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Anteprima del libro
16/a - N. F. Patroni
fine
Prefazione
Nell'antica città Imprecisata, sospetti, pregiudizi e sussurri ribollono al 16/A di Piazzale Toccati. Dopo anni di furenti lotte i condomini, imprecisati di nobili origini
, imprecisati d'adozione
e imprecisati sconsiderati
, hanno raggiunto una sorta di equilibrio, ma l'arrivo di una nuova famiglia nel palazzo provoca scompiglio e disappunto. La famiglia Bravo si stabilisce nell'appartamento al pianoterra, disabitato ormai da tempo e temuto asilo di spiriti e fantasmi...
Questa voce che si fa strada nella vostra mente, mentre i vostri occhi scorrono di parola in parola, vi sta per narrare una straordinaria storia. Conoscerete persone che si muovono nella fitta rete sociale di un non definito paese, in una non ben definita località, che vorrei chiamare città Imprecisata. Una città, questa, colpita da un'incredibile crisi economica e morale. Dopo diverse generazioni dalla sua fondazione, tutta la sua struttura sociale si trovava al collasso.
E proprio nel momento in cui sembrava che nulla potesse cambiare la drammatica situazione, i protagonisti di questa storia sono riusciti a trasformare in realtà i loro più grandi desideri.
1
16/A e 16/B
Nell’antica città Imprecisata, al numero 16/A di piazzale Toccati, si erigeva un antico palazzo per metà decadente e per l’altra metà elegantemente rifinito.
Da anni i condomini lottavano per far sì che il numero civico dell’edificio, una volta solamente 16, si dividesse in 16/A e in 16/B: il primo avrebbe dovuto indicare l’ala più curata, appartenente a imprecisati dalle nobili origini
, e il secondo quella occupata dagli imprecisati d’adozione
– più o meno forzata – e dai cosiddetti imprecisati sconsiderati
. Naturalmente queste richieste scatenarono una vera e propria guerra tra imprecisati e poiché nessuno voleva avere come numero civico il 16/B, il numero 16, che ormai sembrava superato, si trasformò in 16/A, per entrambe le parti.
L’appartamento del piano terra era disabitato ormai da diversi anni.
Strane storie e leggende prendevano forma di bocca in bocca, fino a far credere ai condomini che nessuno si sarebbe mai potuto trasferire in un’abitazione tanto infestata da spiriti di un passato neppure troppo lontano.
Nel palazzo, infatti, una famiglia sapeva bene che tipo fosse stato l’ultimo inquilino dell’appartamento in questione, e aveva idea di quello precedente. La suddetta famiglia era una delle più sconsiderate nel palazzo, e anche una delle più datate.
Due fratelli, Oreste e Franco, con le rispettive mogli, Santina e Angelica, possedevano il sottotetto disastrato del palazzo oramai da cinquant’anni. Ricordavano bene quell’ometto gobbo e canuto, lo incrociavano spesso per le scale mentre prendeva misure a suon di palmi. Non una parola o un saluto, solo sguardi sfuggevoli e borbottii indefiniti. Quell’individuo possedeva animali di tutte le specie, gatti, canarini, topini ballerini e forse un cane, anche se nessuno aveva mai potuto riconoscere un animale in quel groviglio di peli che a volte pareva rotolare per il cortile interno.
Era uno di quei fissati-maniaci-ossessivo-compulsivi, dicevano.
Non apriva mai le finestre, usciva di casa soltanto dopo essersi avvolto il viso deformato da un’espressione del tutto sospettosa in un bavaglio rosso a bolle bianche e misurava, misurava a palmi l’aria.
Se ne andò come se avesse trovato la peste. Fuggì con gabbiette e trasportino in una lontana primavera prematuramente sbocciata, lasciando alle sue spalle solo tanfo e una porta chiusa.
Dell’inquilino precedente ancora, invece, persisteva un ricordo sfocato nella mente di un'unica persona, Santina, moglie di Oreste. Segretamente innamorata del misterioso letterato che di tanto in tanto vedeva intento nel contemplare opere e scritti alla finestra sul retro, lo spiava dal cortile per ore, mentre intrecciava vimini per crearne ceste che vendeva alla fabbrica di dolciumi come contenitori regalo.
Nessuno, a parte lei, si accorse che il letterato abbandonò la sua abitazione, ma la paura nel confessar al marito le sue preoccupazioni in merito a un uomo la portò a tacere, a immaginarselo lontano, magari in viaggio verso lidi lontani.
Non ci volle molto tempo perché si dovette ricredere. Il tanfo della morte avvolse il palazzo un giorno d’estate: lo studioso era morto allo scrittoio, accasciato su un’incompleta opera prima che in segreto non lasciò mai il numero 16/A di piazzale Toccati.
Una gelida mattina di gennaio un furgone oscurò la vetrina del barbiere al numero 18 di piazzale Toccati.
Traslochi
indicava la grande scritta un po' scolorita dalle intemperie e dal sole, sul fianco dell’enorme cassone.
«Traslochi» sussurrò il barbiere col volto irrigidito al suo cliente abituale intento nel leggere il quotidiano. Questo trasalì in un gemito di terrore. Si alzò di scatto rischiando la gola e scrutò dalla veneziana impolverata sulla strada. In quel momento passò la contessa, levando al cliente mezzo servito la visuale, e anch’essa trasalì. Si diresse nel panificio al numero 20 del piazzale e dovette spinger con gran forza l’uscio per entrare. Tutti si accalcavano alle vetrate e alle finestre per contemplare l’orrore della novità.
