Fotogrammi di un massacro
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Fotogrammi di un massacro - Maurizio Blini
Tavola dei Contenuti (TOC)
1
Questura di Torino
Sezione omicidi
2
Ufficio del Questore
3
4
5
Questura di Asti
Ufficio del Questore
6
7
Questura di Torino
Sezione omicidi
8
Questura di Asti
Uffici della Digos
9
Questura di Torino
Sezione Omicidi
10
Questura di Asti
Uffici della Digos
11
12
Questura di Asti
13
Questura di Torino
Sezione omicidi
14
Prefettura di Asti
15
16
Questura di Torino
Sala operativa
17
Questura di Asti
18
19
Ospedale Le Molinette di Torino
Reparto detenuti
20
Questura di Asti
21
22
23
Asti
24
25
Questura di Torino
Sezione omicidi
26
Asti
27
Carcere militare di Santa Maria Capua Vetere. Caserta
28
29
Asti
30
Squadra mobile di Torino
Sezione omicidi.
31
Asti
32
Carcere militare di Santa Maria Capua Vetere
33
Questura di Torino
34
Questura di Asti - Digos
35
Questura di Torino
Sezione omicidi
36
Carcere militare di Santa Maria Capua Vetere
37
Asti
38
Questura di Torino
Sezione omicidi
39
Asti
40
Carcere militare di Santa Maria Capua Vetere
41
Asti
42
Questura di Torino
Sezione omicidi
43
44
Questura di Torino
Sezioni omicidi
45
Carcere militare di Santa Maria Capua Vetere
46
Questura di Torino
Sezione omicidi
47
48
Carcere militare di Santa Maria Capua Vetere
49
50
Carcere militare di Santa Maria Capua Vetere
51
Torino
52
Carcere militare di Santa Maria Capua Vetere
Santo Natale
53
Questura di Torino
Sezione omicidi
54
55
Carcere militare di Santa Maria Capua Vetere
56
57
Questura di Torino
Sezione Omicidi
58
Carcere militare di Santa Maria Capua Vetere
59
60
Questura di Torino
Uffici della squadra mobile
61
62
Carcere militare di Santa Maria Capua Vetere
Ringraziamenti
Biografia
Bibliografia
Un Giallo di
Maurizio Blini
Fotogrammi
di un massacro
FOTOGRAMMI DI UN MASSACRO
Autore: Maurizio Blini
Copyright © 2014 CIESSE Edizioni
P.O. Box 51 – 35036 Montegrotto Terme (PD)
info@ciessedizioni.it - ciessedizioni@pec.it
www.ciessedizioni.it - http://blog.ciessedizioni.it
ISBN versione eBook
978-88-6660-135-7
I Edizione stampata nel mese di giugno 2014
Immagine di copertina by: © 2014 Franco Giaccone
Ritratto di Hongxia Wang
www.francogiaccone.com
Impostazione grafica e progetto copertina: © 2014 CIESSE Edizioni
Collana: Black & Yellow
Editing a cura di: Sonia Dal Cason
PROPRIETA’ LETTERARIA RISERVATA
Tutti i diritti sono riservati. È vietata ogni riproduzione dell’opera, anche parziale. Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono il frutto della fantasia dell’autore o sono usati in maniera fittizia. Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti è da ritenersi puramente casuale.
E non c’è parola, in nessun linguaggio umano, capace di consolare le cavie, che non sanno il perché della loro morte.
Elsa Morante
A Ilaria e Laura
1
Questura di Torino
Sezione omicidi
«Incompatibilità cosa?»
Il commissario Meucci si alza di soprassalto dalla poltrona e comincia a urlare come un ossesso. Continua ostinatamente a rileggere quelle poche righe di comunicazione del Ministero dell’Interno.
Favaro entra nel suo ufficio e si ferma all’improvviso con un’espressione di stupore stampata in viso.
«Che succede, capo?»
Meucci gli allunga il foglio di carta stropicciato e si avvicina alla finestra.
Favaro legge con attenzione e poi conclude con un «Cazzo!»
