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La Guerra dell’Onniologo: La Singolarità dell’Onniologo, #3
La Guerra dell’Onniologo: La Singolarità dell’Onniologo, #3
La Guerra dell’Onniologo: La Singolarità dell’Onniologo, #3
E-book714 pagine9 ore

La Guerra dell’Onniologo: La Singolarità dell’Onniologo, #3

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Info su questo ebook

Sacrificheresti milioni d'individui per salvarne miliardi?

Il mondo sta bruciando.

Un virus killer si è diffuso nel cyberspazio. Migliaia di persone soccombono ogni giorno ai suoi effetti devastanti, e trovare una cura sembra improbabile quanto fermare il responsabile che l'ha creato.

La fabbrica della società è in disfacimento. Correnti politiche estremiste fomentano odio e ribellioni, mentre le istituzioni politiche collassano e il caos si diffonde in tutto il mondo.

In questo periodo d'instabilità e d'incertezza, Saemangeum City è sotto attacco. Pericolosi esseri bionici camminano nelle strade della città, intenzionati a mettere in ginocchio l'ultima resistenza contro di loro.

A comandarli è una figura potente e misteriosa che l'Onniologo stesso temeva, qualcuno in grado di distruggere una volta per tutte il progetto segreto per cui ha sacrificato la sua vita.

La guerra prevista dall'Onniologo è scoppiata.

E la storia può ammettere un solo vincitore…

LinguaItaliano
Data di uscita21 giu 2024
ISBN9781988770475
La Guerra dell’Onniologo: La Singolarità dell’Onniologo, #3

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    Anteprima del libro

    La Guerra dell’Onniologo - Michele Amitrani

    PARTE I

    PATRONO

    1

    RISVEGLIO

    MAR GIALLO, COLPO DI CANNONE MASTODON

    Ariul

    GOLIA GUARDÒ L’ALCOVA che aveva davanti con occhi vacui, perso nei suoi stessi pensieri. Era da più di un’ora che stava lì in piedi, immobile come una statua, nell’oscurità di una stanza di forma rettangolare caratterizzata da una serie di macchinari che producevano incessantemente rumori simili al risucchio di una siringa.

    Il Capitano fece un profondo respiro, e per l’ennesima volta combatté il desiderio inebriante di trasformare il suo corpo, di renderlo un’arma da scaraventare contro i suoi nemici. Più facile a dirsi che a farsi, specialmente con la dose di adrenalina che galoppava nelle sue vene.

    Chiuse gli occhi e fece un altro respiro profondo. Molto profondo. Rischiare di trasformarsi lì dentro sarebbe stato pericoloso, oltre che stupido. Doveva esercitare cautela. Doveva continuare a respirare.

    Sorrise nonostante tutto, un sorriso obliquo, genuinamente arido e privo di gioia. Controllo. Una parola che non aveva mai applicato alla sua vita, perfino prima della sua Rinascita, perfino prima di assumere il nome di Golia, quando familiari e conoscenti lo chiamavano Josh. Josh…Ah…Stein. Sì, Stein. Il nome venne rievocato lentamente, come se fosse un oggetto nascosto in un banco di nebbia.

    Golia grugnì, e un’espressione di sdegno vestì il suo volto color ferro. Josh Stein era stata una persona patetica, indecisa, storpiata dalle limitatezze di una vita che non aveva scelto, una vita che non aveva mai voluto. Era solo quando era arrivata l’Archetipa, benedicendolo con la Chiamata e battezzandolo con la Rinascita, che aveva effettivamente iniziato a scegliere. A cominciare dal suo nome: Golia.

    Nel mondo limitato in cui viveva prima della Rinascita, erano i genitori a scegliere i nomi dei propri figli. Un’usanza stupida e narcisistica, ovviamente. Era come puntare un dito su un completo sconosciuto ed etichettarlo per qualcosa che non era. Nessuno aveva il diritto di dare un nome ad una persona, se non la persona stessa. Era quello che diceva l’Archetipa, qualcosa che Golia aveva sempre ritenuto sacrosanto.

    Dopo qualche istante, speso a considerare i suoi ricordi, Golia scosse la testa, sorpreso dal modo in cui stava divagando. Ed eccolo lì, ad indugiare sulla sua vita prima della Chiamata, quando davanti a lui c’era un compagno d’armi impegnato in uno scontro a singolar tenzone con la morte.

    Golia si costrinse a studiare il contenuto dell’alcova. Al suo interno, oltre il campo di forza che circondava l’alloggiamento, stava una figura incosciente sospesa in una soluzione salina.

    Saga era un fratello che aveva sempre rispettato, nonostante la sua personalità a dir poco peculiare. Golia non sapeva niente della vita di Saga prima della Chiamata, solo che la sua fedeltà alla Luce non era seconda a nessuno. Egli era uno dei fratelli più forti e motivati che conoscesse, e probabilmente il guerriero migliore a bordo della Mastodon. Lo aveva mandato in diverse missioni, ed aveva sempre risposto con zelo ai suoi ordini. Sì, Saga era un vero credente nella causa per cui stavano combattendo.

    E aveva pagato caro per questa sua credenza. Molto caro. I dunami non avevano risparmiato un solo centimetro del suo corpo. Golia non poté far a meno di trasalire quando valutò il suo corpo martoriato. Gran parte della sua spalla destra e la quasi totalità del suo torace non esistevano più. Il braccio sinistro s’interrompeva all’altezza del gomito, e aveva cominciato a rigenerarsi solo qualche ora prima, stentatamente, e non senza produrre appendici deformi che erano state rimosse in tutta fretta, per evitare che contaminassero il resto del suo corpo. Nessuno a bordo sapeva se il suo sistema linfatico avrebbe compensato le evidenti mancanze fisiche. Neppure Ishtar, la Dama di bordo, osava pronunciarsi sulla sua situazione disperata.

    Golia si concentrò sul volto del compagno d’armi. Gli occhi del guerriero erano chiusi, una maschera ricopriva quasi totalmente il suo volto, fornendogli aria, nutrimento e assistendolo nel delicato processo di rigenerazione.

    Stupefacente, pronunciò Golia a bassa voce, manifestando stupore ed orgoglio per la resistenza dimostrata dal suo sottoposto. Era confinato in quell’alcova da più di un giorno, ormai, e la sua testardaggine era davvero l’unica cosa che lo teneva lontano dall’oblio.

    Saga era stato l’unico sopravvissuto di un’operazione che si era conclusa con un completo fallimento. Soltanto lui ed un altro biomecca del Colpo di Cannone Mefisto erano riusciti a tornare vivi da Saemangeum City. L’altro biomecca era morto quasi immediatamente dopo essere tornato, a causa delle ferite riportate nello scontro.

    Quando Ishtar aveva visto Saga, gli aveva dato poche ore di vita, eppure lui l’aveva smentita più volte, tenendo a bada la morte come un lupo messo all’angolo tiene a bada un orso.

    Golia serrò i denti, e il suo volto color ferro assunse un’espressione severa. Era stato lui a mandare Saga e gli altri fratelli come esche per attirare l’attenzione dei dunami. Era stato lui a decretare la loro morte. L’operazione non aveva funzionato, e i dunami non avevano abboccato all’amo. L’altro gruppo d’incursori organizzato dal Colpo di Cannone Behemoth aveva dovuto abbandonare l’operazione ancor prima di raccogliere qualsiasi dato significativo.

