto con petali di acacia rossa.

    Gli occhi scorrevano veloci su parole che conosceva a memoria. Aveva letto quel racconto altre decine di volte ancora prima di cominciare l'università e l’aveva scelto insieme a Babacar per il corso di letteratura africana che avevano condotto insieme, a Parigi.

    Alzò la testa solo quando ebbe finito. Thiam era in piedi di fronte a lei, vicinissimo, mentre la donna vestita di bianco era sparita. Anche la musica aveva smesso di suonare.

    Ljuba rimase in silenzio e Thiam prese posto senza mai toglierle gli occhi di dosso. Quel tavolino era troppo basso per il suo metro e novanta di altezza. Non la salutò, non tese la mano, non disse buongiorno. Neanche un parola. La guardava, semplicemente, e l'intensità di quello sguardo la mise a disagio. Le sembrò aggressivo.

    Le tornarono in mente le parole con cui il professore aveva risposto alla sua mail.

    Se avrà il coraggio di venire, mi troverà al Caffè de la Paix, Lunedì 25 alle 10,30.

    T.

    Fu Ljuba a parlare per prima, quando Thiam si fu accomodato.

    Saint Louis..., disse.

    Uhm..., mugugnò lui, annuendo con il capo, finalmente accennando un sorriso.

    Il locale era semivuoto, il barista era lì per loro soltanto. Portò un bicchiere a Thiam che ringraziò senza guardarlo. Shukran, merci, e si versò del thè riempiendo il bicchiere fino all'orlo, ripetendo meccanicamente il gesto per servire anche lei.

    Thiam lanciò uno sguardo alla sua scollatura generosa. Con un gesto rapido Ljuba si tirò indietro la maglietta . Sentì un brivido scuoterle la schiena, fino ai reni. 'Non dovrei essere qui', pensò, mentre Thiam la osservava dietro la montatura spessa degli occhiali.

    Il sorriso che le fece non la rassicurò.

    Era bella come l'immaginava e come immaginava era riuscito a metterla in soggezione. Provocarla era stato un piacere, ma ora bisognava che la giovane Ljuba scoprisse le sue carte. Non era arrivata fin lì per fare domande sui suoi libri, non quel giorno. Credeva davvero che lui non lo sapesse?

    Era pronto. Aveva atteso quel momento, si era preparato a lungo e sapeva dove colpire. Fermo davanti a quella sconosciuta pensò con risentimento ai suoi anni a Tunisi. Il passaporto africano gli aveva da subito causato fastidi e la sua pelle nera aveva attirato le diffidenze di molti intellettuali, la buona borghesia cittadina, le famiglie di quelle studentesse che la sera lo aspettavano in facoltà, dopo le lezioni, e lo seguivano in una stanza da letto.

    Anche con Amina era cominciata così, qualche notte fra le lenzuola di lino nel suo appartamento lungo la Goulette. Attrazione e ribellione ai genitori, nulla di più. Una sera, però, gli si era addormentata addosso. Era rimasta da lui anche il giorno dopo e quello dopo ancora. A lui non gli era dispiaciuto di trovarla lì, quando tornava dall'università. Era una ragazza silenziosa, di una bellezza delicata e convincente. Thiam aveva lasciato che entrasse nella sua vita senza fare domande. Erano forse i trent'anni di differenza, i suoi begli zigomi rosati, le caviglie sottili. O stava solo diventando vecchio e aveva voglia di godersi la leggerezza di un sentimento che sarebbe venuto a fargli visita poche altre volte ancora.

    Amina aveva saputo trovare il proprio posto. Si muoveva con discrezione, abituata com'era ad ambienti raffinati e internazionali, occidentale al punto giusto e i piedi ben saldi nella cultura mediorientale. Lo aveva conquistato lentamente, quasi suo malgrado.

