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Lo scrigno dei ricordi
Lo scrigno dei ricordi
Lo scrigno dei ricordi
E-book227 pagine2 ore

Lo scrigno dei ricordi

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Info su questo ebook

La famiglia Faragò vive la sua quotidianità attraverso le vicissitudini dei suoi appartenenti, i cui destini si intrecciano in un più ampio vissuto familiare, che tutti unisce, divide, sacrifica, eleva al rango di protagonisti o ridimensiona alla figura di comparse.

Tutto avviene nella consapevolezza della esistenza di un legame vero e complice, che emoziona e fa soffrire, ma che accompagna tutti, in vita ed oltre la vita, grazie ad un amore infinito, durevole per l'eternità.
LinguaItaliano
Data di uscita29 apr 2014
ISBN9786050302318
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    Anteprima del libro

    Lo scrigno dei ricordi - Antonio Cosco

    grazie.

    I

    Questa è la storia di una famiglia normale, dove la normalità coesiste con la singolarità dei suoi membri, le cui azioni a volte scontate, altre ridicole, altre esagerate, alcune volte anche apodittiche, esiliano fuori dalle mura domestiche la noia di giorni sempre uguali.

    Vi presento il capobanda, papà Salvatore, burbero troglodita dal cuore tenero. Le sue parole rimbombano come ampliate dall’orecchio di Dioniso echeggiando per ogni dove egli venga a trovarsi e, come tamburellate a breve distanza, sollazzano le orecchie degli ascoltatori fino alla sordità.

    Segue in ordine decrescente mamma Letizia, più giovane di papà Salvatore di un decennio, ella professa il suo abbrutimento come conseguenza del rapporto coniugale, invero, nessun cattedratico potrebbe mai risolvere il dubbio sulla veridicità delle sue asserzioni, ma la gente non osa contraddirla, si sa che in certi casi bisogna dare sempre ragione.

    Ed eccoci al non plus ultra familiare, al fiore all’occhiello dell’unione genitoriale: l’unica, l’inimitabile, l’incontenibile, l’ineguagliabile Maria, la figlia maggiore. Incredibile frutto della commistione del meglio del peggio dei suoi dante causa, ella incarna il mito moderno della donna guerriero. Armata del suo arco, una gigante bocca dalla cavità infinita, e delle sue frecce, una lingua biforcuta dalle punte avvelenate, ella è sottoposta agli studi segreti delle super potenze; da un estratto della sua mala fede potrebbe riuscire una mirabile arma di distruzione di massa.

    Non poteva mancare in una famiglia che si rispetti una pecora nera, una persona più docile della media familiare, non certamente un santo come egli vorrebbe dar da pensare, piuttosto un poveraccio, probabilmente uno stragista in un’altra vita, punito dall’autorità divina, anziché con l’inferno, con la concessione di una ulteriore vita accanto alle sue magnifiche tre sorelle.

    La gente immagina che Umberto, l’unico figlio maschio, sia il principe ereditario della casata, una incrocio tra un monarca occidentale ed un pascià orientale, pochi sanno invece che egli, senza temporeggiare, ben scambierebbe il proprio ruolo interno alla famiglia con quello della pur scalognata Cenerentola.

    Le migliorie possono sempre essere apportate, ed eccoci alla miglioria delle migliorie, la terzogenita, Ester la scialacquona. Si dice ella sia nata con le mani bucate, è da intendersi che non si tratti di stimmate, sembra piuttosto ella riesca a dissipare qualunque patrimonio si trovi a sostare tra le sue dita; il bello di tutto ciò è che siffatta speculatrice non poteva che specializzarsi negli studi delle materie economiche, aspirando alla carica di manager aziendale con competenze settoriali nella gestione patrimoniale. Immaginiamo sin d’ora mirabili risultati. La nota che la contraddistingue è la sicurezza nelle sue possibilità, a sentirla sembra aver ingoiato appena nata il dischetto multimediale della Treccani, su qualunque cosa sa tutto, anche se i familiari sostengono di niente.

    Ed ora signore e signori, dulcis in fundo, la chiusura più adeguata per una unione familiare così particolare: la più piccola, Valentina alias Jack lo squartatore, sempre pronta, con la sua lametta trilama, a barattare democraticamente spargimenti di sangue e mutilazioni personali varie con il suo volere.

    Ella vive nella sicurezza di essere da tutti maltrattata, dimenticata, sfruttata, meno amata dei fratelli in quanto figlia dell’Ogino-Knaus o di un errore di calcolo, l’ultimo, dati i mirabili risultati.

