#likeforlike: Categorie, strumenti e consumi nella social media society
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Miliardi di contenuti in quello che è un overload continuo di informazioni da fruire nel minor tempo possibile, completamente e necessariamente immersi nella dimensione del flusso. Questo volume, scritto a sei mani, vuol indagare la fitta rete dei social network, attraverso un'analisi sociologica e tassonomica delle categorie che emergono nel mondo online, dalla relazione dei social media con il tempo effimero, al concetto di innovazione, al legame con la nostalgia, dal rapporto tra brand e social, al problema dell'informazione tra realtà e finzione, al legame tra pubblici e influencer opinion leader.
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Anteprima del libro
#likeforlike - Alfonso Amendola
vitale
PREMESSA
Quali sono i temi che troverete in questo volume?
Food porn, gattini, selfie, unicorni, fenicotteri rosa, wanderlust, rich kids of I nstagram, design, fake news, viralità, millennials. Se si potesse tracciare una mappa per avventurarsi nei meandri dei contenuti presenti sui social network, i punti nevralgici passerebbero da qui, un insieme schizofrenico di immagini, dati, profili che distinguono, accomunano, riuniscono o separano milioni di profili, utenti, persone. Miliardi di contenuti in quello che è un overload continuo di informazioni da fruire nel minor tempo possibile, completamente e necessariamente immersi nella dimensione del flusso.
I social sono sempre più parte identitaria e sostanziale del nostro mondo. La tensione sociologica da tempo ha aperto le proprie indagini per comprendere, analizzare, scrutare, esplorare cosa sta accadendo nel nostro presente [1] . Osserviamo come tutti i campi del sapere, della formazione e degli immaginari sono radicalmente ripensati dalle progressioni dei social network e dal progressivo avanzamento della cultura digitale [2] . Questo libro, prioritariamente rivolto agli studenti universitari, vuol essere un racconto di ciò che sta accadendo. Ma ci auguriamo che il presente volume possa essere, anche, un utile strumento per professionisti e appassionati che possano trovare qui un primo approfondimento della miriade di problematiche connesse con lo sviluppo dei sistemi social network e digitali. Da qui anche l’esigenza di chiudere con un glossario (davvero basico ed essenziale) per dare un ulteriore strumento d’indagine dei temi affrontati.
I social network al giorno d’oggi offrono un r an ge di esperienze affini tra loro principalmente basate su pochi concetti chiave: sc r o ll, li ke, c o m men t, s har e, h ash t a g. S c r o l l a la tua d a s hboa r d, seleziona ciò che ti piace, commenta, condividi, usa gli hashtag per essere tracciabile. Poche interazioni che però costituiscono le fondamenta della vita online contemporanea, che si fa ridondante, autoreferenziale, condivisa e basata su reciproci scambi. Come i principi alla base dell’hashtag #l i k e4 li k e su Instagram. Metti un lik eperricevere un li k e in cambio, un ritorno a una forma primordialedieconomia del baratto per sancire la propria presenza online, costruire, rafforzare ed ampliare la propria rete di relazioni.
Questo volume, scritto a sei mani, intende indagare, pertanto, la fitta rete dei social network, attraverso un’analisi sociologica e tassonomica delle categorie che emergono nel mondo online, dalla relazione dei social media con il tempo effimero al concetto di innovazione, al legame con la nostalgia, dal rapporto tra b r a n d e social al problema dell’informazione tra realtà e finzione, al legame tra pubblici e i n f l ue n ce r opinion leader. In questo senso, destrutturare la complessità dei social è un’operazione necessaria per comprendere, in modo semplice e chiaro, la direzione in cui si muove la società odierna, nei consumi, nell’informazione, nel processo continuo di autodeterminazione.
La gestazione di questo libro ha origine da un costante confronto e spazio di discussione fra i tre autori. Un libro che gradualmente ha preso sempre più corpo
tra seminari, conferenze, lezioni universitarie, convegni internazionali e tutti quei momenti di dialogo vissuti sempre con il desiderio di conoscenza e continuo aggiornamento. La responsabilità, quindi, dei contenuti del lavoro è decisamente condivisa dai tre autori. Nello specifico, la stesura del capitolo 1 è di Alfonso Amendola, i capitoli 2 e 3 sono di Novella Troianiello e i capitoli 4 e 5 sono di Simona Castellano.
