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Il Fiume
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E-book527 pagine7 ore

Il Fiume

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Info su questo ebook

Romanzo Finalista alla 7^ edizione del Concorso Letterario "Casa Sanremo writers 2015"

Nella vita capita di trovarsi in tantissimi luoghi. Molti vengono dimenticati. Altri suscitano ricordi, belli o brutti. Pochi rimangono impressi per sempre come palcoscenico di vicende significative della propria esistenza. Ma solo uno di questi può distinguersi tra i pochi, perchè capace di rievocare sensazioni ed emozioni fantastiche ed irripetibili che si vorrebbero rivivere.

Un uomo e una donna, incatenati da esperienze matrimoniali fallimentari e dai rispettivi figli, si conoscono , si incontrano e si innamorano sulla riva di un fiume cristallino dove c'è una splendida chiesa medievale benedettina, quasi dimenticata ed unica costruzione rimasta di un antico insediamento monastico.

Si trovano lì, coppia clandestina, lontani da casa e con l'auto in panne, quando l'apparizione improvvisa ed inaspettata di un misterioso individuo fa vivere loro un grande spavento, ma anche un evento magico ed inspiegabile che suscita nella coppia una curiosità ed una voglia di capire che li unisce più di quanto fossero già innamorati.

Per loro, il fiume e la chiesa diventano un'attrazione irresistibile.

Un luogo incantevole dove vivranno l'esperienza di una notte incredibile che caratterizzerà prepotentemente la loro complicata storia d'amore.
LinguaItaliano
Data di uscita2 apr 2014
ISBN9788869091407
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    Anteprima del libro

    Il Fiume - Antonio Pandolfi

    Antonio Pandolfi

    Il Fiume

    ISBN: 9788869091407

    Questo libro è stato realizzato con BackTypo (http://backtypo.com)

    un prodotto di Simplicissimus Book Farm

    Indice dei contenuti

    PARTE PRIMA

    L'Uomo e la Donna

    Il Fiume, la Chiesa, il Mistero

    Al Solito Posto

    Dopo non ci vediamo più!

    Lo Stampo di Cera Rossa

    Ti Amo, Porca Puttana!

    Ora c'è la Chiave

    La Stanza Segreta

    L'Incubo Rivelatore

    L'Altra Dimensione, Un Unico Cervello Un Unico Cuore

    Il Quadrato Magico

    PARTE SECONDA

    Una Storia Fantastica

    Frate Pietro da Morrone. Il Primo Giuramento

    Croci Rosse Patenti

    Guillaime de Beaujeau, il Gran Maestro

    La Storia non Finisce ma Continua...

    La Collana di Lucrezia. Il Secondo Giuramento

    S.Giovanni d'Acri. L'Assedio

    La Lettera di Frate Pietro

    Nazareth

    La Casa del Fanciullo

    Angeli in Volo

    La Fine di Baptiste, Il Provenzale

    Addio, Terra Santa

    La Missione

    Angeli! Il Terzo Giuramento

    Una Tremenda Tempesta

    Tersatto

    Habemus Papam!

    Sparita!

    10 Dicembre 1294

    Tra le Piante di Lauro

    Aquila. Salvo de' Salvo, Chi era Costui?

    Celestino V ha Abdicato!

    Lucrezia

    La Porta si Richiuse alle Mie Spalle per Sempre

    La mia Storia è Finita, Ora Comincia la Vostra

    PARTE TERZA

    Quattro Anni Dopo...

    Dopo Altri Sette Anni...

    Lisa

    Il Forte Richiamo del Fiume 1

    Il Forte Richiamo del Fiume 2

    E' Così che si Muore?

    EPILOGO

    Ringraziamenti

    IL FIUME

                                                             Antonio Pandolfi

                                                                                                                                                                                                                                  A mia moglie Barbara

                                                                                                                                                                                                                                 Ai miei tre figli

    PARTE PRIMA

    L'Uomo e la Donna

    Il fiume in quel tratto rallenta la sua corsa e descrive un’ampia curva dove il corso d’acqua si placa e si riposa prima di ricominciare a correre vorticosamente e freneticamente verso valle.

    Il signor Bossone, pescatore incallito, amava quel posto e quando si trovava con la sua coda di topo lungo il fiume Tirino, si fermava sempre lì e vi rimaneva fino al tramonto. 

    Quel tratto di fiume era noto a tutti come Curva Bossone.

    L’uomo era in piedi sulla riva , nel punto in cui un prato interrompe la fitta trama di canne palustri e permette un agevole accesso al fiume. Con il braccio teso in avanti, indicava alcuni cerchi concentrici che si allargavano lenti sulla superficie dell’acqua e, infrangendosi, andavano a morire contro le sponde.

    " Ecco , hai visto quei cerchi? La chiamiamo bollata," disse e continuò :

    lì c'è una trota a caccia di cibo . Aspetta che qualche insetto schiuda e passi, a pelo d’acqua , nel suo raggio d’azione. Allora si avventa e con un guizzo lo cattura. Con la mosca artificiale devi simulare la stessa cosa : lanciare precisi in modo tale che l’esca , poggiata dolcemente sull'acqua, passi con la corrente davanti al loro muso e la vedano. Devi azzeccare il tipo di mosca, il colore, le caratteristiche e devi essere bravo nel lancio. C’è una scuola per imparare queste cose!.. E’ una tecnica di pesca… scientifica…, bellissima…, l’università della pesca in acqua dolce!

