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La storia dei Parioli: Dalla preistoria ai giorni nostri
La storia dei Parioli: Dalla preistoria ai giorni nostri
La storia dei Parioli: Dalla preistoria ai giorni nostri
E-book456 pagine4 ore

La storia dei Parioli: Dalla preistoria ai giorni nostri

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La Storia dei Parioli, dalla preistoria ai giorni nostri è un percorso narrativo alla scoperta delle sue tante sfaccettature: da piazza Euclide, alla grande Moschea di Roma, dal Villa Gori all’Auditorium.
Il quartiere nasce con il piano regolatore del 1909 ma la sua storia ha origini molto più antiche. Il viaggio nel tempo conduce fino all’epoca preistorica, testimoniata da reperti straordinari: elefanti, ippopotami, cervi hanno camminato qui dove oggi si ergono raffinati villini e palazzi moderni. Ma ci sono stati anche malefici e pozioni magiche, preparati nell’oscurità delle caverne di tufo dei monti, e i riti segreti legati al culto di Anna Perenna e al rinnovarsi dell’anno. Grandi ville e catacombe perdute, la più famosa delle quali ha ospitato i resti del santo degli innamorati, San Valentino.
Parioli è un quartiere che ha conosciuto le invasioni dei barbari e poi ha visto sorgere luoghi di bellezza straordinaria come la villa di papa Giulio III, e ai suoi confini estremi Villa Borghese. Che ha assistito alle lotte per la libertà, dai garibaldini guidati dai fratelli Cairoli a Villa Gori fino al sacrificio di tanti partigiani e alla morte in un campo di concentramento della stessa Mafalda di Savoia, che abitava proprio in questa zona, a Villa Polissena.
Ai Parioli hanno vissuto gerarchi fascisti come Galeazzo Ciano, statisti come Pietro Badoglio, star del cinema del calibro di Totò, Audrey Hepburn, Ingrid Bergman, persino due re in esilio, Juan Carlos di Spagna e Farouk d’Egitto.
Le tracce del presente dei Parioli portano in via Fauro dove è esplosa una bomba destinata a Maurizio Costanzo; in via Puccini il delitto Casati ha sconvolto la quiete di un quartiere tranquillo, considerato il luogo in cui molti aspirerebbero a vivere; viale Parioli ha intrecciato la sua storia con quella di Paul Getty III, nipote del ricchissimo petroliere inglese, sequestrato per mesi.
Un quartiere, Parioli, che ha una storia da raccontare per ogni angolo di strada.
LinguaItaliano
Data di uscita20 giu 2021
ISBN9788836260614
La storia dei Parioli: Dalla preistoria ai giorni nostri

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    La storia dei Parioli - Sara Fabrizi

    Copertina-StoriaParioli-eBook.jpg

    CommunityBook – La Storia di Roma

    Credits

    CommunityBook – La Storia dei Parioli

    Edizione Ebook aprile 2021

    Un’idea di: Luigi Carletti - Edoardo Fedele

    Progetto di: Typimedia editore

    Curatore: Sara Fabrizi

    Project manager: Simona Dolce

    Cura redazionale: Chiara Monaldo

    Progetto grafico e impaginazione: Chiara Campioni

    Impaginazione: Federica Mattacola

    Foto: Sara Serpente

    Organizzazione generale e controllo qualità: Serena Campioni

    Product manager: Melania Tarquini

    In copertina: Ninfeo di Villa Giulia, su concessione del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia

    ISBN: 978-88-3626-061-4

    CommunityBook online: www.typimediaeditore.it

    Direttore responsabile: Luigi Carletti

    Crediti fotografici: Giada Patrizi; Vittorio Emanuele II con Rosa Vercellana Contessa di Mirafiori, Archivi Alinari, Firenze; Matrimonio di Galeazzo Ciano e Edda Mussolini, 24/04/1930, Ullstein Bild / Archivi Alinari; Cesare Zavattini nella sua casa a Roma, con la sua famosa raccolta di quadri 8 per 10 centimetri, è di Francesco Aschieri, si ringraziano l’Archivio Cesare Zavattini e Arturo Zavattini per averla concessa; Rita Levi-Montalcini riceve il Premio Nobel dal re di Svezia, ©Ansa su licenza Archivi Fratelli Alinari.