    Gli occhi color fiamma del Capitano della Mastodon brillarono nella semi-oscurità della stanza. Sì, era stato un completo spreco di risorse, di tempo e di…

    Beep!…Beep!…Beep!

    Un suono intermittente fece scattare la testa di Golia verso il macchinario che lo aveva provocato. Si trattava della console che mostrava i segnali vitali di Saga. Il dispositivo aveva preso a registrare dell’attività. Il Capitano aggrottò la fronte, stupito. Il fratello si stava forse svegliando?

    Golia si toccò velocemente il polso. Ishtar, chiamò, mentre gettava occhiate veloci al macchinario e a Saga, ho bisogno di te nella Stanza di Rigenerazione. Credo che Saga si stia svegliando.

    Ricevuto, Capitano, disse la Dama. Sto arrivando.

    Golia interruppe la comunicazione e si avvicinò all’alcova. Il guerriero al suo interno aveva cominciato a muoversi. Movimenti quasi impercettibili ed improvvisi, ma che erano un chiaro segnale di vita.

    Fratello? chiamò Golia, poggiando le mani sul campo di forza. Si assicurò che il dispositivo di comunicazione dell’alcova fosse acceso, prima di proseguire. Riesci a sentirmi?

    Ogni movimento del corpo cessò all’improvviso, e il guerriero sembrò come essersi spento.

    Saga? Il Capitano si avvicinò ulteriormente all’alcova. Saga, mi senti?

    In quel momento, occhi color sole si aprirono all’improvviso, e Golia s’irrigidì. Saga era cosciente, adesso.

    Il guerriero si guardò attorno, confuso, prima che un’espressione di dolore deformasse il suo volto. I suoi occhi saettarono a destra e a sinistra, smarrimento e paura che si alternavano ad evidenti spasmi di dolore.

    Fratello, sei al sicuro, disse Golia, cercando di attirare la sua attenzione. Calmati. Sei ferito gravemente. Saga, riesci a sentirmi? Devi cercare di non muoverti. Guardami. Non devi agitarti.

    Saga smise di dimenarsi quando finalmente i suoi occhi incontrarono quelli del Capitano. E lì il suo sguardo indugiò per parecchio tempo. Alla fine annuì, quindi indicò la sua maschera con l’unica mano che gli era rimasta, un’azione che dovette risultare molto dolorosa, a giudicare dalla sua espressione. Tuttavia, non sembrò fare caso al dolore. Indicò la maschera, quindi il campo di forza e scosse vigorosamente la testa. Ripeté il gesto una mezza dozzina di volte, prima che l’altro capisse che cosa volesse dire.

    No, fratello, disse Golia, stupito da quella richiesta. Non posso farti uscire da lì. Non ancora. Ascolta, il tuo corpo ha bisogno di…

    Saga continuò ad indicare la maschera e il campo di forza, con sempre maggiore insistenza. Golia si guardò attorno. Ishtar avrebbe impiegato del tempo ad arrivare. Si trovava sul Colpo di Cannone Crono, al momento, e lei era l’unica a bordo della Mastodon a sapere davvero che cosa fare con un fratello ferito.

    Saga continuò a dimenarsi, ripetendo lo stesso gesto più e più volte. Golia guardò con apprensione crescente la console con i segnali vitali. Stavano fluttuando in modo alquanto preoccupante. Se il compagno avesse continuato a dimenarsi in quel modo…

    Saga, guardami! disse Golia, attirando la sua attenzione. Ishtar sarà qui tra poco. Devi conservare le forze, devi cercare di non…

    Niente. Il fratello continuava a dimenarsi, a ripetere il solito gesto con maggiore insistenza. Il Capitano adocchiò ancora una volta il dispositivo di comunicazioni. Stava funzionando senza problemi. Allora per quale motivo Saga si agitava in quel modo? Perché voleva così disperatamente lasciare l’alcova?

    Va bene, disse Golia alla fine, imprecando a bassa voce. Ma smetti di muoverti. Preparati, sto per disattivare il campo di forza.

    Golia fece volare le dita sulla postazione di controllo, e la soluzione salina cominciò ad essere assorbita da una pompa. L’alcova si svuotò in pochi secondi, e a quel punto, dopo aver lanciato un’ultima occhiata al fratello, Golia fece sparire il campo di forza.

    Il Capitano della Mastodon afferrò il fratello ferito, e Saga estrasse la maschera dal suo volto. Non appena lo ebbe fatto, cominciò a tossire convulsamente, sputando una sostanza gialla mista ad acqua.

    Piano! lo avvertì Golia, poggiandolo delicatamente a terra e voltandolo sul fianco. Una boccata d’aria alla volta. Ti ho detto che non era tempo di svegliarsi! Che cosa…

    Fortezza del Colpo! esclamò Saga, chiamando Golia con il suo titolo ufficiale. Il fratello tossì un altro paio di volte prima di continuare. Saga ha notizie urgenti. Saga ha… un’altra scarica di tosse lo zittì all’istante.

    Saga ha bisogno di calmarsi, lo avvertì Golia, facendo pressione con entrambe le mani sul suo torace, Qual è il significato di tutto questo? Devi tornare nella soluzione. Adesso! Sei stato ferito molto gravemente nell’ultima operazione. Ascolta, non puoi permetterti di perdere altro…

    Non c’è tempo, Alfa! disse Saga, scuotendo insistentemente la testa. Saga deve riferire. Saga deve… Fare rapporto…

    Avrai tempo di riferire qualsiasi cosa credi sia rilevante una volta che…

    No! Adesso!

    Golia aggrottò la fronte. Per quale motivo era così testardo? Cosa poteva esserci di tanto urgente da rischiare la propria vita?

    Parla, dunque, disse Golia, invitandolo a proseguire. Che cosa c’è di così importante?

    Siamo osservati, Alfa, disse Saga velocemente, quasi rantolando tra un colpo di tosse e l’altro.

    Osservati? ripeté Golia, confuso. Non capisco. Di che cosa stai parlando?

    Ci sono occhi che sanno di noi, proseguì l’altro, sforzandosi di respirare, E non si tratta di occhi dunami.

    2

    GEODE

    SAEMANGEUM CITY, CELLULA GEODE DEL PROGETTO PATRONO

    Ariul

    LENA FISSÒ LA mano tesa come se fosse un salvagente attorno al quale era avvinghiato un cobra. La sua insicurezza stava combattendo contro la sua volontà di avere finalmente risposte. Aprì la bocca, e fece per parlare, ma alla fine decise di rimanere in silenzio.

    Tiago manteneva la sua postura, il braccio rivolto verso di lei, in attesa. Dopo aver pronunciato il suo invito, non si era mosso di un millimetro, e aveva continuato a guardarla, a domandare con quello sguardo gentile eppure risoluto una scelta: prendere la mano oppure non prenderla, iniziare un viaggio che non aveva idea di dove l’avrebbe condotta, oppure voltarsi e dimenticarsi di tutto. La sua mente rievocò le parole del Supervisore di Ariul: ‘Voltati, varca quella porta, dimentica tutto questo e vivi la tua vita nella benedizione dell’ignoranza.’ E ora, con quel gesto, Tiago le stava offrendo esattamente quello, una possibilità di voltarsi indietro.

    ‘Lascia che ti mostri il mondo dell’Onniologo’.

