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Anime assassine - Marionette
Anime assassine - Marionette
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E-book154 pagine2 ore

Anime assassine - Marionette

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Info su questo ebook

Quattro episodi che ci immergono nella realtà quotidiana di una città corrotta e malata, dove l’ispettore Quetti, cinico e burbero poliziotto con la sigaretta sempre tra le labbra, si trova faccia a faccia col male dell’animo umano. Un antieroe pronto a smascherare il “mostro” dietro l’anonima facciata della normalità.
LinguaItaliano
Data di uscita27 gen 2014
ISBN9788867822515
Anime assassine - Marionette

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    Anime assassine - Marionette - Diego Collaveri

    Diego Collaveri

    ANIME ASSASSINE

    MARIONETTE

    GDS

    Copyright Editrice GDS

    Via Matteotti 23

    20069 Vaprio D'Adda-Mi

    www.bookstoregds.com

    www.editoriunitigds.it

    Diego Collaveri

    Anime assasine - Marionette

    TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI

    I CASI DELL'ISPETTORE QUETTI 

    - CORRIDOI SILENZIOSI-

    La luce del sole si rifletteva timidamente sull’umido delle pareti del vicolo angusto. Folate di vento improvviso s’incanalavano lungo la strettoia buia, trascinando un tappeto di foglie morte. Poco lontano si intravedevano gli spogli alberi del piccolo parco giochi accanto, ormai abbandonato da tempo alla vegetazione selvaggia, che aveva tentato di riprendersi quello spicchio di terra in mezzo al cemento della città. Un gatto randagio, nascosto tra i rifiuti e l’erba marcia, sussurrava un flebile miagolio che si confondeva col fischiare dell’aria nel restringersi delle pareti. Il felino, guardingo, scrutava da lontano il suo territorio, miagolando affamato verso i bidoni dell’immondizia nel vicolo, accanto ai quali giaceva un corpo. Era un uomo sulla cinquantina, ben vestito, steso per terra con il cranio spaccato e circondato da un nugolo di agenti di polizia, tutti intenti a registrare ogni prova.

    Tirai su il colletto del cappotto per cercare un riparo al vento secco che sembrava tagliarmi il collo, mentre, con la solita sigaretta accesa tra le labbra, mi gustavo il tepore emesso dalla punta infuocata, man mano che il calore si avvicinava alla mia faccia.

    Un colpo di tosse richiamò la mia attenzione verso il cadavere.

    «Dici sempre a me di non inquinare la scena del delitto, ma non credo che sputare sul corpo sia nel manuale della scientifica» ammonii con sarcasmo l’ometto chino sulla vittima, intento a riscontrare i minimi particolari.

    Farinelli alzò la faccia da scimmiotto, arrossata dal freddo pungente e da un forte raffreddore, per guardarmi in cagnesco «Se ammazzassero solo con la bella stagione almeno ci eviterebbero questi malan... E… E… Etciù!» starnutì rumorosamente.

    «E dacci un taglio…» lo stuzzicai. «Se stavi così male potevi restartene a casa».

    Farinelli mi fissò, ancor più scuro in volto. «Io ero a casa, al calduccio, fino a che qualcuno non mi ha rotto le scatole, trascinandomi in quest’angolo sperduto della città per un tizio trovato morto chissà per quale motivo».

    Soffiai il fumo che si allontanò veloce, sorretto dal vento «Ed è proprio per scoprirlo che mi servivi qui» gli sorrisi.

    «Un giorno capirò perché ti do retta, Guido» si spazientì il capo della scientifica.

    «Torniamo a lui» tagliai corto indicando col mento il cadavere. «Si sa almeno chi è?»

    «Aveva il portafogli in tasca, quindi non c’è voluta un gran sforzo investigativo» sbuffò Farinelli. «Ma sono l’unico poliziotto qui degno di un distintivo?»

    Risi. Il comportamento di Farinelli mi divertiva. «Quindi l’amico non è stato fatto fuori per rapina» feci sentire i miei anni di servizio.

    L’uomo sospirò prima di farmi un ragguaglio veloce. «Dai documenti risulta essere Arturo Coroncini, professore di storia al liceo statale qua dietro. Cinquantaquattro anni, divorziato, residente in un appartamento della zona ovest. Da una prima analisi sembra che sia morto per commozione cerebrale, dovuta a un forte colpo alla nuca sferrato con un oggetto contundente. Il rigor mortis indica che l’omicidio è avvenuto nel primo pomeriggio».

    «Chissà dove se ne andava» m’incuriosii subito. «Casa sua e dall’altra parte».

