Riflessioni migranti
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Mohamed Hanout, egiziano di origine, vive e lavora in Italia da tanti anni. È stato operaio e imprenditore, ha collaborato con il Comune di Roma nelle politiche d’integrazione, ricercatore nel campo delle questioni riguardanti l’immigrazione ed è presidente dell’Associazione Internazionale degli Immigrati, è un giornalista affermato e scrittore, continua a impegnarsi nel promuovere pace e convivenza tra i popoli.
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Anteprima del libro
Riflessioni migranti - Mohamed Hanout
Mohamed Hanout
Riflessioni migranti
© 2023 Europa Edizioni s.r.l. | Roma
www.europaedizioni.it - info@europaedizioni.it
ISBN 979-12-201-4195-6
I edizione agosto 2023
Finito di stampare nel mese di agosto 2023
presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)
Distributore per le librerie Messaggerie Libri S.p.A.
Riflessioni migranti
Parte I
Capitolo 1
La mia Storia
Per raccontare questa storia, di cui leggerete nelle pagine che seguono, la cosa migliore è partire da me, raccontarvi quella che è stata la mia vicenda, insomma presentarmi, in modo che possiate addentrarvi nel miglior modo possibile in quello che ho da dirvi.
Fin dalla più tenera età, sono sempre stato una persona estremamente socievole, gli altri
molto semplicemente mi piacevano e mi piaceva partecipare alle diverse attività sociali, e questo già prima di iniziare le elementari. Ero molto attivo negli scout, dove i miei cugini di secondo grado avevano il ruolo di leader. Mi portavano molto spesso nelle loro uscite insegnandomi i principi del campeggio ma anche tantissime cose utili, come fare i nodi o organizzare una festa. Sebbene fossi molto giovane, ben presto mi feci ben volere e diventai piuttosto famoso per una canzoncina che avevo inventato su loro richiesta. Adoravo stare all’aria aperta insieme a tutti gli altri e, fin da ragazzo, sono sempre stato molto sportivo. Praticavo sport di tutti i tipi: calcio, nuoto, karate, pallamano, ginnastica e ping pong. Anche a scuola non lesinavo la mia presenza ovunque ce ne fosse bisogno; partecipavo alle elezioni studentesche sia alle elementari ma poi anche alle medie e alle superiori e, ovviamente, all’università.
Mio padre era una persona molto religiosa, si chiamava Sceicco; aveva un’attività commerciale nel settore della pelletteria e nel commercio di scarpe e in generale nei prodotti in pelle.
Con lui passavo molto tempo ogni giorno, lo aiutavo nell’amministrazione e monitoravo il lavoro dei suoi collaboratori.
Era un impegno molto faticoso, ma non mi è mai mancata la curiosità di conoscere e avventurarmi nel mondo. Quando ero al primo anno di università, alla Facoltà di Agraria, con un gruppo di amici organizzammo un viaggio per visitare il meraviglioso Egitto. Costruimmo una tenda molto grande così da poter visitare ogni città nel modo più agevole ed economico. In quella occasione, visitammo cinque governatorati della cinta costiera, per un percorso di almeno mille chilometri. Ricordo che mio padre non ne era molto contento. Temeva che mi sarei trovato in situazioni spiacevoli, ma soprattutto era preoccupato per il nostro lavoro da mandare avanti, quindi decisi di tenere per me i miei progetti. A casa tornai dopo un mese e mezzo, dopo aver visitato alcuni nostri parenti nella città vicina, presso i quali mi ero intrattenuto per un po’ prima di far ritorno a casa. La ricordo come una esperienza bellissima, anche se secondo mio padre era stata un fallimento, giacché per sostenere il viaggio avevo fatto dei lavoretti che considerava impropri e poco adatti, come il cameriere nei bar o vendere frutta e verdura sulla spiaggia.
Viaggiare mi piaceva davvero molto e l’anno successivo decisi di scoprire l’Europa. Certo, ho faticato a trovare i soldi necessari per farlo, anche se non erano paragonabili a quelli che servirebbero oggi, e mia madre mi ha aiutato moltissimo a risparmiare. Ho cercato per settimane e mi sono recato in diverse ambasciate finché non ottenni il visto per la Finlandia e potei partire. Ero pieno di speranze.
Quando arrivai a Helsinki – siamo nel 1981 – rimasi stupito nel trovare persone così diverse e una atmosfera che sembrava magica. Mi colpivano quelle strade pulite e piene di verde, gli edifici profumavano di passato, le ragazze avevano colori meravigliosi, capelli biondi o rossi e occhi verdi, azzurri o grigi dello stesso colore del mare d’inverno.
Il viaggio durò ben quattro mesi, da Helsinki mi spostai a Hässleholm in Svezia, dove ho fatto qualche lavoretto, e poi a Copenaghen in Danimarca. Tutto mi sembrava fantastico, ho conosciuto decine e decine di ragazzi e ragazze potendo vivere la vivace e giovane vita europea. I miei genitori erano un po’ preoccupati, mi scrivevano pregandomi di tornare in Egitto e terminare gli studi universitari e alla fine non potei fare altro che tornare. Ma il sogno di viaggiare non mi aveva abbandonato.
Terminati gli studi universitari, mi immersi nell’azienda di famiglia anche perché mio fratello maggiore nel 1984 aveva deciso di trasferirsi in Italia. Purtroppo si ammalò e, in seguito alla sua morte, fui io a prendere le redini dell’azienda di famiglia. Tanto era il lavoro che la possibilità di viaggiare si allontanava sempre più anche perché da me dipendeva tutta la mia famiglia, mia madre, mia sorella e il mio fratellino più piccolo.
