Scrivere per Viaggiare
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Anteprima del libro
Scrivere per Viaggiare - Maria Grazia Casella
PHOTOGALLERY
BIOGRAFIA
Maria Grazia Casella è giornalista, fotografa, blogger, ma soprattutto viaggiatrice incallita. Tanto che ha fatto della passione per il viaggio una professione, che l’ha portata a visitare oltre 50 paesi in tutti i continenti e a pubblicare decine di reportage sulle maggiori riviste specializzate, italiane ed estere, oltre che a firmare come autrice libri di viaggio e documentari per la tv che hanno avuto una distribuzione internazionale.
SCRIVERE PER VIAGGIARE
Reportage di viaggio in giro per il mondo
di un'irriducibile travel writer
Maria Grazia Casella
PREFAZIONE
Sognavo l’Africa – ma anche l’America, l’Oriente, l’Australia – sulle pagine di Chatwin, Kerouac, Hemingway, Stevenson. Grandi viaggiatori, immensi narratori. Sognavo e basta, perché mai avrei immaginato di diventare una travel writer, di ritrovarmi un giorno anch’io a scrivere per viaggiare, a girare il mondo, accumulando miglia e consumando passaporti, per scoprire o provare in anteprima nuovi itinerari e destinazioni di viaggio. Il tutto per quell’inebriante sensazione di raccontare luoghi, esperienze, incontri ed emozioni, fissandoli in parole e immagini per poi trasformarli in reportage da condividere in magazine, documentari, libri. Come questo volume, raccolta di 15 reportage di viaggio, alcuni illustrati da immagini, realizzati nell’arco di una decina d’anni, per lo più in paesi e regioni ancora poco battuti dal turismo di massa o, al contrario, già entrati di diritto nell’olimpo delle mete più ambite, ma di cui ho cercato, di volta in volta, di cogliere gli aspetti meno noti o più intriganti, andando oltre le apparenze e gli stereotipi. Un ideale giro del mondo, dalle Filippine alla Cambogia, dal Brasile alla Giamaica, dall’Armenia allo Yemen, fatto soprattutto di storie che sono la vera anima di un luogo e che lo rendono vivo, unico, inimitabile, ben più di un fulgido paesaggio da cartolina. Perché se è pur vero che non ci sono più terre da esplorare, almeno su questo pianeta, ci saranno sempre storie di uomini e donne da raccontare, esperienze da vivere, emozioni da provare, per cui varrà comunque la pena di mettersi in viaggio.
FILIPPINE, L'ARCIPELAGO DELLE MERAVIGLIE
7.107 isole, non una di meno: non basterebbe una vita per visitare tutte le Filippine. E se anche ci si provasse, come fare, poi, a tenere il conto? Roba da beautiful mind
. Comunque, niente paura, non è necessario essere dei geni matematici per partire per l'arcipelago più esteso del sud-est asiatico. Anche perché i Filippini sono gente così semplice e ospitale che ci si sente subito a proprio agio, quasi a casa. Non per niente sono il popolo più latino
di tutta l'Asia: un'attitudine tutt'altro che casuale, ma che i Filippini portano scritta nei cromosomi. Da quando, nel 1521, le isole furono scoperte da Ferdinando Magellano, navigatore di lungo corso inviato dal Re di Spagna alla conquista delle Indie. Il re in questione si chiamava Filippo, quindi - deve aver pensato l'esploratore con un guizzo di fantasia - perché non battezzarle Las Felipinas? E così fu per quasi quattro secoli, durante i quali gli Spagnoli colonizzarono l'arcipelago e convertirono la quasi totalità della popolazione alla religione cattolica. Ad americanizzare non solo il nome delle isole, ma anche lo stile di vita e la lingua dei Filippini, pensarono poi gli Yankees, giunti in forze (armate) circa un secolo fa per stabilirvi la loro base strategica nel sud-est asiatico.
