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La vita segreta di Jenny
La vita segreta di Jenny
La vita segreta di Jenny
E-book395 pagine6 ore

La vita segreta di Jenny

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Info su questo ebook

Jenny è una giovane ragazza: debole, priva di carattere e che non esprime mai le sue idee. Le sue giornate trascorrono sempre uguali con le amiche false di tutti i giorni, fino a quando la ragazza assistette ad un'incidente che le cambierà per sempre la sua vita, trasformandola contro la sua volontà in una donna forte, coraggiosa e con principi di giustizia che deve affrontare situazioni complicate e fuori dal comune, ma nonostante tutto quello che le succederà, non smetterà mai di combattere e non lo farà per se stessa, ma soprattutto per le persone alla quale vuole bene e a tutte coloro che meritano di essere protette.
LinguaItaliano
Data di uscita14 giu 2014
ISBN9786050307610
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    Anteprima del libro

    La vita segreta di Jenny - Guidi Giulia

    FINE?

    1.LA MIA VITA

    Vita, che cos’è la vita, è ciò che noi usiamo per nascere, crescere, imparare sempre nuove cose, conoscere persone, realizzare proggetti, obbiettivi e sogni, oppure è vivere la vita degli altri, dedicarsi a proteggere persone ingnare del pericolo che le circondano, dedicare corpo e anima a qualcuno che non conosci ma che sai che è gusto salvare, è difendere i deboli, combattere il male e servire la giustizia?

    Sono Jenny, una ragazza di sedici anni, abbastanza alta, capelli biondo cenere e occhi marroni chiaro, mi sono sempre considerate una persona normale, simpatica, riflessiva e generosa, ma anche con molti difetti, troppo generosa, a volte e con poco carattere, senza nessuna tendenza ad imporsi alle cattiverie altrui, anche se è ciò che odio di più al mondo, ma è inutile descrivermi, perchè ciò che successe in un momento della mia vita, la cambiò radicalmente, non mi diede nessuna scelta, dovetti accettarlo e adattarmi, continuare a vivere la mia nuova vita, pur assurda che sia.

    < Vorrei tanto che sistemassi questo caos>, urlò mia madre riferendosi alla mia stanza e aveva ragione, quando la guardai mi spaventai, c’erano vestiti di ogni genere ovunque, accessori, orecchini e collane sparse in ogni dove, era imbarazzante,

    < se non sistemi tutto, questo pomeriggio rimarrai a casa>, mia madre era una bella donna, bassa, capelli rosso fuoco, se le era fatti così una settimana fa, lei era convinta di essere molto più attraente, ma non sapeva che tutte le sue finte amiche, che lei amava così tanto, parlavano male alle sue spalle, ma non sono mai stata ne vendicativa e non mi piaceva dire cattiverie senza motivo, ma le sue minaccie erano incomprensibili a volte,

    < certo>, fu l’unica risposta che le diedi, quando poi cominciai a lavorare, pensai al fatto che dopo pranzo sarei andata in spiaggia a divertirmi con le amiche e mi sollevava così ci impiegai tutte le mie energie per svolgere il mio lavoro al meglio.

    Trovai di tutto in quel caos, sei collane, tre paia di orecchini e due sciarpe, non capivo che cosa ci facessero in giro, ero convinta di aver sistemato i panni invernali nell’armadio settimane fa. Eravamo in piena estate, precisamente il 23 Luglio e indossavo solo calzoncini e canotte, anche se non non avevo il fisico di una normale adolescente, di solito con gambe lunghe e magre, avevo qualche chiletto di troppo, combattevo con questo problema da questo inverno, a causa del troppo nervosismo che accumolai, mi gettai sul cibo e ingrassai sei chili, non molti, ma neanche pochi. Quando finì, andai al piano terra e vidi mia madre che stava aparecchiando la tavola, non mi ero accorta del molto tempo che avevo impiegato lavorando alla mia stanza,

    < Jenny, chiama tuo fratello e tuo padre, è pronto il pranzo>, a quell’ordine ubbidì e come prima cosa salì le scale e mi diressi nella stanza di mio fratello Brian, aveva 19 anni, frequentava l’università di medicina, sognando un giorno di diventare un grande chirugo, mio padre era così fiero di lui e glielo dimostrava ogni songolo giorno, a differenza di me, che non faceva altro che dirmi di studiare e studiare, ma mai un complimento, nulla, ma di questo non mi lamentavo, come tutto del resto. Quando arrivai lo trovai seduto alla sua scrivania, stava studiando, era così bravo e non solo era anche molto bello, se non ricordo male aveva tre ragazze e nessuna sapeva delle altre, era un mascalzone per un senso e un rubacuori dall altro, ma lo ammiravo, era alto, robusto, capelli biondo e occhi verdi, aveva molti amici, ragazze e un futuro di successo assicurato,

