Il Commissario Sartori. Un poliziotto in vendita
Di Franco Enna
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Il Commissario Sartori. Un poliziotto in vendita - Franco Enna
2019
UN POLIZIOTTO IN VENDITA
Capitolo I
«Fefé!»
Il commissario Sartori, che si era appisolato, riaprì gli occhi e fissò la moglie.
«Fefé!»
«Ti ascolto.»
«Che fai, dormi?»
La signora Sartori stava versando il caffè nella tazzina, che gli porse con un sorriso. Mentre lui beveva a piccoli sorsi, la donna gli passava la sinistra sul collo, dove i capelli brizzolati si arricciavano.
«Grazie, cara.»
La moglie rimase a fissarlo.
Lui richiuse gli occhi e appoggiò la testa allo schienale della poltrona.
«Fefé...»
«Sì.»
Quel vezzeggiativo lo esasperava.
«Dimmi, cara.»
«I ragazzi non ci sono...»
Lui riaprì gli occhi. Dal tono della voce di lei, aveva capito. Un lieve sorriso gli arricciò le labbra. Simulò un gran desiderio di sonno. Erano molti giorni che non facevano l’amore.
«Ebbene?»
Teresina lo afferrò per una mano e lo attirò per farlo alzare. Teneva gli occhi bassi.
«Vieni di là... i piatti, li lavo dopo. O non vuoi?»
Lui si affrettò a dire: «Ah!... Ma certo che voglio!»
Le sfiorò il ventre, che sentì caldo e teso.
«Vai pure avanti. Vado a lavarmi i denti...»
La ritrovò nella camera da letto semibuia, pronta ad accoglierlo sotto le coperte. La raggiunse.
«Uh, come sei freddo!... Vieni che ti scaldo.»
Lo attirò a sé, lo tastò dappertutto. Intanto, gli dava piccoli baci sulle labbra, gliele mordicchiava.
«Non hai voglia?» gli chiese.
«Ma certo che ne ho!...» rispose Sartori, e si sforzò di evocare amplessi antichi e recenti avuti con altre donne, forse meno belle della moglie ma certo più sapienti.
«Non so, ho freddo!»
«Quei cretini non hanno ancora acceso i termosifoni», disse Teresina stringendolo di più. «Vanno col calendario, non col tempo.»
Era la fine di ottobre e il cielo di Roma era grigio e piovoso, l’aria gelida come in gennaio. Ma la campagna era piena di colori, che al primo sole avrebbero abbagliato.
Fu uno scontro tiepido, mentale, tra i due coniugi. Alla fine, lui si abbatté esausto e, a occhi chiusi, si sentì colpevole di non provare per Teresina le ventate di passione che spesso io travolgevano in letti estranei.
Anche lei avvertiva la frammentarietà di quell’amplesso. Infatti mormorò: «Ma le altre, come fanno? Al cinema si vedono certe scene...»
Il telefono gli impedì di rispondere.
Scese dal letto, nudo si recò in salotto, staccò la cornetta, tenendo d’occhio la porta d’ingresso nel timore che uno dei due figli irrompesse in casa. Riconobbe la voce sussurrante del questore e, suo malgrado, si sentì cogliere da una sensazione di disagio: Il capo non si presentò, certo di essere riconosciuto.
«Mi scusi se la disturbo, Sartori. Forse stava dormendo...»
«Ma no, signor questore, non si preoccupi. C’è qualche novità?»
«Purtroppo, sì. Un’attricetta si è ammazzata pochi chilometri dopo Torvaianica, a bordo di una Maserati.» Il questore fece una breve pausa, durante la quale Sartori rimasticò il suo caratteristico accento napoletano. Quindi, il capo proseguì: «È una faccenda un po’ ombrosa
... Quella guagliuna si trovava a una festa, in casa del produttore italo-argentino Turiello, che io conosco, così per dire... È stato lui a telefonarmi poco fa. Mi ha detto che la guagliuna è salita al volante della sua Maserati, cioè del Turiello, senza autorizzazione di questi, ed è partita».
«Capisco, ma...» stava per obiettare Sartori. «So quello che vuol dirmi: che la questione è di competenza del commissariato di Ostia. Ma vorrei che lei ci andasse lo stesso. Ho già parlato col commissario Lentini.»
«Bene, commendatore.»
«Mi tenga informato, poi.»
«Certo, commendatore.»
«A presto, Sarto’...»
Il commissario rimase un attimo colla cornetta nella destra, anche dopo che il questore ebbe riattaccato. Andò in bagno, quindi si rivestì. Teresina era immobile nella camera semibuia, dove la specchiera faceva rimbalzare un anemico raggio di sole, attraverso le tapparelle abbassate.
«Chi era, Fefé?»
«Il questore.»
«È successo qualcosa?»
«Succede sempre qualcosa in questo porco mondo!»
La donna rimase a fissarlo mentre lui si rivestiva. Nei suoi occhi si agitava una luce di fierezza per quell'uomo alto, forte e maschio, che tutte le donne le invidiavano.
«Metti la camicia grigia.»
«Sì grazie!»
«Le ho cambiato il colletto...»
«Ah, sì!»
Sartori annodò la cravatta verde a losanghe nere (di tipo classico; detestava quei lenzuoli moderni che facevano un grumo informe sotto il mento; lui, da venticinque anni, era fedele al nodo «Scappino», dal nome di un’antica fabbrica di cravatte, ora estinta).
Prima di uscire, si avvicinò al letto e fissò la moglie dall’alto. Teresina si era tirata il lenzuolo fino al mento e lo fissava con grandi occhi colpevoli.
«Ciao, Teresina!»
