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Femen. Inna e le streghe senza dio
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E-book304 pagine2 ore

Femen. Inna e le streghe senza dio

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"Il nostro corpo è la nostra arma". Non c'è dubbio che mostrarsi in topless ha provocato un interesse seguito da tutti i media internazionali. E il 2017 sarà l'anno della rivoluzione per Femen. Le attiviste, a partire dalla coraggiosa Amina, costituiscono un fenomeno nuovo e importante che potrebbe anche incidere sui futuri assetti politici, in un momento particolare di grande fermento. Qualcuno vorrebbe che formassero un partito politico, altri contestano fortemente certe iniziative, soprattutto l'azione radicale anti-islamica a Parigi. A sette anni dalla sua fondazione, oggi Femen è rappresentata in Ucraina, Francia, Germania, Spagna, Svezia, Olanda, Belgio, Italia, Israele, Canada, Messico, Turchia e U.S.A. Questo è un libro inchiesta su Femen che dà voce diretta alle protagoniste, attraverso una lunga intervista alla leader del movimento Inna Shevchenko.
LinguaItaliano
Data di uscita31 mag 2019
ISBN9788899735937
Femen. Inna e le streghe senza dio

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    Anteprima del libro

    Femen. Inna e le streghe senza dio - Massimo Ceresa

    Sankara

    Introduzione

    Il corpo è mio e lo gestisco io: la battuta è vecchissima e riprende lo slogan femminista della prima ora, ma la provocazione di manifestare a seno scoperto (dunque, non solo a parole) ha fatto delle Femen un fenomeno planetario. Un movimento nato in Ucraina qualche anno fa per combattere il sessismo, molto attivo, le cui imprese sono state esaltate dalle provocazioni sicuramente coraggiose di una ragazza tunisina, Amina Sboui (conosciuta come Tyler). A tal punto da rappresentare, secondo la Bbc, una delle cento donne più influenti del mondo. Ma accanto a una crescente simpatia, le Femen sono state accompagnate, fin dall’inizio, da molte polemiche. C’è chi le accusa infatti di esibirsi a pagamento, sponsorizzate da uomini d’affari tedeschi e americani. Una storia complessa, dunque, che Massimo Ceresa analizza dall’interno, fin nei dettagli, proseguendo la ricerca sul nuovo impero russo, affrontato con il saggio sulle Pussy Riot. Con la differenza che stavolta il quadro è ben più ampio.

    Intendiamoci: Pussy e Femen sono estremamente diverse, come sono diversi i loro obiettivi e la maniera di porsi. Ma ci sono anche molte similitudini in questa nuova rivoluzione femminista che ha portato Anna Hutsol, la fondatrice, ad allargarsi in tutti i continenti. Lei usa un altro slogan per giustificare il modo di agire: Il nostro corpo è la nostra arma. Non c’è dubbio che mostrarsi in topless abbia provocato un interesse certo, seguito da tutti i media internazionali. Sussurrano anche una data per la svolta definitiva: nel 2017 la rivoluzione sarà all’apice. Qualcuno vorrebbe che formassero un partito politico, altri contestano fortemente certe iniziative, soprattutto l’azione radicale anti-islamica a Parigi.

    Una storia dunque articolata e complessa che, incontrando proprio in Francia le protagoniste, Ceresa ha ricostruito con estrema onestà. Perché non c’è dubbio che le Femen, a partire dalla trasgressiva Amina, costituiscono un fenomeno nuovo e importante che potrebbe anche incidere sui futuri assetti politici, in un momento particolare di grande fermento. E per capire un fenomeno, c’è solo un sistema: studiarlo. Per appoggiarlo o anche per boicottarlo. Un’opera perciò che merita grande attenzione.

    Pino Scaccia

    Femen: eredi trasgressive di un’antica tradizione

    Nuda, scalza, ma con una corona di fiori in testa. Questo detto popolare ucraino si usava in passato per descrivere una ragazza povera ma bella, che con poco riesce a valorizzare la propria personalità. Ai giorni nostri, calza perfettamente alle Femen, che hanno formato una rappresentazione visibile e riconoscibile nel mondo delle donne ucraine. Certo, la loro proposta è fin troppo ideale, se guardiamo solo i parametri estetici, e fin troppo provocatoria, se guardiamo la modalità con cui le Femen si espongono. Puntano all’immaginario maschile per disturbare le coscienze, e finiscono spesso con l’imprimersi nella fantasia come un sex-symbol, scevro da connotazioni politiche. C’è chi le considera provocatrici pure, ma c’è nel loro operato un elemento assai tradizionale: il carattere indomito, restio alla sottomissione, tipico per molte ucraine che sono diventate intraprendenti a forza di vivere in un paese soggetto alle continue conquiste straniere, dove gli uomini spesso abbandonano la casa per andare in guerra e al loro posto arrivano tanti predatori alla ricerca di belle schiave. In questo territorio, riformulato più volte dalle potenze circostanti, bisogna essere vigili e flessibili, sapersi difendere e conservare la propria identità spesso negata.

