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Io, Due, Nessuno
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E-book284 pagine1 ora

Io, Due, Nessuno

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Info su questo ebook

La raccolta poetica di Marziano Vicedomini è l’ascesa dell’uomo alla divinità. Io, Due, Nessuno è una silloge sapida come il mare che bagna la sua partenopea origine, sigillata nel mito della sirena Parthenope e del suo amato Vesuvio. Il rimando alla mitologia diventa il substrato sul quale vengono snodati i temi del Vicedomini. Un magmatico flusso lirico incendia in ogni vampa. Il poeta anela al suo Olimpo poetico. Fluiscono in onda le sue vicissitudini, le sue letterarie e artistiche preferenze, puntando la lente sulla visione che ha di sé stesso e dell’umanità tout court. Estasi lirica che tracima dalle piume di Icaro per essere nuovamente nutrito dalle lunari maree dello spirito, per rinascere nel sole.

Marziano Vicedomini è nato il 24 luglio 1972 a Casola di Napoli. Primogenito di tre fratelli. Laureato in Giurisprudenza all’Università “Federico II di Napoli”. Dal 2005 esercita l’attività legale di penalista. Compone i primi pensieri in forma poetica all’età di 27 anni. Riprende a scrivere nel 2023. Presenta la sua prima silloge poetica, Io, due, Nessuno.
LinguaItaliano
Data di uscita6 set 2023
ISBN9788830690158
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    Anteprima del libro

    Io, Due, Nessuno - Marziano Vicedomini

    INTRODUZIONE

    La poesia è quello spazio d’intimità tra l’uomo e l’assoluto, nel quale il dramma o l’estasi di un individuo diventano l’espressione più ampia nella rifrazione dell’identificazione altra. In questa raccolta di poesie, dell’autore Marziano Vicedomini, i chiaro scuri sono emblemi urlanti di tale nitore da mettere in fuga le sfumature mediocri. Egli nella grandiosità mitologica smaschera se stesso, nel tentativo di pacificare: la notte ed il giorno, il buio e la luce, il tramonto e l’alba, la divinità e l’umanità; pur comprendendo quanto la sua natura lo spinga alla lotta, alla tragedia di un Odissea universale in una costante navigazione burrascosa, quasi a tenerlo sempre sveglio. Così, egli dichiara che l’uomo è l’inganno dove Dio si nasconde, quasi a dichiarare la sua diffidenza nelle opere umane, nelle quali, però, Dio trasforma il male in bene, nel riscatto del sangue di Cristo come segno escatologico che si mischia al mito dionisiaco.

    Tutta l’imponente opera, alternata da poesie e poemi, nasce da un flusso creativo di recente esordio, nel quale il poeta comincia a dialogare con la sua interiorità, facendo i conti con la vita per giungere al porto della consapevolezza, per salpare in un nuovo vascello.

    Il richiamo delle sue radici partenopee diventa lo sfondo alla sua silloge, tanto da far rivivere il mito della sirena Parthenope e Vesuvio, nell’astioso conflitto con Zeus che annienta il loro amore, costringendoli ad una perenne vicina separazione.

    Quando si legge Marziano Vicedomini ci si infila tra le note della Tammurriata nel suo richiamo ancestrale, tribale e selvaggio. Le voci diventano percussioni vibranti che declamano e tremano come cosmiche eruzioni di fuoco e passione, di delirio ed esaltazione, di pianto ed agonia, di gioia e di euforia. Nel complesso la musica è l’espressione attraverso la quale la sua essenza si manifesta, in quanto essere palpitante e dialogante. La sua musa ispiratrice che cambia forma e volto, passando da note popolari a quelle più colte.

    Il suo stile non ha pretese retoriche e stilistiche ma, segue un incedere ritmico incalzante e prepotente, come a gridare le sue ragioni ed i suoi reconditi pensieri. Il verso è libero, un treno in corsa. Un flusso ondivago salmastro affacciato sull’infinito blu dei miti, che duellano insieme alle figure eminenti delle sue preferenze artistiche, letterarie, religiose, musicali e politiche.

    PREFAZIONE

    "La rabbia è una follia momentanea,

    quindi controllala questa passione

    o essa controllerà te".

    Omero

    "É il frutto pensato del creato,

    come la goccia figlia del mare,

    contiene la madre dentro sé,

    così l’uomo, pensiero del creato,

    contiene il padre dentro sé".

