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Il buco nell'acqua
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E-book259 pagine3 ore

Il buco nell'acqua

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Giallo - romanzo (199 pagine) - Una nuova indagine dell'avvocato Morelli


Un giudice ucciso nel suo ufficio in tribunale. Chi può osare tanto e perché?

Difficile dirlo: il giudice Zanardi ha una vita privata piena di equivoci, relazioni professionali poco limpide, amicizie che non dovrebbe avere.

Troppo potere nella gestione dei patrimoni confiscati alla malavita; troppo denaro per un giudice; troppe donne in un ambiente morigerato, ma l’avvocato Morelli riuscirà a entrare in quel sottobosco del malaffare e da una frase, da una semplice frase, a uscire dal ginepraio che avviluppa i personaggi di una storia, alla fine semplice e umana.

Dopo il romanzo Monasterio, torna l'avvocato Totò Morelli con una nuova, intricata indagine da risolvere.


Luigi Grilli, nato a Ortona nel 1939, vive in campagna, sulle colline circostanti la città di Pescara. Sposato con due figli, si dedica alla scrittura e al suo hobby preferito, la coltivazione delle rose.

Dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza a Bologna nel 1962 è entrato in magistratura nel 1965 e vi è rimasto fino al 2008, quando ha scelto di andare in pensione. In magistratura è stato in servizio come pretore e come giudice presso il tribunale di Pescara. Poi, ha svolto le funzioni di procuratore della Repubblica a Lanciano e, quindi, di sostituto procuratore generale a L’Aquila. Ha concluso la carriera come presidente del tribunale della sua città.

Nel corso degli anni ha pubblicato, con le case editrici Giuffré e Cedam, diciotto volumi di diritto penale, processuale penale e civile. Con le avventure dell'avvocato Totò Morelli esordisce nel campo del romanzo giallo, ambientando nel suo tribunale e nella sua città le storie poliziesche che, rielaborate dalla fantasia, traggono origine da vicende che ha vissuto in prima persona.

LinguaItaliano
Data di uscita3 ott 2017
ISBN9788825403503
Il buco nell'acqua

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    Anteprima del libro

    Il buco nell'acqua - Luigi Grilli

    9788825400755

    Personaggi principali

    Antonio Morelli, detto Totò, avvocato

    Biagio Mosca, sostituto procuratore della Repubblica

    Zeno Zanardi, giudice del tribunale di Pescara

    Laura Milani, giudice

    Sandra Morosini, uditrice giudiziaria

    Anna Marfisi, dattilografa del tribunale

    Leo Garofalo, marito di Anna

    Giulia, donna delle pulizie

    Matteo Tosti, avvocato

    Gennaro Coppola, camorrista

    Luca Mozzagrogna, amico di Gennaro

    Marta e Bombolone, amici di infanzia di Morelli

    1. La stanza del giudice

    Quella mattina non si aspettava di trovarsi di fronte un cadavere, ma le cose andarono proprio in quel modo e a Giulia non restò altro da fare che lasciarsi andare, cadendo per terra come un corpo morto, con uno svenimento che sarebbe stato da operetta se non fosse stato vero.

    Non avrebbe voluto trovarsi nel quarto piano del tribunale, ma era l'addetta alle pulizie e il capo squadra le aveva assegnato per quella settimana il settore della sezione fallimentare. Già tossicodipendente e per qualche mese anche in carcere per dei furtarelli che le avevano permesso di tirare avanti con il compagno di turno, era riuscita a farsi assumere dalla ditta che gestiva quel servizio che, senza starci troppo a pensare e senza dare peso al suo passato, le aveva fatto sottoscrivere un foglio in bianco. Doveva essere un contratto di lavoro, ma lei non ne era certa. Il fatto è che quei quattro soldi le servivano. Non voleva tornare né a drogarsi né a battere per le vie di Pescara.

    Quel morto, però, non l’aveva messo in conto.

    Non era nemmeno un morto qualsiasi perché si trattava del dottor Zeno Zanardi, giudice addetto alle procedure fallimentari e alla gestione dei patrimoni confiscati alla malavita locale.

    Giulia conosceva quel giudice perché ormai erano due anni che lei circolava per quelle stanze con il suo carrello pieno di detersivi, stracci e roba del genere. Però, non ci aveva mai parlato. Non ne aveva motivo. Si occupava del suo lavoro, si preoccupava di segnare sul quaderno il numero della stanza che metteva in ordine e, poi, via, a casa, per le sue faccende private.

    Quel giorno andò diversamente e, una volta tanto, non era colpa sua, o almeno non sembrava che fosse colpa sua. Nel cadere batté la testa sullo stipite della porta e perse i sensi.