    L’editore si rende disponibile al pagamento dell’equo compenso per l’eventuale utilizzo di immagini di cui non vi è stata possibilità di reperire i titolari dell’avente diritto.

    © COPYRIGHT

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    Per informazioni o richieste: info@typimedia.it

    La Storia dei Parioli, dalla preistoria ai giorni nostri è un percorso narrativo alla scoperta delle sue tante sfaccettature: da piazza Euclide, alla grande Moschea di Roma, dal Villa Gori all’Auditorium.

    Il quartiere nasce con il piano regolatore del 1909 ma la sua storia ha origini molto più antiche. Il viaggio nel tempo conduce fino all’epoca preistorica, testimoniata da reperti straordinari: elefanti, ippopotami, cervi hanno camminato qui dove oggi si ergono raffinati villini e palazzi moderni. Ma ci sono stati anche malefici e pozioni magiche, preparati nell’oscurità delle caverne di tufo dei monti, e i riti segreti legati al culto di Anna Perenna e al rinnovarsi dell’anno. Grandi ville e catacombe perdute, la più famosa delle quali ha ospitato i resti del santo degli innamorati, San Valentino.

    Parioli è un quartiere che ha conosciuto le invasioni dei barbari e poi ha visto sorgere luoghi di bellezza straordinaria come la villa di papa Giulio III, e ai suoi confini estremi Villa Borghese. Che ha assistito alle lotte per la libertà, dai garibaldini guidati dai fratelli Cairoli a Villa Gori fino al sacrificio di tanti partigiani e alla morte in un campo di concentramento della stessa Mafalda di Savoia, che abitava proprio in questa zona, a Villa Polissena.

    Ai Parioli hanno vissuto gerarchi fascisti come Galeazzo Ciano, statisti come Pietro Badoglio, star del cinema del calibro di Totò, Audrey Hepburn, Ingrid Bergman, persino due re in esilio, Juan Carlos di Spagna e Farouk d’Egitto.

    Le tracce del presente dei Parioli portano in via Fauro dove è esplosa una bomba destinata a Maurizio Costanzo; in via Puccini il delitto Casati ha sconvolto la quiete di un quartiere tranquillo, considerato il luogo in cui molti aspirerebbero a vivere; viale Parioli ha intrecciato la sua storia con quella di Paul Getty III, nipote del ricchissimo petroliere inglese, sequestrato per mesi.

    Un quartiere, Parioli, che ha una storia da raccontare per ogni angolo di strada.

    L’autore

    Sara Fabrizi (1992) vive a Roma. È laureata all’Università La Sapienza in Filologia Moderna. Ha lavorato come redattrice e coordinatrice editoriale per diverse case editrici. Ha collaborato all’organizzazione di molti festival letterari tra cui Parole in cammino. Festival della lingua italiana. Collabora con Typimedia dal 2017 e ha curato alcuni volumi di successo della collana La Storia di Roma: Appio-San Giovanni, Aurelio, Centocelle, Esquilino, Flaminio, Marconi-San Paolo, Montesacro, Monteverde, Nomentano, Ostia, Parioli, Prati, San Lorenzo, Tiburtino, Trieste-Salario, Tuscolano. È autrice del volume La Storia del Coronavirus a Roma, il racconto puntuale della pandemia nella Capitale e di come l’abbiamo affrontata. Con Matteo Pucciarelli ha scritto anche Comunisti d’Italia. 100 patrioti rossi che hanno costruito la democrazia.

    PREFAZIONE

    Tra i quartieri romani che costituiscono un brand internazionale, Parioli è certamente tra i primi: conosciuto e percepito come una parte ben definita di Roma al punto di equivalere a una classificazione. Di più: come a un modo di essere di Roma. Ben prima che esplodesse quella moda un po’ caciarona e sbruffona (e anche molto pretestuosa) di dividere la Capitale in Roma Nord e Roma Sud, e quindi prima ancora dei distinguo, delle polemiche e del sentirsi o di qua o di là, Parioli era un modo di definirsi e collocarsi. Essere dei Parioli, nella vulgata romana, significava almeno tre cose: abitare nel quadrante nord di Roma, appartenere a un ceto medio-alto, essere spesso di destra o comunque di idee conservatrici.

