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La tela del destino
La tela del destino
La tela del destino
E-book230 pagine3 ore

La tela del destino

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Info su questo ebook

Michele sta iniziando un viaggio ignoto, ma, prima di partire, deve ancora mantenere una promessa fatta ad una persona a lui cara,una promessa di cui non può disfarsi come hanno fatto molti prima di lui.

Da qua inizia un viaggio che fa da sfondo alle sue esperienze e alle persone con cui le ha condivise, in luoghi e tempi indefiniti, quasi surreali.

Le leggi della fisica perderanno valore e come nei sogni tutto può essere.

I confini si intersecheranno e si allontaneranno in continuazione, senza una cronologia ben definita degli eventi che sembreranno essere a distanza di moltissimi anni o vicinissimi, creando un racconto senza tempi o luoghi.

Michele lotterà con se stesso, con le sue paure e con la sua stessa psiche in un susseguirsi di eventi che lo porteranno a prendere coscienza di sé e del suo essere, fra avventure e scelte difficili, che getteranno una luce sulle ombre che spesso oscurano il ciclo della vita di ognuno di noi.

Come un ragno che pazientemente fila la sua tela, anche gli eventi prenderanno forma.

Avvenimenti strani, surreali ma sempre ancorati alla realtà quotidiana che creeranno nel lettore una sensazione in cui sembrerà di muoversi fra sogno e realtà. Dove i confini si intersecheranno e si allontaneranno in continuazione, senza una cronologia ben definita degli eventi che sembreranno essere a distanza di moltissimi anni o vicinissimi, creando un racconto senza tempi o luoghi.
LinguaItaliano
Data di uscita26 nov 2014
ISBN9788891162564
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    Anteprima del libro

    La tela del destino - Massimiliano Sermi

    twitter.com/youcanprintit

    CAPITOLO PRIMO

    Che cazzo fai? Siamo già partiti da dieci minuti e hai ancora in mano tutta la pastura, se la facevo io ʾsta canna facevo prima, puttana galera.

    Stai calmo, siamo appena partiti e tra poco arriveremo, per allora avrai la tua canna.

    Cazzo, parli come se stessimo andando a morire e dobbiamo ancora andare a prendere Simone.

    Simone mi ha telefonato cinque minuti fa, ha detto che non viene, quindi vai pure dove dobbiamo andare.

    A me non ha detto niente quel codardo, ma cosa ti puoi aspettare da uno come lui...

    Forse più di quello che ti potresti aspettare da quelli come noi disse il ragazzo mentre, con aria assorta, guardava fuori dal finestrino il cielo terso che andava a oscurarsi in un triste pomeriggio invernale.

    Oggi sei più allegro del solito vedo disse ironico Gabriele, magari se ogni tanto ti vestissi con qualche colore, invece che sempre di nero, saresti un po’ più allegro.

    Il ragazzo rise mentre passava la lingua sulla cartina inumidendola e chiudendola.

    Ne dubito, sarà il tempo. Ecco qua la tua canna. Gustatela fino in fondo. Perché, te non la fumi?

    Sì due tiri li faccio, ma lasciameli in fondo e ora fammi ascoltare un po’ di musica.

    Gabriele si chetò.

    Prese la canna e se la portò alla bocca dando una lunga inspirata.

    Sentì il fumo che gli scendeva nei polmoni lasciandogli quel sapore dolciastro in bocca che ben conosceva.

    Lo trattenne dentro ancora un po’, poi espirò riempiendo la golf grigia. Tossì leggermente mentre la passava al suo amico.

    Lo stereo suonava in tutta la sua potenza e la voce di Cristina Scabbia dei Lacuna Coil esplodeva intutta la sua potenza e sensualità in Heaven’s a lie.

    Visto, oggi ho portato la musica che piace a te, niente musica da discoteca o roba del genere, solo Lacuna Coil, il tuo gruppo preferito; sono o non sono un amico? disse Gabriele mentre lo osservava.

    Con lo sguardo rivolto fuori dal finestrino l’altro sorrise e tirò una boccata dalla canna.

    Effettivamente oggi, ci sta bene.

    Gabriele guidava la golf per stradine interne come fosse in un rally, mosso dal tempo della musica.