    In questa terra fertile e vasta, soggetta alle continue invasioni, sopravvive chi sa reagire alle circostanze e non chi sopporta la sofferenza più a lungo. Mentre nella vicina Russia i contadini persero il diritto di scegliere dimora nel 1497, diventando, di fatto, proprietà dei nobili, gli ucraini rimasero liberi fino al 1783, quando Caterina II estese i regolamenti russi anche alle zone a sinistra del Dnepr. Quando nel 1861 giunse il momento della cancellazione della servitù della gleba, i russi avevano ormai vissuto per secoli sotto un padrone, elaborando una secolare abitudine all’asservimento e alla sopportazione silenziosa, mentre per gli ucraini la limitazione della libertà personale è durata poco più di una generazione, lasciando tracce amare nella memoria e nel folclore.

    La punta di diamante per la difesa dell’Ucraina erano i cosacchi del Dnepr, un gruppo esclusivamente maschile. Ai cosacchi era vietato introdurre donne all’interno del loro campo, e anche se i matrimoni erano sconsigliati, molti si sposavano lo stesso. Le lunghe attese del marito, fratello, figlio cosacco, partito per un’estenuante campagna militare dall’esito incerto, hanno forgiato nelle donne ucraine un carattere indipendente, improntato all’autosufficienza. Già nel XVI-XVII secolo le ucraine disponevano liberamente sul matrimonio, sul divorzio, sull’educazione dei figli, e avevano diritto alla gestione del proprio patrimonio, a prestare cure mediche, a fondare monasteri e congregazioni religiose, partecipare alle guerre guidando operazioni militari audaci; anche chi non aveva possibilità di partecipare a imprese memorabili, perpetuava i mestieri e le arti tradizionali.

    Insomma, l’Ucraina da sempre è terra di donne belle e forti. Non a caso Leopold von Sacher-Masoch, cantore delle dominatrici, è nato proprio a Leopoli, e nei propri romanzi alternava descrizioni della vita popolare con le pratiche sessuali perverse; questo filone continua in maniera ancor più sofisticata nei disegni di Bruno Shulz, nato a Drohobych. Anche nelle canzoni popolari ucraine fiorisce l’immagine di una donna intraprendente che si fa valere, trova le vie d’uscita nelle situazioni difficili. Nelle canzoni scherzose, le donne promettono appuntamenti e poi non si presentano, prendendo in giro i corteggiatori; si scelgono liberamente il fidanzato a proprio piacimento e se lo sposano; nel caso non si comporti bene lo picchiano, oppure addirittura lo vendono al mercato, in una sorta di tragicomica rivisitazione dei periodi storici in cui a essere vendute, sul serio, erano proprio le donne.

    Donne forti anche fuori casa: uscendo dai confini della terra natia, le ucraine vivevano percorsi esistenziali in linea con il carattere nazionale. Una su tutte, la leggendaria Roxolana, una quindicenne ucraina ridotta in schiavitù e data in dono a Solimano il Magnifico nel 1520, giusto per la sua salita al trono. Ribattezzata Hurrem Sultan, dalla situazione di assoluto svantaggio riuscì poi, con tenacia e furbizia, a salire le vette del potere, impensabili anche per le più scaltre fra le donne locali.

    Un altro caso, ancor più antico risale al secolo XI: Anna di Kiev, figlia del principe Jaroslav il Saggio, diventò seconda moglie di Enrico I e regina di Francia. Questa celebre donna letterata conosceva cinque lingue, incluse quelle classiche e si lamentava nelle lettere al padre del fatto che i francesi si lavavano poco. All’età di 30 anni, morto il re, diventò la prima donna-reggente tenendo in mano le redini del paese per sette anni, mentre cresceva suo figlio Filippo. Due anni dopo la ritroviamo innamorata di un uomo sposato, con le conseguenti peripezie passionali con tanto di divorzi, scomuniche, ritorni a corte.

