Buen Camino
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Anteprima del libro
Buen Camino - Maria Bernardetta Cabras
Maria Bernardetta Cabras
Buen Camino
un passo dietro l'altro
verso Santiago
a un ritmo speciale
Prefazione
Un percorso, una strada, un cammino: la straordinaria storia di Federico Cappai, sostenuto da papà Pierangelo e dalla sorella Karola, incoraggiati a distanza da mamma Alessandra - che farà anche lei, come spiega l’autrice del bellissimo libro di Maria Bernadetta Cabras, un cammino di scoperte e novità – rappresenta, per chi strenuamente e senza sconti combatte (combatte è il termine giusto) affinché le persone autistiche e le persone con disabilità in genere possano essere incluse nella loro comunità e non rinchiuse in qualche posto a parte, un’esperienza-mito, una vittoria personale indubbiamente, ma anche collettiva, piena di significato nella sua semplicità. Significato che vale non solo per il privato, ma anche per le Istituzioni, perchè questa storia contribuisce a far capire che rispettare i diritti umani vuole anche dire che nemmeno un euro va speso per relegare chiunque in ricoveri, che le persone vanno sostenute, sempre, lì dove vogliono vivere, in mezzo alla loro comunità.
Certo, bisognava lanciare il cuore oltre l’ostacolo: e Pierangelo, il padre - uno di quei padri che non scappano, che si prendono 1a responsabilità - ha davvero fatto il padre: ha sentito che si poteva fare, che ne valeva la pena, che questo cammino era un cammino da fare, forse senza sapere nemmeno quali sarebbero stati gli effetti, che hanno creato stupore e ammirazione non solo tra gli amici ma anche nei principali mezzi di informazione nazionali, oltre che nei social network.
La relazione è un fattore che, mi sembra, permea tutto il libro: è stato un cammino, un percorso di relazioni, di relazioni con tutti coloro che si incontravano. Il libro ci fa vedere
come le persone, in qualunque situazione siano, in qualunque gravità siano, devono camminare insieme alla propria comunità, che è il mondo, il proprio paese, il proprio quartiere.
Cosa c’è di più difficile per tutti dell’avventurarsi in una strada nuova, che non si conosce, senza sapere che cosa ci può essere intorno a noi, quali difficoltà si attraverseranno, quali problemi ci saranno?
Chi di noi cosiddetti normodotati affronterebbe con questo presupposto un cammino comunque difficile e misterioso?
Certo, se persone considerate magari esperte
cercano di convincerci che non si può, che la nostra diversità può diventare un pericolo per noi e per i nostri cari che ci circondano, che per le persone speciali
ci vogliono spazi e luoghi dedicati e riservati, che la fatica è troppa per tutti... beh, sì, magari invece di fare il Cammino di Santiago probabilmente ci ritroveremo dentro luoghi istituzionalizzanti, come accade a Barcellona, in Spagna, così come a Francoforte, in Germania, come in tantissimi luoghi in Italia.
I problemi non piacciono a nessuno, meglio non affrontarli, o meglio specializzarli, toglierli dallo sguardo, dalle interferenze della quotidianità, che va preservata per i cosiddetti normali. Le persone con disabilità, in particolare quelli che non si possono sempre rappresentare da soli come Federico, forse è meglio che abbiano luoghi e vite separate. Così qualcuno sostiene.
Ma meno male che ci sono madri e padri come Pierangelo, che dicono di no, che davanti ai diritti umani non si fanno abbindolare dalle sirene che gli prospettano vite più comode ma al di là
, ma scelgono vite con
. E, insieme ad altri genitori, promuovono associazioni – come Diversamente Onlus - faticano, scelgono la strada più difficile ma quella che da il senso vero della vita umana: essere in relazione, e che nei luoghi di custodia non esistono relazioni, c’è solo il buio, la morte della persona.
E’ la storia di questo libro, la dimostrazione vissuta da Federico che nonostante tutte le difficoltà ce la si può fare, che alla vita che tanti ti dicono im-possibile
sei riuscito a sbarrare le prime due lettere, e diventa possibile, è possibile. E in mezzo a tutti, non in luoghi contenitivi.