    Accanto a lui, la donna osservava e ascoltava attenta . Era divertita, ma soprattutto affascinata per l’importanza e l’entusiasmo che l’uomo dava a quel che diceva.

    Mentre parlava, lui s’era accorto che  con il braccio teso in avanti per indicare, l’aveva quasi abbracciata e le teste erano talmente vicine che i capelli biondi della donna, mossi dolcemente dal vento, gli accarezzavano il viso.

    Sorpreso dalla piacevole situazione ,  assaporò il breve momento, ma poi si scostò con un sottile imbarazzo e finì di parlare.

    Si sedettero vicini su un grosso sasso piatto adagiato sulla riva.

    Guardando distrattamente ora il fiume limpido e cristallino, ora la fitta e rigogliosa vegetazione, l’uomo ascoltava il racconto di quella donna che aveva appena conosciuto sul posto di lavoro. Ne era rimasto subito affascinato, per la obiettiva bellezza e la prorompente vitalità. Un vulcano di idee e di operatività, una dialettica accattivante e convincente. C’era in lei una voglia di vivere, di confrontarsi e di dialogare che l’aveva conquistato e la intrigante curiosità verso quella donna era sempre crescente.

    Aveva sempre voglia di vederla e di parlarle e cercava ogni occasione buona per avvicinarsi a lei. Ecco perché quella mattina al fiume ci erano arrivati con una pausa rubata al lavoro.

    Ora l’uomo ascoltava il racconto della donna, attento ma anche sorpreso per

     l' intimità che gli veniva subito concessa.

    Figlia di genitori divorziati, in anni in cui per questo si veniva marchiati a fuoco, suo padre, padrone, violento, se n’era andato quando lei aveva diciassette anni, lasciando la nave familiare, finalmente libera dalla tirannia, comunque alla deriva.

    Lei, a quel punto, aveva dovuto prendere il timone lasciato ingovernato, ed imboccare una qualsiasi rotta che conducesse in un porto di normalità e di tranquillità. Erano stati momenti duri e difficili in cui le difficoltà economiche, di per sé gravose, erano addirittura sovrastate da quelle affettive ed emozionali derivate da quanto era accaduto.

    In quel periodo conobbe un uomo, di dieci anni più grande di lei, affascinante e simpatico, ricco e generoso, istrionico e guascone .

    La faceva ridere, divertire e poteva permettersi di esaudire ogni piccolo o grande desiderio che lei esprimesse. Si sentiva considerata, protetta e sicura nel guscio di un uomo così forte e sicuro di sé, invulnerabile e privo di debolezze.

    L’innamoramento è come una bomba che esplode e l’esplosione avviene con detonatori di volta in volta completamente diversi, forgiati e costruiti sullo stampo delle carenze che si soffrono e dei bisogni che si desiderano proprio in quel momento.

    La vita con quell’uomo era imprevista ed imprevedibile, divertente e mai scontata, allo stesso tempo sicura, come una cassaforte.

    Era ciò che le mancava : il detonatore giusto per far brillare la bomba del grande amore.

    Seguì un periodo abbastanza felice e spensierato, brillante, divertente e pieno di belle sorprese…

    …tranne l’ultima…, la più amara…: scoprire di non essere la sola!

    La dignità, l’orgoglio e la fierezza furono le armi della donna per superare l’amarezza, la grande delusione ed il rammarico per un grande amore mancato, svilito e calpestato .

    Cominciava a farsi strada in lei l’idea che tutti gli uomini, in quanto tali, fossero l’espressione negativa del genere umano, incapaci di pensare fuori dagli schemi dettati dall’attributo pendente fra le gambe.

    Questa idea divenne convinzione all’età di trentatré anni , quando fallì il suo matrimonio. Contò un bilancio negativo fatto di bugie, truffe, inganni, creditori, night, entraineuse e tantissimo lavoro, in ogni posto vicino o lontano e senza tregua, fino ad ammazzarsi , per mantenere a tutti i costi unita una famiglia che le era mancata, e di cui il marito non si occupava per immaturità, impreparazione e, soprattutto, indole.

    Bilancio positivo: un bambino che diceva essere l’unico uomo della sua vita.

    Aveva conosciuto suo marito ad un congresso e, data l’esperienza precedente, era rimasta attratta, non tanto dalla bellezza innegabile e dal portamento da perfetto gentleman, quanto dalla linearità comportamentale, ripetitiva e scontata,  apparentemente tranquilla e senza imprevisti. Sembrava un nobile ed i suoi comportamenti, in ogni circostanza, sembravano l’applicazione fedele del più aristocratico galateo.

    In verità proveniva da una famiglia rurale.

    Il padre aveva una piccola impresa edile che poi fallì, anche perché non aiutato a dovere . Sua madre  casalinga, si occupava poco della casa e molto dei fatti altrui. Altri due fratelli completavano una famiglia in cui si parlava solo del tempo che fa e gli affetti, sicuramente esistenti, erano mascherati e ricacciati dentro da un distorto comune senso del pudore proprio della civiltà contadina.

    In questo modo si impara benissimo a nascondere se stessi, le proprie emozioni ed anche le proprie azioni, coperte da una fitta coltre di omertà o giustificate da un mare di inganni e di bugie.

    Anche questa fu un’amara sorpresa. Apparve chiara alla donna subito dopo il matrimonio e dopo la nascita di un figlio. Tuttavia sopportò a lungo questa situazione, per inseguire la chimera di dare comunque una parvenza di famiglia a lei e , soprattutto, al bambino.

