Ultimo domicilio sconosciuto
Di F. G. Sparks
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Ultimo domicilio sconosciuto - F. G. Sparks
F. G. Sparks
ULTIMO DOMICILIO SCONOSCIUTO
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Indice dei contenuti
CAPITOLO 1
CAPITOLO 2
CAPITOLO 3
CAPITOLO 4
CAPITOLO 5
CAPITOLO 6
CAPITOLO 7
CAPITOLO 8
CAPITOLO 9
CAPITOLO 10
CAPITOLO 11
CAPITOLO 12
CAPITOLO 13
CAPITOLO 14
CAPITOLO 15
CAPITOLO 16
CAPITOLO 17
CAPITOLO 18
CAPITOLO 19
CAPITOLO 20
CAPITOLO 21
CAPITOLO 22
CAPITOLO 23
CAPITOLO 24
CAPITOLO 25
CAPITOLO 26
CAPITOLO 27
CAPITOLO 28
CAPITOLO 29
CAPITOLO 30
CAPITOLO 31
CAPITOLO 32
CAPITOLO 33
CAPITOLO 34
CAPITOLO 35
CAPITOLO 36
CAPITOLO 37
CAPITOLO 38
EPILOGO
Ringraziamenti
CAPITOLO 1
Martedì 21 Febbraio-Ore 2,53 PM
L’appuntamento era stato fissato per le tre di quel pomeriggio.
La telefonata era giunta solo poche ore prima ed era durata pochi minuti, sufficienti solo per effettuare le presentazioni, verificare la disponibilità, comunicare l’indirizzo dove sarebbe avvenuto l’incontro e fissare l’appuntamento. Per telefono il cliente, o, meglio, la cliente, non aveva nemmeno voluto dire il perché di quell’appuntamento, qual’era la prestazione di cui aveva bisogno.
Colby Forester guardò il suo orologio gettando a terra il mozzicone della sigaretta che aveva appena finito di fumare.
Le due e cinquantaquattro minuti.
L’investigatore privato osservò la grande cancellata poi i suoi occhi si spostarono seguendo la lunghissima cinta in cemento armato rivestita da beole grigie fino a vedere, in lontananza, i grattacieli del centro che svettavano qualche chilometro più in là nel cielo bianco e immobile di quel pomeriggio invernale. Si aprì il giaccone e si sistemò la cravatta, passandovi poi una mano sopra. Odiava quel tipo di abbigliamento. Per lui un paio di jeans e un maglione erano il vestito perfetto:sportivo, caldo e, soprattutto, comodo. Ma, pur non conoscendo il nome della cliente, aveva intuito che si trattava di una persona altolocata, e la villa che intravvedeva oltre la cancellata ne era la conferma, quindi la scelta del vestito elegante era stata assolutamente azzeccata.
Il viale dove Colby aveva parcheggiato la sua auto era deserto. La strada principale, che dalla metropoli scivolava verso le campagne limitrofe, era gonfia di traffico e scorreva parallela a quel viale. Il rumore delle auto si udiva solo in lontananza, un noioso brusio.
Colby guardò ancora il suo orologio.
Premette il pulsante del citofono osservando una piccola telecamera fissata a una colonna della cancellata girarsi verso di lui con un ronzio e, dopo qualche istante, l’altoparlante del portiere elettrico gracchiò.
-Colby Forester?-chiese una voce maschile.
-Sì.-rispose il detective.
Il cancello elettrico scattò poi iniziò a spalancarsi:un vialetto rivestito da autobloccanti portava fino a una grande e moderna villa su tre piani. Vedendo la distanza fra il cancello e la villa Colby fu tentato di risalire in macchina per raggiungere la casa ma ormai il cancello era completamente aperto e allora decise di incamminarsi.
Solo quando fu davanti alla villa si accorse di un uomo vestito con un completo scuro che l’attendeva davanti al portoncino d’ingresso. L’uomo doveva avere circa cinquant’anni, era alto e snello e sotto il vestito si intuiva che era anche piuttosto muscoloso. Il suo volto era serio ed altero come quello di un mastino. Aveva un portamento elegante e stava ritto in piedi come una statua. Un maggiordomo, probabilmente.
-Colby Forester?-ripetè con la stessa voce sentita al citofono.
-Sì, sono io.
-La signora l’aspetta. Mi segua.
Il maggiordomo accompagnò Colby all’interno della casa. Dopo uno spazioso atrio d’ingresso si apriva un grande salone illuminato da ampi finestroni che rischiaravano il locale con una luce diurna bianca e fredda.
Seduta su un divano beige chiaro c’era una donna che dimostrava una quarantina d’anni inguainata in un tailleur firmato nero composto da giacca e gonna. I capelli castano-rossicci le ricadevano sulle spalle ed incorniciavano un viso diafano con occhi grandi e scuri e labbra secche e rosee. La sua espressione denotava stanchezza e tensione.
-Il signor Forester.-disse il maggiordomo presentando l’investigatore, poi si defilò sparendo in un corridoio.
La donna si alzò dal divano andando incontro a Colby che, guardandola da vicino, la giudicò molto bella.
-Sono Vanessa Lockhart.-disse lei stringendo debolmente la mano dell’investigatore.-Si accomodi.
Si sedettero sul divano uno davanti all’altra. La signora Lockhart squadrò Colby per qualche secondo.
-L’ho interpellata per affidarle un compito molto delicato.-iniziò la donna con un tono di voce sommesso.
-Mi dica come posso esserle utile, Vanessa.-disse Colby guardandole gli occhi tristi.