    Poco prima delle nove di quello stesso giorno l’avvocato Matteo Tosti decise di andare a trovare l’amico Zeno.

    Si erano dati appuntamento davanti la filiale della Cassa di risparmio perché dovevano regolare alcuni conti, ma Zeno non s’era presentato. Aveva atteso qualche minuto e poi, persa la pazienza, aveva deciso di andare in tribunale per vedere se l’amico si fosse recato in ufficio. Data l’ora mattutina era improbabile, ma Zeno a volte era imprevedibile e, stando da quelle parti, tanto valeva fare un salto presso i locali della fallimentare.

    Uscito dall’ascensore, attraversò il lungo corridoio diretto verso l’estremità dell’edificio.

    Incontrò un paio di cancellieri e un collega, ma non si fermò a parlare perché non ne aveva motivo e, soprattutto, non era dell’umore giusto. Forse dipendeva dal tempaccio che quella mattina stava imperversando su Pescara con una pioggia fitta e scura, o forse perché aveva qualche problema di troppo da risolvere; fatto sta che tirò dritto per la sua strada.

    Giunto nell’anticamera dell’ufficio del giudice Zanardi gli sembrò di vedere qualcosa per terra.

    Era buio, lo stanzino non aveva una finestra.

    C’erano un tavolino striminzito, due sedie e una poltroncina, di cui si servivano gli avvocati e i commercialisti nell’attesa di essere ricevuti. Una lampada, anche abbastanza vistosa, pendeva dal soffitto, ma era spenta. L’accese.

    Non gli ci volle molto per capire che per terra si trovava il corpo di una donna, e vicino a lei il carrello delle pulizie con tutto l’armamentario che occorre per quel lavoro.

    Rimase sorpreso, e senza sapersene spiegare la ragione cercò di uscire per tornare nel corridoio. Si muoveva per istinto, quasi con gesti riflessi, automatici, di fronte a un pericolo che voleva evitare.

    La luce fioca della lampada illuminava lo stanzino e si prolungava tenuamente verso il corridoio. L’aria era umida, ma non ci faceva caso.

    Aveva fatto pochi passi quando si fermò.

    Dove diavolo stava andando? A che fare? C’era una donna per terra che poteva aver bisogno di aiuto e non era il caso che se la svignasse. Oltre tutto, l’avevano visto e in fondo a quel corridoio c’era solo la stanza del suo amico.

    Si abbassò per cercare di capire quale fosse la situazione.

    Mentre si stava avvicinando a quel corpo inerme la donna emise un gemito, flebile, lento, quasi lamentoso, ma segno che era viva.

    Buon per lui perché non aveva voglia di cominciare la giornata con un cadavere. Ne aveva già troppi di problemi in casa e in studio! Accidenti a lui e all’idea che aveva avuto di andare da Zeno!

    Mentre la donna cercava di alzarsi le chiese: – Come si sente? Cos’è accaduto?

    Giulia aprì gli occhi. Si vide quell’omone sopra e pensò di urlare, ma subito si zittì perché si accorse che era a terra e qualche motivo ci doveva essere. Dai suoi trascorsi aveva imparato che strillare, gridare, urlare, serviva poco, anzi il più delle volte non aiutava.

    Il fianco destro le faceva male e la testa quasi scoppiava, ma riusciva ancora a rendersi conto della situazione, almeno così le sembrava. Certo, il dolore era forte. Fece mente locale e ricordò: era in tribunale per il suo lavoro, si trovava al quarto piano e… accidenti! Nella stanza lì vicino c’era un morto. Ora se lo ricordava.

    Ne era certa.

    Alzò la mano e con le dita fece cenno a quel tale, che le sembrava di conoscere e che seguitava a troneggiare su di lei, di entrare nella stanza lì vicino, di andare a vedere. Poi si toccò la nuca e cercò di fermare quel dolore che aveva in testa e che seguitava a martoriarla.

    L’avvocato Tosti la scansò e, aperta la porta dello studio, che fino a quel momento era rimasta semichiusa, vide quello che non avrebbe voluto vedere: il suo amico, il giudice Zanardi, si trovava disteso per terra, vicino alla finestra, con le spalle appoggiate sul pavimento e un pugnale che gli trafiggeva il petto. Forse non era un pugnale, lì per lì non riusciva a stabilirlo, ma era certo che si trovava conficcato nel petto del suo amico, che non si muoveva. Non gli ci volle molto per capire che era davanti a un morto e aveva tutta l’aria di essere una brutta morte.

