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Il Sigillo del demone
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E-book231 pagine3 ore

Il Sigillo del demone

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Fantasy - romanzo (178 pagine) - Mia è stata marchiata da una condanna. E se in realtà fosse la sua salvezza?


Mia preferisce cavarsela da sola. Potrebbe chiedere asilo in uno dei Quattro Rioni, l’unica zona sicura di Roma ora che i demoni hanno infestato le macerie della città, rendendola pericolosa e invivibile. Ma non per lei.

Da quando dieci anni fa è stata marchiata, durante la notte delle maledizioni, da preda è diventata cacciatrice: li stana, li segue, li uccide. Non solo per vendicarsi. La sua è un’esigenza, perché la linfa dei demoni è l’unica cosa in grado di dissetare i suoi tatuaggi. Per questo non può vivere con gli umani.

Eppure è proprio un ragazzo di uno dei Quattro Rioni a proporle di unirsi a loro: l’ha vista combattere e la vuole nella squadra contro quegli esseri immondi. Mia sembra non voler lasciarsi convincere, ma delle urla al Colosseo esigono un intervento immediato e così si ritrovano a salvare Melania e due gemelli, unici superstiti di un gruppo caduto in un agguato dei demoni.

Che cosa ci facevano di notte al Colosseo? Perché dicono di volersi dirigere fuori dai Rioni? E soprattutto: avevano davvero bisogno di essere salvati?


Barbara Poscolieri nasce a Roma nel 1983. Dopo essersi laureata in Medicina e Chirurgia e aver conseguito la specializzazione in Medicina dello Sport e il Master il Nutrizione e Dietologia, si trasferisce in Veneto, dove vive e lavora. Quella per la professione medica è la sua seconda passione, perché al primo posto c’è da sempre la scrittura. Nel 2013 esordisce con il romanzo fantasy Ombra e Magia (GDS Editrice) e negli anni successivi si dedica soprattutto a racconti brevi, alcuni dei quali sono pubblicati in antologie. Crash (Dunwich Edizioni, 2017), vincitore del concorso Dunwich Life, è il suo primo romanzo mainstream, cui segue Polvere di fata (Dark-Zone Edizioni, 2024).

Torna alla narrativa fantastica nel 2020 con il fantasy La Rosa Bianca (Plesio Editore), scritto a quattro mani con Nicoletta Plotegher, il cui seguito è in uscita, e con la novella Il pifferaio di Londra (Delos Digital, 2023).

LinguaItaliano
Data di uscita28 mag 2024
ISBN9788825429299
Il Sigillo del demone

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    Anteprima del libro

    Il Sigillo del demone - Barbara Poscolieri

    1.

    Ascoltami, bambina.

    Oh sì, sì che lo sei, e non è una questione d’età. Da un certo punto di vista lo siamo tutti: siamo bambini davanti alla guerra che infuria tra uomini e demoni, siamo meno che embrioni al cospetto della storia dell’umanità e siamo nullità se paragonati a quella del nostro pianeta.

    Bambini, embrioni, nullità, eppure ci arroghiamo il diritto di decidere passato, presente e futuro di ogni cosa. Non credi sia un grandissimo atto di presunzione? Io ne sono convinto.

    Come vedi, al momento tutto quello che posso fare nella mia condizione è tramandare storie, ma tu non sottovalutare mai le storie, bambina, perché a volte sono tutto ciò che ci resta del nostro passato. E se è vero che nel futuro c’è la speranza e nel presente la possibilità di scelta, è nel passato che risiede la verità e solo conoscendo la verità farai la scelta giusta.

    Ascoltami dunque, ti racconterò cos’è successo al mondo, come è diventato questo cumulo di macerie e perché gli uomini strisciano tra i resti delle città che un tempo erano il loro vanto. Ti racconterò dell’arrivo dei demoni e ti parlerò degli Apostoli del Caos e della Maledizione con la quale ne ingrossano le schiere.

    Ascolta bene, bambina, perché anche tu sei stata maledetta.

    2.

    Mia detestava i Fori Imperiali. O, per meglio dire, le Vecchie Rovine, come la gente si ostinava a chiamarli. Come si ostinava a chiamare Quattro Rioni l’unica parte ancora intatta della città che un tempo era stata Roma.

