Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

La catena spezzata
La catena spezzata
La catena spezzata
E-book162 pagine2 ore

La catena spezzata

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Questa raccolta di racconti, intitolata “La catena spezzata”, prende certamente il titolo di uno di essi, ma si riferisce soprattutto al filo conduttore che la percorre tutta. Non sono solo le vite ad essere spezzate, per la rottura di un amore, di un'amicizia o di un congedo definitivo, a volte la scissione colpisce l'identità stessa delle persone, fino a superare il confine con la cosiddetta normalità.
Ma c'è anche la storia problematica di una città, come Trieste, a ridosso di un confine particolare che ne ha permeato l'atmosfera di instabilità, riflettendosi sui suoi abitanti.
I personaggi di questi racconti sono persone in bilico, fra vita e morte, normalità e follia, passione e abbandono. Le loro storie vengono descritte sottolineando l'aspetto psicologico, con qualche accenno esoterico; e non è un caso che alcuni segnali possano acquisire un significato ulteriore, a volte simbolico. Così una conchiglia può ricordare un figlio o un genitore, un labirinto può rimandare a una vita precedente, a una nave può essere ancorata una vita.
LinguaItaliano
Data di uscita28 mar 2023
ISBN9791280649386
La catena spezzata

Correlato a La catena spezzata

Titoli di questa serie (8)

Visualizza altri

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su La catena spezzata

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    La catena spezzata - Giorgetta Dorfles

    COVER_la-catena-spezzata_EBOOK.jpg

    Tutti i diritti riservati

    Copyright ©2023 Gammarò edizioni

    Oltre S.r.l., via Torino 1 – 16039 Sestri Levante (Ge)

    www.librioltre.it

    ISBN 979-12-80649-38-6

    isbn_9791280649386_EBOKK.jpg

    Titolo originale dell’opera:

    LA CATENA SPEZZATA

    di Giorgetta Dorfles

    Collana * Le opere e i giorni *

    ISBN formato cartaceo: 979-12-80649-19-5

    CANZONCINE

    La madre giace immobile da venti giorni in un letto d’ospedale, senza riuscire a comprendere la ragione di questa costrizione: il suo cervello ormai collassato per la demenza senile non riesce più a sintonizzarsi sulla cruda realtà, una gamba rotta, la necessità di tenerla ferma. Sopravvive in lei, ancora forte, lo spirito d’indipendenza: sta reclamando senza sosta, con tono che da autoritario diventa supplice, il suo diritto di alzarsi per andare in bagno. Alle canzoncine inventate, che recitava in continuazione per colmare il vuoto di una casa ormai deserta, ha sostituito un ritornello pietoso: Datemi il vasetto, devo far pipì, vi prego… e a nulla vale spiegare che il catetere provvede a vuotarle la vescica. Quando si rende conto che la sua supplica è vana comincia a smaniare, piegando le gambe e tentando di metterle oltre le sponde del letto, perché vuole andar via, lontano da quel luogo di contenzione. È l’istinto animale della fuga che la governa, l’istinto della sopravvivenza. La sua coscienza più profonda intuisce che là dentro, rintuzzando ogni suo tentativo di rimettersi in piedi, la ridurranno a un sacco vuoto: Cosa vuole, è l’età, non si può pretendere altro, sentenziano altezzosi i medici, che non conoscono la sua energia vitale, ancora notevole a 97 anni, la sua caparbia volontà di essere sana.

    Non l’hanno messa seduta, dopo due settimane, quando è notorio che non bisogna allettare l’anziano. Continui a chiedere ai medici che la facciano alzare un po’, ma loro non credono che possa recuperare e quindi non vogliono scomodare gli infermieri. Pensano che è inutile impiegare lo scarso personale a disposizione per riabilitare un vecchio, meglio lasciarlo crepare, magari con qualche aiutino (lo si può sempre mettere nella stanza senza riscaldamento, aprire la finestra con un grado sotto zero, lesinargli le cure necessarie). Così è arrivata la broncopolmonite: Non ci sono speranze, non vede in che condizioni è, c’è anche un’infezione urinaria, e poi l’età…

    Sembra arrivato il momento che forse ti sei augurata, quando eri stufa di dover limitare la tua vita in funzione sua, di rinunciare ai viaggi lunghi, di sopportare le sue interminabili litanie. Ma davanti a quella testolina inerme sul cuscino, il volto già disegnato a guisa di teschio, prevale la pena, la pena per una vecchiaia indifesa e incompresa, da te stessa per prima.