    Adesso, che faccio? si chiese, rimanendo sempre sulla soglia.

    La risposta gli venne dalla donna che, restando a terra, voleva essere aiutata a tirarsi su.

    Con il braccio proteso verso di lui gli chiese: – Si decide a farmi alzare o vogliamo fare notte? – Poi emise un gemito, come se fosse stata colta da un dolore lancinante.

    L’avvocato capì che quella donna aveva bisogno di essere aiutata e la prese sotto le ascelle.

    Riuscì a sollevarla da terra. L’aiutò a sedersi su una delle sedie che si trovavano in quella anticamera.

    Giulia con un gesto del capo gli indicò la stanza e gli chiese: – È morto?

    – Vado a controllare, ma credo proprio di si.

    – Nelle stanze dove c’è un'anticamera, ci lavorano i giudici. Mi sembra di conoscerlo. Quello è un giudice, vero?

    – Sì, questo è sicuro.

    – E adesso? – chiese Giulia, mentre cercava di mettere in ordine il grembiule da lavoro che le si era arrotolato intorno alle gambe.

    Quella donna non riusciva a stare ferma sulla sedia. Si muoveva scomposta, era evidente che si trovava in uno stato di forte agitazione.

    L’avvocato Tosti se ne era accorto, avrebbe voluto sorriderle, tranquillizzarla, ma anche lui era alquanto agitato: era andato a trovare un conoscente, quasi un amico, e lo aveva trovato disteso sul pavimento, morto. Non ci era abituato, gli faceva impressione, ma doveva anche evitare di farsi coinvolgere in qualche situazione scabrosa.

    Entrò nella stanza e, messosi di lato, cercò la conferma di quello che aveva già visto e capito. Proprio vero, il suo amico era morto. A quanto sembrava, in un modo che non era nemmeno difficile da capire e che gli faceva venire i brividi: non era la pioggia, che seguitava a battere sulla finestra dell’ufficio; non era nemmeno la sorpresa, che stava smaltendo, ma quel corpo, per terra, così immobile, così inerte.

    Si piegò per vedere meglio e gli venne l’istinto di toccare quella specie di pugnale, ma si fermò subito. Non era prudente, non era il caso.

    Si guardò intorno e vide che la stanza era la solita, con carte e fascicoli poggiati sulla scrivania e su alcune sedie. Gli sembrò che fosse tutto in ordine, a parte il cestino della carta straccia che si era rovesciato e alcuni fogli sparsi per terra.

    Stava per aprire la finestra ma si fermò di nuovo. Era meglio non toccare nulla. Si diresse dall’altra lato della scrivania e poco dopo tornò nell’anticamera.

    Gli sembrò che la donna delle pulizie si stesse riprendendo: restava seduta, in silenzio, massaggiandosi il fianco.

    L’avvocato uscì nel corridoio e si mise a chiamare ad alta voce. Non si stava rivolgendo a nessuno in particolare ma chiedeva aiuto: che qualcuno si portasse dove si trovava.

    Dalla stanza accanto non uscì nessuno, segno evidente che il funzionario che l’occupava non era ancora arrivato, ma un commesso, che stava in lontananza e portava un carrello con sopra alcuni fascicoli, lo sentì e si diresse verso di lui.

    Sopraggiunsero altre persone e si creò una certa confusione, più che naturale date le circostanze: il luogo e quel cadavere che restava immobile sul pavimento.

    Tra i primi ad arrivare ci fu il maresciallo Candela, che prestava servizio negli uffici della procura della Repubblica. Quella mattina, per caso, si era recato nella cancelleria della sezione civile per fare le fotocopie di un incartamento che lo interessava.

    Era il comandante della squadra di polizia giudiziaria e si era riservato il settore dei reati societari e commerciali. Alto e ben piazzato, aveva un fisico da atleta, anche per la passione che aveva di farsi una decina di chilometri a piedi ogni mattina. I colleghi lo prendevano in giro, qualche signora lo desiderava di nascosto. Era originario di Treviso e per uno strano caso della vita s’era ritrovato a lavorare a Pescara. Prima comandava la stazione dei carabinieri di Pescara-colli e da oltre tre anni s’era fatto trasferire presso la giudiziaria.

    Vedovo, senza figli, dedicava il suo tempo all’ufficio ed era questa una delle ragioni per le quali, a differenza di tanti altri, verso le otto del mattino già scorazzava per i corridoi della Procura e del tribunale.

    Appena giunse davanti alla stanza 24, quella del giudice Zanardi, non gli ci volle molto per capire che era accaduto qualcosa di grave.

