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L'oro dei vinti
L'oro dei vinti
L'oro dei vinti
E-book218 pagine2 ore

L'oro dei vinti

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Info su questo ebook

Oggi la democrazia in Italia è in pericolo: il fascismo vuole tornare al potere.

Milano, 1943. Il mondo di Claudia è uno spazio all'interno di un armadio, dove si è nascosta in attesa che il padre, dopo aver pagato la loro libertà con tutto l'oro che possedeva, venga a riprenderla.

Aprile 1945. I gerarchi fascisti decidono di trasportare in Svizzera un carico d'oro per finanziare l'ultima resistenza in Valtellina, ma l'insurrezione di tutto il Nord costringe il manipolo a cambiare i loro piani e, con l'aiuto dei servizi americani, metteranno le fondamenta per restaurare dopo oltre settant'anni un regime dittatoriale variando la Costituzione.

Il progetto di un uomo forte al potere in Italia è considerato fondamentale per i fini che le lobby americane si prefiggono, e faranno di tutto per eliminare chi li vorrebbe ostacolare.

Carlo, uno squattrinato scrittore, è la persona che può sventare il colpo di Stato. Lui viene a conoscenza di essere il nipote di un tenente delle SS, e di una ragazza ebrea… ma anche di un segreto custodito in un caveau svizzero: che gli stravolgerà l'esistenza.

Interverranno in suo aiuto tre persone: Vittorio, un ex poliziotto; Federico, un famoso hacker; e Chiara, un avvocato.

Loro cercheranno di salvarlo da chi lo vuole morto, e l'Italia dalla dittatura.
LinguaItaliano
Data di uscita14 mag 2019
ISBN9788831620451
L'oro dei vinti

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    Anteprima del libro

    L'oro dei vinti - Vito Speroni

    633/1941.

    INTRODUZIONE

    Milano, 1943. Da qualche mese il mio mondo si è ridotto a uno spazio all’interno di un armadio. Di giorno rimango rintanata nel mio cubicolo e penso a quando ero libera di correre a piedi nudi sulla spiaggia di Monterosso, di passeggiare sul lungomare con le amiche, o scalare una montagna in Valtellina e sentire il vento che mi scompigliava i capelli.

    Le leggi razziali ci hanno privato di tutto, ma soprattutto della dignità: siamo degli animali da sacrificare per la loro sete di potere.

    Alla fine di giugno avrei dovuto diplomarmi e iniziare l’università, invece sono chiusa in questo buco a contare le ore che non passano mai: con il terrore che mi scoprano.

    A ogni rumore il mio cuore batte talmente forte che lo si può sentire fino in strada. Solo di notte mi azzardo a uscire per sgranchirmi le gambe.

    Perché papà non è ancora tornato. Mi disse che sarebbe venuto a prendermi dopo aver pagato con tutto l’oro che possedeva la nostra libertà, e se lo hanno arrestato quelli della Gestapo, e portato nel famigerato albergo di via Silvio Pellico?

    1

    OGGI

    L’arzilla vecchietta, che abitava nell’appartamento vicino a Carlo, come abitudine si alzò all’alba e si mise a ramazzare il pianerottolo. «Chissà se lo scansafatiche ubriacone dorme ancora» brontolò, prima di sbattere lo zerbino contro la sua porta.

    Carlo si svegliò di soprassalto. «Accidenti a te: vecchia zitella» le urlò, e restò a fissare il soffitto per alcuni minuti. Il dolore lancinante alle tempie gli ricordava la sbronza della sera prima.

    «Ci vorrebbe una caraffa di caffè, e una doccia bollente» pensò.

    Barcollando raggiunse il bagno. Si sbarbò e si lavò il viso con l’acqua gelida. Guardò fuori dalla finestra: l’orologio del campanile rintoccò le sette. Aprì l’anta della cucina. Fissò per alcuni secondi l’unica cosa che conteneva: una scatola di biscotti. La aprì, ne rimanevano due, ne prese uno e lo divorò. 

    Indossò l’impermeabile sgualcito, come quello del famoso tenente Colombo, e scese in cantina a prendere la sua vecchia bici da corsa.

    Si infilò gli occhialoni da motociclista anni trenta, e raggiunse il liceo classico Beccaria.

    «Eccolo» urlò uno degli studenti, e iniziarono le risate di scherno.

    Carlo non fece una piega. Ogni giorno si recava in tutte le scuole superiori con la speranza che qualche alunno avesse bisogno di ripetizioni.