    < è pronto il pranzo>, gli dissi appoggiata alla porta della sua stanza quando lui si girò verso di me, < arrivo subito>, sorrisi alla sua risposta e me ne andai, scesi ancora le scale e mi recai nella nostra cantina, dove mio padre aveva creato il suo laboratorio personale, gli piaceva passare le giornate libere a creare o sistemare ciò che io e Brian rompevamo,

    < è pronto a tavola>, dissi trovandolo in piedi a sistemare una vecchia lampada, < arrivo subito>, stessa risposta e così risalì le scale ancora.

    < Sempre pasta al pomodoro?>, sentì mio fratello lamemtarsi, ineffetti era da circa una settimana che mia madre preparava sempre lo stesso piatto, < ancora?>, chiese mio padre arrivando e sentendo Brian, < sì, purtroppo questa settimana ho dovuto pagare delle spese urgenti>, si giustificò, anche se pensai che forse queste spese così importanti erano per il parrucchiere, il nostro pranzo, magari più invitante, era nelle sue tasche e solo perchè odiava essere presa in giro dalle sue amiche arpie sulle sue acconciature, era racapricciante e inutile ma non avrei mai capito il suo punto di vista.

    < Come vanno gli studi?>, mio padre chiese a Brian mentre cominciò a mangiare la pasta, < bene, sono quasi pronto per l’esame della prossima settimana>,

    < bravo>, non macavano mai i complimenti e io ero molto contenta del rapporto che avevano ma mi sarebbe piaciuto averlo anche io, non chiedevo molto del resto ma mi arresi quando cominciarono a fare i loro discorsi strani e così non li ascoltai più, conitnuai a mangiare e poi guardai mia madre nella speranza di iniziare qualche discorso con lei,

    < Jenny, oggi chiedi a Stefany se sua madre può farmi sapere com’era la torta alle carote>, torta alle carote?, ma che cosa diceva, ogni volta era inutile parlare con lei, le uscivano dalla bocca solo stupidaggini, < certo>, dissi sorridendole e poi continuai a mangiare capendo che sarebbe stato inutile pretendere da lei una conversazione interessante. Stefany era la mia migliore amica, o almeno credevo, era una ragazza bellissima, capelli biondi e lungi, occhi azzurri e un fisico asciutto e slanciato ma era da tempo che non faceva altro che trattarmi male, all’inizio pansavo solo che fosse di malumore ma poi pensai che invece ce l’avesse con me, ma non lo scoprì mai, perchè non glielo chiesi, preferì rimanere in disparte.

    Quando mia madre terminò di sistemare la cucina, ce ne adammo a rilassarci in spiaggia, non eravamo una famiglia benestante ma neanche con grosse difficoltà. Mia madre lavorava in una prufumeria, era un lavoro partime mentre mio padre era un ragionere con una mentalità molto strana, più simile a quella di un militare e Brian studiava e non aveva il tempo per altro, mentre io, in quanto ancora adolescente, non ci avevo mai pensato, frequentavo ancora le scuole superiori e forse avrei dovuto cominciare a preoccuparmi per il mio futuro così che mio padre potesse essere fiero anche di me.

    < Ciao ragazze>, dissi arrivando in spiaggia e vedendole tutte quante sedute a un tavolo di marmo, mentre giocavano a carte, ma nessuna di loro si girò, era come se non esistessi proprio,

    < andiamo! Hai barato>, urlò Stefany contro un’altra ragazza,

    < non è vero!>, si difese dalle sue accuse, < non credo>, disse guardando verso di me, < allora Jenny, tu cosa dici?>, purtroppo non sapevo cosa dire, ero arrivata solo adesso, < non lo so, non ho visto nulla>, mi giustificai,

    < come sempre!, cosa vuoi che capisca la nostra povera Jenny>, con questa inutile battuta fece ridere tutto il branco di oche che mi ritrovavo davanti, ma non dissi nulla, sorrisi, pensando a quanto avrei voluto risponderle a tono, pensai che dovevo essere davvero patetica per farmi trattare in questo modo dalla mia migliore amica, anche se ora avevo dei grossi dubbi che lo fosse ancora,