Meucci ansima osservando i platani di corso Vinzaglio. Sono immobili come la smorfia che gli modifica il volto. Ha la fronte sudata e le bretelle allentate.
Favaro gli si avvicina con finta calma.
«Questa è una vera porcata!», esclama quasi sottovoce, osservandolo serio.
«Non gliela darò vinta. Ora mi rivolgerò ai sindacati. Sono molto amico del segretario del SIULP, vediamo che dice».
«Sì, i sindacati, tutti uguali. Ancora credi alla befana. Una volta, forse! Sono passati i bei tempi», continua Favaro passeggiando nervosamente nell’ufficio.
«E cosa dovrei fare? Obbedire muto e riconoscente?»
Anche La Porta e Federico, sentite le voci concitate, entrano nell’ufficio. Favaro, guardandoli indignato, sporge loro il foglio.
La Porta lo legge ad alta voce e poi, sdegnato, esplode.
«Ti trasferiscono da Torino? Dalla squadra mobile? Dalla sezione omicidi? Ma questi sono dei veri bastardi! Ma lo sanno che cosa hai fatto in tutti questi anni?»
Nessuno replica. Un silenzio nervoso si è impadronito un po’ di tutti.
La Porta, furibondo, riprende a inveire contro il mondo.
«Incompatibilità ambientale? Con chi? Con che cosa? Tu e tutti noi abbiamo seguito correttamente le procedure. Cazzo! Lo so che si riferiscono alla vicenda di Vivaldi. Lo so. Ma tu che cosa ci potevi fare? Eri il suo migliore amico, eppure lo hai arrestato lo stesso. Hai fatto quello che dovevi fare, sei stato corretto. Vivaldi era e rimane un nostro amico, ma non ci siamo tirati indietro, anche se con il cuore spezzato».
«Povero Mauri. Chissà come starà ora», esclama Federico abbassando lo sguardo.
Meucci si volta e osserva tutti serio. Il suo viso è tirato e sembra non cedere alle emozioni.
«Pare io sia troppo coinvolto in questa storia».
Riprende la lettera del Ministero dell’Interno dalle mani di La Porta e si allontana in silenzio.
Federico guarda gli altri, poi esplode.
«Non si può far nulla?»
«Ora andrà dal Questore e poi al sindacato. Mi sa, però, che la situazione è critica», risponde La Porta con le braccia incrociate.
«Dove lo vogliono trasferire?»
«Ad Asti. Questura».
«Porca troia, Meucci ad Asti ci lascia le penne. Per inedia».
«C’entra qualcosa il rapporto?», continua Federico strofinandosi nervosamente le mani.
«Non so. Ora il Questore chiarirà meglio. Almeno spero. Resta comunque una porcata».
La Porta si siede sulla poltrona di Meucci e sfoglia un quotidiano. La vicenda è ancora agli onori della cronaca e i giornalisti non fanno sconti a nessuno, come al solito. Il titolo della prima di cronaca de La Stampa è inequivocabile: Caso Vivaldi. Esecuzione o tragica fatalità?
La pagina è fitta di teoremi e congetture, di testimonianze di cittadini che difendono l’operato di Vivaldi, di altri che, invece, lo accusano esplicitamente di omicidio.
Ancora bufera sulla omicidi di Torino. Maurizio Vivaldi, noto investigatore privato ed ex poliziotto, la scorsa settimana ha ucciso a sangue freddo Marco Gobbi, killer seriale inseguito da mesi dalle forze dell’ordine e colpevole di orribili omicidi. L’ultima vittima del killer, Loretta Pandiani, era in procinto di sposare l’ex poliziotto. Questo pare essere il movente che ha scatenato la furia di Vivaldi che aveva collaborato fattivamente alle indagini del dottor Meucci e della sua squadra. Con uno stratagemma l’uomo è riuscito ad anticipare i colleghi e, dopo aver scovato Gobbi, l’ha ucciso con un colpo alla testa. Esecuzione od omicidio? E se sì, di quale tipo? Il rapporto ufficiale stilato dal dottor Meucci, presente al tragico evento, ha escluso l’intenzionalità del Vivaldi. Di altro avviso sembrerebbe parte dell’opinione pubblica, che parla di esecuzione sommaria, se non addirittura di vendetta premeditata. Le indagini sono in corso, ma è chiaro che questa vicenda apre una ferita insidiosa tra le forze dell’ordine. Nel frattempo il dottor Maurizio Vivaldi è trattenuto in isolamento nel carcere delle Vallette sotto stretta sorveglianza.