    Sulla soglia dell’anticamera vide l’avvocato Tosti e, accanto a lui, due funzionari della cancelleria, oltre a un commesso, tutti con l’aria spaurita, le facce stralunate, in parte rigide per la tensione del momento, in parte incuriosite dalla situazione che stavano vivendo.

    Si fece strada tra di loro e, tra il rumoreggiare di altri, che stavano sopraggiungendo, sentì l’avvocato che gli diceva di entrare nell’ufficio lì vicino perché il giudice era morto.

    Il maresciallo Candela si guardò intorno e, fermatosi un attimo prima di entrare, chiese all’avvocato: – Morto come? Un infarto?

    – Non mi sembra. Vada dentro e vedrà da sé come stanno le cose. Brutta storia, maresciallo, proprio brutta!

    Candela si affacciò nella stanza e con un colpo d’occhio cercò di focalizzare la scena: davanti a sé aveva la scrivania e, dietro di essa, disteso per terra, un uomo con il petto squarciato da un oggetto che sembrava un pugnale. Si girò intorno come se stesse verificando se ci fosse qualcun altro in quella stanza, ma non c’era nessuno.

    Portò di nuovo l’attenzione sul cadavere e poco dopo dovette arrendersi all’evidenza.

    Che casino! E adesso?

    Prese il cellulare e chiamò il suo ufficio. Era poco distante da dove si trovava e in pochi minuti avrebbe avuto l’aiuto che gli occorreva. La sua squadra non si occupava di omicidi, ma in quel momento non ci pensò.

    S’erano fatte le nove e qualcuno ci doveva essere negli uffici della giudiziaria. Invece, nessuno rispondeva e si incazzò così tanto che per un attimo si dimenticò del morto che aveva davanti.

    Rivolto verso Tosti, gli disse: – Per favore, avvocato, si metta qui e non faccia entrare nessuno. Nel frattempo, prenda i nomi delle persone che sono presenti. Io mi allontano cinque minuti, anche meno. Mi raccomando, che nessuno entri in questa stanza.

    – Stia tranquillo, ho capito. Non mi muovo da qui.

    – Grazie.

    Il maresciallo si diresse a passi svelti verso l’ascensore ma, all’ultimo momento, cambiò idea e decise di tornare indietro perché gli sembrava poco prudente allontanarsi da quel luogo e rimettersi alla collaborazione di una persona che non conosceva bene.

    Quell’avvocato sembrava una brav’uomo. Anche i due funzionari li incontrava spesso in ufficio, ma nel frattempo stavano sopraggiungendo altri. Meglio restare sul posto e mantenere la posizione. Con un morto ammazzato non c’era da scherzare! Non era nemmeno un morto qualunque.

    Camminando lungo il corridoio chiamò al telefono l’ufficio del procuratore della Repubblica.

    Gli andò bene e a quel punto la macchina giudiziaria si mise in moto.

    Tempo dieci minuti, mentre Candela presidiava l’ufficio del giudice defunto, arrivarono due funzionari della polizia di Stato. Poi sopraggiunsero quelli della scientifica, il medico patologo, con un assistente, il capo della squadra mobile della questura e ci mancava solo che si presentassero i vigili del fuoco per completare il quadro.

    Il fatto è che la voce della morte del giudice Zeno Zanardi si era diffusa nel palazzo di giustizia in un batter d’ali e successe quello che doveva succedere, un vero pandemonio.

    2. Riunione di famiglia

    A mezzogiorno, minuto più minuto meno, il procuratore della Repubblica di Pescara, il dottor Sangermano, riunì nel suo ufficio alcuni dei suoi più stretti collaboratori.

    Aveva invitato, anche se in modo informale con una telefonata, il presidente del tribunale, perché la situazione che andava discussa e gestita lo riguardava. A pensarci bene, era morto un giudice del tribunale e far partecipare a quella riunione operativa anche il collega non era solo un atto di cortesia, ma un atto dovuto.

    Si misero seduti sulle poltrone che si trovavano nel lato destro della stanza: se qualcuno fosse entrato in quel momento e si fosse fermato alle apparenze, avrebbe avuto la netta sensazione che quei signori si stessero intrattenendo in una conviviale alquanto piacevole. Sul tavolino c’era un vassoio con diversi caffè e qualche bibita, mentre il fumo delle sigarette cominciava a intorpidire l’ambiente. Non avrebbero potuto fumare ma era la stanza del capo e nessuno aveva da ridire. Certamente non se ne sarebbe lamentato il padrone di casa, che senza una sigaretta in bocca non riusciva a respirare.