Con la strada deserta gli addetti al trasloco ebbero lavoro facile.
I condomini, in subbuglio, si scordarono perfino dell’antica guerra per il civico e si misero in collaborazione per saperne di più sui neo-arrivati.
La contessa proprietaria del 2° piano fece a turno col nipote prediletto e viziato per assistere al trasloco, segnando per filo e per segno, sopra un taccuino, quello che gli addetti facevano entrare a forza dalle minuscole finestre.
Uno degli sconsiderati, dirimpettaio della contessa, faceva su e giù per le scale nella speranza di poter incontrare «casualmente» un nuovo inquilino.
Perfino gli imprecisati d’adozione si misero a controllare il pianoterra. Facevano cadere nella tromba delle scale la palla di gomma del figlioletto che si ritrovava costretto ad andarla a recuperare di tanto in tanto.
Passarono giorni, ma dei nuovi inquilini ancora nessuno sapeva nulla, a parte di che legno fosse fatta la loro cucina, e che genere di letti potevano ospitare i loro corpi stanchi: un singolo con rete metallica, un futon matrimoniale in doghe e un baldacchino.
Una mattina però qualcosa si mosse. Lo sconsiderato che imperterrito percorreva le scale da ormai una settimana, si ritrovò senza forze al piano terra mentre una ragazza litigava col portone d’entrata e chiacchierava al telefono.
«...Non ti preoccupare, ho seguito le istruzioni e sono arrivata in un attimo, qui sembra carino... ci troveremo benissimo!».
La capigliatura leonina e indomabile incorniciava un volto serio dal biancore alabastrino, gli occhi scuri guardavano severi l’apparecchio mobile nel mentre terminava la comunicazione, ma alla vista dello sfiancato omino, con la barba fatta per metà, l’atteggiamento mutò in un’espressione solare dal sorriso sgargiante.
«Posso aiutarla?» chiese lei.
Questo a gran boccate rispose: «Nessun problema, nessun problema».
Senza spegnere il suo sorriso la ragazza si trascinò appresso grandi pacchi rettangolari per giungere così alla temuta e serrata porta.
Clack, clack, clack.
Scomparve nel buio della sala e si richiuse la porta alle spalle, mentre quelle degli altri condomini si spalancavano e quelli si affrettavano a raggiungere lo straziato avventore al pian terreno.
«Su su, racconta!!!» fece spazientito il nobile diseredato del secondo piano ben curato.
«Parla!!!» lo scosse il più adulto degli adottati.
Ma questo sembrò non aver più forze neppur per reggersi in piedi e, sotto i pressanti sguardi dei curiosi, accasciandosi sibilò: «Ride troppo...».
2
Inventari
Dalla finestra del primo piano la contessa spiava ogni mossa. Aveva costruito, con l’aiuto del nipote, un intricato sistema di visualizzazione. Specchi di tutte le specie e provenienza si intersecavano tra loro tramite posate e mollette dei panni, in modo che senza dar nell’occhio potesse aver una perfetta visuale dell’appartamento.
Finiti i ritocchi in cucina, la giovane era intenta nella preparazione del thè, approntando tre tazze in tavola.
«Tre tazze» mormorò la contessa.
«Tre tazze» appuntò il nipote sul taccuino.
Da lì a poco due avventori si fecero strada verso il portone. Trascinavano valige a rotelle e nel silenzio stupito apparvero nell’appartamento al piano terra.
«Certamente parenti» esclamò la contessa.
«Certamente parenti» appuntò il nipote.
Le scale si ripopolarono in un istante e nel più muto tormento i condomini si apprestarono a origliare alla porta.
All’interno i passi erano veloci, pesanti e leggiadri. La famiglia si muoveva in gruppo, visitando e apprezzando le stanze prima di sorseggiare il thè nella piccola cucina.
«Ragazza sorridente, uomo possente e donna ambigua» suggerì la contessa.
«Ragazza sorridente, uomo possente e donna ambigua» scrisse il nipote.
L’appartamento al pianterreno del numero 16/A di piazzale Toccati era totalmente immerso nel buio. Esso non aveva che piccole finestre affacciate a nord. Il sole non avrebbe raggiunto l’abitazione se non in estate. I pacchi la facevano da padrone nel piccolo antro scuro, ma mai arrendersi di fronte a un trasloco. Si potrebbe perire tra acari e polvere.
Pochi giorni sarebbero passati perché ogni singolo elemento incartato o inscatolato avesse trovato la sua nuova ubicazione.
La giovane inquilina notò subito quanto tranquillo fosse il vicinato. Nessuno schiamazzo, nessun rumore di passi al piano di sopra, nessuno per le scale.
Era di certo il posto perfetto per ospitarli in quel momento così delicato della loro esistenza.
I nuovi inquilini erano una famiglia davvero particolare.
L’immacolata splendente targhetta sulla porta dell'appartamento al pianterreno del 16/A riportava la scritta Famiglia Bravo
.
Il padre dei ragazzi, Rinaldo Bravo, alcuni mesi prima del loro arrivo a Imprecisata li salutò per intraprendere un viaggio per lavoro e non tornò più. Da quel momento le loro vite cambiarono totalmente. Erano sempre stati una famiglia unita: la madre, Caterina Molina, plurilaureata e considerata una delle menti più eccelse del momento, aveva educato i figli in casa, trasmettendo l'amore per i classici della letteratura e le arti a una, Ofelia Bravo, e la passione per la meccanica all'altro, Biagio Bravo.