    Della famiglia fa anche parte nonna Allegra, suocera di papà Salvatore.

    L’amore tra nonna Allegra e il capofamiglia è questione nota al vicinato, ogni loro pensiero è speculare, asimmetrico, conflittuale.

    Nonna Allegra diversamente dal genero è una accanita credente, percorritrice della difficile linea di demarcazione tra fede sincera e bigottismo estremista autolesionista, ma in ogni caso sinceramente convinta del suo credo, diversamente da Salvatore che, seppure non ateo, non è un praticante della chiesa, pur imponendo l’osservanza del culto alla figliolanza sin dalla tenera età. Papà Salvatore, infatti, ritiene opportuno educare i figli nei valori della religione e nella fiducia di una salvezza ultraterrena, lasciando poi alla loro maturazione le scelte religiose più consone alle loro persone.

    L’aggravante del conflitto liturgico è da rinvenirsi nelle differenze del pensiero religioso tra le parti, la nonna protestante, il papà cattolico.

    Avvenuta la presentazione delle parti diamo inizio alla storia delle storie familiari.

    II

    Tutto ebbe inizio nella città di Napoli, dove un quarantenne veterinario calabrese, individuata la preda, nonché la cavia dei suoi esperimenti procreativi, la culla fisiologica delle sue mitologiche creature, intraprese una instancabile caccia all’uomo che si risolse sotto l’abitazione della di lui amata a prima vista.

    Tra un pugno, un calcio, un occhio nero dei suoi quattro fratelli, titani Vatussi dal braccio di ferro, cartoline sputate dei bronzi di Riace in versione grandangolare, egli, senza un dente e un pezzo di dignità, riusciva ancora ad articolare verso la futura consorte le parole: - Tu sarai mia!-

    Ma la ragazza dal sorriso smagliante ribatteva: - Io, mai un calabrese!-

    Ed egli, tra una gengiva sanguinante e l’altra, aveva ancora la forza di rispondere:

    -Un calabrese non vuoi e un calabrese avrai! -

    Da lì ad alcuni mesi il matrimonio.

    Sdraiati sul divano del soggiorno, alcuni anni dopo, i coniugi Faragò assaporavano il piacere del riposo pomeridiano davanti la televisione; papà Salvatore, sbracato come suo solito sulle gambe della consorte, si aggrappava ad esse come un koala ad un ramo, disturbando il dormiveglia della compagna con le sue continue sollecitazioni.

    - Ti ricordi mammina- così il marito chiamava mamma Letizia, - Quel pomeriggio, la prima volta che ci siamo incontrati? Avevi il completino rosa e celeste, quello che mi faceva impazzire. Certo che eri proprio una bella figliola, un fiore nato sul cemento, una Venere terrena, la figlia più somigliante di madre natura-

    - Grazie-

    - L’eternità non basterà per cancellare il ricordo di quel tuo sguardo luminoso come il sole del mattino, i cui raggi mi folgorarono, penetrando nel mio cuore per travasarvi amore-

    - E che è successo, oggi abbiamo un poeta per casa, aspetta, prendo carta e penna, così riferisco più tardi ai ragazzi -

    - Eri bella davvero, ed oggi…oggi somigli ad una mortadella, anzi a un barattolo di marmellata o ad una vitellina-

    - Ora si che riconosco il solito garbo!-

    Papà Salvatore rideva e sghignazzava tra i sorrisi scherzosi della moglie che non prestava orecchio alle delicatezze a lei proferite dal consorte.

    - Parli tu, vecchio rincitrullito, somigliavi alla più bella statua di Fidia, oggi sembri una caricatura di cartapesta, più ridicola di quelle del carnevale-

    - Mamma sei in vena di battagliare? Tu sembri una piramide di gelatina-

    - Tu invece uno spaventapasseri-

    - Tu la miss mondo delle ciccione-

    - Tu uno stecchino vivente, o un fiammifero, stai attento che ti danno fuoco per una sigaretta-

    Papà Salvatore si interrompeva bruscamente: - Ora mi stai veramente trattando male!-

    - Io ti tratto male? E che dire dei tuoi modi da troglodita?-

    - Lo sai, io scherzo. Ma…un momento, fermati!-

    - Cosa?-

    - Fermati, si fermati così, con le labbra leggermente arcuate verso l’alto… lo sai che il tuo sorriso illumina il tuo ed il mio viso!?-

    Mamma Letizia si perse in un ampio sorriso: - Vai via, ora mi vuoi comprare con quattro frasi fatte!-

    - Quali frasi fatte, lo sai, basta che ti guardi perché io mi senta elevare al cielo con tutto il mio corpo-

    - Maiale!- rispose la donna ridendo

    - Cosa pensi, monella, io parlavo di qualcosa di spirituale!-

    - Si lo so, del solito… discorso -

    Entrambi sorrisero e si guardarono con occhio malandrino.

