Stazionario sarà lei
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Anteprima del libro
Stazionario sarà lei - Gianni Falcone
genitori
Prefazioni
Un nuovo ritmo
Maria Gallo
Presidente Auser Regione Veneto
………..
E tutto mi sa di miracolo;
e sono quell'acqua di nube
che oggi rispecchia nei fossi
più azzurro il suo pezzo di cielo,
quel verde che spacca la scorza
che pure stanotte non c'era.
(Specchio, Salvatore Quasimodo)
Leggere questo libro, significa essere disponibili a guardarsi dentro, a lasciarsi travolgere dalle emozioni perché è il racconto di quanto è realmente accaduto ad una giovane Donna, ad una Famiglia, agli Amici che hanno percorso insieme questa difficile fase.
È un’esperienza che ha imposto a tutti i protagonisti di questa storia un nuovo ritmo, diverso, non più lento o più veloce, ma diverso, segnato dalla musica che talvolta è rifugio, talvolta liberazione, talvolta è solo ritmo che fa vivere diversamente il futuro, che non va più programmato ma affrontato giorno dopo giorno perché si annullano tutti i progetti fatti.
Il coraggio e la dignità di raccontare, lasciandosi andare a ricordi anche dolorosi, permeano ogni pagina che fa riflettere con la ragione e con le emozioni, sul dolore, sulla fatica che ogni parola nasconde e che talvolta diventa un piccolo successo, una gioia, ma solo ora, a posteriori.
Quanti di noi ce l’avrebbero fatta? La forza penso che possa arrivare da almeno due fattori: l’amore per la persona colpita e la capacità di reagire percorrendo anche strade sconosciute. La prima è quasi scontata, la seconda invece no e Alessandra non poteva farcela da sola.
Questo racconto insegna a cogliere e apprezzare le piccole cose che insieme spostano le montagne, un fremito, l’apertura di una mano, il battito delle ciglia, il tentativo di parlare
. Ma cerca anche di dare la misura di un vuoto di attenzione che ormai non riguarda solo i disabili e richiede risposte pronte ed efficaci.
Sorprende ed emoziona profondamente anche la bellezza della "Comunità" che si è creata di fronte al bisogno per ridurre gli ostacoli. È allora che ci si apre al mondo e si apre la porta di casa e del cuore: è il momento in cui le persone entrano e diventano attori della tua vita, ne fanno parte anche se solo per un pezzetto ma lasciano un segno indelebile, una piccola tessera del mosaico della nostra vita.
Da donna mi ha colpito, tra le tante, una frase: Guardo Anna Maria e capisco quante volte una donna deve partorire una creatura, metterla nuovamente al mondo, e spesso solo la prima volta è un momento di felicità
, ma da donna e madre aggiungo che stavolta a mettere al mondo nuovamente Alessandra siete stati tutti e due, insieme alla comunità di amici e conoscenti che vi ha sostenuto.
La marea della vita travolge le persone ma poi se siamo bravi conserviamo qualcosa, in un mondo che erige muri e chiude porti Stazionario sarà lei
è una grande, bellissima e duratura boccata di ossigeno.
Grazie Gianni per averci ricordato che la vita è straordinariamente dura e affascinante.
Ridare opportunità di vita
Renato Avesani
Direttore del Dipartimento di Riabilitazione dell’ospedale Sacro Cuore di Negrar (Vr)
Gianni mi ha affidato un piacevole compito: aggiungere qualcosa di mio a questa sua creatura.
Non potevo dire di no, per la stima che ho in lui e nella sua famiglia, per le tante riflessioni che hanno accompagnato anni di frequentazione, perché quanto racconta in questo bel libro getta una luce buona sulle difficoltà della vita.
Come tutti i familiari, Gianni e gli altri componenti della famiglia, sono un po' rompi. Ti chiedono spiegazioni, vogliono sapere tutto, tendono domande trabocchetto, si fidano ma non troppo, vogliono risposte chiare e quando gliele dai si arrabbiano, vogliono... Ti mettono in crisi.
Ogni volta, dopo che hai avuto un colloquio con loro sulle questioni che riguardano la disabilità ed il destino dei loro cari colpiti da danno cerebrale, ti chiedi : ma perché non ho fatto il dentista, l'oculista, o qualche altra specialità dove le risposte sono più semplici, facili, e spesso risolutive?
Forse anche con questa famiglia, all'inizio il rapporto è stato un po' guardingo. Forse anche loro si saranno chiesti se gliele raccontavamo giusta, se eravamo all'altezza, se facevamo tutto il possibile, se avevamo chiaro il progetto su Alessandra.
Confesso che ogni volta che affronto un nuovo dramma vorrei tanto inventarmi una bella storia. Mi piacerebbe dire che tornerà tutto come prima o quasi, che tutti potranno recuperare un'esistenza felice… anche Alessandra e la sua bambina.
I ricordi di allora sono sfumati. Le notizie precedono i pazienti e sapevamo già del dramma che era accaduto ad Alessandra a pochi giorni dal parto. Le persone-pazienti non sono numeri. Ma anche le dinamiche dei drammi ed il contesto non sono tutti uguali. Questa era una vicenda molto particolare che toccava le corde in profondità. Ricordo qualche tratto di colloquio con il marito ed i genitori, le comunicazioni prudenti, che tali non sono mai, perché dall'altro lato ci sono ferite sanguinanti.