    L’ultima frase che aveva pronunciato il Cancelliere s’impose improvvisamente alla sua attenzione, come se in mezzo a quelle parole ci fosse un’implicazione importante che avrebbe dovuto comprendere.

    ‘Il mondo dell’Onniologo’.

    Lena non poteva negarlo. C’era senz’altro qualcosa di familiare in quella frase, ma non aveva idea di che cosa fosse.

    ‘Onniologo’.

    Sì. Doveva essere quella parola. ‘Onniologo’. Era qualcosa che aveva sentito tempo prima, ma che ora non riusciva a collegare a nessuna immagine. Perché? Dove aveva sentito quella successione di lettere per la prima volta?

    Lena rievocò alcuni ricordi mentre cercava disperatamente di aggrapparsi a qualsiasi elemento utile per capire il significato della parola ‘Onniologo’. Distolse lo sguardo da Tiago, e chiuse gli occhi per un paio di secondi, alla disperata ricerca di una risposta. Immagini le balenarono davanti, e la ragazza si sforzò di dare loro un significato.

    Un telegoy acceso mentre un giornalista parla delle notizie del giorno…Una conversazione ascoltata mentre cammina per strada…una notizia letta con la coda dell’occhio su DataMorph…un commento fatto da un conoscente su un evento che era stato riportato nell'etere…Sì, ‘Onniologo’ era una parola che aveva già sentito prima, in circostanze diverse. Tuttavia, non riusciva davvero a collegarla a nulla di concreto. Non in quel momento, almeno.

    Lena aprì nuovamente gli occhi e decise di mettere da parte quei pensieri, cercando di concentrarsi sul momento presente, e sulla scelta che avrebbe dovuto fare.

    Passarono due, tre, cinque secondi senza che Lena sapesse che cosa fare. Il tempo sembrava come essersi cristallizzato, e la sua mente era incapace di prendere una decisione.

    Che cosa voleva, davvero? Risposte a delle domande? Bene, Tiago si era offerto di dargliele. Allora che cosa stava aspettando? Tutto quello che aveva voluto era letteralmente a portata di mano, adesso. Si trattava semplicemente di alzarsi e di accogliere l’invito fatto da questa persona che sembrava conoscere così bene Wei Wang e la sua storia.

    Eppure, una parte di lei esitava, le impediva di muoversi, di accogliere quell’invito.

    Era paura quella che stava provando, paura di trovarsi in una situazione che avrebbe potuto metterla in pericolo, che avrebbe potuto scatenare conseguenze che non avrebbe mai potuto prevedere. Il Supervisore di Ariul l’aveva messa in guardia da quel pericolo, ma a Lena a quel tempo era sembrata una minaccia remota, qualcosa di vago, indistinto.

    Prendere quella mano avrebbe voluto dire accettare l’invito a entrare in quel mondo sconosciuto, un mondo che il Supervisore le aveva detto essere nel bel mezzo di una guerra, e diventare ufficialmente parte di essa. La sua riluttanza era una sorta di difesa autoimposta, la sua ultima possibilità di fare un passo indietro, di fuggire da qualsiasi cosa Wei Wang le avesse voluto affidare.

    ‘Tu sei il desiderio di un cuore infranto,’ le aveva detto Tiago, ‘e forse l’ultima speranza della razza umana così come noi la conosciamo. Molti di noi ti chiamano la Cornucopia.’

    Ultima speranza. Razza umana. Cornucopia. Quelle parole erano cariche di significato, e al tempo stesso erano un mistero che non avrebbe potuto svelare senza accettare l’invito concretizzato da quella mano tesa.

    Wei Wang. La figura leggendaria che aveva creato il movimento altista e costruito le fondamenta di una civiltà spaziale. L’aveva davvero scelta solo per il suo legame con Evangeline? Le sembrava tutto così assurdo, così difficile da credere.

    Lena serrò la mascella, e per la prima volta la sua incertezza venne affiancata da un’altra sensazione. Rabbia. Wei Wang l’aveva usata. Sì. Non c’erano altre parole per descrivere la serie di eventi che l’aveva portata lì, di fronte a Tiago.

    Ora che ci pensava, che importanza aveva per quale motivo il Primo Altista l’avesse scelta? O che cosa volesse da lei? Era davvero così importante sapere che cosa si nascondeva dietro al ciondolo a forma di Pelargonium? O quali fossero le motivazioni alla base della guerra tra dunami e biomecca? Tutto quello che importava era che si era lasciata alle spalle la vita di miseria a Los Angeles. Avrebbe potuto semplicemente sfruttare quella fortuna insperata. Non era scritto da nessuna parte che dovesse diventare una pedina sulla scacchiera, come aveva detto il Supervisore di Ariul. Poteva mettere a tacere la sua curiosità, il suo bisogno di sapere, dimenticarsi di tutto e rifarsi una vita.

    Eppure, nel momento stesso in cui formulò quel pensiero, qualcosa si accese dentro di lei. Non si trattava solamente della portata di quella scelta, ma del rimpianto che avrebbe provato se non avesse scoperto che parte aveva in quella storia.

    Paura, eccitazione, curiosità, rassegnazione, un uragano di sensazioni diverse le fecero incontrare nuovamente gli occhi color nocciola di Tiago mentre si sporgeva lentamente verso di lui e alzava il suo braccio, incontrando finalmente la sua mano tesa.

    Erano passati meno di venti secondi da quando Tiago le aveva fatto quell’invito, ma erano stati i venti secondi più lunghi della sua vita.

    Il Cancelliere allargò il sorriso mentre le loro mani s’intrecciavano. Per un momento, ho pensato seriamente che avresti potuto darmi del pazzo, disse, aiutandola ad alzarsi, Ti confesso che a volte non credo neppure io a tutta questa storia. Ed indicò la stanza attorno a loro con un esplicativo movimento delle braccia. Beh, comunque sia, direi che è arrivato il momento di mantenere fede alla mia parola. Ti ho promesso delle risposte ad alcune delle tue domande, ed è esattamente quello che ho intenzione di fare. Ma prima voglio assicurarmi che tu ti senta bene. Il siero che ti abbiamo dato a volte provoca effetti collaterali piuttosto spiacevoli. Mal di testa, perdita dell’equilibrio, sonnolenza, questo genere di cose, insomma. È il tuo caso?

    Lena sentì solo in quel momento un certo dolore alla base della nuca, ma oltre a quello, si sentiva bene.

    Mai stata meglio, fu la sua risposta. Quel leggero mal di testa sembrava dopotutto gestibile, e non sentiva il bisogno di preoccupare il Cancelliere.

    Bene, allora, disse Tiago. Come prima cosa, meglio assicurarsi che tu possa camminare qui dentro senza che un gruppo di dunami cerchi di abbatterti ogni volta che giri l’angolo. Vieni con me.

    Lena aggrottò la fronte per quella che credeva fosse una battuta. Il Cancelliere aveva già dimostrato di avere un senso dell’umorismo piuttosto particolare.

    Arrivarono di fronte ad un terminale caratterizzato da un semplice schermo in carbonfibra.

    Immagino tu voglia farmi un trilione di domande in questo momento, disse Tiago, considerandola per un momento.

    Lena annuì. Non ti si può nascondere davvero niente, non è vero? rispose, forzando un sorriso.

    Ti capisco, ovviamente, disse Tiago, inclinando leggermente la testa. Tuttavia, penso sia utile avvertirti fin da subito che la maggior parte di quello che vedrai una volta varcata la porta di questa stanza ti risulterà…Ah…peculiare, oserei dire.

