El vacio
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Anteprima del libro
El vacio - Marta Toraldo
sogni.
Marta Toraldo e la mistica del nichilismo
Verso la fine degli anni ’90 il territorio salentino è stato protagonista di un rinascimento poetico, che ha poggiato le sue basi su una tradizione di percorsi non sempre semplici, raramente omogenei, quasi sempre disarticolati. Peculiarità distoniche e distopiche frutto di un costante lavorìo di carne e sangue, umori, esistenze talvolta ai limiti del pindarico, puntualmente ai confini dell’oltre.
Le tante cicatrici ancora aperte della storia della poesia contemporanea salentina (oggi sempre più di valore e che nulla ha da temere rispetto al resto del territorio nazionale), hanno la capacità di parlare con i versi della grande Claudia Ruggeri, del selvaggio Salvatore Toma, del visionario Antonio Leonardo Verri; le tante cicatrici ancora aperte della storia della poesia contemporanea salentina hanno il potere di costruire mondi giocando con il ritmo e il senso del dire, del denunciare, del resistere, del misurare l’esistenza passo dopo passo, come nella poesia di Simone Giorgino, Laura Sergio, Luciano Pagano, Vito Antonio Conte, Gianluca Conte, Alessandra Peluso, e la giovanissima Anastasia Leo, solo per citare pochi esempi. E la vivacità di tutto questo magma incandescente che si è riversato in multiformi appuntamenti poetici pubblici (nei pub, nelle piazze, nei palazzi, nelle rassegne e che ha trovato la sua esplosione tra il 1998 e il 2002) ha funzionato da incubatore di esperienze altre, di grande impatto e di pulsante lucidità. Nelle mie costanti peregrinazioni nei boschi della Poesia, dove facilmente ci si può perdere e quasi mai bastano delle briciole gettate a terra per ritrovare la strada del ritorno, mentre le ombre si addensano fitte e minacciose, mentre si cerca con bramosìa e un pizzico di sano egoismo il gusto del verso e del sogno, ecco che una luce abbagliante, pulsante, incontenibile mi acceca lasciandomi pieno di meraviglia e stupore. Scopro così all’improvviso i versi di Marta Toraldo, poi conosco lei. Due passaggi organici e intimamente reciproci indispensabili per comprendere e leggere il suo dettato. Ho apprezzato il primo lavoro di Marta Vie fuggitive edito da I libri di Icaro, poi questo suo secondo lavoro dove l’autrice pare voler mettere nero su bianco tutta una mappatura sentimentale e ragionata di sogni, desideri, istanze che lentamente costruiscono il mosaico della sua identità. Forse più che un vero e proprio manifesto, una bussola, uno strumento indispensabile per orientarsi quando ci si perde, quando il senso del vivere perde i suoi contorni e pare che ci si relazioni solo con dei fantasmi, quelli che popolano le nostre notti insonni, o che animano le nostre paure più profonde. Scrive l’autrice: «Volevo capire l’importanza | delle azioni | degli obbiettivi | delle stesse capacità | di andare avanti | in cerca di una strada futura…| E tutte le volte che mi dicevano| di lasciare perdere| la mia curiosità | divampava di spasmo». La poesia presentata in questa raccolta sembra essere dotata di vita propria ovvero pare che una volta inchiodata alla pagina dall’autrice cerchi di ritornare poi alla sua forma di totalità, che per un capriccio di chissà quale gioco cosmico può tanto rivelarsi per sostanza che per spirito. Spazio e Tempo sono due categorie che non appartengono a questa poetessa, che del romanticismo non ne fa melancolia e lacrima, ma forza distruttrice di attivo nichilismo, dunque incontenibile furia che consciamente sceglie di distruggere per costruire. Certo i rischi del farsi sacerdotessa del verso, Marta li conosce bene, sa che i pericoli sono dietro l’angolo o meglio sa che il prezzo da pagare può essere esorbitante tanto che nel trasformare in lirica pensieri, dubbi, immagini o impulsi ricorrenti e persistenti sovente un cortocircuito
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