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Piccole storie
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E-book265 pagine3 ore

Piccole storie

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Info su questo ebook

Il libro si sviluppa a episodi indipendenti, leggibili singolarmente, collegati a una storia comune.

Pandino nasce negli anni '60 di una Milano post boom economico, crescendo tra le case popolari, le crepe che il quartiere non riesce a togliersi e tutto ciò che la strada può insegnare.

Le cose iniziano a cambiare una volta con il trasloco da Quarto Oggiaro alle case gescal della Bicocca, dove Pandino inizia a maturare, ad affrontare, non senza difficoltà e con l'aiuto del fratello Guido, le minacce nascoste tra quei palazzi grigi di una Milano di piombo.

Tra i pochi svaghi offertogli sono le vacanze dal nonno materno e dei suoi racconti picareschi, storie di vita e morte, di guerra e rivoluzione, amori passati e bravate giovanili.

La svolta arriva con l'iscrizione alla Scuola Casearia durante l'adolescenza spesa tra formaggi e rocambolesche sventure. Adattarsi a quell'odore acido, il primo grande passo. Integrarsi in un nuovo gruppo l'altro. Tra corse per il paese, donne da gonne corte, ciabatte lanciate da finestre, fughe ed escamotage per party fuori dal castello-collegio, biciclettate tra i campi e la nebbia, il teatro, caccie grosse nel buio della notte e il sudore sul pallone da calcio. In gita scolastica a zonzo per l'Europa come una band in tour: Zurigo, Strasburgo, Bruxelles, Amsterdam, Francoforte. Una volta rientrato affronta il diploma e il dolore di dover lasciare quelle mura che grondavano ricordi e sogni sul futuro.

Affronta il ritorno a casa, il travagliato rapporto con i cattolici e i loro "riti", l'esame del fratello, la trasformazione di Milano dal piombo allo Champagne degli yuppies fino alla Romagna felliniana e un assaggio di amore. Poi arriva il futuro che gli si prospetta davanti, forse lontano dai guai, prossimo all'età adulta.
LinguaItaliano
Data di uscita27 mag 2019
ISBN9788831619684
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    Piccole storie - Pandino Bertagna

    inventati.

    Introduzione

    Il libro si sviluppa a episodi indipendenti, leggibili singolarmente, collegati a una storia comune.

    Pandino nasce negli anni ‘60 di una Milano post boom economico, crescendo tra le case popolari, le crepe che il quartiere non riesce a togliersi e tutto ciò che la strada può insegnare.

    Le cose iniziano a cambiare una volta con il trasloco da Quarto Oggiaro alle case gescal della Bicocca, dove Pandino inizia a maturare, ad affrontare, non senza difficoltà e con l’aiuto del fratello Guido, le minacce nascoste tra quei palazzi grigi di una Milano di piombo.

    Tra i pochi svaghi offertogli sono le vacanze dal nonno materno e dei suoi racconti picareschi, storie di vita e morte, di guerra e rivoluzione, amori passati e bravate giovanili.

    La svolta arriva con l’iscrizione alla Scuola Casearia durante l’adolescenza spesa tra formaggi e rocambolesche sventure.  Adattarsi a quell’odore acido, il primo grande passo. Integrarsi in un nuovo gruppo l’altro. Tra corse per il paese, donne da gonne corte, ciabatte lanciate da finestre, fughe ed escamotage per party fuori dal castello-collegio, biciclettate tra i campi e la nebbia, il teatro, cacce grosse nel buio della notte e il sudore sul pallone da calcio. In gita scolastica a zonzo per l’Europa come una band in tour: Zurigo, Strasburgo, Bruxelles, Amsterdam, Francoforte. Una volta rientrato affronta il diploma e il dolore di dover lasciare quelle mura che grondavano ricordi e sogni sul futuro. 

    Affronta il ritorno a casa, il travagliato rapporto con i cattolici e i loro riti, l’esame del fratello, la trasformazione di Milano dal piombo allo Champagne degli yuppies fino alla Romagna felliniana e un assaggio di amore. Poi arriva il futuro che gli si prospetta davanti, forse lontano dai guai, prossimo all’età adulta.