    - Guarda che abbiamo già quattro figli ed almeno a me bastano!-

    - Perché non ne vorresti ancora una decina? – Salvatore avrebbe voluto creare con la sua prole una squadra di calcio e, per come i coniugi avevano iniziato, sembrava proprio ci potesse riuscire.

    - Ho già dato caro, ora è il tempo del riposo. Ricordi quando nacque Maria?-

    - Certo, eri gonfia più o meno come lo sei ora!- Rispose il marito divertito

    -Cretino!-

    Era quello il primo parto e mamma Letizia, ancora inesperta, viveva ogni attimo della gravidanza con trepidazione, fino a che, rottesi le acque, tra una contrazione e l’altra e un grido intervallato da un profondo respiro, veniva al mondo la ciclopica creatura.

    Maria, la primogenita, sembrava crescere a vista d’occhio e, cullata tra le cure affettuose degli sposi novelli, diveniva sempre più splendida. Ma quanto cresceva! Nata di quattro chili e mezzo, dopo pochi mesi camminava, che fiore! Poi parlava e mangiava la pappa dei grandi, che meraviglia! Poi sputava nei piatti di tutti, faceva i suoi bisogni dietro ogni porta, gridava solo di notte, di giorno quando i suoi lavoravano riposava, che incubo!

    Il buon giorno come sempre si vede dal mattino e non è che andò meglio a seguire!

    Quattro figli in cinque anni ed in mezzo un aborto, la gente pensava che Letizia fosse una coniglia o una vagabonda, intenzionata a mai più timbrare il cartellino del lavoro.

    Comunque sia il sacrificio valse sicuramente il risultato. Ora erano quattro pannolini l’ora a doversi cambiare, quattro bagnetti al giorno, quattro malattie virali infantili da curare, quattro pensieri al secondo, quattro problemi per due mani, un sogno!

    Nel periodo in cui mamma Letizia era in maternità, papà Salvatore provvedeva alle esigenze familiari, pluslavorando come veterinario condotto.

    A suo dire egli lavorava quasi ventiquattro ore al giorno, riposando solo per qualche minuto della giornata nei macelli, agganciato agli uncini cui si appendono le carni come fosse un pendolare in attesa della fermata della metropolitana, cosa che se vera sarebbe stata in breve distruttiva per qualunque uomo di questa terra! Ma si sa che tali racconti rientrano negli aneddoti dei genitori, intenzionati a destare nei figli l’immagine di se stessi come super eroi.

    Mentre papà Salvatore lavorava indefesso tutto il giorno, mamma Letizia si dimenava tra pianti e isterismi causati da stress di sovrabbondanza filiale, rilassandosi solo nei momenti di sollievo, originati dall’aiuto prestato da nonna Allegra nonostante l’età.

    - Pensi che potremmo più sostenere quel ritmo? -

    - Forse no, ma mi piacerebbe vedere ancora i bambini come allora-

    - Per carità, sei pazzo! Io non vedevo l’ora che crescessero per poter tornare al mio insegnamento di disegno e riprendere la vita di tutti i giorni, riacquistando la mia tanto anelata tranquillità e riassestando i miei equilibri-

    Invero, anche nei momenti di calma, non è che i modi di Letizia fossero mai stati particolarmente accoglienti. Anche come insegnante ella era alleata della penna, a sua volta domiciliata esclusivamente nella zona note disciplinari; i ragazzi la temevano come Marat ai tempi del terrore, ogni respiro era cadenzato, ogni azione adeguatamente preceduta da istanza motivata atta ad ottenerne la legittimazione, ogni parola pensata e studiata come un testamento olografo.

    Nonostante ciò ella era realmente benvoluta, perché, nonostante i suoi modi da dittatore, era vicina alle esigenze dei ragazzi, realizzando, attraverso lavori artistici pregevoli, ogni loro richiesta ed aspirazione a riversare nell’arte e nel disegno le proprie emozioni.

    Questa sensibilità artistica, unita alla vicinanza alle classi, la rendevano nel suo campo la più stimata della scuola.