    < ehi!>, mi chiamo Stefany agitando le mani avanti e indietro davanti alla mia faccia, < come sempre sei nel tuo mondo dei sogni! Dai svegliati>, fece ridere ancora le ragazze, mentre io la fissavo, avrei voluto dirle, ascolta, stupida e arrogante oca!, non ti permettere di trattarmi in questo modo, altrimenti io…. neanche nella mia testa era in grado di responderle, figuriamoci nella realtà ma non ci pensai più e così mi alzai e le seguì e lo feci per tutto il giorno.

    Quando tornai a casa, mi diressi nella mia stanza, mi gettai pesantemente sul mio letto e cominciai a piangere,

    < perchè?>, urlai contro il mio cuscino, ero furiosa,

    < non fare così, lo sai che quelle sono solo delle ochette senza cervello, perchè non le lasci andare?>, era Brian, era davanti alla mia porta e mi alzai per ascoltarlo, era un fratello così saggio e mi dava sempre degli ottimi consigli, < hai ragione>, dissi singhiozzando, < certo! Sono solo ragazzette stupide>, mi sorrise per sollevarmi l‘umore, < che cosa succede?>, chiese mia madre raggiungendoci, < nulla, piange per quelle ragazzine che la trattano male>,

    < ma non è vero!, sono sempre carine con te>, perchè mia madre doveva essere sempre così ingenua a volte,

    < a meno che tu non le faccia qualcosa?>, ma ti che cosa stava parlando?, < smettila!>, la interruppe Brian,

    < sappiamo tutti quanti che sono cattive e meschine, devi distaccarti da loro>,

    < ma no! sono le sue amiche>, Brian la guardò con un tale sguardo, < non è vero e se tu pensi questo, sei proprio come loro>, mia madre si azzitì e se ne andò, avrei tanto voluto averle dette io quelle cose, avrei voluto avere il suo coraggio nell’affrontare ogni genere di persone. Brian venne verso di me e si sedette al mio fianco, < ascoltami Jenny, questo è il momento della tua vita in cui decidi di essere proprio come loro, schiocca, insulsa, che pensa solo ai ragazzi e ai capelli, come tua madre>, mi fece ridere, < oppure diventi una donna forte, coraggiosa, ambiziosa che aspira a un futuro bellissimo>, le sue parole mi avevano toccata ma mi avevano anche agitata, adesso non mi trovavo in nessuna di queste due categorie, io ero invisibile, anonima, senza pensieri, ne opinioni, dovevo prendere una posizione.

    Il giorno dopo trascorsi la mattinata a fare qualche compito di inglese, materia che odiavo, insieme alla matematica, ma prima o poi avrei dovuto farlo, così decisi di iniziare. Ci impiegai tre ore per finire solo una pagina di esercizi, non ero proprio portata per questa materia, ma mi sollevai pensando che adesso avrei pranzato e poi sarei andata a divertirmi in spiaggia, senza permettere più a quelle schiocche di usarmi.

    < Che programmi hai per oggi?>, mi chiese mio padre a tavola, con il suo solito tono autoritario, era un uomo sulla cinquantina di anni, alto, moro e occhi verdi, come quelli di Brian,

    < andare in spiaggia con le ragazze>, dissi mentre continuavo a mangiare, < e se invece oggi rimanessi a casa a studiare per recuperare le lacune che hai in alcune materie?>, era una finta domanda, visto che non avevo possibilità di scelta, ma non dissi nulla, continuai a mangiare,

    < non pensi di essere stato troppo severo con lei?>, intervenne Brian per difendermi, come sempre, < no, è solo per il suo bene>, per il mio bene, certo, come no, ma intanto oggi avrei passato la giornata a studiare ed ad annoirami, ma forse il lato positivo era che non avrei visto quelle arpie delle mie amiche, se si potevano definire in questo modo.