    Ai ragazzi di tutto il mondo

    perché trovino la forza di realizzare i loro sogni

    1. Vacanze povere

    Gli appartamenti delle case popolari di Milano verso la fine degli anni ‘60 non erano grandi. Generalmente di dimensioni inferiori alle esigenze delle famiglie che li abitavano. Quello dove abitava Pandino con la sua famiglia era di 37 mq per 5 persone. La mamma e il papà di Pandino, lui, suo fratellino Guido e la zia Palmina, la più giovane delle sorelle della mamma.  Era un buco di casa sulla strada principale del quartiere tutto di case popolari più o meno in buono stato di manutenzione. Nel cucinino ci poteva stare dentro solo una persona. In sala c’era posto esclusivamente per la credenza, il tavolo e le sedie pur che tutti pigiati sullo stesso lato. La camera da letto era unica e c’era un bagnetto. Infine era presente un terrazzino con le griglie protettive in ferro tipo inferriata. La casina era talmente piccola che la lavatrice stava nel corridoio.

    A dormire la sistemazione consisteva con il papà e la mamma che dormivano nel letto matrimoniale in camera con ai piedi dello stesso il lettino di Pandino. Guido dormiva ancora nella carrozzina sempre in camera e la zia Palmira sul divanetto della sala.

    In una gestione degli spazi così delicata quando il papà di Pandino, Gio, arrivò a casa con un canotto di piccole dimensioni regalato dal benzinaio della catena Fina, allora molto in voga, la mamma Ilda cominciò ad imprecare contro il marito: Un alter catanai (Un altro aggeggio) che non sapremo mai dove mettere….

    All’arrivo della torrida estate milanese il canottino ritornò però utile. Riempito di acqua all’uopo, veniva posto sul balconcino dalla mamma che ci cacciava dentro i due bambini i quali restavano immersi tutto il giorno. Mattine e pomeriggi sempre in acqua come se fosse il mare. Il mare dei poveri!!!

    Sotto il balconcino del terzo piano, con il canottino incernierato a misura dentro il balcone stesso, passavano sulla via le persone e le auto. Qualcuna richiamata dallo schiamazzo dei bimbi giocosi si fermava a guardare. Qualcun’altra passava e salutava i due bimbi.

    Che vista stupenda si godeva dal terzo piano pensavano i due bambini e quanto si divertivano complici anche le persone che passando li salutavano. Non era il mare, ma il divertimento era assicurato.

    Al fine di evitare problemi con la vicina di casa avente il balcone sottostante, la Ilda aveva posizionato sia sotto il canottino sia intorno al perimetro del balconcino dei tappeti al fine di evitare di bagnare il bucato degli inquilini di sotto. In particolare dell’inquilina di sotto.

    Questa vicina di casa era un poco avanti con gli anni, vedova e con i figli grandi già fuori casa da tempo. Quando capitava che ogni tanto scappasse dell’acqua dal balcone dall’appartamento sovrastante, anche se solo le bagnava i fiori, apriti o cielo: Questi bambini fanno sempre rumore e la vostra acqua mi sporca i fiori urlava la vicina bresciana dalle finestre. Poi continuava ad  inveire contro i due piccoli  nel suo dialetto delle valli camune . A quel punto la mamma di Pandino si arrabbiava gridandogli a sua volta: Che brutto dimenticarsi di aver avuto figli piccoli e comunque i miei figli giocano perché sono bambini.

    Nessuno ha mai accertato se alla fine giornata erano più le urla che salivano rispetto all’acqua che scendeva.

    Di certo c’era il grande divertimento dei due piccoli anche se questo comportava qualche problemino con la petulante vicina…

    2. La scatoletta di tonno

    Nella grande Milano in quegli anni di fortissima immigrazione interna, tutta italiana, oltre la retorica la convivenza tra famiglie in particolare tra quelle originarie del Nord e quelle originarie del Sud soprattutto, ma non soltanto, non era per nulla semplice. In specie nelle case popolari ove abitavano le famiglie più povere. Culture diverse, modi di vivere diversi ancora lungi dall’essersi integrati. Si litigava spesso per ogni cosa. Dialetti del nord che inveivano contro dialetti del Sud e viceversa: Terun de la Madòna! Tornate a casa Vostra dicevano quelli del nord a cui rispondevano gli immigrati dal Sud: Vattin Polentone! Statti zitto….

    Il clima non era idilliaco ed ogni punto di vista differente dal proprio era più una occasione di scontro anziché di incontro.