    Ma ora non ce la faceva più, era decisa,  le valigie del marito sulla porta di casa erano già pronte per sancire un altro fallimento.

    La donna parlò a lungo. Era così coinvolgente nel racconto che non fu mai interrotta.  Il soliloquio meritava solo il silenzio e l’ascolto attento.

    Lo sciabordio del fiume e il canto lontano di un cuculo non disturbavano e facevano da azzeccato sottofondo al racconto.

    Ecco. Questa è la mia storia e capirai che considerazione ho degli uomini.

    Ed allora perché la racconti proprio a me?

    Perché ho bisogno di parlare con qualcuno…

    Così dicendo, si alzarono e si incamminarono lungo il sentiero che portava alla radura dove avevano parcheggiato l’auto.

    Non parlarono più, ognuno assorto nei propri  pensieri.

    Durante il cammino, la donna allungò una mano e la poggiò sottobraccio dell’uomo. Questi rilassò i muscoli  e spinse il gomito contro il fianco per aumentare il contatto. Tutto sembrò naturale e spontaneo.

    Avevano passato insieme sul fiume un bel momento e si era creata tra i due una grande complicità.

    Così arrivarono all’auto, salirono e partirono per tornare sul posto di lavoro.

    Sulla via del ritorno, mentre percorrevano la strada che da Bussi sul Tirino si immette sulla via Tiburtina, l’uomo ruppe l’incantesimo del silenzio che si era creato.

    Cominciò a parlare in generale del rapporto che ci deve essere, secondo lui, tra l’uomo e la donna, della emancipazione della donna che deve essere totale e non di convenienza, che l’uomo deve imparare a collaborare con la donna in tutte le mansioni e che non ci deve essere in una coppia chi è sempre locomotiva e chi è sempre vagone, che bisogna parlare ed esprimere sempre il proprio pensiero ed essere coerenti e non far finta di accettare passivamente il pensiero dell’altro e poi, subdolamente e senza esporsi, far in modo che le cose avvengano proprio come le avresti volute.

    Questi discorsi ad un certo punto lo portarono, chissà come, a pronunciare la frase:

    Ecco, vedi, se per esempio un giorno andassimo a letto insieme io e te…

    La donna saltò sul sedile e, con un gesto deciso, violento e nevrotico della mano in segno di diniego, tuonò alzando la voce:

    Questo non avverrà mai!! Non metterti strane idee in testa. Cosa credi di fare o di ottenere? Io non te la darò… mmmai !

    L’uomo si sentì come punto su un nervo scoperto, si offese, ma si impose di rimanere calmo. Tuttavia nel rispondere, anche lui alzò la voce e con tono fermo disse:

    " Ascolta, un giorno una ragazza che aveva mal interpretato alcune mie cortesie, mi disse a bruciapelo che non c’era trippa per gatti. Io risposi che non ero un gatto e poi, cosa le faceva pensare che mi piaceva la trippa? 

     La cosa che odio di più nel rapporto uomo-donna è quella concezione atavica, che risale alla notte dei tempi, in cui il femminino sacro dà e l’uomo prende, sottoponendosi poi quest’ultimo a contrarre un debito inconscio che, a volte, sfocia in senso di colpa. Quindi, stavo dicendo, che se un giorno…, molto remoto e alquanto improbabile,"

     con il tono della voce e con una pausa sottolineò queste ultime parole, 

    … accadesse di andare a letto insieme, sarà perché l’avremo voluto tutti e due. Senza dare né prendere, ma per il solo piacere di essere e di trovarsi lì, protagonisti in quel momento.

    A queste parole, la donna non replicò, ma dalla espressione del volto prima irritato, teso e difensivo, passò ad un sottile sorriso di approvazione che l’uomo notò, nonostante lei avesse cercato di nasconderlo fingendo distrazione nell’ammirare il panorama circostante .

    Ritornò il silenzio, mentre l’auto percorreva l’ultimo tratto di strada per arrivare alla sede di lavoro.

    Giunti lì, entrarono insieme nell’atrio e presero l’ascensore da soli.

    Durante la salita, vollero entrambi guardarsi negli occhi senza parlare ed alla fine l’uomo le diede delicatamente un bacio sulla fronte.

    Tutto avvenne in un istante così dolce ed intenso che si dilatò nei cuori e nelle menti in un dolce ricordo duraturo.

    La porta dell’ascensore si spalancò. Presero rapidamente due direzioni diverse, come se non si fossero mai conosciuti, ognuno portandosi dietro le proprie emozioni e i propri pensieri, proiettati in una magica dimensione, molto lontana da dove si trovavano fisicamente in quel momento.

    Per tornare a casa, l’uomo doveva percorrere da solo in macchina un tragitto di circa 40 Km e quella mezzora, necessaria per coprire la distanza, spesso la impiegava per pensare e riflettere.

    Per questo motivo, quella frazione di tempo era diventata preziosissima: un’ottima opportunità di privacy e concentrazione per analizzare ed approfondire ogni argomento meritevole.

    Quella volta pensò che ciò che aveva detto alla donna  tornando dal fiume, non era altro che la denuncia della sua insoddisfazione.

    Si era sposato, quasi venti anni prima, scambiando l’affetto per amore. L’aveva fatto subito dopo la laurea, per inerzia e per dovere. Per rispettare un fidanzamento poco convinto, scostante e discontinuo, durato comunque dieci anni.