    Entrare nel mondo poetico di Marziano Vicedomini, nella silloge Io, due, Nessuno, è varcare l’intricato e complesso universo dei miti greci che tentano di snodare i grovigli umani. A tratti si resta impigliati tra i fili di Penelope che tesse, per lui, un nuovo abito da indossare in una storia rinnovata e liberata. Un trionfo di una epica battaglia personale, armata di uno scudo Sole e di una lancia Luna, senza più bersagliare le Stelle della sua grandiosa costellazione, quanto piuttosto vorrebbe annientare un ego smisurato piegarlo dall’oblio, per il riscatto dell’IO SONO disincantato. È un omicidio, in un delirio edipico, tra le onde dei narcisi, in attesa dell’Elysium.

    "Lo voglio io, come un Dio,

    per fare giustizia a chi so io,

    a chi non ha mai letizia 

    e sempre vive con mestizia

    questa vita, come un sasso 

    in un precipizio".

    I misteri dell’anima carcerata hanno fornito al poeta una nuova chiave di lettura della sua essenza. In una sorta di auto dichiarazione si spoglia nelle fattezze di un Icaro, che indossa ali di cera, per dichiarare la sua fragilità traslata in quella dell’umanità, innanzi alla regalità del sole. Egli cadendo nel mare amniotico, si rianima sotto un cielo plumbeo, lunare, nel quale naviga in una luce nera nella pesca mitica del suo abisso psicologico. Come uno scandaglio linguistico profuso, egli scioglie la mucillaggine del suo malessere euforico ed oscuro.

    "Sarò e non sarò, 

    ritmo del mio respiro,

    mente del mio pensiero, 

    cammino del mio passo, 

    spazio del mio volo".

    La poesia del Vicedomini tenta di filtrare quelle scorie che non gli permettono di penetrare nelle acque limpide della sua verità. La sua anima appare un fantasma in una vita che anela latte e succhia più di un infante. La brama e la gloria diventano due uncini che trovano prede e furie pronte a cedere alla sua maestà. Ci si domanda se il suo poetare sia solo una mera rivelazione che ne giustifica gli atti a se stesso o se sia l’audace e mitico tentativo di riscatto e di perdono in chi non sa perdonare. Laddove il perdono presuppone l’atto più eccelso: amare, che spalanca le porte del paradiso a cui tanto ambisce. Egli è un paradosso ed un eccesso di lirismo metallico, nel quale l’ira tuona in uno Stige cieco e sordo, dall’acqua sanguinante. L’amore appare una vacua eco, profusa nello scintillio di un fuoco sacro iniziatico e presto spento nella sua ascesa alla dedizione della cura e del dono.

    "Tu che vivi nel sempre

    non un sempre

    sempre presente

    che ti uccide,

    ma orma sull’acqua

    resta acqua,

    tu sasso e fondale".

    Egli è un ossimoro esistenziale: bianco e nero, ghiaccio e fuoco, aria e terra, luce e buio, Dio e Nessuno. Poli estremi della sua natura. Scivola in un mare roboante, schiantandosi in urlo sulla roccia della sua anima, aprendo le sue fenditure solo alla tenerezza più grande: la Madre Terra che lo nutre nella sua dilaniante ferocia. Un figlio nel mito di divenire uomo nel dominio di se stesso. La sua poetica è un’estate in pieno inverno, la pentola d’oro alla fine dell’arcobaleno, una bufera di ninfee a primavera. Un tripudio di una intensità devastante che lascia storditi da un profumo magnetico e pericoloso.

    La luce blu che pervade il suo spirito, in una danza dionisiaca infuocata, volge alla necessità di varcare quell’oltre da sé in una fusione eterna con la divinità.

    "L’uscita non è 

    un volo, è un modo,

    come quel nodo.

    Quel nodo che non 

    stringe la gola,

    ma il collo del cuore

    che in gola s’affanna,

    e la stretta lo azzanna".

    A cura di Rossana Marcuccilli

    Homo sum, humaninihil a me alienum puto.

    Sono un uomo e nessuna cosa umana mi è aliena.

    Publio Terenzio Afro

    A MIA MADRE,

    grembo e salvezza dell’anima mia.

    Sono

    Sono

    il bastardo

    sporco e randagio

    rovista

    vorace e maligno

    tra i rifiuti di strada

    nelle notti di Cabiria

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