La Porta batte un pugno sul tavolo. Chiuso il giornale, si alza e si avvicina alla finestra.
«È passata solo una settimana. Mi sembra una vita fa», esclama accendendosi una sigaretta.
Favaro gli si avvicina.
«Secchio, hai ripreso a fumare?»
«È il minimo che si possa fare di questi tempi».
«Ma è vero che Bellavista se ne va?»
«Sì, non l’ho più visto. Dopo quella notte d’inferno si è messo in ferie. Mi hanno detto che ha inoltrato domanda di pensionamento. Forse non ha retto alla pressione. In fondo lo capisco. Questo è un duro colpo per tutti. E purtroppo non finirà qui».
Favaro si gira verso Federico e, dopo qualche attimo di esitazione, esclama, «forse lo ha scosso quel ritocco al rapporto, non so. Ma chi non l’avrebbe fatto, per Dio! Vivaldi è un fratello per noi. Chi non avrebbe sparato a quella merda che ha ucciso Loretta? Chi?»
«Hai ragione. Ma non c’è motivo di temere. C’eravamo solo noi della omicidi vicino a lui. I colleghi in divisa erano alcuni metri più indietro ed era buio. Speriamo che questo possa aiutarlo a non beccarsi un ergastolo. Era il minimo che potevamo fare».
Favaro si tormenta il labbro inferiore con la mano e poi replica.
«Qualche anno se lo dovrà fare di certo. Poi un po’ di buona condotta, qualche indulto, che ne so. Magari una pena alternativa come gli arresti domiciliari. Vedrete che, se tutto filerà liscio, se la caverà con poco».
«Sempre galera è. E poi a Loretta non ci pensate? Lui è devastato. Chi non lo sarebbe? Se ti uccidessero la moglie, come ti sentiresti?», ringhia Federico alzandosi dal divano.
«È una situazione di merda per tutti. Ma Mauri è quello messo peggio. Non vi è ombra di dubbio».
Fuori il sole non dà tregua e l’aria calda si insinua ovunque, a turbare ancor più gli animi già irrequieti.
«Tutto è così paradossale», commenta Favaro. «Cazzo, un pezzo di merda di killer, che ha continuato indisturbato a uccidere e mutilare la gente, viene ammazzato da un investigatore privato che non è uno qualsiasi, ma è l’ex capo della omicidi, un poliziotto con due coglioni così! E cosa succede? Che quest’ultimo finisce in galera. Ma vi sembra giusto? È incredibile. Ha fatto bene, io gli darei una medaglia, porca puttana. Al diavolo! Vado a farmi una birra».
«A quest’ora? Un po’ prestino, forse. Meglio un caffè», risponde laconico La Porta.
Favaro non replica, ma in cuor suo ha già mandato a fanculo tutti quanti.
2
Ufficio del Questore
«Vedi caro Meucci, io non posso farci proprio nulla. Queste disposizioni provengono dal Ministero. D’altro canto qualcuno deve indagare su quanto successo quella notte al cimitero e non puoi certo essere tu. In realtà ho già fatto miracoli, credimi, per non fare allontanare anche gli altri componenti della squadra».
Il Questore di Torino si trattiene dal continuare e sbuffa, come in cerca di maggiore concentrazione. Si è levato gli occhiali e si rivolge a Meucci come un padre, con voce rassicurante e pacata.
