La direziOne
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Anteprima del libro
La direziOne - Michele Palazzetti
Europeo
One
Ho davanti, proprio sul mio cammino, la cacca di un cane.
Dai, non si dice. Meglio sinonimi più gentili.
Il bisognino?
Cavolo, però è cospicuo.
Diciamo il bisogno.
Però è un termine improprio.
Il bisogno è quello che il cane ha provato prima di lasciare quel segno del suo passaggio e delle sue più recenti mangiate.
Il fatto è che se di fronte a una figlia che si agita nel chiedere di poter andare al concerto dei suoi eroi del momento ci domandiamo se quello è un bisogno, stiamo incorrendo in una svista simile.
Più elegante, più fine e più colta, ma simile.
Quale sia in quel momento il reale bisogno di nostra figlia, dobbiamo capirlo.
Noi e nostra figlia.
Se non altro per evitare di ficcarle in bocca un biberon a quindici anni solo perché piange; così come facevamo quand’era in fasce.
Lo scopo è che possa imparare a mangiare quando ha fame, quando ne ha desiderio e quando sente che l’occasione sociale lo rende piacevole, sempre evitando effetti collaterali indesiderati.
In sostanza, dovremmo favorire la sua capacità di auto-regolarsi, auto-organizzarsi, di sperimentare e di esprimersi.
Per arrivare a questo obiettivo non c’è un modo oggettivamente e assolutamente giusto. Certo, alcune delle direzioni che prendiamo ho il sospetto portino lontano dalla meta desiderata.
Anche quando le diciamo sì per il concerto dei suoi amatissimi One Direction. E andiamo insieme a lei a San Siro.
L’ho fatto.
Ho visto ragazze tredicenni con il viso deformato dalla rabbia insultare per strada le madri. Ho visto uomini di quasi sessant'anni tatuarsi il braccio e il viso per assomigliare alle figlie. Ho sentito mamme abbassare la voce e dirsi dobbiamo fare cartello
. Ho visto bambine truccate come escort urlare come pazze ti amoooo
.
Poi ho visto anche ragazze divertirsi.
Al concerto degli One Direction.
Fan figlia di fan
Sì, va beh, mi è tutto chiaro. L'autonomia, l'autostima, la conferma d'affetto e di considerazione. Tutto chiaro. Però, fatti fare una domanda. Il fatto è questo: mia figlia sente gli One Direction
Strizza un poco gli occhi e la bocca prende un verso come per un boccone amaro.
Li sente tutto il giorno. E me ne parla, me ne parla. Me ne parla come fossero il massimo e anche di più. Adesso: (raddrizza il busto e apre le spalle e un poco le braccia) io sono cresciuto con i Led Zeppelin e con il Boss (gira attorno un sorriso compiaciuto, alla ricerca di consenso, sottolineando la richiesta muta con un dondolio avanti-dietro della testa). Capito? I Led Zeppelin e il Boss. No?! Allora: quando mia figlia mi parla degli One Direction e mi fa una capa tanta con gli One Direction (pausa, con lo sguardo accigliato), io (pausa drammatica), devo proprio mettermi al suo livello?
Il finalino col punto interrogativo lo sceneggia curvandosi sulla sedia e portando la mano destra, a braccio teso, quasi vicino al pavimento, ruotandola un pochino a molla, per chiarire quant’è basso il livello cui si sente trascinato.
Risale alla sua posizione allargando le braccia e mettendosi alla vista di tutta la cerchia dei vicini. Forse vorrebbe somigliare a un Cristo in croce, ma la posa è più alla Modugno.
Mi chiedo che effetto devastante avrei ottenuto se gli avessi detto in questo modo quanto poco somigliasse a Robert Plant.
Un gruppo di genitori di una classe di quattordicenni. Riuniti per discutere dei problemi dei loro figli e confrontarsi con noi, dell'IPSE.
