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C'era una volta a Roma
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C'era una volta a Roma
E-book79 pagine1 ora

C'era una volta a Roma

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Info su questo ebook

In una Roma più assonnata del solito si incrociano le vicende di una babysitter alle prese con quattro neonati angelici e un bambino infernale, di una giovane mamma alla prima serata di svago in quasi tredici mesi e di un energumeno sull'orlo di una crisi di nervi mentre cerca di rimediare alla svelta sei fusti di birra per l'inaugurazione del pub del fratello. Il tutto mentre un appassionato di boxe tenta disperatamente di assistere a un incontro epocale di cui solo a Roma sembra non importare a nessuno.

Quattro avventure lunghe una notte ambientate in una Roma non proprio da cartolina, dove s'incrociano i mondi e le strade di chi Roma la ama, di chi la odia e di chi nonostante tutto e tutti si limita a prenderla così com'è.

Andrea Lombardi è autore poco prolifico di sceneggiature di scarso successo, fiabe per bambini e racconti quasi sempre poco seri, vagamente surreali e almeno in parte autobiografici. È nato a Roma, dove per fortuna o per disgrazia abita da sempre.

LinguaItaliano
Data di uscita16 mag 2024
ISBN9783759219701
C'era una volta a Roma
Autore

Andrea Lombardi

Andrea Lombardi è autore poco prolifico di sceneggiature di scarso successo, fiabe per bambini e racconti quasi sempre poco seri, vagamente surreali e almeno in parte autobiografici.È nato a Roma, dove per fortuna o per disgrazia abita da sempre.

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    Anteprima del libro

    C'era una volta a Roma - Andrea Lombardi

    Andrea Lombardi

    C'era una volta a Roma

    © Andrea Lombardi – Tutti i diritti riservati – lombardi.andrea@tiscali.it

    Questo ebook non può essere rivenduto a terzi, né essere riprodotto o duplicato anche parzialmente senza l’espressa autorizzazione dell’autore.

    Indice

    C'era una volta a Roma

    1

    Erano le undici e trenta della mattina del due maggio e la Strip di Las Vegas era un fiume in piena di uomini, donne, vecchi e bambini, una massa informe e caotica che vibrava di un’attesa molto più che ansiosa per un avvenimento epocale a cui mancavano ormai poco più di dieci ore. Dieci ore al match più atteso nella storia del pugilato, e dai cartelloni giganti ai cappellini dei neonati non c’era spazio che per i due campioni in rotta di collisione ormai da anni, una rotta in traiettoria con uno scontro che sapeva già di leggenda e di cui tutto il mondo parlava da mesi.

    Era sabato, e nonostante non fosse ancora ora di pranzo i fast food già sfornavano panini a ciclo continuo, i ristoranti erano pieni più dei fast food mentre le limousine facevano la spola da un casinò all’altro, cariche di padri di famiglia arrivati da un capo all’altro dell’America, nella maggior parte dei casi senza famiglia al seguito. Operai, professionisti e impiegati che per mesi avevano messo da parte i soldi per le ultime file della Mgm Grand Arena e che intendevano godersi ogni secondo di quel weekend, dal primo piede poggiato a terra in aeroporto fino al risveglio, il giorno dopo, in una pozza di sudore e birra sul materasso ad acqua di una stanza d’albergo.

    Tutto era pronto per i due combattenti, dai guantoni su misura ai paradenti decorati ad hoc, dalle centinaia di steward, buttafuori e poliziotti ai bagarini spietati come cecchini, dai telecronisti e inviati di Hbo, Cbs, Cnn, Fox, Nbc a uno stuolo di corrispondenti esteri come non si vedeva dalla prima guerra del Golfo, mentre un esercito di venditori di hot dog, birre e di ogni oggetto, alimento, bevanda e sostanza legale o illegale che fosse era pronto a lucrare su un delirio che da settimane non faceva che crescere.