Ma le speranze non erano del tutto perdute; nel 1990, in occasione dei Mondiali di Calcio che si svolsero proprio in Italia – la mitica Italia ’90
– lasciai in tutta fretta l’Egitto, lasciando la gestione dell’azienda nelle mani di mio fratello. Avevo trent’anni ed ero pieno di speranza per quella nuova esperienza di vita che sentivo pulsare dentro di me. Ottenuto un visto per la Jugoslavia, passai il confine a Trieste, e mi ritrovai proprio lì dove volevo arrivare per la finale dei Mondiali. Mi ospitò mio fratello maggiore che aveva sposato una ragazza tunisina con la quale aveva avuto tre bambini. Mio fratello già lavorava e, come ogni buon egiziano che in cucina è sempre un vero re, volli trovare lavoro nella ristorazione e nel mentre mi misi a insegnare la lingua italiana, finché grazie a lui cominciai a lavorare nell’edilizia. Era il mio primo lavoro fisso. Il mio compito era quello di apportare cambiamenti in un garage. Stavo tutto il giorno con il martello in mano a rompere muri e pareti. Era faticosissimo sia fisicamente sia mentalmente e alla fine lasciai. Ricordo che in casa mi presero un po’ in giro per la mia scarsa attitudine alla fatica fisica e ne ridemmo insieme. Un nuovo lavoro lo trovai presso un distributore di benzina e autolavaggio e, dopo un mese, venni promosso a responsabile della stazione di servizio. Non fu facile, ma pian piano presi confidenza con le mie mansioni.
A causa della pioggia, in inverno il lavoro inevitabilmente diminuiva e i problemi non mancavano. Un giorno il proprietario mi informò che erano in corso alcuni controlli della polizia a degli stranieri senza permesso di soggiorno. Mi disse che era meglio che lasciassi il lavoro e che mi avrebbe richiamato quando tutto si sarebbe appianato. Aspettai per ben tre mesi, ma nessuno mi chiamò e cominciai a fare altri lavori come assistente cuoco, il che è stato molto istruttivo; ho infatti imparato l’arte della cucina, ma anche quella della gestione di interi ristoranti.
Tre amici italiani che avevano aperto un ristorante vicino al Pantheon mi vollero con loro come cuoco e io accettai di buon grado. Ma non volevo cucinare le solite cose quindi decisi di rinnovare del tutto il menù inventando e sperimentando nuovi piatti. Leggevo molte pubblicazioni specializzate e reinventavo le ricette nel modo più eccellente. Seguii anche dei corsi da chef per perfezionarmi ulteriormente. La cucina era molto piccola e stretta ma devo dire che mi muovevo benissimo. Gli affari andavano molto bene, la mia creatività e il mio impegno mi furono riconosciuti, mi fu alzato lo stipendio e fui coinvolto nella gestione come socio al 5%.
Ero contento e volevo riprendere i miei vecchi progetti nel campo informatico, per i quali avevo studiato nel 1987 in Egitto. Alla fine del 1995, potei finalmente comprare il mio primo computer. Non mi trovai subito benissimo, il pc era molto complicato e i miei studi dovevano essere aggiornati. Decisi pertanto di frequentare dei corsi, ma il periodo era favorevole giacché in Italia si stavano avviando le privatizzazioni delle telecomunicazioni e con il mio commercialista cominciammo a fornire una serie di consulenze e servizi.
Continuai comunque a lavorare nella ristorazione; sfruttavo ogni minuto per leggere e aggiornarmi e alla fine potei lasciare quel lavoro non prima però di aver formato in tutto e per tutto il mio assistente italiano. Con i proprietari ho mantenuto un rapporto ottimo che è continuato anche dopo che hanno trasferito il ristorante in un’altra zona.
Fu così che per ben diciassette anni lavorai nel campo delle comunicazioni ed è stato un periodo d’oro!
Iniziai con un ufficio di phone center con due delle più grandi aziende del settore, la Cable & Wireless e la Global One, fino a realizzare una connessione con New York utilizzando un server in Italia e uno nella Grande mela, così da poter utilizzare le reti americane che erano molto più economiche di quelle presenti in Europa e in Italia.
Ma non avevo abbandonato affatto la mia passione per il lavoro sociale e mi impegnai moltissimo per la mia comunità egiziana nella quale venni eletto nel Consiglio di Amministrazione per ben due volte di seguito. Nel 2001, grazie alla Comunità, venne costituita l’Associazione Internazionale dei Migranti che si occupava principalmente di servizi legali, amministrativi e contabili, e poi venni nominato quale membro effettivo della Consulta cittadina del Comune di Roma. Ho partecipato e organizzato decine di convegni, seminari e workshop di tutti i tipi sul tema dell’immigrazione, dell’integrazione, del dialogo interreligioso e gli scambi tra le culture, oltre che ovviamente nel campo sportivo da sempre la mia passione.
In quel periodo, insieme ad alcuni miei colleghi della zona di Marconi fondammo una associazione culturale religiosa e aprimmo una moschea per la quale acquistammo un intero spazio al piano terra di un palazzo. Per dieci anni, ebbi l’onore di gestirla finché non ci allargammo ulteriormente ingrandendo il nostro luogo di culto e ricevemmo la graditissima visita del ministro Paolo Ferrero. Quella fu la prima e ultima occasione nella quale un ministro della Repubblica metteva piede in una moschea.
Nel 2012, con un amico fondai la Yakoya Telephone Equipment Company, era ansiosa di svilupparsi nel campo all’epoca ancora emergente degli smartphone e dei tablet. Nello stesso periodo lavoravo con Vodafone come operatore virtuale