    < Guarda che per aver carattere alcune volte bisogna rispondere anche ai proprio genitori, nessuno è perfetto, sbagliano anche loro>, mi girai, ero sdraiata sul mio letto e alle mie spalle comparve mio fratello, < lo so, ma cosa potevo dire, con lui mi è difficile esprimermi>, era vero, non sapevo mai cosa dire, che argomento affrontare se era arrabbiato oppure no, mi sembrava di non conoscerlo proprio,

    < ascolta>, disse sedendosi accanto a me, < è molto facile capire nostro padre, ha solo l’aria da duro e lo fa per far sì che noi abbiamo timore di lui, così da obbedirgli sempre, ma sotto sotto è un uomo come tanti, con molto paure>, Brian sembrava conoscerlo molto meglio di me, < sai che una volta mi ha rivelato la sua più grande paura?>, lo ascoltai attentamente, non pensavo che avesse dei timori, < la sua preoccupazione più grande è perderti>, lo guardai stranita, < ha paura che un giorno un bel ragazzotto, bello e intelligente ti porti via da lui per sempre>, risi, era una paura schiocca, ma forse avrei dovuto gardare la questione non dagli occhi di una figlia ma da quelli di un padre, < dici sul serio?>,

    < certo! Me lo ha detto lui, parola>, disse alzandosi e adandosene, senza darmi neanche la possibilità di replicare ma sorrisi, ero contenta delle sua parole, mi voleva bene a modo suo e dopo questa rivelazione non mi dispiaceva così tanto obbedirgli dimostrandogli che ancora non aveva motivo per preoccuparsi.

    Il giorno dopo, andai in spiaggia, le mie giornate estive erano sempre uguali e raggiunsi le ragazze che erano sedute su uno sdraio di legno arancione,

    < ciao Jenny, che fine hai fatto?>, mi fece piacere la domanda di Stefany, significava che le importava di me e che aveva notato la mia assenza, < scusate, ho avuto dei problemi a casa>, risposi sorridendo, < non mi importa! Ti sei dimenticata che ieri c’era il torneo di beach volley?>, il torneo, me ne ero dimenticata,

    < dalla tua faccia si presume che te ne sei dimenticata, bhe se lo vuoi sapere abbiamo perso, ti abbiamo dovuta sostituire con un’incapace, anche se tu non sei da meno, ma non riusciva neppure a prendere una palla in mano>, era furiosa e si stava sfogando contro di me attirando l’attenzione di tutta la spiaggia, compresa quella di tre ragazzi che stavano passando di lì e si fermarono per assistere allo spettacolo,

    < mi dispiace…>,

    < cosa?>, mi interruppe, non facendomi finire la frase, ma urlava ancora più forte, < non credo che sei dispiaciuta, insomma, a me pare che non te ne freghi niente>, era in piedi davanti a me e mi stava umiliando pubblicamente, le persone guardavano ridendo, era uno spettacolo penoso, così, non riuscendo più a sopporatrlo, scappai di corsa piangendo, non sapevo dove sarei andata, forse a casa, avrei fatto tutta la strada a piedi ma almeno non sarei più rimasta lì a farmi trattare come una pezza al piede.

    Corsi via piangendo, quando mi rifugia dietro una cabina di legno e piansi ancora più forte, nessuna amica che tenesse a me mi avrebbe trattata in questo modo e forse tutti I discorsi di Brian avevano un senso ora, non potevo farmi trattare come un’oggeto da usare e gettare a piacimento, io ero una persona e anche una delle migliori, ma nessuno vedeva questo in me, vedevano solo una debole, senza forza, senza nessuna amica vera su cui contare, era triste, ma alla fine avevo scelto io tutto questo.

    < Perchè ti fai trattare in questo modo ragazza?>, questa domanda mi venne fatta da un vecchietto che passava di lì e che aveva ascoltato ogni cosa, era basso, capelli bianchi, indossava calzoni neri e una camicia gialla, strano vestiario per una spiaggia,

    < non lo so..> risposi ancora piangendo, < non dovresti permetterglielo, tu sei molto migliore di quella sciocca>, si riferiva a Stefany e aveva ragione,

    < vedrai, il tuo momento giungerà presto>, guardavo a terra e quella frase era molto strana, così lo guardai, quando mi accorsi che non c’era più, era come sparito ma in quel momento non ci feci alcun caso, erano frasi senza significato per me così me ne andai, non sarei rimasta lì un altro secondo di più.