    Gli anni recenti ci hanno insegnato che questo tipo di schematizzazione non regge più, o comunque mostra ormai dei limiti oggettivi. Sarà perché molti punti di riferimento (non solo in politica) sono profondamente cambiati, ma oggi essere dei Parioli non corrisponde più – automaticamente – agli stereotipi pseudo-sociologici dei decenni scorsi. Intendiamoci, il termine pariolino, o più gergalmente pariolo, funziona sempre. Classifica e fotografa. Identifica. Garantisce un’immediata comprensione nel codice di comunicazione della Capitale (e non solo), ma in un mondo che si muove e subisce cambiamenti incredibilmente veloci, anche i quartieri di Roma – inclusi i Parioli – sono soggetti alle trasformazioni tipiche di una società in accelerazione costante.

    Anche per queste ragioni, può essere di particolare interesse la lettura di questo La Storia dei Parioli, dalla preistoria ai giorni nostri, edito da Typimedia all’interno della collana CommunityBook-La Storia di Roma, curato da Sara Fabrizi con il coordinamento editoriale di Simona Dolce. Questo libro rappresenta, infatti, un’interessante opportunità di mettere un punto fermo nella conoscenza di uno dei quartieri più narrati e chiacchierati, più ricchi di luoghi comuni e, paradossalmente, meno conosciuti della Capitale. O perlomeno con un generale deficit di consapevolezza storica dovuto a quella patina glamour da rotocalco che da decenni accompagna i Parioli, una fama che ha spesso privilegiato la cronaca (nera e rosa, perlopiù) rispetto alla ricerca e all’approfondimento legati alla memoria.

    Memoria che – come il volume racconta – è invece ricchissima, fin dai primi albori dell’umanità e via via in tutte le diverse epoche. E allora vale certamente la pena di lasciarsi prendere per mano e attraversare il quartiere in lungo e in largo, dalle sommità (i monti, appunto) da cui si origina il nome, al verde di Villa Glori, all’inevitabile osmosi con i quartieri Flaminio e il Trieste-Salario, dove i labili confini metropolitani assegnano in condivisione pezzi di parchi straordinari come Villa Borghese e Villa Ada, fino alle strade e alle piazze più prestigiose, con residenze in cui architetti di nome hanno dato spazio al loro estro e a una sorprendente creatività: opere da conoscere e da preservare.

    Parioli anche come terra di imprese eroiche, sia nella storia antica che nel Risorgimento, terra di lotta politica e di misteri mai risolti, di figure della cultura, del cinema e dello spettacolo, che nelle vie riparate e silenziose del quartiere hanno vissuto per decenni garantiti nella privacy e nella riservatezza che probabilmente altre zone di Roma non avrebbero consentito con la stessa efficace sobrietà. Una storia davvero ricca di fatti, di personaggi e di sorprese quella dei Parioli. Un viaggio nei secoli che si legge come un romanzo incredibilmente affascinante.

    Buona lettura a tutti.

    Luigi Carletti

    PARIOLI NELLA PREISTORIA. Migliaia di anni fa enormi animali si aggiravano per il territorio degli odierni Parioli: elefanti, buoi, cervi e grandi ippopotami che sguazzavano nei fiumi.

    Capitolo 1

    L’antica selva dei Parioli

    1.1 Nella foresta di pietra dei Monti Parioli

    Quando si pensa ai Parioli, l’immagine che viene subito in mente è quella del quartiere raffinato, con le sue passeggiate alberate e i villini che fanno capolino tra gli alberi, gli storici luoghi di ritrovo come il bar Euclide, le grandi ville dove passare una sonnolenta domenica mattina.

    Del passato sembra essere rimasto ben poco.

    ARCO OSCURO. Nella zona che va dall’Arco Oscuro all’Acqua Acetosa, nel ’700, Tommaso Maria Galabrini credeva di aver scoperto una selva impietrita.

    Eppure, la passeggiata storica nel quartiere può spingersi fino ai confini più lontani del tempo. La prima tappa di questo viaggio conduce di fronte a un antico portale, chiuso da una cancellata. Si trova in viale delle Belle Arti, proprio di fronte alla scalinata che sale verso viale Bruno Buozzi. È l’Arco Oscuro, luogo da cui si passava un tempo per inerpicarsi sul Monte San Valentino, uno dei Monti Parioli (vedi cap. 4). Ci vuole uno sforzo di immaginazione per dimenticare tutto quello che si ha intorno e immergersi nella rievocazione di un tempo in cui, proprio qui, la natura selvaggia non aveva rivali. Più o meno 200mila anni fa, durante l’epoca Pleistocenica.