    Certo che oggi non c’è proprio un’anima in giro, peggio del solito, le strade sono deserte.

    Già, oggi è come se tutto fosse immobile, dà come l’impressione che sia tutto sfumato, è come se non riuscissi a vedere bene le cose.

    Che filosofo mancato che sei rise, però, effettivamente, è così, ora che mi ci fai pensare e poi adesso che sta salendo anche la nebbia è pure peggio. Che posto assurdo, non vedo l’ora di potermene andare e vaffanculo tutto, ʾsto posto non lo sopporto più.

    Effettivamente fa schifo anche a me, me lo sarei aspettato almeno un po’ migliore. Ma, tra l’altro, dove è che stiamo andando?

    Ma che sei scemo?! rispose Gabriele mentre lo guardava di traverso, te l’ho già detto prima quando eravamo a bere l’americano senza soda. Cosa sei già ubriaco?

    No, non direi, è solo che se mi ripeti le cose due volte è meglio.

    Stiamo andando in quel posto dove ci aspettano queste persone con cui dobbiamo fare l’affare. Ti ricordi la roba che abbiamo trovato o oggi sei totalmente fatto?

    Sì, questo l’ho capito, ma dove è questo posto?

    Qua vicino.

    Se è qua vicino, perché siamo in macchina da più di mezz’ora? chiese con calma e quasi sorridendo fra sé.

    È che... balbettò Gabriele, ero sicuro di sapere dove fosse, te lo giuro, ma non riesco a trovarlo, mi sembra di fare sempre la stessa strada e la nebbia non aiuta.

    Prova a girare lì indicò una piccolo sentiero sterrato che si allungava in mezzo alla nebbia.

    Gabriele prese la strada.Ok, ma non vedo un cazzo, troppa nebbia.

    Curvò seguendo la direzione della strada, sterzando seccamente la macchina per poi dover frenare subito dopo, di colpo.

    Davanti a lui la strada finiva.

    Perfetto, mi hai fatto prendere un vicolo cieco, ora devo fare retromarcia con questa nebbia, sperando di non cadere in qualche fosso.

    Mise a posto lo specchietto retrovisore per vedere meglio. Innestò la retromarcia e diede gas. La macchina andò su di giri ma non si mosse.

    Ma puttana galera imprecò.

    Che succede?

    Non c’è più la strada.

    Come non c’è più la strada? Siamo proprio venuti da lì adesso.

    No cazzo, mi sa che senza accorgercene, siamo finiti in qualche campo.

    Prova a dare gas nuovamente.

    Gabriele iniziò ad accelerare ma la macchina non si mosse, era come se fosse incollata al suolo.

    Ma che cazzo, non si muove. Vaffanculo urlò che cazzo succede? Vai a vedere fuori e dimmi perché non si muove ʾsto cesso che con la nebbia non vedo nulla dagli specchietti retrovisori.

    La portiera si aprì e si richiuse.

    Gabriele guardò il suo amico uscire e dirigersi sul retro della macchina, poi lo vide inghiottito dalle nebbie, dallo specchietto retrovisore.

    Sussultò.

    Tirò giù il finestrino e iniziò a chiamarlo, urlando.

    Michele, Michele dove cazzo sei. Michele!

    Cosa urli, sono qua disse il ragazzo uscendo da dietro la macchina. Abbiamo un problema. Vieni a vedere.

    Gabriele aprì la portiera e uscì.

    Si sentiva a disagio, era come se la nebbia fosse tutto intorno a lui, come se lo avvolgesse e lo soffocasse, non riusciva a vedere a un palmo dal naso.

    Sotto i suoi piedi sentiva non il terreno duro e solido ma qualcosa di molle che gli si appiccicava alle scarpe.

    Aveva paura, una paura folle, era come se fosse cieco e nello stesso tempo non lo fosse, era come se non vedesse che i contorni.

    Michele balbettò che sta succedendo qua!

    Niente, che cavolo dici, dai vieni.

    Gabriele mosse la mano sul freddo metallo della macchina, appoggiandosi per non perdere l’equilibrio e, a fatica, iniziò a seguirne la sagoma. Camminava piano cercando di strappare i piedi dal suolo che erano pesanti e quasi come incollati.