    Nessuno aveva mai visto quel tempo, tantomeno lei. Bisognava andare ben più indietro dei suoi diciassette anni. Tutti avevano visto sempre e solo un’immensa, unica rovina e forse era per quello che avevano deciso di cambiare nome ai Fori: per la necessità di distinguere i ruderi vecchi da quelli nuovi, circoscrivendo un’area di macerie su cui nessuno aveva colpe. Lì la distruzione c’era stata millenni prima, né gli uomini né i demoni c’entravano niente.

    Mia sospettava che fosse proprio quella la ragione per cui detestava quel posto: quei quattro sassi non erano dei sopravvissuti, non erano una testimonianza del passato né una bellezza da preservare; se ne stavano semplicemente lì da millenni a mostrare cosa tutto sarebbe diventato. Polvere e macerie. E nel loro caso non c’era stata neanche la scusante dei demoni.

    La mano ebbe un fremito sulla colonna dietro la quale se ne stava nascosta. Nere su una pelle che passava dal roseo al grigio, le linee dei tatuaggi sgusciarono dalla manica della felpa e si protesero verso le dita. Mia sentì l’inchiostro pulsare fin sui polpastrelli. Le unghie divennero artigli e scavarono la pietra quando chiuse il pugno per contenere l’improvviso richiamo del sangue.

    Si sporse oltre la colonna e vide la sua preda attraversare di corsa lo spiazzo esposto tra due cumuli di roccia che una volta erano stati un tempio o chissà cos’altro. Lo osservò muoversi in modo goffo, forse ostacolato dal lungo cappotto irrigidito dal fango o forse solo ingobbito nel tentativo di rendersi meno visibile nonostante la luna piena lo illuminasse fin troppo bene. Non che lei avesse bisogno della luna per vedere al buio.

    La schiena del fuggiasco si raddrizzò un momento quando si voltò a guardarsi alle spalle. Aveva un viso dai lineamenti maschili ma delicati, un accenno di barba rossiccia, occhi di un azzurro chiarissimo. Mia quasi si dispiacque al pensiero di rovinare quel bel faccino.

    Come se lui avesse intuito le sue intenzioni, tornò a farsi piccolo nel logoro soprabito e cercò un riparo tra gli alberi. L’aria era satura della sua paura ed era giusto che ne avesse avendo alle costole qualcuno come lei.

    Le sfuggì una smorfia: nessuno era come lei.

    Le sfuggì anche uno sbuffo: prima di occuparsi della sua preda avrebbe dovuto togliersi dai piedi il ragazzo che la seguiva fin dal tramonto. Doveva averla individuata quando aveva guadato il fiume all’altezza dell’Isola Tiberina e poi doveva averlo attraversato a sua volta, probabilmente con un ponte improvvisato perché dal rumore che facevano i suoi passi sull’asfalto non sembrava essersi bagnato le suole. Era bravo, doveva ammetterlo: si era tenuto sottovento ed era rimasto a una distanza tale da poterla controllare senza farsi scoprire. E in effetti lei non si sarebbe accorta della sua presenza se non fosse stata… beh, se non fosse stata lei.

    Sentì i tatuaggi vibrare sottopelle, smaniosi di ricevere il loro pasto di sangue. Faticò più del solito a far rientrare gli artigli per tornare ad avere un aspetto umano. Dannazione, doveva sbarazzarsi al più presto di quel ragazzo se voleva concludere la caccia.

    Le dita sfiorarono il pugnale alla cintura, poi salirono alla bandoliera sul torace in cui erano fissati quelli da lancio e ne estrasse un paio. Girò intorno alla colonna, celandosi alla vista dell’inseguitore, che fu costretto a uscire dal suo nascondiglio dietro un platano per vedere che fine avesse fatto. Quando lei sentì il fruscio dei suoi passi, scattò allo scoperto e lanciò.

    Le punte dei coltelli inchiodarono al tronco il maglione del ragazzo all’altezza degli avambracci.