    L’aveva fatto senza porsi le dovute domande, senza i dubbi e senza la possibilità di guardare oltre, perché distratto ed assorto dalla grave malattia della giovane madre, conclusasi con la morte, e perché spinto dalla fretta del padre che voleva ricominciare a vivere dopo la sofferta perdita della moglie.

    L’immaturità aveva fatto tutto il resto, aggravando la distrazione, in parte già innata, ed in gran parte acuita dagli eventi drammatici ed inaspettati.

    Quando si ammalò e poi morì la madre, l’uomo non riusciva a svegliarsi dal trance in cui era piombato. Aveva vissuto in precedenza nel mondo delle belle favole, dove c’è una consapevolezza illusoria che le cose brutte e le disgrazie capitano solo agli altri.

    Con un padre poco presente, ma talmente carismatico e bonario da meritare il più grande rispetto, ed una madre tanto dedita, fattiva e volitiva, quanto ansiosa, iperprotettiva e reazionaria, aveva vissuto l’infanzia, l’adolescenza e l’inizio della gioventù nella più serena ed immatura incoscienza, fino a quando non seppe che la madre aveva un cancro.

    Ecco come si ritrovò sposato, senza aver mai conosciuto la passione e l’amore, ma solo perché nel trance del momento, quella donna era presente nella sua vita.

    Non solo, ma negli anni a seguire, l’aver coinvolto in questa immatura decisione un’altra persona lo aveva angustiato, con un grande senso di colpa, che in seguito, e con grande sollievo, svanì quando seppe e capì che anche lei lo aveva sposato senza amarlo e senza convinzione.

    Dal matrimonio era nato un figlio che cresceva, proteggeva ed incensava oltre la normalità, creando un rapporto di sudditanza verso quel ragazzo schivo, riservato e taciturno .

    Nella più totale quotidianità ripetitiva scorreva il tran tran familiare, giorno dopo giorno, anno dopo anno.

    Lui locomotiva, lei vagone. Ma le leve di manovra, quelle vere, si trovavano nascoste sul vagone.

    Settimane e mesi di silenzi, interrotti esclusivamente dagli argomenti che scaturivano dalla cassetta delle lettere, oppure dalle problematiche riguardanti il figlio il quale, pensò, rappresentava per loro due una piattaforma di ghiaccio che si era staccata dalla banchisa ed andava alla deriva nel mare dell’indifferenza, ma costituiva anche anche un sicuro appiglio dove continuare a galleggiare .

    L’uomo pensava all’ imprevisto, al colpo di scena, alla schermaglia dialettica, alla vivacità, alla genialità dell’ultimo passaggio prima del gol o al dribbling ubriacante che entusiasma ed accende la passione…

    Gli mancavano le sensazioni e le emozioni!

    Tale consapevolezza lo sorprese e lo angosciò ponendogli un inquietante interrogativo.  Mentre era quasi arrivato a casa, ripensò a quella mattina sul fiume, sospirò, ed ebbe la risposta.

    Seguirono giorni in cui l’uomo e la donna si cercarono in continuazione, nascondendosi, in modo teneramente ridicolo, dietro una parvenza di necessità lavorativa che giustificasse all’ altro il reciproco interesse e la voglia continua di relazionarsi e stare insieme. Gli sguardi ed i segni del corpo si incrociavano spesso, dando loro energia, ottimismo e voglia di vivere.

    C’era solo in entrambi il freno a mano tirato a metà, per la paura dell’ammissione a sé stesso, prima che all’ altro.

    Una mattina, erano seduti ad un tavolino di un bar. Era settembre e gli altri avventori erano operai di una grossa azienda vinicola del luogo che consumavano la colazione prima di cominciare la  giornata lavorativa ai filari dei vitigni. Ridevano, scherzavano e schiamazzavano.

    A volte, dopo una battuta o una risata fragorosa, qualcuno di loro girava uno sguardo interrogativo verso la coppia seduta al tavolo e smorzava la risata, spegnendola a metà, come a chiedersi se quelle manifestazioni goliardiche infastidissero.

    Dopo tutto è ciò che vogliamo tutti e due, disse la donna.

    Sono d’accordo…

    Parliamo e conosciamoci, ma non andiamo oltre… L’ultima cosa di cui ho bisogno in questo momento è una relazione con un uomo. Così dicendo, la donna si accese nervosamente una sigaretta e sbuffò il fumo da un lato, dopo la prima boccata.

    L’uomo annuiva, ma non parlava. Avvertiva distintamente il profondo fossato che lei aveva scavato e che, non contenta, aveva riempito d’acqua fino all’orlo. Aveva lasciato solo un passaggio, quello del ponte levatoio che avrebbe tenuto abbassato solo a determinate condizioni:

    Quello che chiedo con fermezza… disse la donna conditio sine qua non… sincerità e rispetto! Non sopporto le bugie e gli inganni; ne ho già subiti troppi e mi feriscono terribilmente. Alla prima bugia che scopro, sparisco immediatamente e non mi vedi più.

    L’uomo ascoltava e non replicava. Più che altro, le parole della donna, quel mettere le mani avanti in modo così perentorio, l’avevano sorpreso e proiettato verso propri silenziosi pensieri. Si sentiva trattenuto a debita distanza, quando in verità lui non intendeva avvicinarsi oltre. Si sentiva un aggressore, ma non voleva aggredire, si sentiva un invasore, ma non voleva invadere.

    Lui desiderava solo emozioni e sensazioni che trovava semplicemente nello starle vicino, parlarle e sentirla parlare seduti a un bar a bere un caffè, oppure camminare insieme lungo le viuzze e i vicoli del paese.