    Peculiare? ripeté Lena, alzando un sopracciglio. "Mi sembra una parola un po’ vaga, non credi? Non addolcire la pillola, per favore. Se non ho il fegato di ascoltare quello che mi aspetta, penso che non sarò mai pronta per vederlo. Che dici?"

    Tiago sembrò riflettere su quella risposta. Alla fine annuì, Beh, direi che la tua è una risposta sensata, Lena Maruishi. Ti prometto che non addolcirò la pillola, allora, neppure quando sarebbe saggio farlo. Ma lascia che ti avverta: ogni risposta che ti darò provocherà almeno altre dieci domande. Cercherò di rispondere a quelle domande al meglio, ma lascia che sia anche il tuo stesso giudizio a farti da guida.

    Lena annuì.

    Eccellente. Tiago le indicò il terminale. Ora poggia la mano destra qui sopra, per favore.

    Lena fece come le era stato detto. Il display s’illuminò di una luce bianca e Tiago iniziò a digitare alcuni dati su una console lì vicino. EVA, disse ad un tratto, rivolgendosi al soffitto, Registra l’impronta che stai ricevendo. Inizia la creazione di un nuovo avatar. Livello di operatività: Gamma. Mi faccio garante di questa aggiunta.

    Confermato, rispose EVA. Prego, inserire impronta vocale.

    Pronuncia il tuo nome chiaramente, la istruì Tiago, indicando nuovamente il terminale con un cenno della testa.

    Lena si schiarì la gola. Lena Maruishi, disse.

    Confermato, ripeté EVA. Un nuovo avatar è stato aggiunto al progetto Patrono sotto il nome ‘Lena Maruishi’, livello di operatività Gamma. Garante, Cancelliere Tiago Silva Abreu Melo.

    A quel punto il terminale si spense e Tiago le fece segno di togliere la mano.

    Molte delle persone con cui lavoro definirebbero quello che ho appena fatto come un atto avventato, disse Tiago, indicando il display. A me piace pensare che sia un atto di fede. Ti ho appena dato il permesso di gironzolare liberamente dentro Geode, la struttura sotterranea in cui ti trovi. Per una maggiore libertà di azione, temo dovremo aspettare del tempo.

    Quale sarebbe stata l’alternativa? chiese Lena, incuriosita da quello che aveva appena detto il Cancelliere.

    Rinchiuderti in questa cella e mantenerti sotto il siero fin quando non avessi ricevuto istruzioni dall’Agorà, come da regolamento. Ancor meglio se controllata ventiquattr’ore su ventiquattro da una squadra di dunami armati di tutto punto.

    Agorà? chiese Lena, Che cos’è?

    Oh, ma certo, disse Tiago, sfiorandosi distrattamente la fronte. L’Agorà è l’organo decisionale che regola il funzionamento di tutte le installazioni del progetto Patrono.

    Tutte? ripeté Lena, stupita. Vuoi dire…vuoi dire che esistono diversi posti come questo?

    Tiago sorrise. Oh, Lena Maruishi, disse, e il suo volto s’illuminò tutto d’un tratto. Non ne hai idea.

    Lena socchiuse gli occhi, mentre scrutava quelli di Tiago, Perché lo avresti fatto? chiese. Voglio dire, perché non tenermi rinchiusa? Se è davvero contro le vostre leggi, per quale motivo correre questo rischio?

    Il Cancelliere non si ritrasse da quello sguardo carico di curiosità. Perché dando il benvenuto a te, do il bentornato a Wei, disse semplicemente.

    Lena fu colpita da quella risposta. Aveva avvertito un misto di gioia e di malinconia in quelle parole.

    Tiago distolse velocemente lo sguardo e si schiarì la voce. Frugò nelle sue tasche e ne emerse con il ciondolo a forma di foglia di Pelargonium, che porse a Lena Rimettiamo questo attorno al collo della sua legittima proprietaria. Posso? chiese.

    Lena annuì e Tiago la circondò con le braccia e chiuse la catenella attorno al collo. Un’altra cosa che va contro il regolamento, immagino. Tiago scrollò le spalle. Beh, ho fatto trenta, facciamo trentuno. Se per questo pretenderanno la mia testa imbalsamata ed attaccata ad un muro, tanto vale meritarselo fino in fondo.

    Lena si sfiorò il ciondolo con una mano. Ehm, grazie, disse, non sapendo davvero che cos’altro dire. Poi si ricordò improvvisamente di qualcosa, e il suo volto scattò verso il suo polso a velocità luce. Stupida! Come aveva fatto a dimenticarsi di chiedere una cosa così importante?

    Per quanto sono stata incosciente? domandò in tono urgente. Potevano essere passati minuti, ore, oppure giorni, per quel che ne sapeva.

    Stupida! Stupida! Stupida!

    Tiago guardò l’ora, Ti abbiamo stordito meno di dodici ore fa, disse.

    Lena rifletté. Questo voleva dire che era da circa un giorno che non aveva contatti con Makoto e gli altri membri del club dei Misteri. Si domandò che cosa stessero pensando, o se fossero preoccupati.

    Credi sia possibile fare una chiamata via interlink? chiese Lena. Ho alcuni amici che…Ehm…Sono sicura saranno parecchio preoccupati per me, e mi staranno cercando.

    Mhm, Tiago la valutò molto attentamente. Immagino non sia saggio sollevare sospetti infondati e tantomeno far iniziare ricerche senza motivo. Quindi guardò il soffitto. EVA, disabilita il campo Yelverin di questa stanza. Autorizzazione Tiago, Sei blu.

    Ricevuto, disse EVA. Campo disattivato.

    Hai un minuto, Lena, non di più, la informò Tiago. E vorrei che mettessi il tuo interlink in modalità gruppo, per favore, così che possa sentire anche io.

    Grazie! Lena sfiorò il suo polso immediatamente dopo, in attesa di una risposta.

    Lena! la voce di Makoto squarciò il silenzio della stanza quasi all’istante. Per la Grazia Stellare! Dove diavolo sei finita? Mi hai fatto morire dalla paura! V…voglio dire…ci hai fatto…ci hai fatto morire dalla paura. Lena sentì Makoto schiarirsi rumorosamente la gola, quindi urlò, Net! Arina! Faila! È Lena! Sì, Lena! Net! Non hai sentito che cosa ho detto? Sganciati da quell’affare! Dai, venite qui. Lena! Come hai osato evaporare via dall’accademia in quel modo? Non hai idea di che cosa…

    Chiudi la bocca, non abbiamo tempo! lo zittì Lena. Volevo solo farvi sapere che sto bene, e che tornerò all’accademia tra…Ehm…poco. OK?

    Lena, dove diavolo ti trovi?

    Non è importante, adesso, ho delle cose da sbrigare. Lena guardò Tiago, che annuì, quindi continuò a parlare, Sappiate solo che sto bene. Non fate niente di stupido, per favore. Specialmente tu, Makoto. Mi hai sentito?

    Cose da sbrigare? Lena sentì Makoto sbuffare. Credi di cavartela in questo modo? Di che cosa si tratta? E quando diavolo hai intenzione di tornare? Che cosa dovrei dire se qualcuno mi chiede dove sei finita?

    Le vacanze dureranno ancora per una decina di giorni, dico bene? Dì loro…non lo so…dì loro che sono in vacanza a Roma.