    Arrivò alla parte posteriore della macchina con gli occhi chiusi, come per tenere la concentrazione.

    Hey, tutto a posto, ti vedo strano chiese all’amico appoggiandogli una mano sulla spalla che lo fece sussultare. Abbiamo un problema, guarda e indicò verso le ruote della macchina.

    Gabriele aprì lentamente gli occhi, felice di trovarsi al fianco del suo amico di sempre, vestito col suo cappotto lungo di pelle nera, che lo guardava indicandogli il terreno.

    Prima di indirizzare lo sguardo verso il posto indicato scosse la testa come a svegliarsi e, piano piano, guardò tutto intorno a lui. Rimase sollevato. Ora la nebbia era sparita e c’era solo la pioggia che batteva sul tetto della macchina e sulle loro teste. Si sentiva di nuovo rilassato e più sicuro di sé, respirava di nuovo bene. Guardò le ruote dell’auto che erano sprofondate, per dieci centimetri, nel fango fresco.

    Erano finiti nella boscaglia e la macchina era impantanata nel terreno fangoso, per questo girava a vuoto.

    Merda disse Gabriele, e ora come facciamo?

    Chiamiamo un carro attrezzi rispose Michele però io non ho soldi nel cellulare.

    Come al solito! Che l’hai comprato a fare se non lo usi mai, nemmeno rispondi a volte! Dai prendo il mio nel cruscotto.

    Tornato in macchina, aprì il cruscotto e si mise a cercare il telefono. Niente, c’era solo la pistola.

    Una Berretta di contrabbando con il numero di matricola cancellato che aveva comprato al porto qualche tempo prima per fare l’affare. Non c’è disse fra sé eppure ero sicuro di averlo portato. Oggi nemmeno una dritta, che giornata di merda e mi sento pure mezzo strano.

    Non mi sembri più strano del solito rise l’amico che gli si era fatto vicino comunque non te la prendere perché, sicuramente, non avrebbe preso come il mio; siamo spersi nel nulla e qua il cellulare prende solo per le emergenze e non penso sia cosa saggia chiamare la polizia per venirci a tirare fuori di qua.

    Direi proprio di no, siamo pieni di roba nel bagagliaio e poi ho anche questa e sventolò in alto la pistola ma almeno non siamo inermi.

    Sì, ma il problema rimane comunque e inizia a fare pure freddo.

    Io per adesso sto bene, te invece sei sempre freddo come un morto quindi che ti cambia? Sorrise beffardamente e continuò. Più che altro se non riusciamo ad arrivare in quel posto in tempo perdiamo la nostra opportunità, quindi fatti venire un’idea.

    Che palle sospirò il ragazzo vestito di nero, tocca sempre a me tirarti fuori dai casini.

    Gabriele rise mentre guardava il suo amico sotto la pioggia e alla nebbiolina, avvolto nel suo sudario di pelle nera che faceva risaltare la sua carnagione chiara e lo faceva sembrare quasi un fantasma.

    Dai ho trovato, vado a cercare un bastone abbastanza grosso da poter fare leva sotto le ruote ed evitare che la macchina scivoli nel pantano quando acceleri.

    Sei un fottuto genio. Sorrise.

    Lo guardò mentre si addentrava nella boscaglia più fitta dove la nebbia era già alta e avvolgeva tutto. Lì dentro sparì dalla sua vista lasciandolo nel silenzio e solo.

    Gabriele non era mai stato un fifone ma, in quel momento, quando il suo amico sparì fra la nebbia sentì un brivido lungo la schiena.

    Diede uno scossone al suo corpo, dalle spalle in giù, per far andar via quella sensazione, chiuse la portiera della macchina per stare un po’al caldo mentre aspettava il ritorno del suo compare.

    Si rilassò un attimo chiudendo gli occhi e quando li riaprì, dopo pochi istanti, tutto era sparito e non riusciva più a vedere a un palmo dal naso. La nebbia aveva avvolto tutto, anche la sua vettura. Accese i fanali ma la situazione non migliorò; la luce non filtrava nella nebbia.

    Da quanto tempo era via il suo amico si chiese. Come mai non tornava?!