    A volte, tornando a casa, si rincorrevano in autostrada in un gioco di sorpassi, rallentamenti e accelerazioni fino ad arrivare, divertiti e soddisfatti, al punto in cui le loro strade si dividevano in un simpatico, intermittente e luminoso arrivederci a domani.

    Bastava tutto ciò a renderlo sereno e appagato da una fantastica magia illusoria ed illusionista che colmava le carenze e alleviava le insoddisfazioni . Si accorse in breve tempo che questa magia stava creando una dipendenza e che le latenze dalle crisi di astinenza si accorciavano sempre di più.

    Ed allora perché tanta diffidenza? Perchè quella donna si difendeva a prescindere, pronta a tirar fuori gli artigli?

    Ebbe la risposta nei mesi e negli anni successivi quando la diffidenza e la sfiducia sarebbero stati i nemici più aspri che dovette affrontare fino allo sfinimento. Vinse tante battaglie, ma mai la guerra! Il ponte levatoio si alzò molte volte…

    Il Fiume, la Chiesa, il Mistero

    Tornarono al fiume il giorno in cui la donna aveva messo alla porta il marito.

    Questi aveva opposto una debole resistenza con la presuntuosa certezza dello scontato ritorno. Era successo altre volte.

    Nel pomeriggio del giorno precedente, come una rivelazione, la donna aveva visto in una scena tutta la sua vita futura : uscivano insieme di casa scendendo le scale, ma per direzioni ed intenti diversi.

    Lui davanti, impeccabile, sornione, flemmatico , ben vestito e dritto nel portamento; lei dietro, trafelata, ansiosa e preoccupata per i pazienti che l’aspettavano, e con un pesante bidone in mano in cui aveva messo gli avanzi del vitto ospedaliero che avrebbe dovuto portare in serata ad una sua amica della Protezione Animali.

    Riuscì in quel momento ad estrapolarsi e osservare bene la scena con la obiettività di uno spettatore. Vide tutto il suo presente e lo scontato futuro, continuando con quell’uomo.

    Basta così! si disse E’ arrivato il momento!

    L’ultimatum avvenne la sera, dopo una accesa discussione cercata con un pretesto.

    La mattina successiva, mentre lei era già al lavoro da diverse ore, il marito uscì di casa portandosi appresso le valigie che questa volta non avrebbero mai più preso la via del ritorno.

    Quel pomeriggio al fiume tirava un forte vento, a folate intermittenti.

    Ogni qual volta il soffio aumentava di intensità, prendeva una direzione tale da far ruotare le foglie degli alberi, tutte insieme, nella stessa angolazione. In questo modo le facce inferiori si appaiavano l’una affianco all’altra, mostrando il loro colore grigio. Questo gioco bizzarro della natura faceva in modo che, per alcuni secondi, le chiome degli alberi assumessero, come per incanto, una colorazione grigia uniforme e compatta, come se qualcuno avesse versato sugli alberi una colata d’argento e trasformato gli stessi in marchingegni meccanici.

    In quei pochi secondi in cui la folata di vento aumentava d’intensità, il bosco, ai lati del fiume, assumeva l’aspetto di un quadro d’arte contemporanea che denunciava l’imminente disastro ecologico.

    L’auto era ferma sulla radura erbosa antistante la chiesa di S. Pietro ad Oratorium, parcheggiata in modo tale da avere la facciata alle spalle.

    L’uomo e la donna erano rimasti seduti nell’auto ed in silenzio osservavano, affascinati, il vento che trasformava gli alberi.

    Quel fenomeno naturale aveva attratto entrambi e distratto la donna, dai cupi pensieri, e l’uomo, dall’evidente imbarazzo.

    Guarda cosa fa il ven…! esclamarono insieme, guardandosi.

    Avevano avuto lo stesso pensiero. Negli ultimi giorni accadeva spesso e la cosa era divertente e suscitava in entrambi una sottile soddisfazione.

    Risero e sorrisero sentendosi meglio, ma il benessere durò poco.

    Doveva accadere prima…Quando il bambino era più piccolo… Sarebbe stato meglio, meno doloroso… Ora gli ho tolto il suo compagno di giochi…, sì, il suo compagno di giochi… perché in quanto a padre…uhm… mbè… ci sarebbe molto da dire…Poi, come marito… lasciamo perdere!

    L’uomo era rimasto in silenzio, ascoltava e continuava ad osservare l’incanto degli alberi argentati.

    Per un attimo distolse lo sguardo e lo fissò sullo specchietto retrovisore dove aveva avuto la netta sensazione di un movimento repentino.

    Gli era sembrato che il portale della chiesa si fosse aperto un attimo e poi richiuso. Gli era anche parso che la figura di qualcuno avesse fatto capolino.

    Non ne era certo, per cui continuò a guardare in rapida successione anche gli specchietti retrovisori laterali per avere una prospettiva migliore, ma non vide più nulla se non la completa immobilità della splendida facciata di pietra bianca, austera e bellissima.

    Cosa c’è? Cosa hai visto? disse la donna voltandosi verso la chiesa,

    preoccupata e visibilmente in ansia.

    Non so… mi era sembrato…

    Ti era sembrato cosa? La preoccupazione in lei cresceva e cominciò a somatizzarsi in uno sguardo interrogativo di paura.

    Ma… niente. Il vento a volte fa brutti scherzi… un’allucinazione visiva… tipica del soggetto anziano affetto da involuzione cognitiva senile.