    A Roma? Lena, dico, stai scherzando vero? Io non…

    Non discutere con me, Makoto Shimao! Fallo e basta!

    Una lunga pausa seguì quell’ordine. Lena sentì Arina mormorare qualcosa, seguita da Faila e poi da Net.

    Sei una testarda! disse alla fine Makoto, chiaramente frustrato, Te l’ha mai detto nessun…

    Grazie! disse Lena, e chiuse la conversazione. Fatto, disse, inspirando una grossa boccata d’aria. Non poteva negare a sé stessa di sentirsi decisamente colpevole per il modo in cui aveva trattato i suoi amici, ma sapeva anche che era stato necessario. Se glielo avesse permesso, Makoto e gli altri avrebbero preteso un rapporto dettagliato di tutto quello che era successo. Non importava, si sarebbe scusata con loro quando li avrebbe rivisti.

    Tiago ordinò ad EVA di ristabilire il campo, quindi guardò Lena con un sorrisetto davvero particolare. Sembra che qualcuno tenga davvero parecchio al tuo benessere, le fece notare, indicando il suo polso e alzando le sopracciglia in alto e in basso per un paio di volte. Lena decise che non le piaceva affatto quell’espressione.

    Makoto è uno scocciatore con la testa di marmo, disse, evitando lo sguardo del Cancelliere. Se non lo avessi chiamato, avrebbe organizzato una spedizione per cercarmi. Fidati.

    Davvero? Mhm, sempre più interessante, disse Tiago, annuendo con aria interessata.

    No, quell’espressione non le piaceva affatto. Si può sapere perché stai ridendo? chiese, senza preoccuparsi di mascherare una frustrazione che stava crescendo velocemente.

    Non sto ridendo, sto pensando, e il sorriso di Tiago si fece ancora più largo.

    Lena incrociò le braccia e guardò verso la porta. Mi è sembrato di capire che avessi una certa fretta, disse, improvvisamente desiderosa di cambiare argomento.

    Un silenzio imbarazzante seguì quell’affermazione.

    Certo, disse il Cancelliere alla fine, annuendo. Ovviamente, Abbiamo un bel po’ di cose da fare prima che il circo abbia ufficialmente inizio. Meglio sbrigarsi. E ciò detto, si avviò verso l’uscita senza neppure accertarsi che Lena lo stesse seguendo.

    Circo? chiese Lena, stupita, mentre guardava la schiena di Tiago. Che cosa vuoi dire?

    Tiago non sembrò neppure ascoltarla. Uscì semplicemente dalla stanza senza aggiungere altro.

    Ehi! Aspettami! Lena dovette scattare verso il Cancelliere prima che la porta si chiudesse dietro di lui.

    3

    LA DIMORA DELLE MEZZELUNE

    FILADELFIA, ACCADEMIA ALTISTA EXCELSIOR

    Gladia

    GLADIA EGEA POGGIÒ entrambe le mani sulle ginocchia e attese in silenzio, mentre annuiva occasionalmente, quasi automaticamente. Per la verità, non stava prestando molta attenzione alle parole di Maria Castellari, la donna in piedi davanti a lei, vicino ad un pulpito, intenta a gesticolare animatamente. La voce che risuonava nell’enorme sala rettangolare era poco più di un distante rumore di fondo per lei. No, il suo sguardo era concentrato sul pubblico che le stava davanti. I suoi occhi chiari brillarono di una luce che aveva davvero poco a che fare con le illuminazioni dell’ambiente, una luce che lasciava trasparire orgoglio, soddisfazione e forse un pizzico di amore materno.

    I cinquecento ragazzi che attendevano in piedi di fronte al palco, disposti in dieci file equidistanti, tutti con la schiena dritta, il petto all’infuori e lo sguardo puntato davanti a loro, non sembravano tradire alcuna emozione. Gladia valutò i loro volti con molta attenzione. Volti giovani, molto giovani. Volti di adolescenti desiderosi di fare una buona impressione. Eppure, in qualche modo la loro postura ed espressione lasciava trasparire una maturità che andava al di là dei loro anni.

    Era uno sguardo che conosceva bene, quello. Forse troppo bene. Era la consapevolezza di avere una responsabilità enorme sulle spalle, uno zaino foriero di aspettative ed incarichi, accompagnato dalla certezza di far parte di una famiglia esigente che si aspetta solo il meglio del meglio.

    Non c’erano altre parole per definire quello spettacolo. Davanti a lei stava l’élite della gioventù altista, la linfa vitale dell’Infinito Argentato, i muscoli e le menti che avrebbero costituito le fondamenta del sogno di Wei Wang. Dei potenti strumenti nelle sue mani.

    Gladia sentì un muscolo della guancia contrarsi e chiuse la mascella per riflesso. All’improvviso, avvertì il sapore della bile nella bocca, e si sentì incredibilmente sporca.

    Sospirò, mentre si leccava frettolosamente le labbra e si sistemava meglio sulla sedia. Conosceva bene quella sensazione, ovviamente. Era disgusto quello che stava provando, disgusto per sé stessa e per i pensieri che aveva partorito.

    Lo aveva fatto ancora una volta. Eccola lì, a valutare quei ragazzi con intenzioni così pure, e a ridurli inesorabilmente a semplici strumenti per carburare l’ALTA.

    Quando era stata l’ultima volta che aveva guardato una persona e aveva visto un semplice essere umano, piuttosto che uno strumento per raggiungere un obiettivo?

    Leadership. La parola era la più semplice risposta a quei pensieri. Usare persone per un bene più grande, fare scelte per raggiungere un certo obiettivo, sorridere quando avrebbe voluto mordere e mordere quando avrebbe voluto sorridere.

    Gladia sapeva che per una moltitudine incalcolabile di individui lei rappresentava l’unico vero collegamento con l’eredità del Primo Altista, e come tale doveva comportarsi come qualcuno disposto a sacrificare tutto per garantire la salvaguardia del gruppo.

    Non amava affatto soffermarsi su quei pensieri, ma sapeva bene che erano quegli stessi pensieri a mantenerla vigile e allerta, e ad aiutarla a mantenere l’ALTA una cosa sola.

    Incertezze di qualsiasi genere erano lussi che non poteva permettersi.

    E così Gladia Egea ignorò la sua stanchezza, ignorò il suo senso di colpa e tornò a concentrarsi su quei ragazzi sull’attenti. Tuttavia questa volta non si soffermò sui loro volti, ma piuttosto sulle loro uniformi color sole. Composte da costoso cotonilene, scintillante come una serie di gemme arrangiate l’una vicino all’altra, il tessuto era tenuto assieme da cuciture scure che sottolineavano corpi snelli e armoniosi. Le acconciature tagliate corte e precise nel caso dei ragazzi, o raccolte in stretti chignon nel caso delle ragazze, mostravano un ordine e una disciplina già palesato dalla loro postura.

    Gladia valutò infine il loro petto, dove stava una spilla a forma d’infinito. Un infinito molto particolare, ovviamente, che li distingueva nettamente da tutti gli altri gruppi di altisti, lo stesso identico simbolo che si ripeteva una moltitudine di volte sugli stendardi color avorio che tappezzavano le pareti della sala.

    Composto da due mezzelune che si sfioravano a vicenda, con le rispettive punte rivolte le une verso le altre, il simbolo degli altisti selenici aveva sempre colpito Gladia per la sua austerità e bellezza.