    Nonostante il cognome che portava, Amina non era ambiziosa. Sembrava nata per stare in ombra, senza disturbare le lunghe ore in cui stava chiuso nel suo studio a scrivere. Perché lui, e questo Amina lo aveva capito subito, era prima di tutto un artista. Il suo tempo era poco e i progetti da realizzare sempre troppi. Lei doveva accontentarsi della vita che restava. E così era stato sin dal primo giorno. Si stendeva nuda ad aspettarlo nel loro grande letto azzurro chiaro, attendeva paziente che lui uscisse dalla doccia, poi lo baciava, lo accarezzava e lo amava con dolcezza. Sapeva risvegliare il suo corpo maturo e fargli assaggiare la sensualità orientale. A volte lui aveva l'impressione che Amina sapesse che non sarebbe durata a lungo, altre volte era sfiorato lui stesso dal desiderio che quel lieve scintillio potesse bastargli per il resto della vita.

    La passione si era spenta quel lunedì mattina, nel cestino di vimini del bagno dove Thiam aveva trovato la confezione di un test gravidanza.

    No, quella storia non sarebbe proseguita così. Ad Amina non sarebbe cresciuta la pancia e il suo letto azzurro non si sarebbe trasformato in una culla. Thiam aveva preso la scatola dal cestino e l'aveva posizionata sul tavolo della cucina, poi aveva spalancato la porta di casa e aveva aspettato che Amina rientrasse dal mercato.

    Non urlare, le disse. Amina si era portata una mano sulla bocca e aveva lasciato cadere il cesto della spesa. I vicini potrebbero allarmarsi.

    Non dovresti essere a lezione? gli chiese lei con un filo di voce.

    Siediti, le aveva risposto lui.

    La confezione azzurra e rosa troneggiava in mezzo al tavolo.

    Posso spiegarti....

    Ne sono sicuro.

    Thiam aveva in viso un sorriso distante.

    Amina aveva balbettato qualcosa, un ritardo, una preoccupazione sciocca, ma la paura che pian piano le invadeva gli occhi raccontava una storia diversa.

    I miei figli hanno la tua età, Amina. Non ho intenzione di averne altri. Non con te.

    Lei aveva cominciato a piangere sommessamente, poi sempre più forte. Un torrente di lacrime silenziose le scendeva lungo il collo.

    Prendi le tue cose, Amina. Lo dico per te, per il tuo bene. Prendi le tue cose e torna dai tuoi genitori.

    Thiam era calmo. La sua voce non tradiva nessuna emozione, il suo sguardo non mostrava alcuna curiosità, sperava solo che quella situazione incresciosa si risolvesse il prima possibile.

    "Avevo bisogno di fare il test", disse infine. La piccola Amina dagli zigomi rosati era scomparsa. Al suo posto, una donna spaventata tirava fuori dal profondo delle sue viscere delle espressioni che non le aveva mai conosciuto. Thiam ripercorse rapidamente i due anni passati con lei. Non le aveva mai chiesto di restare, non l'aveva invitata a seguirlo che in rari viaggi di lavoro, non le aveva mai presentato i suoi figli. Non aveva nulla da rimproverarsi e no, Amina non aveva motivi per mancargli di rispetto in quel modo. No, non voleva sapere il risultato di quel test.

    Aveva deciso di stare con lui, l'aveva scelto liberamente. Le era piaciuto offrirgli il suo corpo, occuparsi della casa, sapere che alla fine della giornata ci sarebbe stata lei nel suo letto e nessuna delle altre ragazzine magari più belle o più interessanti che incontrava in facoltà. Thiam la guardava senza dire una parola. Amina aveva sempre saputo le regole di quel gioco, ne era sicuro.

    Confusa da quel silenzio senza fine, Amina provò a pensare quand'era stato il momento in cui la sua vita aveva smesso di importarle, quando essere con lui era diventato più urgente, assolutamente più necessario che vivere. Quell'uomo che le chiedeva di andarsene, la notte precedente l'aveva amata e accarezzata in mezzo alle cosce come mille altre volte prima di allora. I suoi occhi neri l'avevano spogliata e perlustrata e leccata e annusata. L'avevano seguita nel bagno delle ragazze in una sera afosa di due anni prima, l'avevano penetrata prima ancora che i loro corpi si toccassero ed il suo vestito verde scivolasse sul pavimento. L’aveva sedotto, questo Thiam non poteva averlo dimenticato! L’aveva sedotto e ora era il suo uomo!