    Mentre le prevendite sulle tv via cavo abbattevano ogni record e nei negozi di elettronica i televisori ultrapiatti oltre i cinquanta pollici andavano via come pacchetti di popcorn, una nazione intera – e non solo quella – si era improvvisamente scoperta appassionata di boxe.

    Il vortice del pronostico aveva risucchiato chiunque e ognuno voleva dire la sua, dal dentista che non aveva mai messo piede in una palestra al lustrascarpe cieco dalla nascita e convinto sostenitore della guardia a mani basse, dal facchino sedicente ex pugile e lontano parente di Mike Tyson al commesso di Starbucks che si dichiarava amico d’infanzia non di uno dei due campioni pronti a sfidarsi ma addirittura di entrambi.

    Da qualunque punto di vista la si guardasse, qualunque esito ci si augurasse, su una cosa tutti erano d’accordo: Las Vegas quel sabato era il centro del mondo, ben lieta e più che pronta a sentirsi milioni, forse miliardi di occhi addosso mentre il più grande match nella storia della boxe continuava ad avvicinarsi.

    Purtroppo per lui, Alessio non abitava a Las Vegas. Né a New York o a Toronto, e nemmeno a Sidney o Berlino. Alessio abitava a Capannelle, periferia sud di Roma, e a dieci ore dal match camminava solo e sconsolato come un ergastolano nell’ora d’aria, lanciando occhiate distratte a fruttivendoli egiziani e vecchie signore a caccia di peperoni, le quali dovevano aver sentito parlare di pugilato forse una o due volte in vita loro, la più recente nel ’65, in occasione del mondiale dei medi tra Benvenuti e Mazzinghi.

    Sui marciapiedi della periferia reduce da una settimana di lavoro mamme e papà riportavano a casa marmocchi assonnati e buste della spesa, mentre negli abitacoli delle auto in giro alle sette di sera s’intravedevano sguardi bramosi di pizze e di polli arrosto più che di scazzottate destinate a riscrivere la storia non solo della boxe.

    Novità? chiese ansioso Alessio all’edicolante di via del Calice mentre passava in rassegna le riviste sportive e i pochi quotidiani ancora invenduti.

    L’edicolante si limitò a lanciargli un’occhiata, costringendo Alessio a spiegargli l’importanza del match di quella notte, la difficoltà nel reperire notizie a riguardo se non su internet e come il suo abbonamento Adsl fosse stato disattivato la settimana prima causa ripetute insolvenze.

    Me l’hai già detto stamattina, sospirò il giornalaio con un’altra occhiata scocciata. E pure i giornali, sempre quelli sono, aggiunse indicando un Corriere dello Sport interamente dedicato al Roma Genoa del giorno dopo.

    Grazie lo stesso, disse Alessio voltando i tacchi, fermamente convinto che se gli avesse chiesto della partita l’edicolante lo avrebbe tenuto a chiacchierare di schemi tattici e cambi a disposizione fino alle sei di mattina.

    Era l’ennesima prova, se mai ce ne fosse stato bisogno, dell’anomalia di una nazione volutamente isolatasi dal mondo, pugilisticamente parlando, un mondo in cui da mesi sembrava non si parlasse che di quell’evento che solo l’Italia si ostinava a ignorare. Un evento di cui, purtroppo per Alessio, non avrebbe potuto dire a eventuali figli e nipoti il più sentito dei io c’ero.

    Senza i soldi né il tempo né tantomeno il coraggio di organizzare una trasferta a Las Vegas di cui fantasticava da anni e che non aveva mai preso davvero in considerazione, Alessio aveva sperato fino all’ultimo che una a caso tra le poche emittenti che di tanto in tanto fingevano di interessarsi alla boxe si facesse avanti per acquistare i diritti televisivi dalle controparti americane, o anche da quelle inglesi, comprandoli di seconda o terza mano se non per la diretta quanto

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