    Quello che si apre di fronte agli occhi è un mondo perduto, che ha già milioni di anni, eppure è ancora estremamente giovane e destinato a cambiare profondamente. I piedi si posano su una coltre d’erba che cresce dove oggi ci sono soltanto cemento e asfalto. Le dita indugiano sulla corteccia ruvida degli alberi che aprono i loro rami verso il cielo: boschi di lecci e di maestosi faggi si estendono per tutta la zona. L’acqua è uno degli elementi dominanti, richiamando da ogni parte la vita nelle sue forme più varie. Camminando sul ciglio dei torrenti che si snodano tra l’erba e le rocce, può capitare di incontrare un cervo, chinato con il muso nella corrente. Ha le corna nodose, adatte a combattere e difendersi dai predatori che vanno a caccia nella zona. Sulla piana, intenti a brucare l’erba, ci sono dei grossi tori selvatici, con il corpo massiccio e un mantello nero, caratterizzato da una striscia bianca che attraversa la spina dorsale. Questi sono animali estremamente pericolosi, feroci e aggressivi: gli uri, il cui nome scientifico è bos taurus primigenius. Si tratta dei più antichi antenati noti dei bovini odierni, il cui addomesticamento è cominciato intorno al VI millennio a.C. nell’Anatolia meridionale (la grande penisola compresa oggi nella Turchia) e nell’Europa sud-orientale, come racconta Luisa Passerini nel libro Il mito d’Europa: radici antiche per nuovi simboli.

    Per vederli nello stesso modo in cui li hanno osservati gli uomini preistorici, secoli e secoli dopo questo momento, bisognerebbe andare in Francia e poter visitare le grotte di Lascaux, il complesso di caverne definito la cappella Sistina del Paleolitico. Oggi l’accesso ai turisti è vietato, poiché la conservazione di questo sito è possibile soltanto mantenendo delle condizioni climatiche molto particolari. In passato, infatti, l’anidride carbonica prodotta dal continuo viavai di persone ha compromesso le pitture sulle pareti, che sono state sottoposte a un restauro. Qui, sulla roccia, nella grande Sala dei tori, tra i grandi animali preistorici che l’uomo cerca di abbattere durante le cacce, ci sono propri gli uri. Si riconoscono facilmente per le caratteristiche fisiche che li distinguono nettamente dai loro discendenti odierni: fisico possente e lunghe corna ricurve a forma di lira.

    Questa specie arriva all’estinzione nel 1627.

    L’ultimo esemplare, una femmina, muore nella foresta di Jaktorów, piccolo comune polacco che conserva la memoria dell’evento: qui si trova un monumento che porta incisa la data della scomparsa definitiva dell’animale.

    È una belva quasi mitologica, che qualcuno cerca anche di far rivivere.

    Nella Germania nazista degli anni ’30, infatti, i fratelli zoologi Lutz e Heinz Heck provano a ricreare questi tori ariani, attraverso la combinazione e l’incrocio di diverse razze di tori viventi, tra i quali bovini da combattimento spagnoli e vacche Higlander della Scozia. Nasce così l’Uro di Heck, una razza bovina che presenta alcune caratteristiche in comune con l’antico antenato. Una fra tutte, l’aggressività. Di recente, infatti, gli esemplari derivati dagli esperimenti dei fratelli Heck hanno fatto parlare di sé: nel 2009 gli Uri di Heck sono arrivati in Inghilterra, nel Devon, acquistati da un allevatore, Derek Gow, che poi, nel 2015, ha dovuto abbatterne sette su tredici. Gli animali hanno aggredito più volte Derek stesso e i suoi collaboratori, costringendolo a prendere questa decisione.

    L’area dei Parioli, però, è popolata anche da tante altre creature che oggi si potrebbero trovare soltanto in Africa. Negli stagni e nei corsi d’acqua non è raro individuare gli ippopotami anfibi (hippopotamus amphibius) che sguazzano tra le rocce oppure si arrampicano lentamente lungo gli argini, facendo leva sulle corte e tozze zampe. All’ombra degli alberi, invece, si muovono gli elefanti. In sottofondo si sentono i suoni della foresta: i richiami dei cervi, il canto degli uccelli, il vento che soffia tra i rami degli alberi, lo scorrere furioso dei fiumi.