    La madre teneva le mani intrecciate, come in preghiera. Lo stesso atteggiamento in cui l’avevi trovata quando eri corsa a casa dopo la morte di tuo padre. Adesso per cosa prega? Per la morte o per la vita? Allacci le sue mani alle tue: le parole non sanno e non possono più esprimere quel contatto che avete cercato per una vita. Madre sconosciuta e inconoscibile: cosa speri per lei, cosa ti auguri? La ragione ti ricorda che quella non è vita, che non puoi più riconoscere in quella vecchia sdentata, mezza demente, la raffinata intellettuale di un tempo. Quante volte hai pensato che la sua fine non ti avrebbe toccato più di tanto, che forse non te ne importava più niente che stesse ancora a questo mondo? Persino lei, negli sprazzi di lucidità, infilava in mezzo alle filastrocche quelle frasi, crudeli nella loro spietata verità: Non ce la faccio più, più, più, voglio morire.

    Ma davanti alla prospettiva reale dell’evento invocato ti trovi accasciata: brancoli fra attacchi di terrore e di disperazione, ti lasci trascinare in un’allucinata previsione della sua morte che copre tutto l’arco della giornata e si rafforza nella notte, nella spasmodica attesa-paura di un ferale trillo di telefono. Vivi identificata in lei, nella sua catalessi, nella mancanza d’aria, nella maschera mortuaria del suo volto. Da dove viene questo coinvolgimento imprevisto? Dall’antica ferita dell’abbandono, che non ti permette di perdere per sempre quella madre che lesinava la sua presenza ad una bambina impaurita? Dalla voce del sangue che se ne infischia dei conflitti che vi hanno allontanato da una vita? Dalla compassione profonda verso un essere che in qualche modo, nel bene e nel male, fa parte di te?

    L’avevi portata via dall’ospedale in cui l’avevano giudicata irrecuperabile e, in effetti, aveva già l’aspetto di un cadavere quando era stata trasportata in una clinica privata. Avevi raccolto il suo appello: Non fatemi morire, dettato da un lampo di lucidità in una condizione ormai catatonica. Lo avevi deciso nonostante la madre da tempo non sapesse cosa farsene della vita, nonostante fosse ormai considerata perduta per la cerchia dei conoscenti. Per te, invece, il suo accostarsi al regno della follia – i suoi deliri, le voci che sentiva – aveva favorito una sorta di pacificazione: la sentivi finalmente più vicina, più simile a te, la pecora nera della famiglia, che da giovane aveva avuto seri problemi psichici, camminando in seguito sul filo di una condizione borderline.

    Le avevi appena salvato la vita; le stavi aggiustando il golfino sulle spalle, con dolcezza, quando era uscita quella frase: Guarda che non dimentico. Ti eri chiesta a cosa potesse alludere: forse alle assidue cure che le riservavi da un mese, alle carezze con cui sfioravi quel volto immobile dagli occhi serrati? Non dimentico che hai fatto una cosa molto brutta, che nessun altro poteva fare. Non stava delirando, ti stava dicendo di non pensare di poter rimediare, con quei gesti affettuosi, al colpo che le avevi inflitto quando avevi seminato scandalo per delle innominabili scappatelle di gioventù. Era chiaro che si riferiva a quel periodo, glielo potevi leggere negli occhi. Una frase che sembrava cancellare ogni speranza di riscatto di un rapporto che per anni, con le scarse risorse del tuo infelice carattere, avevi tentato di instaurare.

    Tutti cantano, tutti cantano: la madre aveva ripreso la sua cantilena preferita con cui tentava di giustificare il fatto di passare le giornate sciorinando ossessive litanie, da lei chiamate canzoncine, definendola un’attività di uso comune. Era tornata alla normalità, ovvero a ciò che questo significava per lei, visto che la precisione e la lucidità dei suoi ragionamenti erano ormai offuscati dal delirio senile. Tutti corrono, tutti corrono: era il suo anelito di libertà, la sua antica voglia di vagabondare sola per la città, di scappare da una casa ormai vuota. Adesso è dal letto della clinica che vuole fuggire: A casetta, andare a casetta; anche la casa-prigione, dove passava le giornate confinata in poltrona, che nelle manie persecutorie credeva imbevuta di veleni, ora le sembra un luogo ambito rispetto all’asepsi di quel luogo di sofferenza.

    Dopo averla vista in veste pre-cadaverica, il suo recitare ritmico, senza pause, sordo ai richiami, che ti faceva andare in pappa il cervello, è quasi rassicurante.