    «E che ne so?» rispose l’ometto, prima di soffiarsi rumorosamente il naso. «Con molta probabilità quella è l’arma del delitto» disse indicando un bastone di legno poco distante.

    «Non sembra un qualcosa di premeditato, ma piuttosto un’improvvisazione del momento» ipotizzai.

    «Che bravo, Guido. Vicino a quei bidoni dell’immondizia ce ne sono altri simili. Probabilmente il nostro assassino, preso dal raptus omicida, ha afferrato la prima cosa che gli è capitata a tiro per colpire la vittima» mi seguì nella deduzione Farinelli.

    «Già. Se fosse stato un qualcosa di pensato sarebbe convenuto farlo pochi metri prima, in mezzo a tutto quel casino nel parco. Sai dopo quanto l’avremmo ritrovato il corpo? Invece non s’è nemmeno preso la briga di nascondercelo una volta fatto secco» dedussi.

    Farinelli starnutì di nuovo.

    «Proprio un bel raffreddore» ci scherzai su.

    «Grazie di averlo notato» mi rispose seccato.

    «Meglio se ti avvii in laboratorio, almeno potrai scaldarti un po’. I tuoi uomini ti porteranno presto tutto il necessario per procedere alle analisi di routine» suggerii in tono di comando.

    «Facciamo invece che me ne vado a casa» disse scocciato.

    «Fa come vuoi, a me basta avere il referto entro domani». Chiusi lesto la conversazione: volevo fare un sopralluogo a casa della vittima prima di tornare in ufficio.

    Quando sprofondai le fredde membra nella soffice e calda imbottitura della poltrona, davanti alla mia scrivania, mi sembrò di essere in paradiso. La fioca luce, nascosta dietro la coltre di nubi, si era spenta, infuocandosi nell’ultimo istante, prima di esser inghiottita dal mantello di una notte priva di stelle.

    Mi ero recato a casa della vittima a dare un’occhiata, con un paio di agenti. Fortunatamente il portiere del palazzo, molto dispiaciuto per la perdita di una persona così brillante, ci aveva aperto senza tanti discorsi.

    L’appartamento era colmo di libri, disposti in un caos preciso che faceva trasparire il fascino di una personalità in cui arte e cultura si fondevano.

    Su una mensola, ben in vista, troneggiavano le sue opere: trattati di storia così massicci che non mi sarei mai sognato neppur lontanamente di sfogliare, tanto mi facevano venire sonno solo a guardarne la mole. Non notai niente di particolare, anche se il mio sguardo investigativo scorse tracce velate di una certa predilezione verso il gentil sesso, sicuramente attirato dalla carismatica figura del padrone di casa. Dei vini ricercati, libri di nouvelle cousine; tutte cose per palati fini. La leggera opacità sul cristallo dei larghi bicchieri da degustazione, assente solo in paio di questi, rafforzò in me l’idea che il tipo fosse più da partite a due che da cene di gruppo. Ammettiamolo: l’ambiente era predisposto al rimorchio. C’era qualcosa di male in tutto questo? Assolutamente no!

    In contrasto con l’integrità dell’arredo mi saltarono agli occhi, lasciati sopra una mensola, dei cerini promozionali del Blue Angel, un locale equivoco dove si potevano incontrare donne senza tanti pudori, unica cosa a me familiare in mezzo a tutta quella cultura. Anche in questo non vedevo niente di male: chiunque ha il sano diritto di divertirsi.

    Quella visita in fondo non era poi servita a molto, ma almeno non ero rimasto al gelo aspettando che la squadra di Farinelli finisse i rilevamenti.

    Chiusi gli occhi, immerso nel tepore dell’ambiente. Accesi una sigaretta per gustarmi ancor di più quel momento di relax, certo che i prossimi giorni sarebbero stati ben lontani dall’essere così tranquilli.

    La mattina arrivò in punta di piedi, affacciandosi dietro a nuvoloni bianchi, che si alternavano veloci nel cielo, per poi sparire nell’uggia di un’altra fredda giornata d’inverno.

    Passai dall’ufficio, per leggere il referto medico e vedere le informazioni raccolte da Tarzelli, il mio segretario, sulla vittima e decisi di recarmi alla scuola dove insegnava Coroncini per dare la brutta notizia ai colleghi. L’esimio professore non aveva parenti in città e la sua ex moglie, convolata a nuove nozze anni fa, viveva ormai a centinaia di chilometri, quindi erano le persone a lui più vicine. Il rapporto di Farinelli confermava la sua analisi preliminare: l’uomo era morto per il violento colpo alla testa, assestato col bastone, sul quale erano state rilevate delle impronte ora al vaglio degli esperti.