Che stava facendo, quel padre? Non stava certamente criticando i gusti musicali della figlia. E partendo dal presupposto che fino a quel momento aveva preso parte attiva ad un incontro serale sui temi del rapporto genitori-figli, sono portato a credere non si trattasse di disinteresse, o disamore.
La platealità del linguaggio del corpo, con il quale aveva sostenuto la sua domanda, comunicava un disagio. Direi, una paura. La paura di perdere la sua identità sociale, di essere giudicato, nella fattispecie in materia musicale, non adulto, non adeguato.
Capita. Escludendo gli spot pubblicitari, è abbastanza frequente che un adulto provi un brivido nell'accettare un invito a giocare fatto dal figlio. Soprattutto se pre-adolescente, o adolescente. Già, perché se si tratta di un gioco infantile, in qualche modo ci sentiamo più protetti. È come se rigirarsi tra le mani un ciuccio diminuisse la probabilità che ci accusino di divertirci in modo incongruo, rispetto a schierare soldatini in campo, o vestire e pettinare bambole.
Ipotizziamo che quel padre viva una paura di inadeguatezza al ruolo di adulto. E cerchiamo di immaginarlo alle prese con la figlia, che gli rivolge tutto il suo entusiastico amore per gli One Direction. Qualsiasi cosa quel padre scelga di fare, o dire, avrebbe traccia di quello sente e che ha messo in scena in quella riunione. Con quale effetto sulla figlia? Andando in ordine sparso e sempre per pura ipotesi, potrei dire: senso di inadeguatezza e di abbandono.
La ragazza potrebbe cioè concludere che suo padre è disposta ad amarla a condizione che non dia ascolto a quello che prova, ma si metta sul binario del modello che le viene richiesto. Significa affrontare la vita con il fardello di un difetto di fabbricazione: sei sbagliata dentro.
Vi sembra eccessivo?
Invito tutti i maschi adulti a immaginare di essere in una bella domenica mattina. Una di quelle mattine di primavera, in cui, svegliandosi a tarda ora ci si può beare di un bel sole promettente. Che allarga i pori e il sorriso. Di immaginare, in una mattina così, di uscire da una doccia davvero rinfrancante. Di arrivare in cucina sulla scia di un profumo denso di caffè. Camminando scalzi e orgogliosi di quella infrazione delle abitudini. Di rivolgersi alla propria compagna con uno spettacolare buon giorno
.
E di sentirsi rispondere: Buon giorno a te, tesoro. Bevi il caffè e poi affrettati a ricomporre il tuo accappatoio. Non c'è bisogno che mi ricordi che ce l'hai piccolo
.
Sì; più o meno, credo che l'effetto si avvicinerebbe a quello vissuto dall'adolescente figlia del fan del Boss.
Zayn sa palleggiare
Zayn sa fare circa 70 palleggi con la palla da calcio
.
Di fronte a questa dichiarazione, i padri si dividono.
1) Alcuni la accoglierebbero come Ettore Fieramosca la convocazione alla disfida. Eccoli davanti ai figli esibirsi nel loro miglior repertorio di finezze calcistiche, magari col fiato corto, ma sempre con un sorriso pronto per la loro personale figurina Panini. Una parte di loro ama verbalizzare il senso di quelle gesta dando continua voce: guarda, guarda, guardàppapà. L'ingarellamento sovente comporta anche un confronto aperto con il figlio/la figlia, che il genitore scarta e riscarta con avvitamenti, tunnel e veroniche.
Ne ho visto personalmente uno, in costume da bagno, scalmanarsi attorno al figlioletto che avrà avuto sei anni.
Era davvero abile, considerato che nei suoi movimenti atletici era marcato stretto dalla sua stessa pancia, che impietosamente lo tallonava rieseguendo, con una frazione di ritardo, tutti i suoi movimenti.
Il suo gioco era fatto di tocchi morbidi e astuti, di spingi e frena, di finte e ripartenze. Ecco che il figlio cade nell'ennesima trappola e si sbilancia all'inseguimento del pallone, che,