    Da quando il nastro della mente si era inceppato, i moduli comunicativi della madre si erano standardizzati: ogni argomento che riteneva interessante poteva essere ripetuto per mesi, ma anche diverse volte nell’ambito della stessa conversazione perché, dopo dieci minuti, non ricordava più quello che aveva detto. Quelle formule reiterate, quasi fossero incastrate nel cervello, che esprimeva con convinzione come fossero una scoperta del momento, mentre le aveva recitate con la stessa enfasi il giorno prima, ti facevano capire che anche i suoi discorsi salottieri di un tempo erano solo dei formulari preconfezionati dietro ai quali nascondere l’incapacità di comunicare.

    Non avevi mai osato farle capire che, già dal primo accenno, avresti potuto anticipare per filo e per segno la tiritera che stava per snocciolare. L’argomento principe riguardava la sua infanzia: di tutto il passato sembrava ricordare solo quella casa affacciata sul mare, di cui si vantava come di un grosso privilegio: Pensa che da piccola non conoscevo la città perché vivevo su un molo. Tutti i miei giochi si svolgevano nello squero vecchio. Non c’erano altri bambini, ma io mi divertivo anche da sola a esplorare quei posti, a seguire le fasi della riparazione delle barche che arrivavano lì squarciate. E poi c’erano le bitte, che potevo utilizzare per i miei esercizi: mi servivano da panca, da cavallina, da ostacoli nella corsa. E non c’erano macchine a disturbare le mie evoluzioni, avevo una grande libertà e poi...poter sputare in mare dalla finestra!

    Tutti corrono, tuuutti corrono, corrono. Quelle nenie senza senso ti ricordavano le cantilene che improvvisavi da bambina, nate dal puro gusto di collegare parole, magari del tutto estranee, per creare una rima e di imprimere loro un ritmo, risolto in cadenze piuttosto monotone. Eri sempre stata zittita dalla madre: Smettila di dire sciocchezze, basta, sei estenuante! Nella tua mente infantile c’era già in nuce la sua regressione senile, che avrebbe rivolto in forma ossessiva le stesse filastrocche che ti aveva censurato allora. Forse anche lei aveva coltivato lo stesso vizio e la nonna, frastornata da quei recitativi, l’aveva messa a tacere; perciò si era vendicata su di te, dandoti della sciocca e della rompiballe, fino a ridurti al silenzio. È possibile che entrambe, riservate e taciturne da adulte, foste state delle bambine troppo loquaci e fastidiose, tacitate dalle rispettive autorità materne. Scoprivi che forse c’erano in te dei lati di tua madre che mai avresti sospettato e, con orrore, ti vedevi destinata in vecchiaia a questa forma di rassicurazione autistica in un progressivo distacco dal mondo.

    Il reciproco riconoscimento era sempre stato contrastato da due indoli poste agli antipodi: lei fredda, controllata e razionale, tu emotiva, fragile e istintiva. Ascoltare i suoi lunghi monologhi, popolati di personaggi e avvenimenti immaginari, ti procurava una sensazione nuova d’intimità perché, annuendo con compiacenza a quelle storie bislacche, potevi finalmente dimostrare di stare dalla sua parte.

    Anche la fisionomia della madre era cambiata: il suo biglietto da visita per brillare in società, il sorriso perfetto dai grossi denti regolari, era ormai cancellato. Eppure da quell’immagine asettica e quasi patinata, degna di un’inserzione pubblicitaria, non era mai scaturita la grazia e la dolcezza della sua bocca sdentata, che ricalcava l’espressione disarmante della nonna in qualche lontana fotografia.

    Aveva perso anche la padronanza della scrittura: quella bella calligrafia fluida, equilibrata, elegante, ben diversa dagli sgorbi illeggibili che avevi ereditato da tuo padre. Avresti dovuto leggervi la limpidezza, la stabilità della sua indole, invece di focalizzarti sulla corazza difensiva che aveva costruito per fronteggiare le insidie di una società fasulla e ingannevole. Avresti potuto imparare qualcosa da quei caratteri così morbidi e lineari, capire che la sua olimpica serenità non comportava un’insensibilità distaccata, ma solo una saggia presa di distanza dalle subdole meschinità con cui si voleva scalfire la sua condizione di privilegiata.

    Tornata a casa, a tratti non ti riconosceva più e ti accoglieva con la disponibilità e la gentilezza che aveva sempre riservato alle domestiche che, effettivamente, si ricordavano di lei a distanza di anni come di una padrona modello. Non c’era più fra voi quello sguardo ostile e guardingo che denunciava un risentimento sotterraneo, ma il suo rispecchiava quello di una bambina spaurita, restituendole un’innocenza che cancellava ogni traccia di durezza e di distacco. Così tu, nel nuovo ruolo, potevi toccarle il braccio con la fermezza di una badante per sentirti dire: Mi affido a lei, sa sono nuova di queste parti, sono un po’ spaesata! In

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1