«È una brutta storia, lo so. Ho il cuore infranto per Vivaldi e per tutti i guai che passerà, ma io devo garantire che le indagini siano condotte con trasparenza e professionalità, senza alcun coinvolgimento emotivo, nessun condizionamento, nessuna contaminazione. Su questo sono irremovibile».
Meucci assiste muto alla paternale. Dentro di sé è furioso, ma si rende conto dell’inutilità di gesti estremi che potrebbero rivelarsi ancor più controproducenti. Ascolta le parole del Questore e le subisce come sassi lanciati addosso con violenza inaudita. Pensa al suo amico Vivaldi e si trattiene. E poi pensa a Loretta, a quella donna meravigliosa che stava per realizzare il sogno della sua vita: sposarsi. Ai suoi sorrisi, alla sua allegria, alla sua complicità. Frammenti di ricordi si frappongono prepotenti, rendendo il monologo del Questore sempre più lontano e ovattato dal tempo che passa.
Pensa a quello sparo nella notte e allo sguardo perso di Vivaldi, al suo dolore, alle sue lacrime. Pensa a Marco Gobbi, alla sua scia di morti, anche lui vittima, forse, della fatalità.
La vita è strana. Eccome se è strana. Un giorno sei in paradiso e quello successivo all’inferno.
Meucci abbassa lo sguardo e osserva le scarpe del Questore che continua a parlare con parole vuote e piene di retorica. Sono scamosciate e pulitissime. Poi osserva le sue mani. Stanche e nervose.
Un telefono squilla impertinente a interrompere lo stato soporifero in cui Meucci è precipitato. Il Questore parla a monosillabi. Guarda il video del computer, poi annuisce. Terminata la telefonata, torna su di lui con lo sguardo.
«Caro Meucci, ad Asti troverai il dottor Baranello. Ora è Questore. Te lo ricordi, vero? Era il capo della squadra mobile di Torino anni fa. Vedrai, con lui starai bene».
Si alza dalla poltrona e, avvicinandosi a lui, gli stringe la mano con forza.
«Ti assicuro che non dovrai rimanere molto laggiù. Interverrò personalmente affinché tutto si svolga con serietà ma nel minor tempo possibile. Poi tornerai al tuo posto».
«Si tratta di un trasferimento, però. Potevano aggregarmi solo per qualche mese…».
Il Questore risponde con una smorfia e le mani unite.
«Caro ragazzo, così hanno deciso», e alza lo sguardo verso l’alto come se a decretare il suo trasferimento fosse stato Dio in persona.
Quando Meucci esce dall’ufficio del Questore si sente svuotato, privo di forza ed energia. Pensa che forse il sindacato potrà fare qualcosa. Forse. Torna in ufficio e si abbandona sulla poltrona, chiama il magistrato per sapere quando potrà vedere Vivaldi, ma per ora non se ne parla. Apre pigramente i cassetti e li svuota in una scatola di cartone. Si guarda intorno. I suoi libri, i suoi quadri, le sue cose. Non è la prima volta e forse non sarà l’ultima, tuttavia un trasferimento implica sempre una serie di condizionamenti emotivi.
Quando anni prima era rientrato in servizio dopo mesi di ospedale a seguito di un conflitto a fuoco, era stato trasferito alla Questura di Alessandria. Ora tocca ad Asti. Se non altro più vicina.
Scarica i contenuti personali del computer in un hard disk portatile e si avvicina alla piccola libreria. La osserva inclinando il capo e leggendo i dorsi di alcuni libri. Sorride pensando alle loro storie, ai loro viaggi. Li raccoglie con lentezza, scrutandoli uno a uno. Squilla il telefono. Risponde. È Laura, la sorella di Vivaldi. Chiede di vederlo con una certa urgenza. Lui sbircia l’orologio e risponde che la raggiungerà entro qualche ora, poi riaggancia la cornetta piano, quasi al rallentatore.
Laura. La conosce bene. Cosa vorrà dirgli? Cosa vorrà domandargli?
Meucci ha le lacrime agli occhi. Anche questa scelta implica condizionamenti emotivi. Lo sa. Si avvicina di nuovo alla finestra.