[1] Nello specifico dei temi inerenti alla nostra prospettiva sociologica cfr. Barbotti 2018; Boccia Artieri 2012, 2015; Boccia Artieri, Gemini, Pasquali, Carlo, Farci, Pedroni, 2017; Boni 2006, 2005; Cherubini, Pattuglia 2012; Colombo 2013; Capaldi, Ilardi, Ragone 2008, 2012; Castells 2002; Codeluppi 2014; Colombo 2007, 2013; Donati 2011; Gili 2005; Gili, Maddalena 2017; Jenkins, Ford, Green 2013; Marinelli 2004; Masini, Pasquini, Segreto, (a cura di) 2017; Paltrinieri 2004, 2012; Pogliani 2016; Riva 2016; Romeo 2017; Secondulfo 2012; Sorice 2006, 2009, 2014; Vittadini 2018.
[2] Su questi temi rimando a Amendola, Del Gaudio 2017; Amendola, Tirino 2017; Borrelli 2008; Brancato 2011; Colombo, Vittadini 2006; Frezza 2006, 2013; Ragone.
1. CRONOLOGIE
1.1. In laude ai possibilisti
Cosicché il senso della possibilità si potrebbe anche definire come la capacità di pensare tutto quello che potrebbe egualmente essere, e di non dar maggiore importanza a quello che è, che a quello che non è. (…) Questi possibilisti vivono, si potrebbe dire, in una tessitura più sottile, una tessitura di fumo, immaginazioni, fantasticherie e congiuntivi
(Robert Musil)
È il 2 aprile 1916. Antonio Gramsci legge Carlo Michelstaedter. Torino è sotto bombardamento. La guerra è totale. Il grande sardo guarda il cielo. E, improvvisa, compare l’immagine della crisalide
della poesia dell’immenso goriziano (Le crisalidi sono il simbolo più vivo di questo momento della storia mondiale
). E in essa c’è il germe di vita futura
. Un qualcosa che sta nascendo. Non è ben definito ciò che sta germogliando, ma si tratta di un qualcosa che si sta muovendo all’orizzonte. Insomma, nel cielo tempestato di aeroplani e nel divoramento della guerra, Gramsci riesce a leggere una dimensione aurorale che è respiro di futuro collettivo. Una speranza di futuro talmente forte e dirompente che significa annullamento di qualsiasi frontiera, azzeramento di barriere, nascita di una pace universale e sentimento di forza corale. Insomma, una nuova vita possibile nel segno di una totalità nonostante la guerra, La vita che diventa causa di morte e la morte che creerà la nuova vita
(Gramsci 1960: 101). Ecco, in questo nostro tempo (in questi primi vent’anni del XXI secolo) tante volte così convulsi, rabbiosi, banali, lividi, para-militari… vogliamo leggere tutte le pratiche e le dinamiche del mondo social come una nascita di un futuro. E, si badi bene, non per banale tecnoentusiasmo o acritica adesione al trionfo del digitale o distratta lettura dei sistemi produttivi del contemporaneo. Ma come una possibilità. Una possibilità che vuol dire: occasione di superamento delle asprezze, sguardo sostanziale alle opportunità (creative, culturali, professionali, pedagogiche, economiche, aziendali), adesione al futuro come prassi. Un disegno di futuro in cui i social sappiano finalmente proporsi come una concreta protesi dell’esistente e totalmente dentro i nostri assetti emotivi (relazionali, comportamentali, economici e professionali). Una prospettiva concreta che vogliamo affrontare con un animo sempre visionario, progettuale e largamente dialettico. Come il collezionista raccontato da Benjamin, al quale le cose capitano e gli sanno parlare. E lui è sempre in grado d’essere divinatore del destino
degli oggetti, perché in ognuno è presente un mondo in forma sistematica e ordinata
(Benjamin 2007: 517). E per noi gli oggetti
possono essere le oggidiane strategie e quadri in divenire delle pratiche del digitale (dall’appartenenza all’espressività mediale, dal problem solving collaborativo alla condivisione di flusso, dai nuovi mondi lavorativi alle nuove socializzazioni) e che rigorosamente si volgono sempre verso innovative intraprendenze, e il successivo cammino, pur essendo sempre individuale, personale, intimo, è ferocemente desideroso di una collettività del farsi media
, ovvero quello snodo di appropriazione e sperimentazione con i media fino a diventare produttore mediale
(Boccia Artieri 2012: 72) e di un respiro unanime dentro i processi dell’industria culturale e dell’economia mondiale. Consapevoli che tutto ciò non è assolutamente un punto finale per l’avanzata tecnologica, ma si tratta unicamente di un preciso e fondante momento convergente, partecipativo e non distruttivo: "Il potere della partecipazione non ha origine nella distruzione della cultura commerciale, ma dalla sua riscrittura, dalla sua correzione ed espansione, dall’aggiungervi una varietà di prospettive, poi dal rimetterla in circolo diffondendola attraverso i media mainstream (Jenkins 2007: 287). E dove ogni cosa sembra riecheggiare verso quel cammino funambolico che è indice di ogni vero progresso:
Camminare sulla fune significa raccogliere nel presente tutto ciò che è stato. L’esistenza acrobatica toglie banalità alla vita, ponendo la ripetizione al servizio dell’irripetibile. Trasforma tutti i passi in primi passi. Per essa esiste una sola azione etica: andare oltre ogni condizione data, conquistando l’improbabile" (Sloterdijk 2010: 272).