    < Giuro che se non lo fai tu, lo farò io! Le strapperò quel sorrisetto da quella faccia da stronza>, Brian era furioso, gli avevo raccontato ogni cosa, < aspetta, calmati>, era fuori di sè, mi voleva davvero molto bene, ero la sua sorellina minore,

    < andiamo! Come puoi far sì che quella schiocca ti tratti così?>, era una bella domanda, < allora? Quando ti deciderai di svegliarti>, era arabbiato anche con me e aveva ragione, quando avrei preso in mano la mia vita e mi avrei fatto coraggio,

    < perchè urli così?>, chiese mia madre giungendo sulla soglia della porta della mai stanza, < come sempre, quelle sue stupide amiche la trattano come una pezza al piede>, mai madre mi guardò,

    < non è possibile, sono tutte molto carine e gentili, specialmente Stefany>, perchè doveva essere arrivata mia madre per farmi sentire peggio, le sue parole erano veleno per me,

    < cosa? Anche tu però, svegliati! Sono delle arpie, lo sappiamo tutti, se poi si comportano in un modo con te, perchè sei sua madre e con lei in un alto, tu non lo sai>, Brian era così intelligente, avrebbe dovuto fare lo psicologo, capisce molto bene le menti delle persone soprattutto quelle più contorte, come quella di mia madre, < come vuoi tu, con te non si può mai parlare>, se ne andò lamentandosi, ogni volta che I due duscutevano, lei se ne andava arrendendosi,

    < non voglio più vederle>, dissi gettandomi sul cuscino,

    < no! invece>, mi corresse, < tu non devi far vedere a loro che sei stata male per questo, tu domani ci andrai e gli dirai a loro quello che pensi>, quello che penso?, non ne avrei mai avuto il coraggio, ne ero certa, < tira fuori gli attributi una volta ogni tanto>, disse allontanandosi anche lui. Brian voleva solo proteggermi, dovevo affrontarle ma come potevo, sapevo che adesso, sola, avrei pensato di farcela, ma quando sarebbe giunto il momento, sarebbe stato un disastro.

    Il giorno dopo mi trovavo in spiaggia, sudavo molto, ero agitata, non le avrei permesso più di parlarmi in quel modo.

    Quando arrivai, loro erano, come al solito, sedute sul tavolo di marmo e quando Stefany mi vide mi corse in contro,

    < ciao Jenny>, mi abbracciò forte, tutte scene inutili, pensai,

    < senti, mi dispiace per ieri, ho esagerato>, mi colpì, non pensavo che si sarebbe scusata con me, non lo credevo possibile,

    < non dovevo arrabbiarmi così e neanche trattarti in quel modo, amiche?>, sorrisi, ero così felice che lei avesse ammeso i suoi errori e che mi avesse chiesto scusa, era una vera amica,

    < certo>, sorrisi e lei mi abbracciò ancora,

    < bene! Andiamo a fare qualche tiro a beach volley per festeggiare?>, era così raggiante che annuì e la seguimmo.

    Passammo tre ore bellissime, giocammo, ridemmo e scherzammo, come delle vere amiche e ne ero contenta,

    < pausa vi Prego!>, urlò Stefany accasciandosi a terra dalla stanchezza, < sono esausta>, rideva, < vado a dissetarmi>, dissi allontanandomi per andare alla fontanella dell’acqua, avevo una tale sete dopo tutto quel movimento.

    Quando arrivai, c’era un pò di fila, così aspettai e pensai a quanto fosse bello riavere la mia migliore amica, forse era solo un perdiodo di nervosismo che stava passando e che non me ne voleva parlare, però ero certa che le sue scuse erano sincere ma

    quando tornai indietro le sentì parlare,

    < l’ho fatto solo perchè sua madre ha chiesto alla mia di essere gentile con lei, non ha amiche, ha solo noi, non è triste?>, era la voce di Stefany che rideva e mi sbeffeggiava, quindi era stata carina con me solo a causa di una richiesta di mia madre? Non ci potevo credere, era orribile, le odiavo tutte, compresa quella bugiarda di donna che mi aveva messo al mondo, ero un caso pietoso per loro e forse lo ero davvero ma non avrebbero dovuto farlo. Me ne andai scocciata e ansimante, non sarei riuscita a rimanere con loro un’attimo di più, secondo Brian, sarei dovuta andara da loro e dirle tutto, ma non ne avevo il fegato e preferì fuggire piuttosto che affrontarle, ero una codarda,

    < dove sono i mie soldi?!>, ero sopra pensiero, quando la voce di un uomo mi riportò nella realtà e ciò che mi apparse davanti, fu una scena orribile. C’erano tre uomini, uno con capelli biondi e lunghi, il secondo aveva una strana pettinatura, una specie di cresta e l’ultimo capelli corti e mori, tutti di stazza massiccia, che tenevano a terra con la forza un povero vecchio che sembrava essere in difficoltà,