    Tutte queste domande iniziavano a preoccuparlo e ad assillarlo, facendogli, sempre di più, mancare il respiro come sotto l’effetto di un attacco di panico di cui non aveva mai sofferto, fino a quel momento.

    Aprì la portiera per respirare meglio, a pieni polmoni, e poi, in preda al panico, iniziò a chiamare Michele...

    Niente.

    Sentì un rumore dietro di sé che lo fece sobbalzare, si girò di scatto ma non vide nulla, fece per tornare in auto, ma, un’altra volta, i piedi erano incollati al suolo.

    Il panico si impossessò completamente di lui.

    Guardò per terra e incredulo vide che il fango era sparito.

    Adesso si trovava invischiato in una ragnatela gigante. Era nel suo centro, perfetto, da cui si diramavano tutti i filamenti della tela che si estendevano all’infinito fino a perdersi nella nebbia, molto lontano da lì.

    La macchina era scomparsa e sotto di lui vi era solo il vuoto di uno spaventoso nulla.

    Iniziò a sudare nonostante il freddo.

    Cazzo, cazzo, cazzo ripeté più volte cosa sta succedendo?! si chiese. Deve essere la droga, per forza. Forse sto sognando o forse sono troppo fatto. Sì, sì, è sicuramente la droga, troppo forte, troppo buona; e poi l’alcool, sì deve essere quello, sì, una sorta di collasso. Sto sragionando. Tutto questo non può essere vero. No. Sono in un bosco e c’è la mia macchina anche se ora non la vedo, è qui accanto a me. Devo solo stare calmo. Devo concentrarmi e respirare. Sì, devo respirare. Ora chiudo gli occhi e quando li riapro sarà tutto come prima, con la macchina e tutto il resto.

    Mentre pensava questo chiuse gli occhi e iniziò a respirare profondamente. L’aria fredda, che sentiva scendere nei polmoni come qualcosa di reale, lo tranquillizzò.

    Diede tre boccate di ossigeno profonde per tranquillizzarsi. Ma un ululato, improvviso, gli fece aprire gli occhi di colpo.

    Gli sembrò così forte che gli parve di essere accanto a un lupo.

    Spaventato si guardò intorno. Vide di nuovo la boscaglia poco lontana da lui.

    La macchina era lì, ancora al suo posto e la nebbia si era alzata intorno alla boscaglia.

    Però gli ululati non erano cessati, anzi, aumentavano.

    Uno, poi dieci, poi cento.

    Sembravano provenire da tutto intorno a lui. Fece un balzo verso la macchina. Cadde per terra.

    Con orrore vide che i piedi erano ancora ancorati al centro della ragnatela che si estendeva, infinita, sotto di lui e per tutto il terreno.

    Si guardò intorno terrorizzato. Cercò di mettersi in piedi ma riuscì solo a girarsi sulla schiena.

    Gli ululati aumentavano.

    Dalla boscaglia, nascosta ormai dalla nebbie, vide materializzarsi occhi rossi che parevano di fiamma. A coppie di due, uno vicino all’altro, gli si paravano davanti, poi a destra e poi a sinistra. Sembravano venissero avanti verso di lui insieme alla nebbia per inghiottirlo.

    Aiuto! urlò qualcuno mi aiuti cazzo!

    In preda al panico sentì del metallo freddo che gli toccava la schiena e si ricordò di avere addosso la pistola. Freneticamente la prese in mano e puntò.

    Sparò dei colpi verso qualcosa alla sua destra, verso degli occhi rossi che si stavano avvicinando

    Vaffanculo, vi ammazzo tutti urlava isterico Michele dove sei? Michele aiuto, scappa!

    Che cavolo urli idiota? la voce dell’amico lo tranquillizzò un attimo, mentre la mano tremante impugnava ancora l’arma fumante.

    Dove sei? Aiutami, corri, sto male!

    Arrivo, ho trovato il bastone.

    Chi cazzo se ne frega del bastone!

    Arrivo, arrivo, calma.

    Altri ululati, sempre più potenti e vicini, entravano nella testa di Gabriele, rimbombando come un’eco. Stava impazzendo. Sparò altri colpi nella nebbia terrorizzato.

    Davanti a lui gli occhi rossi si facevano sempre più vicini e minacciosi.