    Sin dal primo giorno di lezione aveva immaginato una maniera per attirare a sé il professore e quella sera si era decisa a conquistarlo. Aveva tenuto le gambe accavallate, scoprendo i polpacci. Non aveva smesso di agitare il piede ticchettando tra ferro e legno della sedia di fronte. Lui aveva l'aria stanca, dopo un'intera giornata di lezioni sembrava non vedesse l'ora di tornare a casa. Nel suo vestito di seta verde Amina lo invitava a restare acceso ancora un po', mentre l'afa e la fatica gli pesavano nelle braccia. Sarebbe davvero rientrato da solo nel suo appartamento se lei non gli fosse passata vicino, uscendo dall'aula, sfiorandolo con i fianchi e con le spalle.

    Ti desidero, Amina, le aveva detto.

    Lo so, gli aveva risposto lei. Poi aveva aggiunto Vieni..., abbassando la voce. L'aveva preso per mano e l'aveva portato nel bagno delle ragazze.

    Non si erano lasciati più. Erano sempre stati insieme. Eppure, davanti al tavolo bianco della cucina, in quella mattina di sole, Amina si sentì sola. I suoi begli zigomi rosa ardevano fino a farle male. Doveva essere paziente, riflettere e non dire nulla di cui si sarebbe potuta pentire. Si sarebbero ritrovati, ne era certa. Bastava dargli tempo di capire, di accettare. Thiam non doveva preoccuparsi, avrebbe pensato a tutto lei. Niente avrebbe interferito con le sue abitudini, i gesti fatti e rifatti ogni giorno esattamente nello stesso modo, la sequenza di movimenti, il programma di lavoro, studio, la scrittura, le telefonate con gli editori, il riposo, il silenzio. La siesta, la premiere league, il bicchiere di vino dopo la doccia. E poi il letto, con lei.

    Doveva avere pazienza e ogni cosa sarebbe tornata al proprio posto.

    Amina fissava la scatola di cartone azzurro e rosa cercando le parole giuste da dirgli.

    L'ho fatto per te.

    Non te l'ho mai chiesto, Amina.

    Amina avvertì un brusio nelle orecchie, la testa cominciò a formicolare. Scesero ancora lacrime. Nella confusione dei suoi ricordi sapeva che a desiderarlo erano stati in due. Loro due. Era stato quella sera in università, o la notte in cui aveva finto di addormentarsi per restare a dormire? Forse ancora prima, quando aveva assistito ad una sua lezione e l'aveva visto laggiù, seduto dietro la grande cattedra di legno, poi in piedi, appoggiato con il fianco al bordo del tavolo, e poi ancora seduto sul banco, le sue lunghe gambe incrociate all'altezza delle caviglie. Era stato allora che aveva cominciato a esistere, illuminata dagli occhi neri del suo professore, attratta com'era dalla sua voce fonda, dal suo modo non curante di rivolgersi a lei come una qualunque fra le sue studentesse. Amina, la figlia dell'avvocato Maslah. Amina che aveva rifiutato una carriera nello studio sulla Goulette per specializzarsi in letterature africane.

    L'aveva fatto per lui. Per lui aveva deluso l'uomo che amava più di tutto e non se ne pentiva affatto.

    Era innamorata. Innamorata degli occhi neri di Thiam, del suo cuore, della sua Africa, la sua poesia. Thiam era un continente intero, l'oceano e la Goulette di Tunisi. Le piaceva l'assoluta indifferenza con cui passava sopra gli sguardi dei curiosi, il rifiuto del glamour europeo, l'ordine austero dell'appartamento in cui avevano vissuto. Felici. Erano stati

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