    Mia gli si avvicinò con altri due pugnali pronti tra le dita. Lanciò uno sguardo sdegnoso alla daga alla cintura, decidendo che non valeva neanche la pena disarmarlo, poi tornò a guardarlo in faccia. Non doveva essere molto più grande di lei, ma era possibile che fosse il sorrisetto sfrontato con cui la stava fissando a farlo sembrare più giovane. Non le piaceva per niente che fosse così rilassato: se solo avesse saputo cos’era lei, sarebbe stato tutt’altro che sorridente.

    – Non mi piace essere seguita.

    Non le piaceva neanche perdere tempo, specie mentre la sua vittima se la stava filando, perciò lasciò il ragazzo alle prese con i pugnali e corse via tra gli alberi.

    Per fortuna, la traccia dell’odore della sua preda era inconfondibile. Non era del tutto spiacevole, anche se non lo avrebbe definito un buon profumo: ricordava il muschio, i funghi, l’aria carica di umidità in attesa che arrivi il diluvio. Certo, ricordava anche il sentore di stalla e cane bagnato, e quello era il motivo per cui era ben contenta di limitarsi a puzzare di sporco e sudore.

    Vide uno svolazzo del ridicolo soprabito sotto un mastodontico arco rimasto intatto nei millenni per un qualche miracolo.

    Lanciò uno dei due coltelli nell’ombra e non le servì sentire il tonfo della lama che penetrava nella carne o il grido spezzato della sua preda per sapere di averla colpita.

    Gocce di sangue sul viale polveroso la guidarono al ferito. Trascinava la gamba trafitta, tentando pateticamente di continuare a fuggire. Un mugolio di dolore gli sfuggì tra i denti serrati.

    – Ti conviene fermarti – suggerì Mia. – Non ho intenzione di farti soffrire, mi basta ucciderti.

    Lui balzò indietro e si mise sulla difensiva con un unico movimento. Si rilassò quando si rese conto che a parlare era stata una giovane donna. Una che gli aveva appena infilzato la coscia con un coltello, ma pur sempre una giovane donna. Oltretutto sola.

    Mia vide le labbra di lui allargarsi in un sorriso, proprio come aveva fatto poco prima il ragazzo che ora se ne stava inchiodato a un platano. A quanto pareva, nemmeno i demoni riuscivano a vederla subito per ciò che era. Lei, invece, sapeva riconoscerli benissimo.

    – Vuoi morire con questo volto o con il tuo?

    Il sorriso da umano divenne una maschera di rabbia che lo fece somigliare molto più al demone che era, mentre una mano grigia improvvisamente dotata di artigli scattava verso di lei insieme a una radice guizzata dal terreno. Mia schivò entrambe piegandosi sulle ginocchia e, nel rialzarsi, lacerò con un pugnale la gola dell’avversario.

    – Vada per questo volto, allora.

    Il demone barcollò, gorgogliò versi senza senso e poi cadde al suolo vicino alla radice di nuovo inerte. Mia ripose i pugnali nei foderi e gli si inginocchiò accanto mentre quello soffocava nel suo stesso sangue. Man mano che la vita lo abbandonava, tornava al suo aspetto di demone, con il muso allungato come quello di un lupo da cui spiccavano possenti zanne e il corpo muscoloso ricoperto da uno spesso strato grigio, sotto il quale si estendeva il reticolo bluastro delle vene. Presto sarebbero comparse la coda e le corna, ma Mia non aveva tempo per vedere la sua trasformazione: posò le mani sul collo del mostro, là dove il pugnale aveva colpito, e chiuse i palmi sullo squarcio da cui continuava a sgorgare sangue. I tatuaggi pulsavano come ferite aperte, carne viva che cercava un palliativo al dolore. Una leggera brezza le smosse i capelli, ma lei non si accorse dei ricci ramati che le solleticavano il viso. Ascoltava soltanto il proprio respiro, il battito regolare del cuore, il calore del sangue del demone sui palmi e lungo le dita e poi su, morbido e viscoso, a risalire il dorso delle mani, i polsi, l’intero braccio, seguendo le linee dei tatuaggi che adesso erano di un azzurro intenso. Sentì la magia dilagare in lei. Chiuse gli occhi e l’accolse dentro di sé assieme al sangue del demone.

    3.

    I tatuaggi si erano ritratti e lo stesso avevano fatto gli artigli. La pelle era tornata del solito colorito roseo.