Ricordo Gianni che ogni tanto veniva con qualche articolo o foto, frutto di affannosa ricerca su internet per trovare la soluzione ai problemi motori. Mi ha sempre stupito la grinta di quest'uomo e la capacità di trovare cose a me sconosciute o quasi. Di Alessandra ricordo le risate in palestra e l'umorismo sagace certamente genetico.
Leggendo il libro ho rivisto il percorso di questa famiglia: dalla attenzione alla condizione di Alessandra allo sguardo sul dopo. Dal particolare al generale, dall'individuale al sociale. Non è da tutti fare questo passaggio. I drammi sono tali che soffocano e si rimane irrigiditi, bloccati nell'attesa che qualcosa di miracoloso accada.
Con Gianni abbiamo condiviso battaglie, progetti, scontrandoci con una realtà tante volte sorda e cieca.
Tutto il suo libro potrebbe essere condensato in una domanda: che senso ha spendere soldi in cure, reparti, personale, tecnologie se poi non c'è un dopo? Siamo entrati in un meccanismo vorticoso per cui ciò che conta è il fare, l'importante è il qui e ora. Creare una concorrenza di mercato, utile in sé, ma pericolosa se si limita alle prestazioni? E dopo la dimissione dall'ospedale? Dopo anni di disabilità? E il vero dopo che è il dopo di noi
? Sono temi che non appassionano nessuno se non i diretti interessati.
Spesso ci si affanna per mesi per ottenere un piccolo movimento nella illusoria speranza che ne consegua una guarigione o almeno grandi progressi , ma si perde di vista il progetto più grande che è la vita dignitosa che tale è solo se è una vita sociale.
È colpevole il comportamento della sanità, delle istituzioni, della politica che, pur sbandierando gli ottimi risultati dell'età media di vita, schizzata a mete impensabili solo anni fa, non sa farsi carico di un progetto di lunga vita per anziani e disabili.
Ogni giorno si rincorrono notizie su nuove attrezzature, su ipotetici robot, su scoperte fantascientifiche che dovrebbero (ce lo auguriamo) rivoluzionare il mondo della disabilità. Ben vengano, ottima la ricerca, giusto investire in questi aspetti. Ma non creiamo false illusioni. Chi oggi entra in un percorso di grave disabilità sarà comunque destinato a fare i conti con una caduta di autonomia e con una marginalità sociale che è ancora molto evidente.
Il solo scopo del recupero deve essere quello di ridare opportunità di vita, di benessere, di lavoro, di vita sociale a quanti sono gravati da limiti.
Stiamo da decenni assistendo ad un paradosso: aumentano le leggi, i decreti, le norme regionali e non a favore delle persone con disabilità. Da questo punto di vista credo non esista paese più all'avanguardia. E tuttavia, giorno dopo giorno, tranne rare eccezioni, stiamo assistendo ad uno smantellamento dello stato sociale.
Le dimissioni dall'ospedale sono sempre più complesse per la difficoltà di reperire strutture compatibili con le risorse delle persone. Non esistono norme che consentano rapidi adattamenti delle ancora numerose barriere architettoniche presenti nei nostri condomini o nelle nostre case. Le risorse per trattamenti di riabilitazione estensiva (ambulatoriale) sono comunque non rapportabili ai bisogni. Il sostegno scolastico è in riduzione come pure la possibilità di impiego. L'elenco potrebbe proseguire aumentando lo sconforto.
La seconda parte di questo libro offre semplici soluzioni, chiede con forza il coraggio di guardare oltre la riabilitazione. Ricorre a termini quali l'appartenenza, la partecipazione, la solidarietà, la lungimiranza, l'etica, l'educazione, la fantasia. Parole che solo in apparenza si scostano dalla scienza medica, dalla tecnica. E tuttavia, senza queste parole che attengono all'umanità che è (o dovrebbe essere) in noi, ogni percorso riabilitativo sarà deludente.
Mi piace concludere con la bella intuizione di Gianni di citare un brano musicale alla fine di ogni capitolo. Non me ne voglia, ma ho anch'io il mio.
Canzone dell'appartenenza - Giorgio Gaber
Introduzione
Prima di muoversi tra queste pagine
Questo non è un romanzo, e nemmeno un diario.
E mai avrei pensato di doverlo scrivere.
Ma della vita controlliamo poco, tutto il resto sta in agguato e prima o poi ti salta addosso. E così una ragazza nel suo momento più felice si ritrova non più padrona del suo corpo, spostata con violenza dalla strada che aveva disegnato per sé su un sentiero sconosciuto, buio e impervio, pieno di insidie, sempre in salita.
E nella disabilità si ritrovano con lei i familiari, gli amici, persone sconosciute comparse dal niente per dare una mano, insieme per vincere una scommessa contro una sentenza emessa troppo presto, forse solo per precauzione ma che mette angoscia: stazionaria.
È la risposta che a lungo è stata data a ogni domanda sulle sue condizioni, una parola oscura mentre tutti vedevamo fiammelle, magari poche ma incoraggianti e da tenere delicatamente in vita.
S'andava per pochi minuti, coperti di plastiche, a vedere come stava. A spiare se c'era qualche reazione, magari una lacrima; s'andava a raccontarle della bambina che lei aveva messo al mondo sei giorni prima di sprofondare nel coma; o di Skipper, il nostro