    I selenici erano sempre stati il gruppo di spaziali più attaccati ai formalismi e ai cerimoniali, un particolare che poteva essere visto chiaramente nei ragazzi che aveva di fronte. La loro era una formazione di tipo militare ed elitista, che ammetteva solo ed esclusivamente l’eccellenza. Quei ragazzi erano attaccati a regole e disciplina come una cozza era attaccata ad uno scoglio. Queste erano giovani promesse che non avevano paura di mettersi alla prova, che domandavano responsabilità e che promettevano vittoria.

    Gladia sapeva di trovarsi in quel momento in uno degli istituti di formazione più prestigiosi dell’Infinito Argentato. Dopotutto, era proprio nell’Excelsior che venivano istruiti i migliori piloti del pianeta, o ‘skipper’, come venivano chiamati dagli altisti. Anche lo skipper della sua aeromousine era un selenico, addestrato in quella stessa accademia, come lui stesso amava ripeterle il maggior numero di volte possibile.

    Fedeli e risoluti, i selenici erano il gruppo di altisti votato principalmente alla colonizzazione della Luna e allo sfruttamento delle sue risorse. Per loro non aveva senso concentrarsi su luoghi distanti come Marte o sulla fascia degli asteroidi che separava il Pianeta Rosso da Giove, quando l’umanità non aveva neppure una presenza salda nel suo stesso cortile di casa. Famosi per essere cauti nel loro giudizio ma estremamente arditi quando avevano deciso una certa linea d’azione, i selenici venivano considerati dai Circoli Argentati come un gruppo di conservatori e di pragmatici.

    Gladia spostò lo sguardo verso destra, concentrandosi questa volta sulla donna che continuava a parlare dal pulpito. Maria Castellari era una signora di mezza età che suggeriva determinazione e passione con ogni singolo movimento del corpo. Conosceva la leader dei selenici da diversi anni, ormai, e sapeva che stava guardando una delle figure più famose dell’Assemblea Stellata. Come leader di uno dei gruppi più influenti di altisti, Maria era famosa per essere risoluta, intelligente e testarda, qualcuno che non accettava un ‘no’ come risposta. Il fatto che Gladia si trovasse lì, quel giorno, nonostante un’agenda piena zeppa d’impegni, ne era una prova concreta.

    Lo sguardo di Gladia venne catturato ancora una volta dal simbolo dei selenici, e per un istante l’ombra di un presentimento oscurò il suo sguardo e un’altra ondata di stanchezza tornò ad assalirla. Nonostante tutti i suoi sforzi per trattenersi, per la seconda volta un sospiro ribelle sfuggì dalle sue labbra. Insicurezza e frustrazione crescente serpeggiarono su un volto tassato da responsabilità e da preoccupazione.

    La voce di Maria tornò a farsi distante mentre Gladia si perdeva nuovamente nei suoi pensieri. Senza neppure accorgersene, i battiti del suo cuore accelerarono e del sudore freddo imperlò la sua fronte.

    La verità era che Gladia aveva paura, la paura che ogni leader manifesta quando si avvicina un momento di svolta, la paura di una madre che teme che non riuscirà a mantenere unita la sua famiglia. Nel momento stesso in cui spostò la sua attenzione sul vessillo dei selenici, sentì un peso invisibile schiacciarle il petto.

    Il suo compito principale era sempre stato di dare all’opinione pubblica un’immagine di coesione, di un’ALTA unita sotto il vessillo dell’Infinito Argentato. In un certo senso, era riuscita in questo scopo, e la maggior parte delle persone continuavano a credere a questa versione. Ma lei sapeva bene quale fosse la realtà, così come la sapevano molte più persone di quante avesse voluto ammettere.

    Il Piano Quinquennale di Sviluppo Siderale era alle porte, un’occasione unica per le differenti forze altiste di abbandonare il terreno comune su cui operavano e di esaltare le differenze reciproche per garantirsi il controllo dello sviluppo dell’ALTA.

    E questa volta, l’evento avrebbe visto scontrarsi due gruppi talmente contrapposti tra loro da minacciare l’equilibrio precario di cui avevano goduto fino a quel momento.

    L’ALTA era una, questo era vero, e lei aveva fatto tutto il possibile per mantenerla tale, ma avvertiva chiaramente la delicatezza di quel momento storico.

    Quelle che per l’opinione pubblica erano semplici correnti di pensiero, erano in realtà veri e propri gruppi separati all’interno dei Circoli Argentati, e guardare il simbolo dei selenici, così simile eppure così diverso dal semplice Infinito Argentato forgiato da Wei dodici anni prima, le ricordava che esistevano altri tre Infiniti diversi, simili eppure incredibilmente diversi tra di loro.

    Gladia ripeté mentalmente parole che sapeva a memoria, come una madre che rievoca i nomi dei propri figli. Selenici, geocentrici, ascendenti ed apeiron, i quattro gruppi di altisti formatisi intorno a quattro idee diverse di sviluppo siderale. Quattro. A Wei era sempre piaciuto quel numero.

    E lei, Gladia Egea, la Commendatrice, Sua Maestà Stellare, Ultima Punta dell’Esaedro e leader dell’ALTA, doveva fungere da collante per impedire a quelle quattro forze centrifughe di spezzare il sogno del Fondatore.

    Dopotutto, non si trovava lì, in quell’accademia, proprio per quel motivo? Per ricordare a quelle giovani promesse altiste che l’Infinito Argentato era una cosa sola?

    Il tono di Maria Castellari cambiò all’improvviso, e Gladia si sentì improvvisamente al centro dell’attenzione. Maledisse in silenzio la sua distrazione e si destò dai suoi pensieri nel momento stesso in cui l’altra donna la indicò con entrambe le mani. Gladia fece appena in tempo a stamparsi un frettoloso sorriso di circostanza sul volto prima che Maria finisse di presentarla.

    …E ci ha concesso l’onore di benedirci con la sua presenza. Cadetti, oggi tributiamo con il nostro saluto Sua Maestà Stellare Gladia Egea, Perno dell’ALTA, Ultima Punta dell’Esaedro e Guardiana dell’Infinito Argentato per grazia del Fondatore, che la sua anima continui a danzare tra le stelle!

    Che la danza non abbia mai fine! risposero come un’unica, potente voce i cinquecento ragazzi sull’attenti, guardando Gladia come se nient’altro nella sala avesse importanza.

    L’Accademia Excelsior saluta l’Ultima Punta dell’Esaedro! aggiunsero i ragazzi, toccandosi con la mano sinistra il simbolo che avevano sul petto e subito dopo sfiorandosi la fronte, in un evidente segno di saluto.

    L’ALTA alza gli occhi al cielo, e reclama la propria casa! ruggì Maria Castellari, alzando un braccio e puntando un indice verso il soffitto.

    Gladia evitò all’ultimo secondo di proiettare entrambe le sopracciglia in alto, occultando in questo modo la sua sorpresa. Aveva decisamente sottovalutato l’amore dei selenici per i cerimoniali. Quello era un benvenuto degno di un’imperatrice.

    Maria si allontanò dal pulpito e lo indicò a Gladia. Gladia si alzò dalla sedia e s’incamminò verso l’altra donna. Quando si trovarono l’una di fronte all’altra si strinsero la mano e si scambiarono ringraziamenti. A quel punto la leader altista prese il posto lasciato vuoto da Maria. Sistemò i suoi appunti sul pulpito, e quando tornò a guardare davanti a sé, cinquecento paia di occhi la fissavano senza battere ciglio. Si accorse solo in quel momento di quanto quell’enorme spazio chiuso fosse silenzioso. Cinquecento persone, e non si sentiva neppure l’eco di un respiro.