I platani di corso Vinzaglio sembrano immobili al sole. Come in un dipinto ingiallito dal tempo, una fotocopia sbiadita. Si guarda intorno. Gli mancherà quell’ufficio. Eccome se gli mancherà.
Inizia a togliere i quadri e alcune fotografie. In una, lui e Vivaldi si abbracciano sorridendo. È di qualche anno prima.
Il suo sguardo si perde ancora nel vuoto.
«Cos’hai combinato, Mauri. Cos’hai combinato!»
3
Laura ha il viso tirato e pallido, i capelli raccolti da un cerchietto e fuma nervosa. È stanca, si vede. I suoi occhi sembrano spenti e osservano Meucci da dietro le lenti degli occhiali. Sono seduti nel dehors di un bar di Lucento, in via Bernardino Luini. Il caldo non molla la presa e l’aria pare africana.
Meucci ordina una granita all’orzata, mentre Laura beve un the alla menta. Dopo un breve silenzio, lei comincia.
«Cos’è successo, Ale? Cos’è successo veramente?»
Meucci si slaccia la cravatta, l’arrotola e se la infila in tasca. Si guarda intorno in cerca di parole, ma sa che a lei non può mentire, non deve mentire.
«Una brutta storia, Laura. Che ti devo dire. Avevamo individuato il killer dopo tutte quelle strane morti, e siamo andati a prenderlo. Non c’era. Sparito, volatilizzato. Sapevamo che era molto malato, una recidiva di tumore, aveva i giorni contati, condannato a morte insomma».
«E poi?»
«E poi Maurizio ha avuto l’intuizione fatale. Che lui avesse raggiunto la madre al cimitero per morire sulla sua tomba e farla finita per sempre. Mauri è sgattaiolato dalla Questura qualche minuto prima di noi e lo ha raggiunto. Aveva ragione. Lo ha trovato. E quando anche noi siamo sopraggiunti, li abbiamo ritrovati là in una scena surreale, al buio, tra le luci tremolanti dei lumini delle tombe. Mauri gli puntava la pistola alla testa, mentre Marco Gobbi, il killer, era accovacciato a terra sopra la lapide della madre».
Meucci aspira con rabbia dalla cannuccia la sua granita mentre un groppo alla gola si impadronisce di lui. I suoi occhi si gonfiano di lacrime. Se li asciuga con un fazzoletto di stoffa.
«Sai, poco prima avevamo rinvenuto il cadavere di Loretta. Era vestita da sposa. Una scena devastante, credimi. Io non sapevo più che fare, mentre Mauri era letteralmente fuori di sé».
Laura accende un’altra sigaretta e l’aspira lentamente, osservando Meucci. È immobile come una statua e non mostra alcun segno di emozione. Socchiude gli occhi come un’iguana al sole.
Meucci continua a raccontare.
«Abbiamo implorato Mauri di non sparargli, tutto inutile. Marco era un morto che camminava. Era quello che voleva. Ma lui era davvero sconvolto. Continuava a piangere mentre l’altro lo sfidava. Io l’ho guardato negli occhi, Laura. Ho visto un dolore e un’angoscia indescrivibili. Poi un gesto improvviso. Marco ha alzato la mano verso la pistola, non so se per afferrarla o per allontanarla da sé. So solo che è partito un colpo. Un colpo mortale. Poi Mauri si è inginocchiato a terra e ha alzato le braccia, arrendendosi. Da quel momento non ha più parlato e si è chiuso in un mondo tutto suo. Tutto qui. Non so altro. È in isolamento, lo sai».
Laura si guarda intorno cercando di scrollarsi di dosso una tensione insopportabile. Il suo volto pare ancor più scavato e pallido.
«Quella mano l’avete aggiunta voi, vero?»
Meucci chiude gli occhi, poi si volta verso il cameriere. Ordina una seconda granita. Non risponde, ma guarda Laura in modo inequivocabile.
«Conosco bene mio fratello. E sai cosa ti dico? Che ha fatto bene!