Ecco perché, fin dal primo impatto, Manila, la sterminata megalopoli da 12 milioni di abitanti, sembra un po' Siviglia e un po' New York. La città coloniale fondata dagli Spagnoli nel '500 resiste, praticamente intatta, nell'antico quartiere-museo di Intramuros, la cittadella fortificata costruita contro gli assalti dei terribili pirati malesi. La cinta muraria lunga oltre quattro chilometri che ha sfidato nei secoli incendi, terremoti, cicloni tropicali e guerre, custodisce un piccolo mondo antico di fortini, residenze nobiliari e chiese barocche. Come quella di San Agustin, al cui ingresso monta la guardia un gruppo di leoni di granito, mentre l'interno è rischiarato da preziosi candelieri di cristallo giunti apposta da Parigi. Simile in tutto e per tutto a un tipico cortijo andaluso, Casa Manila è la più elegante e visitata delle dimore coloniali del Barrio San Luis, rimasta tale e quale a quand'era abitata dai ricchi mercanti spagnoli. Tutt'intorno, la via Juan Luna pullula di negozietti di artigianato, gallerie d'arte e ristorantini che servono, manco a dirlo, cucina ispanica. Poco distante, in posizione strategica sulla baia di Manila, si erge il Fort Santiago, un tempo fortezza inespugnabile e prigione, oggi trasformato in museo dell'orgoglio nazionale. Un brivido percorre la schiena mentre si visitano le sale di tortura e le celle che ospitarono gli eroi della patria, ma basta salire sui bastioni per avere il miglior colpo d'occhio sulla città vecchia, mentre in lontananza si scorgono i grattacieli di Makati, la Wall Street filippina, a dire il vero un po' sottotono dopo lo sboom finanziario delle tigri asiatiche.
Per raggiungerla bisogna immergersi in apnea nel traffico impossibile di Manila, meglio se a bordo di una Jeepney, le camionette militari lasciate in eredità dagli Americani all'epoca della smobilitazione, che i filippini si sono ingegnati a trasformare nel più economico e divertente mezzo di trasporto cittadino. Una via di mezzo tra il taxi e l'autobus. Stipati sui sedili posteriori, per pochi pesos si attraversa tutta la città, al ritmo (ma sarebbe meglio dire assordati
) dalla musica rock preferita dall'autista. Conviene mettersi comodi, perché questa è una città in cui le distanze non si misurano in chilometri, ma in tempi di percorrenza. Ecco perché a Makati, regno dei businessmen che non hanno tempo da perdere, quasi ogni edificio è provvisto di eliporto. E' nella città-giardino, tra le sedi scintillanti delle multinazionali e i country-club dove si gioca a polo o a golf sotto il sole tropicale, che risiedono i ricchi e famosi. Gli stessi che la sera affollano le sale da ballo dei grandi alberghi, come l'Inter-continental o il Westin Plaza, dove si balla il tango o il valzer sulle note di un'orchestra live: l'ultima mania dei Manilenos che contano. E che per essere davvero à la page devono anche avere una villa, o perlomeno uno chalet, a Baguio, la capitale d'estate
incastonata a 1400 metri sui primi contrafforti della Cordillera, dove anche Gloria Macapagal Arroyo, la ex-Presidente(ssa) dello Stato con un passato da attrice, ha la sua residenza estiva.
La cittadina fu progettata dall'architetto americano Daniel Burnham all'inizio del secolo scorso come base ricreativa per i soldati in licenza. Non c'è quindi da stupirsi se il glorioso Camp John Hay, una scheggia di States ai tropici, è oggi il migliore albergo della città, dove i Filippini trascorrono i week-end a far gli Yankees, giocando a golf e rimpinzandosi di hamburger e sundaes alla cafeteria. Frequentata da artisti e intellettuali in cerca d'ispirazione nella frescura delle pinete, Baguio è comunque l'ultimo avamposto della civiltà occidentale nell'isola di Luzon.
Da qui in poi tutto cambia, si entra in un mondo a parte, a patto di essere disposti a viaggiare in fuoristrada per un paio di giorni su strade tutt'altro che degne di questo nome. Ma ne vale la pena: in palio c'è la scoperta di vallate remote e bellissime, regno degli Ifugao,