    Gladia si perse nel fiume di quegli occhi scintillanti. Avvertì soggezione ed ammirazione che si sposavano con curiosità e stupore. Poteva percepire l’eccitazione che aumentava, secondo dopo secondo. Non riuscì a trattenere un altro sorriso. Spesso dimenticava che cosa lei rappresentasse per altisti così giovani, così pieni di aspettative. Per loro Gladia Egea era la Stella Polare in un cielo orfano di luci, un faro nella notte al quale fare riferimento, una divinità in carne ed ossa, l’ultima persona che aveva toccato il Fondatore, prima della fine. La maggior parte di loro erano cresciuti ascoltando la leggenda di Wei Wang, e di quello che era riuscito a creare, ed avere l’Ultima Punta dell’Esaedro lì, davanti a loro, era un po’ come per un gruppo di cattolici trovarsi davanti il Papa. Non c’erano altre parole per descrivere lo scintillio di quegli occhi. Gladia Egea era per loro una leggenda vivente, una figura che emanava un’influenza che non si poteva comprare e che non poteva essere replicata o trasferita.

    Grazie, Maria, disse Gladia, rivolgendosi alla leader dei selenici, che si era seduta dietro di lei, occupando il posto che aveva lasciato vuoto. Gladia controllò con un gesto discreto della mano che il suo amplificatore vocale fosse acceso, prima di proseguire. Grazie per avermi invitato in questa Dimora delle Mezzelune.

    ‘Dimore delle Mezzelune’ era il modo in cui i selenici chiamavano le loro istallazioni, per distinguerle da quelle controllate da altri gruppi di altisti. Gladia sapeva bene quanto questa gente ci tenesse ai formalismi. E fu per questo motivo che aggiunse subito dopo, toccandosi prima il petto e poi la fronte, Lo spirito stellare sorride ai selenici.

    Per una frazione di secondo, stupore balenò sui cinquecento volti, presto sostituito da un orgoglio impossibile da descrivere a parole. L’Ultima Punta dell’Esaedro aveva appena pronunciato il motto ufficiale dei selenici, le quattro ‘S’. Una foresta di braccia si alzò all’unisono mentre i ragazzi ruggirono in coro, Lo spirito stellare sorride ai selenici!

    Pian piano gli applausi e il vociare indistinto persero intensità, quindi vennero sostituiti da un altro silenzio carico di aspettative. Gladia sapeva che aveva ora il massimo della loro attenzione.

    Sono io ad essere benedetta dalla possibilità di potervi parlare, giovani promesse dell’ALTA, iniziò, facendo spaziare il suo sguardo sul suo pubblico. Otto anni fa Maria Castellari fondò questa accademia, armandosi di una generosa dose d’intraprendenza e di spirito d’iniziativa. Il suo scopo era formare giovani come voi, che avrebbero carburato il sogno del Fondatore.

    Gladia annuì verso Maria, che inchinò leggermente la testa, in segno di rispetto, quindi l’Ultima Punta dell’Esaedro tornò a guardare verso i ragazzi. In questo stesso istante, altri ragazzi vengono formati in installazioni simili dai geocentrici, dagli ascendenti e dagli apeiron. Tutti i gruppi dell’ALTA fanno parte della stessa famiglia, un’unica compagine impegnata nella creazione di una civiltà spaziale. Fece una breve pausa, lasciando che le sue parole aleggiassero nella sala, quindi aggiunse, concentrandosi sulla prima fila di selenici, Come tutti voi sapete, il Piano Quinquennale di Sviluppo Siderale è alle porte, e fra pochi giorni inizierà ufficialmente a Stargazer una nuova parentesi del movimento altista. Il Pentapiano plasmerà la politica spaziale dell’ALTA per i prossimi cinque anni, ed è in un evento come questo che la risolutezza del nostro movimento viene testata maggiormente. Sì, è in momenti come questi che dobbiamo trovare unità nelle nostre differenze, e ricordare che l’Infinito Argentato è il nostro unico punto di riferimento.

    Gladia annuì, mentre guardava i ragazzi. Era consapevole di stare lentamente arrivando al nocciolo della questione. Ora che aveva l’attenzione del suo pubblico, era arrivato il momento di diffondere il suo messaggio.

    Ci sono voci che stanno serpeggiando nell’etere, affermò, entrambe le mani che stringevano saldamente il pulpito, voci che vorrebbero farci credere che l’ALTA è divisa, voci che cercano d’insinuare dubbi e malcontenti all’interno della famiglia altista. Ma queste voci sono menzogne, inventate per dividerci, per renderci più deboli, un attacco al cuore stesso dell’eredità del Fondatore.

    Alcune teste annuirono, altre rimasero completamente ferme. La tensione si fece improvvisamente palpabile.

    "Molti di voi avranno sentito queste voci, e vi sarà stato detto d’ignorarle, di non dare loro importanza. Io, invece, vi invito a fare il contrario. Ascoltatele molto attentamente, imprimetevi il messaggio d’odio che cercano di diffondere e fatene la vostra corazza. Non ignorate nulla. La consapevolezza è l’unica cura contro il disfattismo. Nei prossimi giorni sarete esposti a molte versioni di quello che potrebbe accadere, voci di corridoio e pareri di supposti esperti convinti di sapere più di tutti. Questi sofisti guadagnano influenza facendo leva sul dubbio che incita alla divisione, e proprio questo dubbio sarà utilizzato dai nostri nemici per aizzare dissenso. Lasciate dunque che chiarisca questo dubbio, e che lo faccia con la massima onestà possibile. Il Piano Quinquennale di Sviluppo Siderale non è una ragione di divisione, è un momento di comunione, in cui le diverse opinioni di altisti s’incontrano per decidere in che modo continuare al meglio il sogno di civiltà spaziale del Fondatore. Niente di più, niente di meno."

    I ragazzi mormorano il loro assenso. Gladia lasciò nuovamente che il mormorio morisse, prima di proseguire. Sì. Wei Wang ha sempre creduto che la diversità di opinioni contribuisse alla forza del movimento altista. La diversità nell’uguaglianza esalta la nostra forza. Uniti dominiamo, divisi cadiamo! Da polvere di stelle a polvere di stelle!

    Da polvere di stelle a polvere di stelle! risposero i ragazzi in coro, una moltitudine di voci che si erano fatte improvvisamente una.

    Alcuni di voi hanno appena iniziato il loro percorso formativo, e Gladia sorrise ad una ragazza che non poteva avere più di quattordici anni. Altri, riprese, guardando questa volta un ragazzo alto e dinoccolato, chiaramente qualche anno più anziano, stanno per concluderlo. E così avviene anche in centinaia di altre istallazioni altiste sparse per il mondo. Ragazzi come voi si stanno preparando per aggiungere il loro nome al sogno di civiltà spaziale. Ma non importa la forma del simbolo che esibite sul petto, ognuno di voi è un fratello e una sorella di fronte all’Infinito Argentato.