    Mia ripulì dal sangue palmi e pugnali sul soprabito del demone, si rialzò e ripose le armi nei foderi.

    Un rumore di foglie secche le diede conferma di quanto il suo naso aveva già colto.

    – Non ti è bastato l’albero? Vuoi passare un po’ di tempo anche in compagnia della pietra? – chiese al ragazzo nell’ombra dell’arco monumentale. La carezza ai coltelli nella bandoliera sarebbe dovuta essere una minaccia sufficiente per farlo scappare a gambe levate, invece lui uscì dal buio con lo stesso sorriso di poco prima. Almeno aveva il buon senso di tenere in alto le mani, lontane dalla daga. Nella destra, però, riconobbe i suoi pugnali.

    – Se fossi così gentile da non infilzarmi di nuovo il maglione te ne sarei grato. Ci ho messo una vita a liberarmi e solo a costo delle maniche. Guarda qui che squarci! – Rivolse lo sguardo sull’indumento lacero, poi lanciò un’occhiata al demone e fischiò di meraviglia. – Ok, il suo è decisamente peggiore.

    Mia gli si avvicinò e gli strappò i coltelli di mano.

    Si incamminò verso il fiume. La caccia le aveva messo fame e non le sarebbe dispiaciuto concedersi un pasto caldo nella locanda di qualche Rione prima di andarsene a dormire nel buco che chiamava casa. Tornò indietro verso il cadavere del demone. Alcuni dei vestiti si erano danneggiati durante la trasformazione: i mocassini erano a brandelli, distrutti dagli artigli, la camicia si era strappata sulle braccia e sul petto e, ora che gli era rispuntata la coda, anche i pantaloni non erano nelle migliori condizioni. Come facevano a non capire che dovevano indossare abiti comodi? Lei aveva rimediato dopo la seconda volta che si era ritrovata in mutande. Anfibi, felpa, jeans larghi, era quello l’abbigliamento adatto per quelli come loro, non certo mocassini e camicia. Il soprabito almeno era integro e Mia iniziò a cercare da lì. Controllò entrambe le tasche, che però erano vuote, poi infilò la mano in quelle dei calzoni mezzi rotti ed eccoli: i soldi per la sua cena.

    – Beh, a lui di certo non servono più – commentò il ragazzo alle sue spalle.

    Mia lo ignorò e lo superò di nuovo, ma dopo pochi passi si rese conto che le stava andando dietro.

    – Ti ho già detto che non mi piace essere seguita. E non mi piace nemmeno ripetermi.

    – Non ti stavo seguendo.

    – Ah no?

    – Sì, ok, prima ti stavo seguendo, ma ci siamo già chiariti per quello, no? – Indicò i buchi sul maglione. – Poi sono venuto qui per darti una mano. Avevo capito anch’io che quello era un demone, cosa credi?

    – Credo che parli troppo. – Mia scavalcò con un balzo un muretto e il ragazzo fece altrettanto, ma quando fu dalla parte opposta lei gli saltò addosso e lo atterrò. Gli bloccò le braccia con le ginocchia e gli puntò un coltello alla gola. – Adesso però mi stai seguendo. Perché? Cosa vuoi da me?

    – Ok, d’accordo, calmiamoci e ricominciamo da capo. Mi chiamo Cris.

    – Non ti ho chiesto come ti chiami. Ti ho chiesto perché mi stai seguendo da tre giorni e cosa vuoi da me.

    Finalmente un sussulto di sorpresa. Non erano stati i suoi pugnali a causarlo, né quando glieli aveva lanciati contro né ora che gliene teneva una contro il collo, ma si sarebbe accontentata.

    – Ti eri accorta di me fin da subito?

    – Ti ho già detto che non mi piace ripetermi, vero?

    Non sapeva se era più incuriosita o infastidita da quel tipo. Lui continuò ad alimentare il dubbio.

    – Senti, se mi togli quest’affare dalla gola e smetti di bloccarmi la circolazione alle braccia prometto che ti dico tutto.

    – D’accordo. – Mia sospirò nello spostarsi da sopra di lui.

    – Grazie. Certo che non sei propriamente l’accoglienza fatta persona.