    L’uomo disse la frase ridendo con l’intento di sdrammatizzare e, soprattutto, di rimuovere l’ansia nella donna, già fortemente provata dagli eventi delle ultime ore.

    Lei sorrise e si calmò. Scese dall’ auto e si incamminò verso il fiume che era lì, a pochi passi.  L’uomo fece lo stesso e si affiancò.

    Quando furono vicini, si girarono istintivamente ad osservare la chiesa e lui si soffermò a guardare meglio anche il portale che restò immobile e silenzioso.

    Sospirarono e ammirarono quel capolavoro di architettura sacra medioevale inserito in un contesto naturale di bellezza straordinaria.

    Un connubio perfetto creato da un grande architetto e dall’ Architetto Supremo.

    A tre navate che si concludono con tre absidi semicircolari, S. Pietro ad Oratorium ha sintetizzata la sua storia nell’iscrizione che sovrasta il portale:

    A Rege Desiderio Fundata Millenocenteno Renovata

    Secondo la tradizione, l’ultimo re longobardo Desiderio divenne re nel 756 d.C. e regalò all’abate Attalo un appezzamento di terra, attraversato da un fiume.

    Il dono era condizionato al fatto che lì dovesse sorgere un luogo di preghiera e di culto.

    Venne quindi edificato un insediamento monastico, di cui la chiesa era parte, affidato ai monaci benedettini di S. Vincenzo al Volturno.

    La chiesa fu molto celebre e vantò la protezione di papi e di potenti, come Carlo Magno e Pipino, ma soprattutto della dinastia dei Medici di Firenze.

    Nel monastero si susseguirono numerose generazioni di monaci benedettini che, per secoli, oltre alla preghiera, si dedicarono alla coltivazione delle fertili terre attorno al fiume, alla pesca e all’istruzione, quest’ultima per espresso volere di Carlo Magno che affidò loro ufficialmente  questo nobile compito.

    Il monastero visse secoli di fervore e di importanza come l’Ordine di appartenenza.I benedettini prosperarono per tutto il Medioevo, come testimoniano i circa 14.000 monasteri appartenuti all’Ordine e costruiti sempre in luoghi isolati e lontani dalle città.L’ordine però entrò in crisi con le riforme che cominciarono alla metà dell’XI secolo e che incoraggiavano il lavoro missionario e predicatore al di fuori delle mura del monastero. Alla parabola discendente dell’Ordine, si affiancò quella del monastero e della chiesa di S. Pietro ad Oratorium  tant’è che, alla fine dell’XI secolo, si resero necessari dei  lavori di ampliamento e di ristrutturazione che vennero ultimati nel 1117 sotto il pontificato di Papa Pasquale II.

    Per la celebrazione il Papa vi portò le reliquie di S.Pietro Apostolo e concesse alla chiesa la protezione della Santa Sede e vari privilegi.

    La chiesa ora appariva così come era stata ristrutturata nell’XI secolo: con le forme romaniche e costruita con l’utilizzo di materiali di risulta provenienti da costruzioni di epoca romana e dall’originario edificio longobardo. Gli elementi in pietra o marmo, tagliati a conci quadrangolari o di forma naturalmente irregolare, sono spesso decorati od iscritti.

    Arrivarono sulla riva del fiume, in una piccola radura tra due grossi alberi, le cui chiome si specchiavano sul corso d’acqua, in quel tratto, veloce e vorticoso.

    Al loro arrivo, avevano sentito, senza riuscire a vederle , il rumore del tuffo in acqua di alcune rane spaventate dagli inaspettati intrusi. La donna aveva sobbalzato e l’uomo le aveva afferrato delicatamente un braccio in segno di istintiva protezione.

    Guardavano, affiancati e silenziosi, l’acqua che scorreva velocemente. Era così limpida e cristallina da poter distinguere chiaramente le piante e le alghe, ancorate  sul fondo. Trascinate dalla corrente, erano finemente stirate e separate, come se venissero  pettinate continuamente.

    Leggermente più a valle notarono la bollata di una trota. Si guardarono e sorrisero. Una biscia d’acqua traghettava il fiume, raggiungendo la riva opposta con la testa tesa in avanti e fuori dall’acqua. Più a monte, una fila di scuri anatroccoli seguiva ansiosamente e disciplinatamente la scia di mamma anatra.

    Lì il vento sembrava aver perso un po’ della sua forza ed ora muoveva le chiome degli alberi con un movimento più dolce e desincronizzato. Ciò che delle foglie si specchiava sull’acqua era un’immagine fibrillante e caleidoscopica.

    Si avvicinava il tramonto e, guardando in controluce, erano visibili le schiuse di milioni di insetti che volavano nevroticamente nel caos e a pelo d’acqua, per la soddisfazione delle trote.

    L’uomo diventò per un attimo pescatore e pensò a quanto fosse giusto e magico quel momento per una buona pesca. Bastava una buona frusta, una "coda di topo" ben montata e la mosca galleggiante adatta. Aveva già immaginato quale scegliere, quando aveva osservato la schiusa degli insetti. Ci volevano solo dei buoni lanci : con il polso fermo e rigido e movimenti oscillanti del braccio in senso posteriore ed anteriore, la coda di topo, ad ogni ciclo oscillatorio, si allunga sempre più, fino alla lunghezza giusta. A quel punto, con un movimento di accompagnamento in avanti, la si lascia scorrere e cadere delicatamente sull’acqua. La mosca si appoggia silenziosa un paio di metri a monte e, trascinata a pelo d’acqua dalla corrente, sfila sulla trota ed inganna la sua voracità.