    Toglieva le mollette dal fondo dei pantaloni e distribuiva le locandine con i suoi recapiti: che regolarmente finivano nel cestino.

    Malinconicamente recuperava quelle ancora utilizzabili e si recava nel negozio di copisteria gestito da un suo amico.

    «Hai qualche testo da tradurre?»

    «Sì, e ti ho anche trovato uno studente che ha bisogno di migliorare in latino» gli rispose.

    «Ti ringrazio…» e uscì velocemente dal negozio per nascondere la sua commozione.

    Il vento gelido gli sferzava il viso mentre percorreva la pista ciclabile che costeggiava il Naviglio, vide la villa al di là della strada, allargò il braccio e imboccò la via privata. Appoggiò la bici alla cinta e suonò il campanello: le mani rattrappite faticavano a reggere la cartella.

    Il ragazzo era stravaccato sulla poltrona intento a chattare con gli amici, e alle sollecitazioni della madre emise un grugnito come saluto, senza alzare il capo dallo Smartphone.

    Carlo si mise a controllare il compito di latino e gli chiese di spegnere il cellulare. L’altro lo guardò di sottecchi e gli disse di non rompere.

    La voglia di mandarlo a quel paese era tanta, ma i soldi gli servivano.

    Iniziò spiegando al ragazzo gli errori che aveva commesso nel compito in classe. Lui non lo degnò di uno sguardo, e rispose al messaggio appena ricevuto. Carlo lo rimproverò per la seconda volta, e poi continuò la ripetizione senza più interpellare lo studente.

    Terminate le due ore concordate raggiunse la madre che stava conversando in un altro salotto con delle amiche, e le disse che suo figlio doveva applicarsi di più, ma era sulla buona strada. Lei gli saldò le ore di lezione e concordarono per un’altra supplenza la settimana successiva.

    Con qualche euro in tasca entrò dal macellaio dove acquistò mezzo pollo arrosto con patate, e in un negozio che mesceva vino riempì di Barbera un bottiglione da due litri.

    Aprì la porta del monolocale, che si trovava all’ultimo piano di un vecchio stabile, e raggiunse la cucina. Accese il fornelletto da campeggio, dove mise a scaldare il pollo con le patate.

    Dopo aver tolto dalle ossa anche l’ultimo brandello di carne si leccò le dita, e versò nel bicchiere quello che era rimasto nel bottiglione.

    Gettò i pochi avanzi in pattumiera, lavò il piatto e le posate sotto l’acqua corrente, e li posò nel cestello a scolare.

    Il freddo era pungente, dall’armadio prese la coperta di lana, accese la candela, e si iniziò a lavorare.

    Lo sguardo si posò sulla lettera trentadue Olivetti dove un foglio A4 stava in bella mostra, in attesa di farsi imprimere i caratteri del nuovo romanzo.

    Aveva bussato alla porta di parecchi editori, presentando la bozza di quello che nella sua convinzione doveva essere un best seller, ma nessuno lo aveva preso in considerazione, e le pagine già scritte stavano prendendo polvere in un cassetto.

    Finita la traduzione si appisolò. Al risveglio aprì le persiane e guardò i raggi del sole che penetravano a fatica la nebbia mattutina: gli venne voglia di bere del caffè. Aprì la confezione nuova e riempì la moka.   

    In attesa che il liquido ambrato gorgogliasse, diffondendo il suo profumo caratteristico, riordinò i fogli della traduzione e li mise in una busta.

    Versò il caffè in una tazza e aggiunse della grappa. Il liquido bollente lo riscaldò e gli tolse gli ultimi residui di stanchezza.

    «Ora sono pronto ad affrontare la solita insignificante giornata» farfugliò.

    Il paesino dove abitava si trovava alla periferia di Milano, circondato da campi che venivano coltivati a granturco. Una cittadina dove le persone si conoscevano tutte e si respirava l’atmosfera dei tempi antichi, dove la vita scorreva monotona e rilassata.

    Al suo rientro la vicina di casa gli consegnò una raccomandata. «Ho firmato io, arriva dalla Svizzera!» guardandolo di traverso.

    «Vecchia megera» borbottò tra sé.

    Un notaio di Lugano gli fissava un appuntamento nel suo studio.

    «Cosa può volere da me un notaio!» pensò.

    Si recò nella copisteria e chiese al proprietario, che si chiamava Giuseppe, se poteva fare una telefonata.