Vanessa fu quasi sul punto di parlare, poi si trattenne un attimo richiudendo la bocca e piegando le labbra in una smorfia.
-Mia figlia Kim è scappata di casa.-disse infine stringendo di nuovo le labbra con un’espressione sofferta.-Me la deve ritrovare, me la deve riportare a casa…
-Quanti anni ha sua figlia?-chiese Colby.
-Sedici. Diciassette il mese prossimo.
-Quando è scappata di casa?
-Ormai sono venti giorni, il primo di Febbraio.
Quasi tre settimane. Un periodo troppo lungo per iniziare le ricerche. Come per tutte le indagini erano fondamentali le prime ventiquattro ore. Chissà dove poteva essere finita adesso.
-Ha lasciato un biglietto? Oppure le ha comunicato a voce che se ne sarebbe andata?
-No, nessun biglietto. Spesso, quando litigavamo, mi diceva che sarebbe scappata prima o poi. Ma non credevo che…
-Vanessa, le mie domande potranno essere molto personali e crude. Ma, lei capisce, ho bisogno di farmi un quadro il più chiaro possibile della situazione.
-Capisco perfettamente. Mi chieda qualsiasi cosa.
-Perché litigavate?
-Per ogni motivo, anche il più banale. Io e Kim abbiamo caratteri molto simili. Ma, invece di unirci, questa somiglianza caratteriale è sempre stata fonte di continue liti.
-Capisco. Avete litigato anche prima che scappasse di casa?
-Sì.
-Per quale motivo?
Vanessa Lockhart inspirò profondamente.
-Aveva un ragazzo.
-Non accettava la relazione di sua figlia con questo ragazzo?
-No, non mi ha mai voluto dire chi fosse.
-Come fa ad essere sicura che Kim avesse questa relazione?
-Una donna capisce queste cose.
-Cosa intende dire?
Vanessa strinse ancora le labbra fino a farle diventare esangui.
-Qualche settimana prima della sua scomparsa ho trovato un paio delle sue mutandine gettate dentro un sacco della spazzatura. Erano macchiate di sangue.
-Non poteva trattarsi di macchie dovute al normale ciclo mestruale?
-No. Obbligai Kim a fare un controllo, subito dopo. Il ginecologo confermò quello che avevo sospettato:mia figlia aveva perso la verginità.
-Era incinta?
La donna lanciò un’occhiata gelida verso l’investigatore.
-No. Il ginecologo lo ha dichiarato con sicurezza.
-Perché sua figlia non le ha detto il nome del suo ragazzo?
-Non lo so. Forse perché, a ragione, la consideravo troppo giovane per un rapporto di questo tipo oppure perché sapeva che non avrei accettato una relazione con un ragazzo indegno di lei.
-Vale a dire?
-Kim è una ragazza della buona società. Non può mettersi insieme a un teppistello da strada.
-Come fa a dire che si tratta di un poco di buono?
-Non lo so. Ma se non fosse stato così Kim me lo avrebbe detto.
-Capisco.-rispose Colby con una leggerissima punta di sarcasmo.-Ha fatto denuncia di scomparsa alla Polizia Metropolitana?
-No. Non voglio pubblicizzare troppo la cosa. E poi sarebbe servito a qualcosa? A quanto ne so si limitano a compilare un modulo.
-Sì, ha ragione, però avrebbero almeno fatto dei controlli negli ospedali e negli obitori.
-Io… io non ho pensato all’eventualità che… -Vanessa non terminò la frase non osando pronunciare le ultime parole. Realizzando solo in quell’istante la possibilità che la figlia potesse essere finita in qualche ospedale, o, peggio, in qualche obitorio, la sua espressione divenne ancor più preoccupata.
-Perché ha aspettato così tanto tempo prima di chiamare un investigatore?
-Speravo che Kim tornasse a casa da sola. Non immaginavo che questa ragazzata potesse durare così tanto, non la credevo capace di farmi tutto questo. Kim è una ragazza così… delicata…
-Posso vedere alcune fotografie di sua figlia?-chiese Colby.
Vanessa Lockhart si alzò dal divano e si avvicinò a un mobile basso, aprì un cassetto e prese alcune fotografie.
-Queste sono alcune immagini recenti.-disse porgendole all’investigatore.-Ho selezionato quelle in cui Kim appare in modo più nitido. C’è anche una fototessera scattata per la patente di guida.
Colby osservò attentamente le foto:Kim Lockhart era una ragazza snella e, per la sua età, piuttosto alta. Come sua madre aveva un colorito pallido, occhi grandi e scuri da cerbiatto, labbra fini. I capelli erano biondi e lisci e le ricadevano quasi sempre sulle spalle a parte un paio di foto in cui erano stati raccolti dietro la testa in un elegante chignon. Colby notò che, in tutte quelle immagini, non ce n’era una in cui Kim Lockhart sorridesse:un velo di tristezza o amarezza traspariva sempre dal suo viso. L’investigatore privato la definì bella
, ancora un poco acerba, ancora un poco prigioniera del corpo adolescenziale ma già fisicamente attraente sebbene nelle foto non indossasse niente di particolarmente femminile e attillato. L’immagine della fototessera era perfetta per le ricerche:era nitida, chiara e sufficientemente accurata nei particolari del viso.
-Kim ha ottenuto la patente di guida?-chiese Colby infilandosi in tasca le foto.
-Sì, un paio di mesi fa.
-Ha una macchina personale?
-No, non ancora. Sarebbe stato il regalo del suo prossimo compleanno.
-Come si è allontanata?
-Non lo so con precisione. Ha raccolto qualche vestito in una