    Altri applausi inframmezzarono le parole di Gladia mentre continuava il suo discorso di unità e di rispetto reciproco. Tuttavia, mano a mano che continuava a parlare, non poté fare a meno di notare che Maria Castellari, seduta rigidamente sulla sedia e con un’espressione indecifrabile sul volto, non sembrasse affatto condividere l’umore del pubblico.

    ∞∞∞

    Gli ultimi ragazzi abbandonarono la sala in una fila ordinata, lasciando Gladia e Maria da sole sul palco.

    Era stato un buon discorso, pensò Gladia. Semplice e dritto al punto. Aveva percepito l’interesse del suo giovane pubblico, e la loro partecipazione. Sperò ardentemente che il messaggio di unità che aveva proclamato sopravvivesse alla soglia di quella sala. E che venisse diffuso.

    Gladia scosse la testa, mentre osservava la sala ora vuota. Cinquecento spettatori era un bel numero. Non poté fare a meno di pensare che c’era stato un tempo in cui avrebbe rifuggito un discorso pubblico come un vampiro rifugge la luce del sole. Ora, invece, c’era talmente abituata da non farci neppure caso. Il suo ruolo di leader dell’ALTA l’aveva costretta ad abbandonare il laboratorio per dedicarsi alla folla.

    Dopo aver radunato i fogli dal pulpito, tornò alla sua sedia e cominciò a racimolare le sue cose.

    Gran bel discorso, disse Maria, in piedi alla sua sinistra, interrompendo un silenzio che si era protratto per diversi minuti. Grazie per aver trovato il tempo di parlare ai miei ragazzi. La tua agenda deve essere piena zeppa d’impegni, specialmente con il Pentapiano alle porte.

    L’ho fatto con piacere, rispose Gladia, sorridendo all’altra donna. Se non trovo il tempo per piantare il seme, come posso preoccuparmi di abbellire il giardino? Questi ragazzi sono il futuro dell’ALTA, e tu stai facendo un lavoro eccellente con loro. Dico davvero.

    Maria annuì un paio di volte in modo assente. I suoi occhi erano ancorati sulla leader altista, come un falco che aveva avvistato una preda. Non sembrava neppure rendersi conto dell’intensità del suo sguardo.

    Gladia cercò di non dare a vedere il suo disagio crescente. Perché diavolo la stava fissando in quel modo?

    Gladia conosceva Maria da parecchi anni, e non ricordava che la donna l’avesse mai studiata in quel modo. Le due si davano del ‘lei’ in pubblico, ma in privato erano molto vicine, e si conoscevano bene. Maria era famosa per essere una politica estremamente capace ed intelligente. La sua decisione di abbandonare la corsa per il Pentapiano e di sostenere gli altisti geocentrici, alleati storici dei selenici, risaliva a pochi giorni prima, ma la donna era sembrata felice della scelta.

    Ovviamente qualcos’altro stava bollendo in pentola. Solo un cieco non avrebbe notato la reazione di Maria al suo discorso. La selenica era stata rigida come il manico di una scopa per tutto il tempo, specialmente quando sentiva la parola ‘Pentapiano’.

    Gladia finì di mettere l’ultimo foglio nella sua borsa e si girò per incontrare lo sguardo di Maria. Avanti, disse in tono risoluto, sputa il rospo. So che vuoi dire qualcosa. Qual è il problema, Maria?

    Maria sorrise, Ho sempre apprezzato il tuo modo diretto, Gladia. Siamo entrambe allergiche ai convenevoli, dopotutto, non è vero?

    Gladia non rispose alla domanda retorica. Rimase semplicemente a guardare l’amica, in attesa.

    Maria fece passare un intervallo di tempo piuttosto lungo, prima di proseguire. Posso farti una domanda personale?

    Dipende dalla domanda personale, rispose Gladia. Qualcosa nel tono di voce della vicina accese un campanello di allarme.

    Maria non le diede il tempo di elaborare, e tornò quasi immediatamente all’attacco. Tu pensi che ci sia qualche possibilità che Tolomeus possa vincere?

    Gladia sbatté le palpebre un paio di volte, sorpresa dalla domanda. Quindi era di questo che si trattava. Era per questo motivo che la guardava in quel modo.

    Stupida. Era stata una stupida. Avrebbe dovuto capirlo fin da subito. Maria aveva le sue buone ragioni per fare quella domanda, ovviamente. Quando la donna aveva deciso di sostenere pubblicamente gli alleati geocentrici, aveva fatto una manovra politica da cui si aspettava dei risultati. E ora stava cercando di capire se avrebbe incassato il dovuto.

    Gladia premette le labbra, sforzandosi di non far trasparire nessuna emozione. Maria, sappiamo entrambe quanto una domanda del genere sia inopportuna, disse cautamente. Doveva fare in modo di scartare quella domanda in modo gentile ma deciso. Non c’era alcun motivo di essere rudi, ma al tempo stesso non poteva farsi trascinare in un campo minato. Perfino a porte chiuse, non risponderei ad una domanda del genere, e tu lo sai. Perché non facciamo finta che tu non mi abbia mai chiesto una cosa del genere?

    Ma te l’ho chiesta, insistette Maria, senza muoversi di un centimetro. Da amica, ovviamente.

    Gladia alzò un sopracciglio. Un’amica non mi avrebbe mai fatto una domanda del genere, fu la sua risposta. Come c’era da aspettarsi. La donna non sapeva davvero quando fermarsi.

    Gladia guardò versò la porta d’uscita, e fece un paio di passi in quella direzione. La leader dei selenici incrociò le braccia e vestì il suo volto di un’espressione testarda mentre si frapponeva tra lei e la porta di uscita. Gladia alzò entrambe le sopracciglia, stupita da quella mossa. Che cosa diavolo le era saltato in mente? Voleva forse impedirle di uscire?

    Mi preoccupano i suoi trascorsi, a dirtela tutta, disse la selenica, cercando un approccio più morbido alla domanda. Tolomeus ha il cervello di una macchina e il cuore di un burocrate. Non ho idea di come abbia fatto a convincere gli ascendenti ad eleggerlo come loro leader, ma quel baciaterra non è mai stato uno di noi. Qualsiasi altista degno di questo nome lo s…

    Tolomeus è un altista da un decennio, l’interruppe Gladia, il suo tono adesso inflessibile. Non è meno altista di te o di me, Maria, e ha provato la sua fedeltà all’Infinito Argentato più di una volta. Se vuoi fare una predica sul suo passato, falla a Penelope. Potrebbe esserle utile nella Chiave di Volta.

    Il suo piano di costruzione dei katalambani è una farsa, disse velocemente Maria, impedendo all’altra di continuare, I fondi con i quali lo ha finanziato sono dubbi quanto…

    Il suo piano di costruzione dei katalambani è solido, l’interruppe a sua volta Gladia. È stato valutato dal Direttivo e da una dozzina di commissioni autonome dei Circoli Argentati. Tutti concordano nel dire che è davvero promettente.

    E altrettante commissioni gli hanno fatto un centinaio di domande a cui Tolomeus non ha voluto rispondere, le fece presente Maria. Andiamo, Gladia. Apri gli occhi! Quell’uomo sta escogitando qualcosa, e sono sicura sia pronto a giocare sporco. Non si farà scrupoli pur di vincere la Chiave di Volta.

    Gladia questa volta fece un passo in avanti, guardando Maria negli occhi. Vuoi forse dire di essere a conoscenza d’informazioni riservate? Qualcosa che vuoi sottoporre all’Assemblea Stellata?

    Io non… la

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