    Accanto al procuratore capo s’era messo il dottor Biagio Mosca, che in ufficio si occupava dei reati contro la persona, e un omicidio ci stava tutto. Vestito con un elegante completo di lana, color grigio, e una cravatta sul rosso scuro, che si intonava bene con i calzini, se ne stava in silenzio, in attesa che il dottor Sangermano, dopo aver fatto gli onori di casa, gli passasse quella patata bollente che era destinata a cadere sulla sua testa.

    Simpatico e brillante in ogni occasione, Mosca era solito mettersi in disparte, in queste riunioni, per lasciare spazio al suo capo, che non amava le indagini ma ci teneva a stare in prima fila. Biagio Mosca lo sapeva, non gli costava nulla ad accontentarlo e per questo si defilava con garbo e senza farsi troppi problemi.

    Accanto a lui s’era messa la dottoressa Sandra Morosini, che era una giovane uditrice, assegnata a Pescara per il tirocinio. Molto carina, quasi bella, di certo elegante, indossava un tailleur pantaloni che la smagriva.

    Era stata invitata perché fino a un mese prima aveva svolto il periodo di praticantato del settore civile proprio nella sezione fallimentare, assegnata al dottor Zanardi. Vi era rimasta i prescritti sei mesi e, avendo lavorato in quell’ufficio, poteva essere di aiuto. Il procuratore aveva anche considerato che Morosini era stata messa per il penale a fianco del dottor Mosca e per queste ragioni aveva insistito affinché fosse presente a quella riunione.

    Il maresciallo Candela stava in piedi, in attesa di riferire quello che aveva fatto fino a quel momento, mentre s’era seduto il dottor Tiepolo, commissario capo e in quei giorni facente funzione di vice questore. Era in attesa della nomina per quell'incarico e, senza dare peso alle carte e ai timbri, s’era insediato nel nuovo ufficio con il consenso del questore che, per essersi dovuto allontanare per certe visite mediche, lo aveva accontentato. Dal momento che si era ai primi di dicembre, Tiepolo aveva deciso di mettersi un vestito di velluto color crema, con una cravatta tendente al rosso fuoco, il tutto da far inorridire qualsiasi persona di buon gusto, ma lui era fatto così, doveva vestirsi come voleva.

    Il dottor Sangermano si sentiva il padrone di casa e in realtà lo era.

    La situazione era difficile e doveva gestirla con cautela. Spense la sigaretta nel portacenere di onice che si trovava sul tavolino e, senza rivolgersi a nessuno in particolare, disse: – A parte il dolore per la perdita del collega, penso che siamo tutti consapevoli della delicatezza del momento. Il fatto è grave, anche per l’ufficio che Zanardi dirigeva. Sono trascorse appena due ore e sono stato costretto a staccare il telefono perché non ne potevo più. Capisco il desiderio di informarsi ma dovrebbero lasciarci il tempo per lavorare.

    – Brutta morte – esclamò il presidente Rosato. – Veramente brutta! Pensare che proprio ieri mattina, lunedì, avevo avuto una discussione con il collega per un nuovo incarico che voleva assegnare all’avvocato Tosti. Ottimo professionista, per carità, anche bene introdotto, ma non è il solo.

    Sangermano, rivolto verso Candela, sbottò: – Mi dicono che questo avvocato sia stato il primo a intervenire, a trovare il corpo del collega.

    Il maresciallo gli rispose: – Non è proprio così, signor procuratore, perché la donna delle pulizie si trovava già sul posto, ma di certo è stato tra i primi a vedere la scena. Mi risulta che sia stato lui a dare l’allarme, a chiamare aiuto. Io stesso ne sono testimone.

    – Certo, certo – interloquì Sangermano.

    Guardando il sostituto Mosca aggiunse: – Te ne occupi tu, siamo intesi?

    – Sì, non c’è problema, anche se non sarà facile.

    – Impegnati come al solito – precisò il procuratore capo, – e vedrai che ne usciamo bene. Il dottor Tiepolo ti darà il supporto tecnico, mentre i carabinieri della nostra squadra – così dicendo volse lo sguardo di nuovo verso Candela – ti assisteranno per quello che c’è da fare dentro il tribunale. Lavorano qui, sono di casa e conoscono tutti. Sono certo che, coordinandosi e con la tua direzione, si chiarirà tutto. È importante anche fare attenzione alle apparenze.

    Il dottor Mosca sorrise a quella sviolinata del capo, a cui non era abituato, e rimase in silenzio.

    – Noi siamo a disposizione, signor procuratore – annuì Tiepolo. – Abbiamo già

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