    Dopo due squilli rispose una voce femminile, e il notaio confermò l’appuntamento per le ore sedici, ma non gli diede altre informazioni.

    Non ancora convinto usò il computer del negozio per collegarsi a Internet, e digitò il nome dello studio notarile sul motore di ricerca di Google. Esisteva! Ed era uno dei più importanti di Lugano.

    Ora doveva procurarsi il denaro per il viaggio e per altre spese impellenti. Si fece forza, e chiese a Giuseppe un prestito: come anticipo sulle future traduzioni.

    2

    Fu una notte di dormiveglia e al rintocco delle sei si alzò, entrò nella doccia e assaporò di nuovo l’acqua bollente. Era il gran giorno. Quel biglietto del treno posato sul tavolo della cucina poteva significare una svolta, ma non si faceva troppe illusioni.

    La sua vita era costellata da amarezze: il padre non lo aveva mai conosciuto, sua madre si era spaccata la schiena per farlo studiare, e al momento della laurea in Lettere lo lasciò solo.

    L’unica volta che fu chiamato per una supplenza presso un liceo di Milano, percorrendo in bicicletta il viale che portava alla stazione, una signora, dopo aver parcheggiato, aprì la portiera nell’istante in cui Carlo sopraggiungeva: dopo il volo carpiato atterrò sull’asfalto fratturandosi una spalla.

    Dopo quel fatto entrò in uno stato di depressione che ancora oggi combatteva per uscirne.

    Il vestito lo aveva avuto in prestito da Giuseppe, per il resto si arrangiò con quello che aveva. Si guardò allo specchio e pensò ai contadini che si recavano alla messa della domenica con il vestito buono.

    Salì sulla bicicletta e si avviò verso la stazione. Scese a Lugano alle due del pomeriggio. Per ingannare l’attesa si recò al parco Belvedere che si trovava di fronte al lago. Seduto su una panchina aprì l’involucro di carta stagnola che avvolgeva un panino con all’interno un paio di fette di salame. Dopo ogni boccone guardava l’orologio. Il tempo non passava. L’impazienza cominciò a tormentarlo. Decise di fare quattro passi e raggiungere il notaio passando per il centro storico.

    Attraversò la piazza della Riforma, il salotto elegante della città, circondata da antichi edifici come il neoclassico palazzo Civico, per poi inoltrarsi nelle viuzze dove lussuose boutique mettevano in mostra capi d’abbigliamento i cui costi fecero strabuzzare gli occhi a Carlo.

    Alle sedici in punto era davanti alla porta dello studio, e una delle segretarie lo fece accomodare in un salottino. Passò un’altra mezz’ora prima che la stessa segretaria lo accompagnasse dal notaio.

    L’ufficio era grande quanto il suo monolocale. Dietro l’imponente scrivania in legno Luigi XV, seduto su uno scanno bergamasco del cinquecento, un uomo dall’età indefinita stava leggendo dei fogli. Alzò la testa e gli fece segno di accomodarsi, mentre lui continuò imperterrito, poi chiuse la cartelletta e prese una grossa busta gialla.

    «Signor Carlo?»

    «Si!»

    «Ha la carta di identità?»

    Gliela porse. Il notaio la guardò e chiamò la segretaria per farla fotocopiare.

    «Signor Carlo, sono stato incaricato di farle avere questa busta.»

    «E chi sarebbe la persona che le ha chiesto di consegnarmi la busta?»

    «Se accetterà di prenderla lo scoprirà lei stesso.»

    Decise di accettare senza pensarci un attimo. Il notaio, dopo avergli fatto firmare dei documenti, la spinse verso di lui.

    «Buona fortuna» e lo congedò.

    Si fermò in un bar e chiese un caffè corretto. Con le mani tremanti la aprì. Conteneva dei fogli scritti a macchina e altri scritti a mano, e una chiave.

    Ritornò al presente quando il cameriere posò la tazzina sul tavolino.

    «Mi scusi, saprebbe dirmi dove si trova…» e gli disse il nome scritto su uno dei fogli che aveva in testa il disegno stilizzato di una libreria.

    «La trova in fondo a questa via» gli rispose.

    Il nome lo vide disegnato sopra la vetrina di un negozio che si trovava al piano terreno di una casa fatiscente degli anni venti. Dai muri scrostati risaltavano i mattoni rossi che faticavano a reggere il peso del tetto.

    «È conciata peggio della mia» disse a sé stesso, prima di entrare.