    Pressappoco nello stesso periodo, una sorte meno fortunata segna il destino di Eupraxia, alias Eufrasia, alias Prassede, alias Adelaide, figlia del principe Vsevolod: mandata in Germania alla corte sassone, impara il tedesco e il latino, e all’età di 19 anni, già vedova del primo marito, viene notata, grazie alla sua bellezza e intelligenza, dall’imperatore del Sacro Romano Impero, Enrico IV di Franconia, che nel 1089 la sposa e la porta in uno dei suoi castelli, a Verona. Lo sposo, maturo e viziato, la sottopone a inaudite violenze, senza nemmeno nascondersi dai propri cortigiani. L’aveva fatto in passato con la propria madre, con la sorella e con la prima moglie: nessuna si era ribellata. Diversamente reagisce Adelaide: lasciato il marito, si reca da papa Urbano II per chiedere giustizia. Ha il coraggio di deporre contro il marito durante il concilio di Piacenza, sottoponendosi all’umiliante e dettagliata interrogazione sugli abusi subiti. Adelaide di Kiev ottiene l’annullamento del matrimonio, per poi finire in un monastero; Enrico IV, dal canto suo, ebbe la sua condanna e finì tradito da entrambi i figli.

    Tornando alla storia più recente, cerchiamo di capire: come hanno vissuto le eredi di queste donne forti nel periodo sovietico? La conquista del territorio cominciò con la proclamazione della Repubblica Sovietica Ucraina nel 1920 e si completò nel 1939, grazie al patto segreto Molotov-Ribbentrop, che avrebbe regolato l’annessione delle provincie ucraine occidentali. Il sistema sovietico puntava a un profondo rinnovamento del modo di vivere. La dichiarata parità di diritti fra uomini e donne, in effetti, introdusse delle conquiste sociali che, viste da fuori, sembrerebbero il sogno di ogni donna emancipata: divorzio, aborto, uguaglianza salariale, diritto di voto, accesso allo studio, asili nido per i figli delle lavoratrici, quote rosa nel governo e nella gestione delle imprese statali. Ottimi presupposti, applicati o revocati però senza consenso delle dirette interessate, non fecero altro che asservire le donne allo stato, negandone la specificità, rendendole uguali agli uomini in quel che riguardava il lavoro fisico pesante.

    Nonostante la dichiarata parità, i ruoli in famiglia erano rigidamente tradizionali. Le donne dovevano incaricarsi di tutte le incombenze domestiche e relative alla cura dei figli e degli anziani, in aggiunta al lavoro ufficiale. Le priorità nell’URSS erano chiare: la strenua difesa dal mondo intero, non la felicità dei privati cittadini. Nel nome di un radioso avvenire si realizzavano enormi progetti industriali, con il relativo spostamento delle masse contadine nelle zone della nuova urbanizzazione. La presenza degli ingegneri stranieri e della manodopera gratuita dei prigionieri del GULag, senza i quali il miracolo di un’industrializzazione così rapida non avrebbe potuto realizzarsi, veniva presto dimenticata; non una parola veniva detta sui contadini, cui veniva confiscato con la forza il grano e il bestiame, necessari ai bisogni delle città. La gloria rimaneva, e ancor oggi serve da àncora di nostalgia a chi ha vissuto in Unione Sovietica, senza porsi troppe domande.

    Le donne compagne marciavano a fianco degli uomini. Nelle condizioni di vita misere e precarie, per giustificare il fatto che le promesse di un futuro migliore tardavano ad avverarsi, le comodità della vita quotidiana erano connotate negativamente, come un pregiudizio borghese, e le donne dovevano arrangiarsi. Non a caso gli elettrodomestici moderni come il frigo o la lavatrice sono arrivati in URSS con decenni di ritardo. In compenso, potevi essere orgogliosa della bomba atomica con cui minacciare il mondo. Certo, tutto era gratis: l’asilo, la scuola, i manuali, la vacanza estiva, l’Università. Era la possibilità di scegliere che mancava. Vestiti tutti uguali, edifici tutti uguali; posti di lavoro distribuiti secondo le esigenze dello Stato; appartamenti minuscoli o stanze in coabitazione assegnati dopo anni di attesa; beni di prima necessità che scarseggiavano o scomparivano dai negozi e dovevano essere procacciati; code infinite per l’acquisto di scarpe, collant, burro, arance, fili per cucire, carta igienica…

    Con la disgregazione dell’Urss le donne dello spazio post-sovietico, abituate alle difficoltà, dovettero affrontare un’emergenza di vastità e durata che avrebbe fiaccato chiunque. In effetti, gli uomini spesso non erano all’altezza delle nuove sfide, abituati com’erano a vivere all’interno del corridoio di scelte ridotte, in cui venivano immessi alla nascita. Le

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