1.2. Follow me back: essere su instagram, tra trasparenza e coolness
Quando noi ci concentriamo su un oggetto materiale, ovunque esso si trovi, il solo atto di prestare ad esso la nostra attenzione può farci sprofondare involontariamente nella sua storia. I principianti devono imparare a sfiorare soltanto la superficie della materia se vogliono che essa resti all’esatto livello del momento. Cose trasparenti, attraverso le quali balena il passato
(Vladimir Nabokov)
It’s a fad, it won’t last
(Lord Grantham, Downton Abbey, Season 5)
È il 1924 e in Gran Bretagna sua maestà Re Giorgio V tiene il suo primo discorso alla nazione alla radio in occasione dell’inaugurazione della British Empire Exhibition
allo stadio di Wembley. Il discorso, lungi dall’essere inviato in diretta (la radio live era ancora un elemento appartenente al futuro), fu registrato il 23 aprile del 1924 e messo in onda la sera stessa, per essere ascoltato da circa dieci milioni di persone in tutta la nazione. Oltre a modificare l’idea radicata della monarchia inglese negli anni difficili del dopoguerra, questo evento ha segnato in modo indelebile la storia dei media nell’Europa occidentale e la loro presenza nella vita quotidiana delle persone.
Nello stesso giorno di aprile del 1924 è ambientato invece il terzo episodio della quinta stagione di Downton Abbey, serie di finzione britannica prodotta da ITV, una riflessione lucida e a tratti drammatica sulla decadenza dall’aristocrazia nell’era post-Edwardiana e il suo inevitabile rapportarsi al progresso e all’avanzamento della modernità. In questo episodio, per la prima volta nella casa di Lord Grantham, nella tenuta della famiglia Crawley nello Yorkshire, arriva la radio, mezzo attorno al quale l’intero gruppo familiare, composto da aristocratici e servitù, si raccoglie per ascoltare il discorso del re a Wembley. È in questo contesto che bisogna collocare la citazione riportata all’inizio di questo capitolo. It’s a fad, it won’t last
, è una moda passeggera, non durerà
, è la sentenza che accompagna la diffusione della radio nelle abitazioni, densa di pessimismo apocalittico, da parte di un uomo appartenente a un rango della società che rifiuta di guardare all’attualità del momento con lucidità e con coscienza storica. Un’accusa, intrisa di classismo elitario, alla cultura di massa crescente. In una rilettura applicata di Apocalittici e Integrati di Eco potremmo inserire Lord Grantham all’interno di quella categoria di uomini miopi, incapaci di guardare al progresso culturale come a un processo necessario ma soprattutto antropologicamente inevitabile. [1]
Partire da una riflessione sulla radio per parlare di Instagram e social media può sembrare un’incongruenza, ma collocare i processi culturali all’interno di un contesto storico e sociologico ben definito è utile a tracciare i confini di un fenomeno relativamente nuovo che affonda le sue radici in un passato che, seppur lontanissimo, definisce pratiche attuali.
Di fatto, tale processo di cambiamento culturale ha le sue basi in un tempo decisamente più lontano che dai soli primi anni del Novecento. Risalendo a secoli di storia dei media e allargando quindi la lente per la messa a fuoco del fenomeno, è facile recuperare il legame ancestrale dei media digitali con la cultura orale delle prime società arcaiche, come quella degli antichi greci, e di conseguenza tracciare una linea temporale che attraversa la storia dei mezzi di comunicazione, passando per la nascita della scrittura e l’invenzione della stampa a caratteri mobili, dalla fotografia statica a quella in movimento del cinema, al concetto di serializzazione, dalle narrazioni episodiche del feuilleton ai numeri dei fumetti, fino ad arrivare alla serialità televisiva.