    Prendi Pandino questo è il regalo che ti fa la zia Palmira prima di andarsene perché con l’arrivo del Guido la casa è diventata troppo piccola per tutti- disse la zia al nipotino. Il regalo era un bellissimo triciclo color rosso fuoco. Era il più bello del cortile delle case gescal. Talmente bello che venne subito adocchiato dai fratelli Denni, i figli del fioraio abusivo con la rivendita sull’angolo della strada. I fratelli Denni erano famosi nel quartiere perché oltre ad essere in sette erano i figli di quel fioraio pugliese che non pagava neanche l’affitto della casa popolare dove abitava, dicevano i genitori meglio informati. Che bel triciclo che hai Pandino- commentò il Denni maggiore, un bimbo dell’età di 8 anni, appena Pandino portò il nuovo gioco in cortile.  Grazie rispose ingenuamente Pandino. Possiamo giocarci insieme?continuò il Denni grande. Ma certo asserì Pandino con quel vago senso di scarsa capacità di riconoscere le problematiche che lo accompagnerà tutta la vita. E con la scusa di un giro io e un giro noi (che essendo in sette erano almeno 7 giri), la voglia di giocare era così tanta e così spontanea in tutti che tra salite e discese sulle stradine del cortile delle case pubbliche fatto di buche e asfalto consunto, nel giro di un pomeriggio il triciclo si aprì a metà sfasciandosi irreparabilmente. Tutti si erano divertiti. Tutti tranne il papà di Pandino! Rincasando la sera dalla fabbrica dove faceva l’operaio si inalberò col figliolo: Ma cum’è. Mi vu a laurà tutt el dì ( Io lavoro tutto il giorno) e quando torno a casa  l’unico gioca decente che ti è stato regalato è già rotto il primo giorno dai Denni che cianno il papà chel vend i fiur, el paga minga i tass perché l’è un cumerciant abusivo ( …che vende i fiori, non paga le tasse perché fa il commerciante abusivo...) e non vuole comprare un gioco che è uno ai suoi figli?. Adesso- proseguì il Giò - se vogliono giocare ancora con te ci dici che il triciclo ce lo mettono loro. Tèè capiì (Hai capito)?.

    Un altro amico di Pandino era Salvatore. Anzi il Salvatore, alla milanese.

    Arrivava da Palermo da dove era originaria la sua famiglia. La sua mamma era ancora convinta di trovarsi là.

    Tutte le sere immancabilmente scendeva dal suo appartamento a suonare alla porta di casa di Pandino con la scusa di chiedere se il giorno appresso i bambini si sarebbero visti a giocare. A ciò aggiungeva sempre alla mamma di Pandino una richiesta alimentare: Non che per caso Signò che cià un bicchiere di olio che l’hoffinito? Oppure: Non è che cià una scatoletta di tonno che mi manca per cena? E se non era il tonno era il sale o l’aceto o il vino bianco per cucinare...

    La tiritera andò avanti per diverso tempo fin quando la mamma di Pandino ormai stufa delle continue richieste, peraltro mai risarcite neppure in parte dalla mamma di Salvatore, di fronte all’ennesima richiesta serale sbottò: Sciura, ma lo sa che qui a Quarto Oggiaro ci sono due supermercati dell’Esselunga, il mercato comunale coperto e un bel mercato settimanale dove comperare la roba? Perché la sa noi semm no (non siamo) la Banca d’Italia!!

    Da quella sera la mamma di Salvatore non si fece più vedere però Pandino e Salvatore rimasero amici lo stesso.

    3. Dall’Asilo di Quarto alle Scuole all’aperto

    Scusi Signora, ma in casa vostra come lo usate il bagno? chiese l’Assistente Sociale del Comune alla mamma di Pandino all’atto dell’iscrizione del bimbo all’asilo comunale. Normalmente fu la risposta secca della sciura Ilda. Quindi desumo non ci piantate i pomodori nel water o nel bidet e non avete la capra per il latte fresco dei ragazzi nella vasca da bagno? insistette l’Assistente sociale. Secca a sua volta la risposta della mamma di Pandino,  Ilda, : A casa nostra nel bagno si fa quel che si deve fare. Punto!. Deve sapere - continuò la funzionaria comunale - che molti altri usano il bagno così… Ma ha guardato dove sono nata io? concluse la sciura Ilda.

    Alla fine del surreale colloquio Pandino risultò iscritto al primo anno dell’asilo comunale.

    Terminati i tre anni di frequenza, interrotti spesso  da lunghe malattie di diversa natura, ai genitori di Pandino venne consigliata l’iscrizione del figliolo ad una scuola all’aperto per bambini gracili perché fin dall’asilo al bambino venne impressa l’etichetta di Bambino gracile. Le scuole comunali all’aperto erano scuole elementari a tempo pieno dove le classiche lezioni erano intervallate da passeggiate nel parco della scuola, da lezioni di musica, da attività agricole adatte ai bambini come occuparsi dell’orto, passeggiare nel parco in mezzo alle piante, l’allevamento di piccoli animali come galline o conigli. Tutto questo al fine di rendere maggiormente confortevole e salubre il percorso scolastico dei bimbi milanesi di debole costituzione fisica, anche se nei fatti venivano frequentate, giustamente, anche dai bambini delle famiglie abitanti nei pressi della scuola stessa.