    Il Tevere e l’Aniene, che delimitano il quartiere a nord con il loro corso, esistono già, ma sono completamente diversi da come li si conosce oggi. Non hanno ancora un percorso definitivo, un letto dal quale escono soltanto durante le piogge torrenziali. I detriti dei vulcani e le colate di lava tagliano i rami dei fiumi, sbarrano la strada. L’unico modo per proseguire verso il mare è compiere una deviazione, incidendo nuove strade nella roccia. Il paesaggio, infatti, è dominato completamente dal Vulcano dei Colli Albani, che ha cominciato la sua attività 600mila anni fa.

    Acqua e lava modellano il territorio del quartiere.

    Sono questi elementi a dare ai Monti Parioli il loro aspetto originario, oggi quasi impercettibile a causa dei ripetuti interventi umani e dell’edilizia che ha cancellato la natura primitiva.

    Rocce vulcaniche, sabbia, ghiaia, argilla formano strati diversi di queste colline che, però, sono caratterizzate anche dai grandi banchi di travertino: una roccia calcarea che si forma dalla precipitazione del carbonato di calcio in prossimità di fonti d’acqua.

    Anche le rocce hanno una loro vita invisibile.

    Grazie alle tante ricerche effettuate da attenti studiosi, oggi si conosce la natura geologica di questi monti. Ma per un lungo periodo, chi è venuto qui, nella zona dell’Arco Oscuro, ha pensato di trovarsi davanti qualcosa di incredibile e mai visto prima.

    Sembra quasi, rileggendo alcuni documenti, di trovarsi al confine tra la preistoria e la leggenda. Si scopre, così, una lettera del 12 ottobre 1760 (contenuta nel terzo tomo del libro Nuove memorie per servire all’istoria letteraria) scritta da Tommaso Maria Gabrini, matematico nato a Roma nel 1726, che si interessa anche di questioni naturalistiche. Nella lettera Gabrini dice di aver scoperto, in questa zona che va dall’Arco Oscuro fino alla fonte dell’Acqua Acetosa (vedi cap. 4) un’antichissima selva impietrita. Così scrive, cercando di rappresentare a parole quello che crede di aver visto: Fra questi arbori, che sensibilmente si vedono radicati nel piano, e alzati a perpendicolo verso l’orizzonte, vidi frammezzati in varia positura legni parimenti petrefatti di varia lunghezza e grossezza, che dalla varietà di foglie si conoscono essere di spezie diversa.

    In un primo momento Gabrini pensa di spiegare lo strano fenomeno con il Diluvio Universale, che avrebbe – secondo il suo parere – causato la putrefazione del legno della foresta. Ma poi, più semplicemente, ritiene che questa selva impietrita sia l’effetto di una grande alluvione del fiume Tevere: le acque, trasportando i propri detriti e il fango, sono penetrate tra gli alberi e li hanno sommersi, facendoli diventare come di pietra.

    In realtà, però, ai Parioli non esiste alcuna foresta pietrificata.

    Basterebbe tornare alla fine dell’Ottocento – epoca in cui non è ancora cominciata l’edificazione intensiva della zona – per accorgersene.

    Così come fa, nel 1897, Enrico Clerici, mineralogista e professore. Ha alle spalle già molta esperienza: ha cominciato a lavorare sul campo quando ancora era studente all’università, pubblicando il suo primo articolo scientifico a soli 23 anni, nel 1885, tre anni prima di conseguire la laurea in ingegneria. E non ha mai perso curiosità e intraprendenza, che sa trasmettere ai suoi allievi.

    Guarda, tocca, raccoglie e mette in correlazione i vari elementi. Nella sabbia rinviene persino tracce fossili di animali: ossa di cervo reale, di uro (che lui chiama semplicemente bos primigenius) e alcuni denti di ippopotamo. La presunta foresta di pietra descritta da Gabrini non è altro che il risultato di formazioni calcaree, che si sono costituite addosso a foglie di alberi, fuscelli, piante palustri e filamentose. Questa è la spiegazione che dà Clerici nel lungo saggio Complemento di osservazioni sui Monti Parioli presso Roma contenuto nel Bollettino della società geologica italiana del 1897.