Grazie a Federico perchè c’è. Ai suoi compagni di viaggio per aver buttato insieme a lui il cuore al di là dell’ostacolo, perchè di questa storia stupenda possiamo beneficiarne tutti noi alle prese con tanti problemi piccoli e grandi che incontriamo: ma questo libro ci fa sentire la soddisfazione e l’orgoglio di poter in qualche maniera fare parte di questa vita, di questo cammino possibile di Federico.
E, dopo questa lettura, è un cammino anche nostro
, un vero trionfo della speranza.
La vita è possibile, sì.
Marco Espa
Introduzione dell’autrice
A chi si appresta a leggere questo racconto voglio dire che ciò che viene narrato non è uno dei tanti Cammini di Santiago.
Mi trovavo in vacanza quando ho appreso che Pierangelo, con i suoi due figli Federico, tredicenne e autistico, e Karola, di 8 anni, erano saltati sull’aereo alla volta della Spagna per intraprendere il Cammino di Santiago allo scopo di richiamare l’attenzione sulla Carta dei Diritti delle Persone con Autismo (pag.104).
L’emozione per la notizia ha prodotto in me un immediato desiderio di raccontare l’esperienza che i tre avrebbero vissuto. Sentivo che la forte empatia che sarebbero stati capaci di suscitare in tutti, mescolata alla meraviglia per l’arditezza dell’impresa, avrebbe potuto catturare l’intero universo delle nostre emozioni.
Ho preso a seguirli attraverso la pagina del social network Facebook (aperta da Pierangelo nella fase di preparazione e da lui stesso tenuta anche durante il viaggio) denominata In cammino con l’autismo
, scoprendomi ricorrentemente provocata a commentare, a contrassegnare con mi piace
e a entusiasmarmi per le visuali offerte dai post fotografici.
L’idea di scrivere questo libro, quindi, è nata da me. Lo dichiaro con lo stesso entusiasmo che ho provato il 3 luglio 2014 davanti alla fotografia del quotidiano locale che ritraeva questi pellegrini del tutto anomali ed innovativi. E’ chiaro che questo è un viaggio con Federico e per Federico
, diceva Pierangelo al giornalista del quotidiano L’Unione Sarda
Andrea Piras, che lo intervistava alla partenza, presso l’aeroporto di Cagliari. Non è una gara agonistica, è una sfida per dimostrare a noi stessi e alle altre famiglie che con i nostri figli autistici si può fare tutto. Deve essere una gioia, un’esperienza da aggiungere alle altre. Se non dovessimo farcela, si torna a casa. Sia chiaro, non sarà facile. Non lo è la vita con un figlio autistico. Federico non ha autonomia di base, non può essere mai lasciato solo, non ha il senso del pericolo. Le sue giornate devono essere strutturate, bisogna cambiare la quotidianità il meno possibile. Non è un viaggio di fede, non ha una connotazione religiosa. È un’esperienza laica. La scelta di percorrere questo tragitto è perché lì non saremo mai soli. In realtà la scelta è nata più di un anno fa quando vidi il film
Il cammino di Santiago, la storia di un medico californiano che alla notizia della morte di suo figlio, ucciso da una tempesta sui Pirenei, raggiunge la Francia, recupera i poveri resti, li fa cremare e poi con le ceneri percorre il cammino che il ragazzo non era riuscito a ultimare
.
La lettura di questa intervista mi ha convinto a crederci da subito. Ho creduto che il Cammino di Federico si sarebbe in qualche modo compiuto. Ho creduto che sarebbe stato bello per me riviverlo nei racconti, ascoltati e poi trascritti in lettere. Ho creduto che la visuale infantile del Cammino di Santiago che sarebbe trapelata dall’esperienza di Karola sarebbe stata unica e prorompente. Ho creduto che Federico stesse vivendo il proprio Cammino di Santiago intensamente e positivamente a modo suo, e che con un po’ di creatività e di ascolto empatico saremmo riusciti a decodificarne il senso.
Così ho cercato il filo nei dettagli, il senso nelle punteggiature, il valore negli angoli. Ho spremuto le comunicazioni postate