    L’uomo stava immaginando una buona cattura e già vedeva una trota fario di ottocento grammi agganciata alla mosca. Ne distingueva la livrea a puntini rossi e sparsi, mentre veniva recuperata e si divincolava disperatamente nel tentativo di liberarsi. Era già pronto il retino, quando la voce della donna lo scosse e la trota fario sparì nell’acqua:

    Cosa stavi pensando?

    A niente, rispose l’uomo mentendo e vergognandosi .

    Eh no! Ti ricordi? Niente bugie! disse la donna Neanche le più innocenti…!

    " Stavo pensando ad altro. Cercavo di distrarmi e togliermi dall’imbarazzo di doverti dire comunque qualcosa. Ma non so cosa dirti, senza cadere nella banalità o, peggio ancora, in qualche considerazione patetica.

    So che in questo momento stai male e me ne dispiace, ma non saprei dirti altro. Quindi, guardando il fiume, ho immaginato una trota…e la stavo catturando…" Arrossì.

    La donna abbozzò un sorriso. Poi, quasi si fosse finalmente decisa a rivolgergli questa domanda dopo un lungo ripensamento, disse:

    Ma tu, in questo momento, come ti senti?

    Mi sento… Si fermò e seguì una  pausa di riflessione, fino a quando l’uomo non trovò l’espressione che gli sembrò la più giusta per esprimere il puzzle di sensazioni che avvertiva: …Come un corpo estraneo! esclamò convinto.

    Quella donna, che le piaceva e con cui da giorni stava passando ore intense e piene di significato, stava soffrendo per l’epilogo di una brutta storia che, pur non avendo ormai da tempo più futuro,  aveva impegnato comunque parte della sua vita ed ora suscitava sentimenti contrastanti di rabbia, ma anche di rammarico.

    E poi c’era il bambino… Aveva allontanato da casa il suo compagno di giochi… Peter Pan…

    L’uomo avvertiva questa sofferenza e la comprendeva solidale. Forse avrebbe voluto dire, fare, starle vicino, farla ridere o cos’altro non sapeva.

    O forse no, non avrebbe fatto niente, perché percepiva distintamente il fossato pieno d’acqua ed il ponte levatoio sollevato. Sì, pensò, sicuramente lei voleva questo da lui: rispetto, riserbo…corpo estraneo da tenere al di fuori, lontano… anche per essere protetto!

    La donna ripetè le parole con un velo di tristezza sul volto, pensando e rimuginando ad alta voce: Corpo estraneo… corpo estraneo… però…uhm…uhm…corpo estraneo… Mentre lo diceva, annuiva con il capo ripetutamente.

    Poi, improvvisamente, l’umore le mutò di colpo e l’espressione del viso denunciò approvazione,  voglia di fare e risolutezza.

    Andiamo, mio bellissimo e adorabile corpo estraneo. Si sta facendo tardi.

    Così dicendo gli rivolse un bel sorriso e si incamminò verso l’auto.

    L’uomo rimase indietro,  fermo sulla riva del fiume.

    Era rimasto lì, perplesso e sorpreso dall' improvviso cambio d’umore ed era come ipnotizzato dal  sorriso della donna che, attraverso gli occhi, gli era penetrato dentro, attraversandogli la spina dorsale fino al profondo dell’animo.

    Dopo qualche passo, lei si accorse di non essere seguita, quindi si voltò  dicendo:

    Ehi, stai insieme a me?

    L’uomo era ancora fermo. Guardò la donna e la fissò negli occhi, intensi, che riflettevano la luce del tramonto. La vedeva bellissima, come effettivamente era.

    Poi distolse lo sguardo insistente, quasi in imbarazzo, chinò la testa e disse:

    Eccomi, arrivo, ed iniziò a camminare raggiungendola presto.

    Giunsero all’auto, vi salirono e si sedettero.

    Il vento si era placato fino a diventare poco più che un alito, quasi  volesse accompagnare la luce del giorno che andava man mano spegnendosi e si preparava al riposo della notte.

    Gli alberi erano sempre alberi e non si trasformavano più, neanche per un attimo, in marchingegni meccanici. Le foglie degli alberi e degli arbusti, per la lieve brezza, fibrillavano delicatamente con un fruscio intermittente e disordinato.

    La somma dei suoni della flora e della fauna si era attutita. Solo il rumore del fiume era sempre lo stesso, ora più distinto, grazie al silenzio del resto.

    L’umidità della sera era sempre crescente e con essa la rugiada che catalizzava l’esalazione nell’aria di un intenso profumo di muschio, di terra e di erba.

    La chiesa, al calar della sera, appariva più nitida ed in rilievo, poiché la sua pietra bianca risaltava tra la fitta vegetazione che da multicromatica era diventata un unico sfondo scuro.

    Austera e misteriosa, suscitava in quel momento sentimenti contrastanti di rispetto, devozione e ammirazione, ma anche di inquietante e sinistra curiosità.

    Nell’auto c’era una gran voglia di rimanere in silenzio ed assaporare quell’attimo misteriosamente stupendo che sarebbe durato poco.

    Fino a quando la notte avrebbe trasformato tutto in ombre e confuso i profili delle cose.

    Tutto ciò che c’era ed avveniva intorno a loro, aveva esaltato alcuni fondamentali sensi, suscitando percezioni tali da infondere nell’animo un benessere reciproco che veniva intensamente condiviso.

    Si era creata una atmosfera di grande complicità, provavano le stesse identiche emozioni.