    -Non dico che vorrei tornassero neonati, ma ai primi tempi della scuola, ti ricordi, nelle loro divise sembravano quattro soldatini, sempre ordinati, educati, ma mai passivi o silenziosi, vivi negli occhi e svegli nelle risposte proferite senza vergogna e con sincerità. Ti ricordi quando Umberto scrisse alla maestra che ti avevo regalato delle mutande per la festa di San Valentino? Te le ricordi quelle mutande?…Avrebbero fatto arrossire una ballerina di can-can. Erano bei tempi quelli, soprattutto durante le feste, quando la famiglia era tutta riunita!-

    Mamma Letizia accondiscendeva, erano stati tempi d’oro per i Faragò, lontano da difficoltà e incomprensioni; ella adorava quei quattro furfantelli, soprattutto quando, mascherati al carnevale di abiti stupendi confezionati in casa da nonna Allegra, riempivano le strade con la loro vivacità, inorgogliendo i genitori. Erano quasi spesso a tema: i quattro moschettieri, le carte da gioco, personaggi comuni di un fumetto, essi tinteggiavano la casa coi colori della festa, tra coriandoli, stelle filanti e schiuma di carnevale.

    - Certo ci hanno fatto anche disperare!-

    Non mancavano momenti di lite, i ragazzi crescendo insieme, oltre ad essere molto uniti erano anche litigiosi, il ring deputato agli scontri domestici tra i contendenti era il lettone dei genitori, dove spesso si consumavano scazzottate da mille e una notte, concluse nelle lacrime e nell’inimicizia, ma poi risolte nella puntuale rappacificazione.

    - Devo dire che era bello stringerci tutti intorno alla tavola a ragionare sui fatti accaduti fino a trovare soluzione, ad indicare le linee guida della composizione della vicenda, mentre le quattro pesti ci ascoltavano in silenzio con i gomiti sulla tavola-

    - Hai ragione caro, avevamo la felicità tra le mani e non ce ne accorgevamo. Mi hai convinta, se si potesse ricomincerei!-

    III

    La pace e la quiete familiare erano destinate ad essere turbate dalla morte dei genitori di papà Salvatore, nonno Umberto e nonna Maria, i quali, dato il matrimonio del figlio in tarda età, non avevano potuto godere appieno della famiglia del loro discendente; ed ora, in loro assenza, ampliata era la tristezza il giorno dell’onomastico del nonno, giorno di riunione dei parenti, giorno di regali, risate, ed armonia come e più del Natale.

    I ragazzi non potevano dimenticare le attenzioni della nonna e i pranzi succulenti con pazienza ineguagliabile da lei preparati, con l’amore di chi vuole dare il meglio di sé nella maggiore quantità possibile, perché sa che l’età bussa alle porte insieme alla fine del tempo concesso ad ognuno; né potevano scordare le preoccupazioni del nonno sulla preparazione professionale dei nipotini, i quali rendeva edotti di volumi di sfere e tronchi di cono, o di teoremi di Pitagora già in tenera età.

    Il nonno diceva: -Bambini, solo la cultura arricchisce, il denaro rende schiavi e impoverisce l’animo, accontentatevi degli averi di cui disponete ma non saziatevi di conoscenza, essa è la strada maestra per inseguire la libertà- e giù con ritornelli atti a ricordare le formule matematiche: -Viva il re, viva il re, viva il re, quattro terzi pigreco erre tre- oppure - V è uguale a un terzo h che moltiplica b+b + radical bb- oppure - Il quadrato costruito sull’ipotenusa è uguale alla somma dei quadrati costruiti sui cateti - e tanti altri ritornelli per memorizzare formule matematiche, ai quali si aggiungevano tante citazioni letterarie, del Carducci in particolare.

    La lezione terminava poi col solito sorriso, impresso indelebile nelle menti dei bambini, che svelava la soddisfazione del docente e la dolcezza del nonno di sempre il quale, dismessi gli abiti del professore, regalava qualche lira per il gelato del pomeriggio.

    Che coppia quei nonnini, lui preciso ed impeccabile nel vestire l’abito anche nel quotidiano, col suo viso sempre sbarbato, profumato come una saponetta appena scartata dalla confezione, era stato capace di non sedersi in treno nella tratta Catanzaro-Milano per non sporcarsi il vestito sul sedile di seconda classe impolverato.

    Lei semplice e spontanea come una campagnola, ma educata ed aperta come una cittadina, viveva nella luce di un marito che adorava, nonostante i suoi continui rimbrotti.

    Il ricordo dei nonni appena persi era per tutti un fardello di difficile sopportazione.

    Importante per la famiglia l’apporto di nonna Allegra in questo particolare periodo, la quale, abitando in casa, accudiva

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