    La campanella posta sopra la porta tintinnò. Gli scaffali contenevano libri impolverati che un signore stava riponendo all’interno di uno scatolone. Smise quando lo vide.

    «Ha bisogno» gli chiese.

    «Lei è il titolare?»

    «No! Chi la gestiva è morto qualche giorno fa, e io devo portare via tutto prima che l’impresa di costruzioni abbatta l’immobile per costruire un palazzo.»

    «Lo conosceva?»

    «Di vista. Era molto riservato.»

    «Quanti anni aveva?»

    «Penso più di cento.»

    «Morire di vecchiaia è un privilegio per pochi…»

    «Era solo, ed è morto nel sonno. Lo hanno trovato dopo una settimana: poveraccio. Adesso mi scusi ma ho molto da fare.»

    «Scusi lei» rispose Carlo turbato, e se ne andò. 

    3

    Carlo mise la bici in cantina e raggiunse l’appartamento. La vicina era intenta a pulire il corrimano.

    «Vecchia impicciona» borbottò.

    Si buttò sul divano senza svestirsi, aprì la busta, e iniziò a leggere il foglio intestato alla libreria.

    Mi chiamo Giorgio ed ero un fraterno amico di tuo nonno: il tenente Bardolf.

    Il cuore di Carlo perse un battito.

    Tuo nonno ha impiegato ogni ora, minuto e secondo della sua vita a cercare la sua amata Claudia, tua nonna, poi sua figlia, tua madre, e suo nipote, ma è morto senza avere questa soddisfazione.

    Prima di morire mi ha pregato di continuare le ricerche, e mi ha consegnato il materiale che aveva raccolto con le sue indagini.

    Averti trovato è stato un colpo di fortuna. Nella stessa camera, dove eri stato ricoverato quando si ti sei fratturato la spalla, si trovava anche un nostro detective in visita a un parente, e ha notato la voglia a forma di cuore sulla coscia sinistra. Un particolare tipico della vostra famiglia.

    «Lo ricordo benissimo quel pazzo! Quando spostai il lenzuolo fece un balzo come se fosse stato morso da una tarantola. Mi fece un sacco di domande, ed infine mi strappò alcuni capelli, e poi lasciò la camera prima che arrivassero gli infermieri.»

    Dall’esame del DNA risultò che corrispondevano trentasette marcatori, e c’era il novantacinque per cento di probabilità che foste parenti stretti.

    Tuo nonno sarebbe stato entusiasta di poterti abbracciare, e sono sicuro che utilizzerai le informazioni con prudenza, ma anche con determinazione.

    Avrei voluto consegnarti il materiale di persona, ma alla mia veneranda età ogni giorno potrebbe essere l’ultimo, e non voglio che finisca in mani sbagliate. Ho pensato così di consegnare la busta a un notaio, con la preghiera di fartela avere. Se Dio vuole, sarai tu a venirmi a trovare.

    Buona fortuna.

    «Purtroppo sono arrivato tardi» mormorò tra sé, «io nipote di un militare! Come è possibile che mia madre non ne sapesse nulla? Ma il fatto che fosse sempre così evasiva quando gli chiedevo della nostra famiglia mi ha sempre lasciato perplesso…» prese i fogli di quaderno ingialliti e continuò a leggere.

    Milano, 1943. Da qualche mese il mio mondo si è ridotto a uno spazio all’interno di un armadio. Di giorno rimango rintanata nel mio cubicolo e penso a quando ero libera di correre a piedi nudi sulla spiaggia di Monterosso, di passeggiare sul lungomare con le amiche, o scalare una montagna in Valtellina, e sentire il vento che mi scompigliava i capelli.

    Le leggi razziali ci hanno privato di tutto, ma soprattutto della dignità: siamo degli animali da sacrificare per la loro sete di potere.

    Alla fine di giugno avrei dovuto diplomarmi e iniziare l’università, invece sono chiusa in questo buco a contare le ore che non passano mai: con il terrore che mi scoprano.

    A ogni rumore il mio cuore batte talmente forte che lo si può sentire fino in strada. Solo di notte mi azzardo a uscire per sgranchirmi le gambe.

    Perché papà non è ancora tornato. Mi disse che sarebbe venuto a prendermi dopo aver pagato con tutto l’oro che possedeva la nostra libertà, e se lo hanno arrestato quelli della Gestapo, e portato nel famigerato albergo di via Silvio Pellico?

    In quel maledetto posto si tortura gli ebri e gli oppositori politici. Lì vengono organizzati i viaggi del binario ventuno: da lì

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