    Per Pandino i genitori scelsero quella di Niguarda poiché prossima all’altro quartiere di case popolari dove al completamento dello stesso si sarebbero trasferiti per avere una casa più grande.

    Al primo giorno di scuola come tradizione la maestra portò la classe a girare per il parco della scuola indicando ogni pianta incontrata e abbinando alla stessa il nome. Allora bambini - esordì la Sig.ra Maestra alla fine del giro per il giardino - come si chiama la prima pianta che abbiamo visto oggi tutti insieme?. La domanda sortì un silenzio granitico. La maestra replicò: Nessuno di voi se lo ricorda il nome della pianta di cui vi ho accennato poco fa ?

    Con i posti assegnati a caso nel primo giorno, all’ultimo banco in fondo alla classe nel banchetto a due posti vi erano finiti il bimbo più piccolo della classe e l’allieva Galliotti una remigina con il fisico di una quattordicenne. Praticamente l’allieva più robusta della Scuola nonostante i suoi soli 6 anni.

    Da circa un  minuto la mano del piccoletto era protesa in aria al fine di rispondere alla Maestra, ma causa la posizione spaziale del banco in fondo all’aula la maestra seguitava a non vederlo. Finché ad un certo punto l’allieva Galliotti, con la tipica determinazione tutta femminile, afferrò per un braccio il compagnuccio al fine di porre fine alle litanie della Maestra. Lo alzò con tanta forza da sollevarlo dalla seggiola del banco con tutto il corpo e, richiamata l’attenzione dell’insegnante, le fece cenno con l’indice dell’altra mano  aggiungendo: Lui, lui Sig.ra Maestra lo sa e vuole risponderle!. Finalmente la Maestra vide il micro alunno nel banchetto in fondo alla classe e dopo aver detto alla gentile Galliotti che a quel punto poteva riposizionare il compagno nel banco senza stropicciarlo oltre, ripetè l’iniziale domanda: Allora piccolo, qual è il nome della pianta che abbiamo incrociato per prima?. Abece! rispose il nanerottolo con vocina flebile. Bravo, ma si dice Abete concluse l’insegnante.

    Questa è stata la prima dichiarazione pubblica del giovane Pandino.

    Il primo compito a casa poi arrivò qualche giorno dopo. Si trattava di far scrivere al bambino almeno 3 volte sul quaderno la seguente semplice frase: Nel vaso ci sono i fiori. A memoria di uomo quella passò alla storia come una delle peggiori domeniche della storia della famiglia Bertagna. Dopo circa tre ore di spiegazioni Pandino non era ancora riuscito a scrivere una parola. La rabbia dei genitori per l’incapacità di capire del giovane allievo a comprendere come impugnare la matita e come successivamente utilizzarla in modo appropriato giunse al culmine della disperazione con una scelta drammatica da fare: massacrare di botte il figlio o portarlo fuori a cambiare aria per sbollire tutti quanti. Con maggioranza risicata passò ai voti, per fortuna di Pandino, la seconda ipotesi e la famiglia andò tutta al circo accampato casualmente nel quartiere con la speranza che un momento di distrazione avrebbe prodotto un miglior scolaro ed evitato inutili tragedie in famiglia.

    Quanta pazienza ci sarebbe voluta con gli anni…..

    4. In campagna 1

    Il clima di Milano in estate è terribile: molto caldo e molto umido. Sembra di essere in una serra, congestionata per giunta.

    L’aria inquinata non è poi il miglior toccasana per un bimbo definito dagli specialisti gracile e malaticcio.

    Per questo ogni anno la mamma di Pandino lo portava dai suoi genitori in campagna. Peccato che la campagna fosse quella della bassa padana dove a caldo, umidità e zanzare non si scherzava affatto.

    La casa dei nonni di Pandino non era proprio in paese, ma fuori dall’abitato dove non c’era nessun altro bambino con cui giocare.

    Le giornate di Pandino passavano così con un grande uso della fantasia, l’abbandono ai sogni a occhi aperti oppure nell’aiutare il nonno nei lavori di campagna come governare l’orto o accudire gli animali da cortile.

    Al mattino si sfalciava l’erba dei canali o dei fossi irrigui, lungo le strade provinciali o comunali, al fine di alimentare i conigli e le galline. Molto più raramente si imbottigliava il vino nella apposita cantina.