    1.2 Ossa smisurate all’Arco Oscuro: l’elefante che pareva un cetaceo

    Grandi animali che pascolano quasi indisturbati in un territorio lussureggiante: è difficile, forse, riconoscere in queste suggestive immagini la storia più remota del quartiere Parioli. Ma basta seguire le orme di paleontologi e geologi per scoprire i luoghi dimenticati della preistoria. Qui, di fronte all’Arco Oscuro, con le spalle rivolte verso Villa Giulia, che riporta all’epoca Rinascimentale (vedi cap. 4), ci si proietta ancora una volta indietro nel tempo fino a toccare le soglie dell’800.

    A Roma c’è ancora il Papa e la città si estende soltanto fino alle mura Aureliane.

    Al di fuori della cinta muraria comincia la campagna, costellata di osterie e attraversata da piccoli sentieri polverosi. Campi, frutteti e vigne occupano le basse colline che fin dal Medioevo prendono il nome di Monti Parioli (vedi cap. 3). Lungo la via, così, si incontrano i carrettini che portano via i prodotti della terra e i braccianti occupati nelle loro mansioni. Questa zona, dove oggi si va a visitare il Museo etrusco di Villa Giulia, è occupata dal terreno di un certo avvocato Petrini, di cui le fonti non riportano ulteriori dettagli. Volendo seguire i confini stabiliti dal piano regolatore, qui, a Valle Giulia – al giorno d’oggi – si dovrebbe parlare di quartiere Pinciano. Ma almeno fino all’inizio del Novecento questa distinzione non esiste: tutta la zona fuori dalle mura tra Porta Salaria e Porta Pinciana viene chiamata Parioli. E ancora oggi, nel senso comune, i Parioli arrivano fino a qui, inglobando un territorio più vasto di quanto previsto a livello tecnico-amministrativo.

    Quel che accade nella vigna dell’avvocato Petrini, dunque, fa parte inevitabilmente di questa storia.

    È la fine dell’aprile 1802, una mite giornata di primavera.

    ARCO OSCURO DA VICINO. Nell’aprile del 1802, nell’area dell’Arco Oscuro, alcuni contadini scoprono delle ossa enormi. Si tratta dei resti fossili di un grande elefante preistorico.

    I braccianti sono riuniti nel campo, stanno impiantando una nuova vigna. Si deve procedere allo scasso, un’operazione di lavorazione che prevede di arare il terreno molto in profondità, fino a un metro e mezzo. Lo scopo è di creare le condizioni più adatte perché le radici delle piante possano espandersi facilmente. Il lavoro procede secondo la normale tabella di marcia, finché un attrezzo non cozza contro un oggetto non meglio identificato.

    Invece di interrompere lo scavo, però, i lavoranti insistono con più decisione.

    Nei solchi tracciati a forza di braccia si vedono piccoli frammenti di un materiale che non è pietra. Sono bianchi o giallognoli. Nessuno ci fa troppo caso finché dal terriccio smosso non emergono resti molto più consistenti. Sono ossa, enormi resti di un animale sconosciuto, che i semplici contadini della campagna romana non riescono a identificare.

    La voce dell’improvvisa scoperta, però, si diffonde rapidamente.

    Così, sul numero 141 dell’8 maggio 1802 del Diario di Roma, periodico fondato nel 1716 dalla famiglia Chracas (tanto che è noto anche come Diario ordinario del Chracas), si può leggere: Negli ultimi giorni dello scorso aprile nella vigna del signor avvocato Petrini, fuori la Porta del Popolo, [...] facendosi uno scassato per piantare viti, i lavoranti s’incontrarono in uno scheletro di un animale, che da essi non fu riconosciuto, se non quando videro delle ossa di smisurata grossezza.

    Sul posto, richiamato da un fatto così eclatante, giunge Carlo Lodovico Morozzo, conte di Morozzo e marchese di Bianzé, nobile di origine piemontese che coltiva fin dalla giovinezza una profonda curiosità scientifica. È il presidente dell’Accademia delle scienze di Torino e le materie che studia e di cui si occupa sono principalmente la fisica e la chimica. Non ha, dunque, gli strumenti per stabilire l’età dell’animale che si trova di fronte.

    Inizialmente, in realtà, non può neanche capire esattamente di quale creatura si tratti.