    Urlò mentre scaricava tutto il caricatore.

    Un click del tamburo lo avvertì che la pistola era scarica. Vaffanculo sospirò quasi piangente, poi si buttò per terra.

    Gabriele… sentì una voce flebile in lontananza che lo chiamava.

    Con le sue ultime forze si alzò e aprì gli occhi piangenti, la macchina era di nuovo lì, la nebbia era scomparsa e il terreno era di nuovo fangoso sotto di lui.

    Tirò un sospiro di sollievo.

    Gabriele… sentì di nuovo la voce flebile che lo chiamava. Si schiarì la vista e subito corse verso la figura nera stesa per terra, in una pozza di sangue, a pochi metri da lui.

    Michele, merda, Michele!

    Si buttò in ginocchio sul corpo. Lo girò delicatamente e gli alzò la testa prendendolo fra le sue braccia Cosa è successo? chiese mentre iniziava a piangere sono stati i lupi?

    Lentamente l’amico spostò il giubbotto di pelle lasciando in bella mostra una ferita d’arma da fuoco all’addome.

    Mi hai sparato disse con un filo di voce.

    No! Io ho sparato ai lupi, ho sparato nel buio, verso gli occhi di fuoco. Oddio scusami, scusami. Ora ti carico sulla macchina, chiamo anche la polizia, non me ne frega un cazzo, io...

    Lascia stare ormai sono andato. Guarda, ora i contorni sono tutti nitidi, ora non c’è più nulla di annebbiato e di sfumato, tutto è come dovrebbe essere, mi dispiace, per tutto.

    Gabriele, sebbene stesse piangendo come non faceva ormai da anni, si accorse che tutto era al proprio posto, che il sole risplendeva in cielo e che, dopo le parole del suo amico, il peso che portava nel petto e nella mente si era sciolto come neve al sole. Riguardò il suo amico, i cui occhi ormai erano vitrei, e sorrise.

    Nemmeno ebbe il tempo di accorgersi degli occhi di fuoco del lupo che gli saltava addosso, dilaniandolo con le sue fauci.

    Altrove

    Dunque è così che funziona chiese la figura mascherata mentre fissava il soffitto verso l’angolo più buio della casa.

    Non c’è nessuna partita a scacchi, nessun uomo vestito di nero con la faccia bianca e scheletrica, nessuna schiera di angeli bellissimi e incazzati pronti a purificarti col l’unto del signore. Peccato! disse una figura con la maschera viola senza lineamenti mentre si alzava dal divano. Mi piaceva l’idea di avere a che fare con qualcosa di cui non avevo che una vaga idea, invece... So che ci sei!" urlò improvvisamente con lo sguardo sempre rivolto all’angolo più oscuro della casa in cui si era svegliato.

    Nessuna risposta.

    Si guardò in giro, il luogo era vagamente famigliare, sicuramente era una casa o qualcosa di simile, un posto in cui comunque era già stato perché ricordava alcune cose.

    Sapeva dove erano le candele e sapeva che dietro di lui vi era un grosso specchio attaccato alla parete.

    Andò verso il tavolino delle candele, si frugò in tasca e trovò una scatola di fiammiferi e ne accese uno al primo colpo, nonostante l’umidità che permeava quel posto.

    Accese le candele che poggiavano su un candelabro a sei punte. La stanza si illuminò un poco sebbene il buio continuasse a permeare gli angoli del perimetro. Era come se la luce non riuscisse a inondare quello spazio completamente, come se si disperdesse.

    L’uomo si guardò intorno. Si ricordava alcune cose ma non sapeva il perché. Aveva come la sensazione di essere stato lì ma, di fatto, non vi era mai stato. Si girò verso lo specchio come per prendere coscienza della realtà del suo essere, più che di dove fosse.

    Lo specchio rischiarava un’immagine di un uomo.

    Questo uomo portava sul volto una maschera viola con al centro lo stemma del giglio bianco.

    La maschera era completamente priva di lineamenti se non fosse stato per dei leggeri buchi all’altezza degli occhi.

    Un mantello di velluto color porpora copriva le spalle abbastanza ampie. Un grembiule da lavoro, bianco anch’esso, si

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