    La mia macchina s’infilò precisa nel parcheggio a lisca di pesce di fronte all’entrata principale del liceo, dove dentro ad attendermi avrei trovato un preside molto preoccupato.

    I corridoi brulicavano di studenti, che gridavano sguaiatamente tra loro, rincorrendosi e facendo una confusione tale da creare una specie di onda assordante che rendeva vivo quell’ambiente austero e rigido.

    Il preside Rivielli mi accolse nel suo ufficio. Per un attimo mi sembrò di esser tornato bambino, quando, dopo essermi cacciato puntualmente in qualche guaio, venivo condotto al giudizio della massima autorità della scuola.

    «Questa notizia ci ha davvero sconvolto» sussurrò un po’ tremante l’anziano professore. «Coroncini era un uomo di profonda cultura. Un’autorità, un’istituzione, e anche uno dei docenti più amati della scuola».

    «In pratica un santo» provai a riderci sopra.

    «Sarà impossibile da rimpiazzare, senza contare che era il candidato da me designato per prendere a breve il mio posto» proseguì il preside. «Avete già dei sospetti?»

    «Ancora no, ne so ancora troppo poco per fare ipotesi sull’aggressore. L’unica cosa certa è che non si tratta di rapina» risposi.

    «Si aspetti la massima collaborazione da parte di tutto il corpo insegnante» mi assicurò Rivielli. «Tuttavia gradirei che le indagini si svolgessero con il massimo rispetto nei confronti del professore».

    Questa frase mi suonò strana. «Ritiene che ci siano persone che vorrebbero infangarne il nome?» chiesi curioso.

    «Ispettore, penso di non dirle niente di nuovo sottolineando che un uomo, raggiungendo un certo livello, finisce inevitabilmente tra le mire di detrattori che attendono solo un pretesto per attaccare la sua integrità» mi mise in guardia. «Le consiglio solo di valutare con attenzione le cose che sentirà in giro».

    Sorrisi prima di allontanarmi. «Non si preoccupi, preside. Anche se…» mi fermai un attimo sulla porta «Non ho mai visto santi che camminano» conclusi.

    Il consiglio del preside mi rimbombava in testa, mentre seguivo i lunghi corridoi su cui si affacciavano le aule, verso la stanza dei professori. Quel uomo non era di certo uno stupido, né uno sprovveduto; penso avesse intenzionalmente voluto far suonare in me quel campanello d’allarme che, adesso, aveva allertato il mio istinto da poliziotto.

    L’accoglienza fu eccellente. Durante l’ora successiva, a seconda della disponibilità dell’orario, si alternarono nella stanza i vari docenti dell’istituto e mi dovetti sorbire un fiume melenso di elogi ruffiani nei confronti del grande scomparso. Mi ero quasi arreso all’evidenza di non poter apprendere alcun tipo di informazione utile, quando dalla porta spuntò una faccia familiare. Anche la mia vista non lasciò il soggetto indifferente, vista l’evidente perdita di colore nelle guance.

    Gli strinsi la mano fredda e sudata. «Ispettore Quetti, lei… lei si occupa di questo caso?» mi domandò l’uomo.

    «Marchi. Ma guarda il caso chi mi fa incontrare, proprio nell’ultimo posto dove avrei pensato di vederla» lo salutai sorridendo sarcastico.

    L’uomo mi trascinò da una parte, simulando tranquillità «Ispettore, la prego: parli a bassa voce» mi implorò, una volta lontano da orecchie indiscrete.

    «Perché? Non dirmi che la direzione non sa che eri implicato nel furto delle attrezzature della scuola dove precedentemente lavoravi?» lo canzonai.

    «La scongiuro!» si struggeva con la fronte inondata di sudore, supplicandomi con lo sguardo. «Sono completamente fuori dal giro e solo per miracolo sono riuscito a trovare questo lavoro come insegnante di educazione fisica».

    «Puttanate!» lo zittii duro. «Scommettiamo che hai falsificato il curriculum? Non ti avrebbero mai preso altrimenti. Vedi di rigar dritto, Marchi, o ti sbatto in quella cella che la volta scorsa sei riuscito a schivare» lo minacciai.

    L’uomo era disperato. «Glielo giuro, glielo giuro: mi sto comportando benissimo».

    Lo guardai fisso negli occhi. «Ovvio che il mio silenzio ha un prezzo» dissi.

    L’uomo si guardò intorno per vedere che nessuno origliasse. «Tutto quello che vuole».

    «Voglio sapere la verità su Coroncini, tutti i suoi

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