    < allora? Rispondi?>, il secondo di loro lo chiese urlando tanto che sputò a dosso all’uomo senza volerlo, mi guardai attorno quando mi accorsi che eravamo in un luogo abbastanza isolato e che non potevo muovermi, altrimenti mi avrebbero vista, così mi raggomitolai vicino una siepe, con la speranza di non attirare l‘attenzione. Gli uomini continuavano a infierire contro il vecchio con calci e pugni, sembrava una questione di debiti,

    < vecchio! Sappiamo che hai i soldi>,

    < no.. giuro non ne ho>, dovevano credergli, stava piangendo, era una scena straziante, < come no, ma un uccellino mi ha detto che quattro giorni fa, la tua bellissima figlia si è sposata>, il vecchio si irritò e cercò di alzarsi ma lo strattonarono e lo gettarono ancora a terra, < non erano i mie soldi>, l’uomo continuava a piangere, < cosa dobbiamo fare con te?>, chiese il secondo di loro guardando il cielo, come se stesse pensando a cosa fargli, ma non poteva ucciderlo, no, non poteva o almeno speravo, < vi prego, risparmiatemi>, il vecchio li stava implorando, < per domani li avrò tutti>, ma il primo di loro cominciò a ridere, < ma sarà troppo tardi>, furono le sue ultime parole quando poi estrasse dalla tasca un coltello e pugnalò l’uomo dritto al petto morendo sul colpo.

    A quell scena urlai tappandomi subito la bocca per non farmi sentire, mi guardai attorno e decisi che dovevo scappare, mi alzai per correre quando mi sentì presa dalle spalle e mi ritrovai a terra e quei tre bestioni sopra di me,

    < guarda, guarda, una spia!>, ero terrorizzata, stavo tremando dalla crudeltà della scena alla quale avevo assistito,

    < chi sei?>, mi chiesero, dandomi un calcio nello stomaco, il dolore fu lancinante tanto che pensai che mi avessero rotto come minimo una costola, ma non riuscivo a parlare,

    < cosa fai, non parli?>, la sua domanda mi spaventò ancora di più, ma di che cosa stavano parlando,

    < cosa ne facciamo di lei?>, questa domanda mi fece tremare ancora più forte, quando uno di loro mi guardò,

    < uccidiamola>, quella parola mi fece gelare il sangue,

    < no vi Prego!>, ulrai senza accorgermene, ero riuscita a parlare,

    < allora parli, bene, chi sei?>, ansimavo, ma se non volevo morire, dovevo assecondarli, < sono jenny, io…. Ho solo sedici anni>, ero molto spavenata,

    < per chi lavori?>, cosa? Ma di che cosa stava parlando ancora?,

    < per nessuno, io…. Vengo solo in spiaggia a divertirmi con le amiche>, gli uomini sospirarono, < guardala, ci manca poco perchè se la faccia sotto, non sa nulla>, respirai, forse avevano capito la situazione, non potevo morire adesso e non in questo modo, non avevo deciso il mio futuro ma non era giusto privarmi di questa scelta,

    < va bene, allora vai>, l’uomo mi fece gesto di andarmene, all’inizio lo guardai, ma poi non ci pensai ancora, mi alzai dolorante ed ero pronto a scappare ma quando mi alzai mi sentì nuovamente gettare a terra e cominciarono a ridere,

    < quanto è stupida?>, non mi avrebbero lasciata andare,

    < non dirò nulla>, cercavo di convincerli con la poca voce che avevo, < ah no, non lo dirai a nessuno?>, il suo ero un tono sarcastico, speravo tanto in un miracolo, che non avvenne, improvvisamente gli uomini cominciarono a infierire su di me, con calci, pugni, all’inizio vedevo bene ciò che mi facevano, poi vedevo solo rosso, accorgendomi che era il sangue che sgorgava dalla mia testa e infine non vidi più nulla.

    < Dovrebbe sentirsi in colpa>, la voce era rabbiosa e accusatoria,

    < lei sarà colei che ci salverà>,

    < starà scherzando? Lei ha giocato con la vita di una povera ragazza, le rimmarrà sulla coscienza per sempre>, non vedevo nulla, ma sentivo chiaramente queste due voci che sembravano parlare di me, quando poi mi sentì sollevare da terra e poi ancora il nulla.