    Non era assolutamente necessario parlare per cercare conferma nell’altro.

    Seduti immobili, l’uno accanto all’altro, inebriati dallo stesso benessere ed estraniati dalle loro quotidianità, avevano entrambi una gran voglia di fare qualcosa, di urlare, di battere i piedi, di correre e scappare a perdifiato, di prendersi e strapparsi la pelle, ma, nello stesso tempo, volevano rimanere così, inerti,  per non spezzare l’incanto di quel momento.

    Ma in entrambi  la voglia di esprimersi era grande ed aumentava, come una marea montante. La repressione imposta dal silenzio era durata per troppo  tempo ed ora non era più contenibile nei due recipienti dell’essere che avevano a disposizione. La tracimazione era ormai inevitabile.

    L’uomo agì. Lentamente e timidamente fece il gesto che gli sembrò più giusto e naturale per suggellare la condivisione.

    Titubante, allungò una mano verso la donna e la fermò sospesa davanti a lei tra il volto ed il petto.

    La donna guardò la mano, poi guardò l’uomo, poi di nuovo la mano. Ruppe gli indugi e con veemenza la prese tra le sue mani e se la portò alla bocca per baciarla più volte, sul dorso e sul palmo, con   passione e ardore. Aveva inconsciamente desiderato tanto quel momento e lo accolse come un fatto liberatorio.

    Le sembrò di poter spiegare le ali, legate per tanto tempo, e di volare alta nel cielo dell’espressività e dell’oblìo.

    Quel che accadde dopo, più che una scena d’amore, fu un groviglio inestricabile di sensazioni, una esplosione di gioia e di liberazione, una voglia esagerata di contatti di ogni tipo. Conoscersi in ogni punto, condividere, fino allo stremo, un benessere interiore profondo ed ubriacante.

    Si baciarono, fino a non respirare, per conoscersi , per dialogare, per confrontarsi e, con lo stesso condiviso intento, si toccarono dappertutto con gesti, ora delicati, ma più spesso con movimenti trafelati e frettolosi, fino alla goffaggine, per paura di non fare in tempo a completare il percorso della conoscenza reciproca.

    Si amarono, con bramosa violenza e con la fretta della prima volta, raggiungendo presto entrambi il culmine della sublimazione.

    Si ritrovarono in parte vestiti ed in parte no, abbracciati ed ansimanti e con i cuori vicini che si confrontavano in una corsa sfrenata, dai petti alle gole, quasi volessero fuoriuscire e cercare anch’essi il contatto.

    Vollero rimanere così per qualche minuto, abbracciati e guardandosi negli occhi, sorridendosi e accarezzandosi delicatamente i volti ed i capelli .

    Si è fatto tardi…è già buio…dobbiamo andare, anche se resterei qui con te all’infinito, disse la donna.

    Idem! rispose l’uomo.

    Idem di più, replicò lei ridendo e con un gesto di scherzosa disputa.

    Idem più più, insistette l’uomo accompagnando i più con movimenti decisi ed affermativi del capo.

    Va bene, questa volta hai vinto tu, disse la donna, ma solo perché è tardi, altrimenti…

    Si rivestirono e ripresero contatto con il mondo circostante. Si guardarono attorno ed il buio ormai aveva preso il sopravvento, anche se a tratti la luna, sgomitando tra le nuvole rade e veloci , mandava luce per quel che poteva ed illuminava la chiesa conferendole un aspetto ceruleo.

    Con quella luce, era la facciata a risaltare di più ed appariva bella,austera ed  immobile, come pure immobile, osservò l’uomo, continuava ad essere il portale.

    Pensando a quello che gli era sembrato di aver visto qualche tempo prima, al portale che si apriva e  richiudeva dopo che qualcuno aveva fatto capolino, senza parlare, sospirò, scosse la testa e girò la chiave di accensione dell’auto…

    Inutilmente!

    Al giro della chiave, l’automobile non diede alcun segno di attività.

    Diede la sensazione di una grossa scatola di latta, inerte ed immobile, completamente svuotata di ogni automatismo.

    Il movimento della chiave non innescava alcun meccanismo e sembrava quella che si trova nei giocattoli dei bambini solo per mostra e non per effettiva funzionalità.

    L’uomo riportò la chiave nella posizione originaria e poi la girò di nuovo con decisione. Non successe nulla. Tutto come prima.

    L’uomo e la donna si guardarono stupiti e spaventati, preoccupati da quanto accadeva.

    Subentrò il panico: due amanti clandestini, lontani da casa, in un posto isolato, inquietante e sinistro, e con l’auto in panne!

    Ma che cazzo succede! esclamò lui, mentre scendeva dall’auto.

    Non lo so, ma fa qualcosa! Fa ripartire questa cazzo di macchina! E’ tardi!… C’è la benzina? domandò lei  in preda al panico.

    Si accese una sigaretta e aprì il finestrino, sbuffando il fumo di diverse boccate  inspirate nervosamente e in rapida successione.

    L’uomo era fuori dall’auto e, mentre apriva il cofano del motore, disse : Certo che c’è la benzina! Non ricordi che eri con me quando ci siamo fermati al distributore prima di venire qui?

    La donna continuava a fumare ed in pochi secondi la sigaretta era già quasi al filtro : Il benzinaio ti ha fregato!

    Ma se mi sono rifornito da solo! Quale benzinaio? obiettò, mentre verificava, per quel che poteva e capiva, che tutti i contatti fossero a posto.

    Sperava in un

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