    Aveva deciso: la infastidiva.

    – Mi chiamo Cris e, no, non è quello che mi hai chiesto, ma sono abituato a presentarmi. Sai, si fa così in una società civile.

    – E qual è per te la parte civile di questa società? I demoni o la devastazione che abbiamo intorno?

    – I Quattro Rioni – rispose lui convinto.

    Oh, certo. I Quattro Rioni. Per lei garantivano la stessa sicurezza che c’è nell’occhio di un ciclone: puoi anche startene tranquillo a guardare i venti che spazzano via ogni cosa intorno a te, ma non andrai mai da nessuna parte perché quei venti spazzerebbero via anche te se solo osassi mettere il naso fuori. Non credeva avesse molto senso costruire qualcosa nell’occhio di un ciclone, ma doveva essere l’unica a pensarla in quel modo.

    – Io sono di Rione Prati. Tu non sei di uno dei Quattro, vero? Da quale degli Altri Rioni vieni? – le chiese il ragazzo. Cris. Il suo sguardo torvo dovette bastargli come risposta. – Ok, ok. Tre giorni fa stavo pattugliando i confini e ti ho visto combattere contro un demone lungo il Tevere, davanti alle Ancore. Volevo venire ad aiutarti e avevo già richiamato altri soldati perché attraversassero il fiume con me, ma tu non avevi bisogno dell’aiuto di nessuno. Non eravamo ancora neanche scesi dall’argine che lo avevi già ucciso.

    Ricordava quel demone. Non perché le avesse dato del filo da torcere, al contrario, lo aveva puntato proprio perché era già ferito, forse dagli stessi soldati di cui parlava Cris. Non lo ricordava nemmeno perché da qualche parte sulla sua fronte doveva esserci ancora il bernoccolo che le aveva causato quando le aveva sbattuto la testa contro il metallo nero dell’ancora che spaccava in due la carreggiata. L’altra, che nel cadere aveva sfondato la facciata del palazzo che un tempo abbelliva, aveva accolto la sua schiena quando il demone ce l’aveva lanciata contro. Sì, d’accordo, forse il suo corpo lo ricordava per questo, ma lei si ricordava di quella caccia perché non aveva potuto usare il sangue del demone quando infine l’aveva ucciso. Non così in fretta come aveva detto Cris, a dire il vero. Sapendo di trovarsi in un luogo esposto, aveva provato a portare il combattimento in uno dei vicoli più nascosti, magari fingendo una fuga, ma poi aveva notato il movimento sulla riva opposta e aveva dovuto concludere in fretta e lasciare lì il corpo.

    Quel Cris aveva iniziato a starle tra i piedi prima di quanto credesse.

    – E allora? – gli chiese. – Mi hai seguita perché vuoi un corso accelerato di combattimento contro i demoni?

    – In effetti se tu accettassi ci alleneremmo insieme, ma stai sicura che potrei insegnarti qualcosa anch’io.

    Mia ne dubitava.

    – Se io accettassi cosa?

    – Di combattere con noi.

    Mia non aveva mai combattuto per qualcuno o per qualcosa di diverso dal sangue di demone e non aveva neanche mi pensato di farlo perché la sua non era una difesa, non era una resistenza: la sua era una caccia. Nella grande piramide di prede e predatori che le si compose nella mente, alla base c’erano gli uomini, nel mezzo i demoni e in cima c’era lei. No, lei non combatteva per difendersi, anche se in un certo senso sempre di sopravvivenza si trattava. Lo sguardo le cadde sui tatuaggi che spuntavano dalle maniche della felpa. Le tirò più giù.

    – Io combatto da sola – disse soltanto.

    – Lo so. Non sei dei Quattro Rioni, ho controllato. Credo tu venga da uno degli Altri Rioni. Trastevere? Trevi?

    Aveva controllato? E l’aveva seguita per tre giorni.

    – Cos’è che sei? Una specie di maniaco?

    Cris rise. – No, te l’ho detto: voglio solo che combatti con noi, nient’altro. Dopo aver perso le tue tracce alle Ancore, ho chiesto di te a Trinità dei Monti. Visto dove ti trovavi, all’inizio ho pensato che fossi di Rione Prati o di Rione Campo

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