Una traccia continua ma non lineare che attraversa anni di storia ed evoluzioni culturali, un passaggio disomogeneo ma costante da Omero ai fratelli Lumière, dalla serie Lost a Kim Kardashian e a Chiara Ferragni.
Così come nella tradizione orale, la necessità di un format espressivo, la ripetitività stilistica, la necessità di strutturare il pensiero in moduli mnemonici creati apposta per un pronto recupero orale
(Ong 1986: 62) altro non sono che i moduli espressivi a cui adeguiamo il nostro personale racconto per la condivisione di informazioni online. In questo modo, se l’allitterazione, la ripetizione, le assonanze, le rime e il ritmo generale del componimento erano fondamenta necessarie per una cultura lontana dalla parola scritta, così la struttura linguistica di un post su Facebook, la dimensione standard della fotografia su Instagram, il numero di caratteri di Twitter, la durata di un video su Youtube diventano la cifra stilistica per la cultura digitale, che definisce gli spazi e le modalità in cui gli utenti possono operare.
Quella dei media è una storia che parte da lontano, ma che arriva ai giorni nostri riflettendo pratiche di consumo e di massa che si pongono nel punto intermedio tra produzione industriale, forme espressive, linguaggi artistici e veicolazione di contenuti informativi. Così come la radio negli anni Venti del Novecento si offriva come mezzo-ponte per il ricongiungimento del popolo alla monarchia, associando una voce al volto del re, spesso così lontano dalla gente comune (specie in un periodo storico di assoluto e totale cambiamento dal punto di vista politico da Obama al Movimento 5 Stelle, passando per la Primavera Araba del 2010), così la possibilità di diffondere un discorso o notizie all’intero paese e la possibilità stessa dell’intrattenimento offerto dal medium aprivano la strada a un modo di intendere i media sempre più familiare e vicino alla quotidianità.
Il carattere innovativo di tali cambiamenti tecnologici e culturali, pertanto, è il prodotto di un andamento generale dell’industria che vira costantemente verso un tipo di commistione tra media tradizionali. Ripensando al nostro contemporaneo, l’utilizzo massiccio di internet e dei device multi-mediali (smartphone, tablet, pc) infatti, unitamente alla produzione ingente di contenuti disponibili online su diverse piattaforme, sono un segno inequivocabile dell’effettivo consolidamento di un sistema mediatico basato su quella che viene definita dagli studiosi della comunicazione convergenza (Doyle 2010). Il fenomeno della convergenza è quello che sta alla base di ogni evoluzione dei mezzi di comunicazione. Per la sua definizione si fa riferimento a più voci che hanno studiato il fenomeno e ne hanno scritto, da De Sola Pool a Jenkins, passando per Flichy.
Tecnologie di libertà di Ithiel De Sola Pool è stato uno dei primi testi a descrivere, già nel 1983, il concetto di convergenza, intesa come cambiamento del sistema dei media, definendolo come un processo che sta confondendo i confini tra media, anche tra quelli delle comunicazioni punto a punto, come telefono e telegrafo, e le comunicazioni di massa come stampa, radio e televisione
. La convergenza dunque si configura immediatamente come un processo per il quale un singolo strumento fisico può offrire servizi in passato resi da mezzi separati (si veda lo smartphone, che oltre la funzione di telefonia include la fotocamera, la connessione ai servizi internet e così via), mentre, al contrario, un servizio che in passato era fornito da un singolo mezzo di comunicazione può a sua volta provenire da diversi mezzi (si pensi alla televisione disponibile su smartphone, computer e tablet).
Se Flichy (1994) intende l’ibridazione dei mezzi di comunicazione tra loro come un momento necessario nel passaggio dai vecchi media ai nuovi media, per Jenkins (2006) la convergenza spazza via la linea di contrasto tracciata da Negroponte (1990) tra vecchi media passivi
e nuovi media interattivi
e l’accezione di Gilder (1994) della convergenza digitale come la fine della cultura di massa, provando come essa sia il paradigma per il quale vecchi e nuovi media interagiscano in un sistema complesso di relazioni.
Convergenza
per Jenkins è il punto di collisione tra vecchi e nuovi media, "dove si incrociano i media grassroots e quelli delle corporation, dove il potere dei produttori e quello dei consumatori interagiscono in modi imprevedibili" (Jenkins 2006: XXV). Con i media, un insieme di contenuti creati dal basso ( bottom-up) e diffusi tramite i siti aggregatori, blog, forum e fan page dedicate a singoli eventi tematici si scontra e si fonde con i contenuti creati dall’alto (