    Ero in piedi, in spiaggia e davanti a me c’era Stefany,

    < ciao Jenny>, la guardai stranita,

    < ciao>, dissi sorridendo mentre mi diressi da lei,

    < come ti senti?>, era una domanda strana, non me lo aveva mai chiesto, < bene>, dissi sarcastica, < sicura?>, i suoi occhi erano così tristi e angosciati, < ma che cosa ti prende?> le chiesi non capendo che cosa stava succedendo, quando poi all’improvviso se ne andò, < aspetta! Stefany!>, la chiamavo ma mi ignorò,

    < per chi lavori?>, mi girai di scatto, era uno di quei uomini che mi guardava intensamente, mi misi le mani nella testa, ma cosa stava succedendo?, quando all’improvviso ricordai i tre uomini che mi avevano malmenata,

    < tu!!>, urlai furiosa, cominciando a piangere,

    < io cosa?>, l’uomo cercava sempre di avvicinarsi più a me,

    < vattene!>, urlavo e piangevo, < mi fai schifo, tu….>, non riuscivo più a parlare, quando poi aprì gli occhi.          

    2.LA MIA NUOVA VITA

    Mi guardai attorno, ero sdraita in un letto di ospedale, non riuscivo a muovermi, sentivo dolore ovunque, indossavo una strana camicia da notte lunga e tutta bianca che mi arrivava fino al ginocchio, mi accorsi che al mio braccio destro era attaccato un tubicino, era un’aflebo, ma non ci feci tanto caso, quando cominciai a guardarmi attorno, ero in una strana stanza, era piccola, c’era solo il mio letto e a fianco un piccolo comodino con un bicchiere d’acqua, che avrei tanto voluto prendere per berlo, ma non ci riuscivo e infine sulla destra un piccolo bagno, ma ciò che attirò la mia attenzione fu il fatto che sia nell’unica finestra e alla porta si trovavo delle sbarre di ferro come se chiunque vi trovasse, non potesse più uscire da lì ma i miei erano solo stupidi pensieri.

    < Ben tornata tra di noi>, qualcuno aprì la porta della stanza venendo verso di me e quando guardai, notai che era lo stesso vecchio della spiaggia con quei indumenti strani che aveva cercata di consolarmi dopo l‘umiliazione subita da Stefany,

    < ciao ragazza>, questa volta aveva un camice che nascondeva i suoi vestiti, capì subito che era un medico,

    < salve>, risposi, < io l’ho già vista… lei>.

    < sì! Sono io, hai visto che coincidenza> rise, ero molto debole, < come ti senti?>,

    < stanca, ma per il resto, bene>, non ero di troppe parole, avrei voluto tanto dormire, < bene, ne sono contento>,

    < cosa….>,

    < no, sei stanca, riposati>, mi interruppe, non avevo la forza per affrontare una discussione, < i miei genitori>, mi premeva sapere se la mia famiglia era a conoscenza di ciò che mi era successo,

    < sono qua fuori, quando ti sveglierai, loro saranno da te>, mi addormentai serena e con molta facilità, ero davvero stanca.

    Mi sveglia, < Jenny, tesoro!>, sentì la voce di mia madre e la vidi davanti a me, < ciao>, risposi contenta di vederla,

    < come stai?>, il suo tono era amorevole e preoccupato,

    < bene adesso, mi sento molto meglio>,

    < ne sono felice>, ma all’improvviso il suo sguardo si fece strano, era cattivo e privo di emozioni,

    < perchè hai dovuto metterti in questo guaio?>, la guardavo stranita, ma di che cosa stava parlando?, < guaio, ma cosa dici?>, era così strana,

    < sei stata tu a permettere a quei uomini di farti del male>, stava delirando, < è vero>, Brian comparve alle spalle di mia madre, anche lui aveva uno strano sguardo,

    < non ti imponi mai e loro, come tutte le persone che ti conoscono, hanno fatto ciò che volevano>, era assurdo sentire queste cose dalle loro bocche, < ma cosa dite?>, ero incredula, quando poi comparse anche mio padre, aveva uno sguardo assente e vuoto, li guardavo senza capirci nulla quando poi cominciarono a fissarmi come se fossi un’estranea,

    < basta…. basta!!!>, urlai quando poi mi alzai con il busto dal letto, era solo un sogno, un terriblie incubo,

    < brutto sogno?>, il vecchio era davanti a me, < eh sì>, mi asciugai il sudore, era stato così reale, < come ti senti?>, quella domanda mi fece tornare nella realtà,