    Nel pomeriggio le attività erano più varie. Fino alle ore 15 riposino post pranzo. Qualche gioco con l’amico immaginario o nei giorni nei quali al mattino nei campi erano state raccolte le patate , si andava a spigulà le patate. Spigulà le patate voleva dire raccogliere i tuberi rimasti sul terreno dopo la raccolta delle macchine  e dei braccianti perché quelli rimasti risultavano di dimensioni inidonee per finire sui mercati. Spigulà le patate era un lavoro difficile e faticoso. Piegati sul terreno, sotto al sole estivo. Una faticaccia.  Si scavava nella terra a mani nude nella terra smossa al fine di riempire i cestini con i tuberi che altrimenti sarebbero rimasti li  a marcire. Dopo un’ora, un’ora e mezza la schiena di Pandino era distrutta e il bambino attaccava ad essere stanco e petulante: Ahi, ahi che mal di schiena. Nonna possiamo fermarci?. Era a quel punto che la nonna Tina prima allontanava con una mano le cimici delle patate (Dorifera della patata) dal cesto del nipote, poi dal suo. Infine con un cenno della mano faceva segno di andare.

    Il giorno che veniva avrebbe regalato altri campi da spigulà, patate a volontà e ancora tanto, tanto tanto male alla schiena di Pandino.

    I cultori della sana vita di campagna pensava Pandino, raramente nella loro vita dovevano mai aver raccolto a mano le patate!

    5. In campagna 2

    Da bambino Pandino ogni estate stava per un certo periodo dai nonni materni. Stai tranquillo  qui con i nonni che vedrai come ti divertirai diceva a lui la mamma. Gli sarebbe tanto piaciuto dire alla sua cara mamma che non era vero. Stare dai nonni è di una noia mortale, un rompimento di scatole unico. Meno male che grazie alla fantasia o ai giochi immaginari le giornate mi passavano via. pensò Pandino, badando però di non proferir parola col genitore.

    La Nonna Tina era brava a cucinare solo che per ordine del nonno, che era un piccolo despota anche in questo  aspetto della vita, poteva preparare solo cibi che provenivano dall’orto, o dal pollaio con galline e conigli.

    Insomma una vera e propria cucina a Km zero ante litteram.

    Diceva sempre il nonno: Pandino l’è mia buu chel che te fà la nona? (Pandino non è buono quello che ti fa la nonna?). Quando poi Pandino osava chiedere il cacao per il latte alla mattina per colazione la risposta del nonno Bino era sempre quella: "Perché el te piass mia isè?(perché non ti piace così?). E su questa domanda ogni discussione veniva cassata sul nascere. Tutte le mattine quindi c’era o latte col ciambellone mantovano fatto in casa o un uovo di gallina alla Coque.

    A Milano il cibo era invece più variegato, ma tutto comprato al mercato o al supermercato. Aveva un gusto diverso e meno saporito. Dai nonni perfino i cucchiai di argento con cui si mangiava la minestra le conferivano un sapore tutto speciale. La era tutto un fiorire di polente cucinate col paiolo sul fuoco nel gabbiotto dell’orto fatto di frasche, che quando pioveva all’improvviso dovevi scappare per non bagnarti. Regnavano le patatine fritte (quelle precedentemente raccolte nell’orto o spigolate nei campi) più buone se , come diceva la nonna: …ti ee catade zò tee (le hai raccolte  tu).

    Dopo essersi alimentati anche il semplice andare in bagno risultava un’impresa unica e difficilmente replicabile fuori da quella realtà. Il nonno era molto parsimonioso e giustificava questa sua caratteristica con estrema serenità dicendo al nipote: Te hai mai provato a vèggh (avere) niènte? Niente vestiti, niente scarpe. Andavamo o piedi scalzi anche con l’ultima neve e avevamo niente da mangiare? Se provi dopo mi dirai.  Ecco che anche la pipì o la cacca venivano trattate come dei regali del cielo e come tali dovevano andare ad ingrossare la letamaia con cui si concimava l’orto da cui derivava il cibo.

    Nulla doveva andare sprecato.

    Quindi  il bagno in casa poteva essere usato solo in caso di grave malattia che non consentisse di raggiungere il buco nell’orto (più prosaicamente el cess) posto in un antro buio sopra parte della letamaia. Tale gabinetto era uno stanzino privo di luce, anche in pieno giorno, posto appunto sopra la letamaia con la porta costituita da quattro assi sgangherate inchiodate fra loro con un gancio di chiusura per la privacy. Prima dell’atto necessitava spostare il bastone, conglobato con un corpo in cemento facente da tappo, al fine liberare il buco.  A quel punto si veniva raggiunti da un odore acre e nauseabondo proveniente dalla sottostante letamaia. Superata dopo qualche attimo di smarrimento questa prima

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