    Nel breve saggio Sopra i denti fossili di un elefante trovato nelle vicinanze di Roma, contenuto nelle Memorie di matematica e fisica della società italiana di scienze del 1803, Carlo Ludovico Morozzo dichiara che ha creduto si trattasse di un elefante, ma non se l’è sentita di assicurarlo in modo netto e senza dubbio alcuno. Tanto è vero che nell’articolo del Diario di Roma si insinua anche la possibilità che le ossa siano quelle di un cetaceo. Addirittura la notizia termina con un’affermazione che suscita meraviglia e crea anche un’atmosfera di mistero e attesa: le ossa sono così mostruosamente grandi che non sembrano appartenere a una specie vivente conosciuta dall’uomo.

    Sui Monti Parioli c’è lo scheletro di una balena?

    Per capirlo occorre procedere di pari passo con Morozzo, tornato sul posto a raccogliere quel che rimane dei reperti venuti alla luce durante lo scavo.

    La poca attenzione dei contadini, purtroppo, ha prodotto danni notevoli. Le parti più piccole sono andate in frantumi, sbriciolate durante le operazioni di scasso. Altre ancora, sopravvissute ai colpi ricevuti, non hanno resistito al contatto con l’aria. Appena la terra che le ricopriva e proteggeva è stata rimossa, si sono sfarinate. Il processo di fossilizzazione non si è compiuto pienamente, lasciandole indifese contro gli agenti atmosferici. Morozzo, però, non si arrende. Chinato nel terriccio smosso da pale e picconi riesce a trovare un femore, dei denti e persino dei pezzi di avorio.

    Sono la prova che il grande animale ritrovato vicino all’Arco Oscuro è un elefante preistorico.

    Non è la prima volta in assoluto che viene rinvenuto un elefante da queste parti. Morozzo stesso ricorda che nel 1755 in una collina qui vicino c’è stato un altro importante ritrovamento: quattro tronconi della zanna di un elefante antico.

    Soltanto tre, però, sono arrivati alla loro destinazione finale, a Parigi. Il quarto pezzo, infatti, è stato rubato dal facchino al quale avevano consegnato i reperti per il trasporto, come viene riportato nella Storia naturale di Georges-Louis Leclerc, conte di Buffon.

    L’aspetto più singolare di questa storia, però, è che i denti dell’elefante dei Parioli vengono sottoposti da Morozzo a un’analisi molto approfondita, che rappresenta un lavoro pionieristico nel campo chimico. Per svolgerli, il nobile studioso contatta addirittura Domenico Morichini, professore di chimica all’università La Sapienza di Roma dal 1797. Leggendo l’attento resoconto stilato dal medico, si ha quasi l’impressione di poter indossare il camice ed entrare nel laboratorio dell’università per osservare tutte le fasi del lavoro. Morichini divide lo smalto dalla parte ossea e poi sbriciola entrambe le componenti per ottenere due sostanze da sottoporre a vari esperimenti. Ad esempio, riempie una piccola storta (contenitore di vetro con un lungo collo piegato verso il basso) con entrambi i materiali e poi accende al di sotto di essa una fiamma. La tiene così per tre ore di fila, alla temperatura più alta possibile – quella che la storta può sopportare senza fondersi. Ne ottiene un liquido che Morichini assaggia e annusa: è insipido e spande un leggiero odore animale. Oppure le bolle nell’acqua distillata. E ancora, sceglie di trattare una parte del materiale che ha a disposizione con dell’acido solforico concentrato, ottenendo una viva effervescenza e lo sprigionamento di alcuni gas.

    Così la preistoria del quartiere Parioli entra anche nella storia della scienza, guadagnandosi un primato quasi assoluto.

    1.3 Quell’ippopotamo che viveva su Monte Antenne

    Le tracce della preistoria, però, non si limitano ai fossili d’elefante tornati alla luce nelle vicinanze di Valle Giulia. A sorpresa, sfogliando il Bollettino della società geologica italiana risalente al 1926 si scopre che un altro luogo da visitare per risalire al tempo delle origini è Monte Antenne. Per l’esattezza bisogna spingersi più o meno fino alla tangenziale Est, che corre proprio a ridosso della parte nord del colle.

    MONTE ANTENNE. Nel 1926, durante dei lavori, a Monte Antenne viene rinvenuto il cranio quasi intatto di un ippopotamo preistorico. Quei resti, però, andranno perduti.

    È in quest’area che, a inizio Novecento, vengono portati avanti i lavori per la realizzazione della cosiddetta Cintura Nord, la parte

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