    < bene>, dissi, effettivamente stavo benissimo,

    < molto meglio>, disi convinta che fosse stato lui il medico che mi aveva salvata, quando poi notai alle sue spalle un ragazzo, avrà avuto all’incirca poco più di ventiquattro anni, capelli biondo cenere e occhi verdi, era bellissimo, con un fisico perfetto, statuale e muscoloso, lo potevo notare anche con quei calzoni neri con grosse tasche che portava e ai piedi grossi anfibi e una t shirt, anch’essa nera, < lui chi è?>, chiesi, visto che era nella mia stanza,

    < lui è William, il mio assistente>, era molto strano, eravamo in un ospedale, per quale motivo era vestito in quel modo?, ma comunque non sapendo nulla di medicina non ci pensai.

    < I miei genitori?>, chiesi, avendo un grande desiderio di vederli, sembrava che avessi dormito per giorni,

    < mi dispiace, sono appena andati via>, alla risposta del vecchio, William sbuffò irritato e se ne andò sbattendo la porta alle sue spalle, lo guardai stranita, < non ci fare caso, è un ragazzo con molti pensieri nella testa>, gli sorrisi, < sono appena andati via quindi?>, chiesi sincerandomi della risposta,

    < esatto, ma torneranno presto>, il suo sorriso mi dava fiducia, così mi rigettai sul letto, notai che non avevo più l’aflebo e vidi che nel mio braccio non c’era neanche traccia di un piccolo buco, nulla, così lo guardai stranita, ma anche a questo non ci feci caso,

    < quando potrò andarmene?>, chiesi, spezzando quel silenzio imbarazzante, < presto, molto presto, hai recuperato le forze im fretta, sei una ragazza forte>, sorrise e poi il suo volto si fece più serio, < tu ricordi cosa ti è successo vero?> e come potevo dimenticare, < certo>, ero seria anche io, < li hanno presi, se può farti stare meglio>, lo guardai, < davvero?>,

    < certo, sono in carcere>,

    < è quello che si meritano quei vigliacchi, malmenare un ragazza….>, non riuscì a finire la frase che comiciai a piangere, < shh, non devi preoccuparti, hai ragione, sono stati dei vigliacchi>, non solo, meritavano peggio del carcere, qualcuno che insegnasse a loro come comportarsi,

    < fortunatamente sono ancora viva>, dissi ridendo tra le lacrime, ero così felice di aver superato una situazione del genere, anche sei avrei preferito non viverla proprio, ma il destino a volre era crudele e bisognava accettare il dafarsi,

    < penso che mia madre possa morire per questo, come l’ha presa?>, volevo sapere come aveva reagito, avrà sicuramente pianto come una disperata,

    < male, ovviamente, ma sono felici che tu stia bene, l’importante è questo>, il vecchio aveva ancora uno sguardo molto strano, era triste, non capivo il perchè, ma poi si alzò e si diresse verso la porta, < più tardi verranno delle infermiere a fare delle analisi di accertamento>, anche se avevo paura, feci cenno di aver capito, quando poi se ne andò e rimasi sola.

    Ero sveglia ed energica, non ero più riuscita a dormire, aspettavo che la mia famiglia tornasse da me e conoscendoli, sarebbero tornati davvero presto, quando la porta si aprì e per un attimo mi mancò il respiro, ma mi rilassai vedendo che erano le tre infermiere con l’apparecchiatura per le analisi.

    < Salve>, le salutai, ma loro maleducatamente mi ignorarono,

    < salve>, salutai ancora, pensando che non mi avessero sentita, ma nulla, decisi di lasciare perdere, è vero che eravamo in un ospedale, ma neanche salutare, mi sembrava strano. Impiegarono quasi due ore per farmi tutti gli accertamenti, alcuni erano molto strani, come quello di collegarmi dei fili alle braccia, che senso aveva monitorarmi tutto il corpo, non era sufficiente solo gli organi principali?, ma siccome non ero un medico, non potevo sapere.

    Il giorno dopo fu davvero strano, non venne nessuno da me, ne il vecchio, ne i miei genitori, nessuno, chiamai insistentemente l’infermiera, ma non si presentò, quando decisi di alzarmi, ma appena lo feci, due infermiere vennero finalmente da me,

    < salve, scusate, qualcuno ha avvisato la mai famiglia?>, ma

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