Lei sentì riempirsi gli occhi di lacrime. Il marito le diede un buffetto su una guancia e si chinò a sfiorarle le labbra.
«Non ti ho soddisfatto... Vero, Fefé?»
«Ma che dici, stupidina! Forse sono io che sto invecchiando.»
«Ma le altre, Gesù, come fanno?» gemette la donna attirandolo a sé per sentirne l’ultimo contatto. «Io... io vorrei... Ma ho vergogna. Certe cose... non so...»
«Sei la moglie ideale», bisbigliò lui.
E uscì in fretta, rabbioso contro se stesso che non aveva ancora imparato a fingere. Era una giornata nera, non c’erano dubbi. Fuori del suo letto, ora si sentiva eccitato, aveva bisogno di immergersi nel corpo biondo di Flavia, che purtroppo era lontana, irraggiungibile, perduta in una delle sue tournées.
Era proprio una giornata nera. Fortuna che un filo di sole sgusciava tra la nuvolaglia che si appesantiva sul Pincio, confondendosi con il verde-bruno delle piante, chiazzato qua e là di giallo, di rosso, di viola. Proprio quella mattina si era visto invecchiato, allo specchio, e ne aveva provato un’angoscia mortale.
Salì al volante della sua Opel Ascona Special, a bordo della quale aveva fatto installare un’apparecchiatura radiotelefonica, e si mise in contatto con la sala radio del commissariato.
Non c’erano novità in ufficio.
Annunciò che si recava a Ostia e, oltre la Passeggiata Archeologica, accelerò con rabbia, infrangendo il codice stradale.
Capitolo II
Il commissario Lentini, siciliano come lui, era piccolo e tarchiato, e masticava continuamente gomma per sottrarsi al vizio del fumo. Quando Sartori arrivò a Ostia, il collega stava bevendo il caffè nel suo ufficio, solo e tetro. Anche lui aveva i suoi problemi.
«Sei venuto da Roma per quell’incidente d’auto?» esclamò stupito, dopo che Sartori gli ebbe rivelato lo scopo del suo viaggio. «Dannazione, ora non si può più crepare in una macchina, senza che intervenga la polizia?»
Sartori lo ammansì, bevve un caffè con lui e, stanco senza essersi affaticato fisicamente, rimase a contemplare il sole che calava all’orizzonte, oltre la cerchia scolorita delle case.
«Insomma, che cos’ha di così importante questo incidente?»
Lentini sputò il bolo della gomma masticata nel cestino e fece scricchiolare rumorosamente tutte le dita.
«Lo chiedi a me?» esplose. «Avresti dovuto chiederlo al capo. Per me, si tratta di un semplice incidente... Una ragazza coi fiocchi, un pezzo di zucchero! Sulla ventina, credo. Non aveva documenti. Abbiamo saputo più tardi che si chiamava Miriam Salvetti ma che faceva da fotomodella a un orecchione di via del Corso... Certo aspirava al cinema, chi può dubitarne? Ma era agli inizi e...»
«La Maserati era di quel Turiello?» disse Sartori, dando fuoco a una sigaretta con gesto lento e misurato.
«Già!... Pedro Turiello. Lo chiamano Pedrito. Un porco che, facendo leva sui suoi miliardi, si è circondato di un harem di ragazzine di ogni tipo e nazionalità, che si sbatte a piacere in una delle sue tante garçonnières. Ma che ci vuoi fare, amico? Tagliargli le palle? Finché non c’è qualcuno che lo denuncia...».
Lentini si fermò e cominciò a sbucciare un altro rettangolino di chewing-gum, che cacciò in bocca con rabbia. Nella stanza faceva quasi freddo. Il presidente Leone, nella cornice bruna, faceva pensare a un angioletto lontano mille anni luce dalla realtà.
«Un semplice incidente», riprese Lentini. «Forse la ragazza aveva bevuto. Sai com'è in un party. (Lo chiamano party, gli snob anglofili! Forse un’orgia, chi sa!) Forse qualcuno l’ha irritata. Certo è che, nel giardino della villa di Turiello, che è sull’Appia Antica, ha visto quella Maserati invitante e se l’è squagliata...»
«Dall’Appia Antica fino a Ostia e oltre?» Lentini fissò Sartori con comica ostilità.
«Vuoi spiegarti la condotta delle ragazzine beat e ubriache?» scattò. «Di’ al capo che non c’è niente di losco in questa tragica morte. Ma è sempre una tragedia veder morire una creatura come quella...» Divenne etereo, romantico. «Alta, flessuosa, bionda come... come una spiga di grano...»
Sartori si sentì stringere il cuore: ebbe, per un istante, l’impressione che stesse parlando della sua Flavia, l’amore segreto e forse irraggiungibile, almeno nella forma che lui sognava da tempo (come si poteva divorziare da una donna «innocente» come Teresina?), la Flavia primaballerina, che spesso aveva ammirato al Teatro dell’Opera e alla Scala di Milano, con tutta l’anima affacciata negli occhi!
Il collega stava proseguendo: «...Vederla così distrutta nell’ammasso delle lamiere di quel bolide!... Che scena atroce! Ecco perché, forse, sono teso come una corda di chitarra, amico».
Sartori soffiò una boccata di fumo verso la finestra aperta.
«Niente borsetta, niente segni della sua identità...» disse.
«Niente di niente, a parte un abitino di stoffa verde alto un palmo, degli slippini traforati neri, un collant color carne... (Dannazione, collant! Un termine che non significa niente. Come devo dire, altrimenti?) Insomma...»
«Ho capito.»
«E scarpine verdi, tenere, come babbucce