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Relazioni pericolose: Amori e altri disastri
Relazioni pericolose: Amori e altri disastri
Relazioni pericolose: Amori e altri disastri
E-book138 pagine2 ore

Relazioni pericolose: Amori e altri disastri

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Info su questo ebook

Moltissime persone, in ogni parte del mondo, hanno avuto una relazione d’amore, qualcuna durata più di altre, e sanno che a volte possono esserci delle difficoltà.

Ma quanti di noi si sciolgono guardando due vecchietti che si tengono per mano, o vedendo due ragazzini che si abbracciano?
Il testo di Alessandro Gianesini esplora, attraverso una serie di racconti e di storie intense e complicate, l’amore in tutte le sue sfaccettature.

Grazie alla sua scrittura lineare e all’ottima caratterizzazione dei personaggi, l’autore ti consente di conoscere ed entrare in alcuni prototipi di relazioni che, come si evince dal titolo del libro, lui definisce “pericolose”.

Ha le sue ragioni, ovviamente. Infatti, sebbene molte abbiano un lieto fine, ciò che le contraddistingue è una trama sicuramente complessa, magari non così lontana dalla nostra realtà, che in qualche caso ha portato verso una fine tragica.

Il testo, nel suo complesso, attraverso la narrazione di brevi racconti, porta il lettore a una riflessione introspettiva.
LinguaItaliano
Data di uscita17 mag 2021
ISBN9788868675592
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    Anteprima del libro

    Relazioni pericolose - Alessandro Gianesini

    163

    Petrarca

    Sabato 12: il risveglio

    Solo et pensoso i più deserti campi

    vo mesurando a passi tardi et lenti,

    […]

    Cazzo, i carabinieri: e ora che faccio?

    Nessuna pianta, nessuna stradina, cosa mi è saltato in mente? Ok, mi giro e faccio finta di niente. Merda! Mi hanno visto…

    La luce del mattino entra dalla tapparella rimasta aperta e mi trafigge le palpebre; mi giro dall’altra parte, ma la mia faccia finisce nei suoi capelli biondi: hanno un buon profumo e io me ne riempio i polmoni.

    «Ehi, che c’è?» ha la voce impastata e si dimena un po’.

    «Niente, sta’ tranquilla» la bacio dietro l’orecchio e mi alzo. «Tu continua pure a dormire» anch’io ho la bocca impastata, e la bottiglietta d’acqua sul comodino è vuota.

    Che razza di sogno era? Petrarca? La quarantena?

    Vado in bagno e mi lavo la faccia. E perché l’ho fatto? Perché l’ho baciata? Nemmeno ricordo il suo nome…

    Mi stiracchio e mi metto a pisciare, sbirciando fuori dalla finestra: è sabato ed è l’alba, praticamente. Che cazzo ci faccio già in piedi? «Alice!» sorrido trionfalmente; lo scrollo e lo rimetto nei boxer. Sì, il nome è quello… forse.

    Mi lavo le mani e vado in cucina. Accendo la macchinetta e mi faccio un caffè: c’è la sua borsetta sul divano. Mi guardo intorno come se fossi un ladro, ma alla fine ci guardo dentro: telefono, agendina, chiavi della macchina. Ecco, il portafoglio!

    Come fa a starci tutta ‘sta roba in una borsetta così piccola? C’è pure la mia cravatta, ma se la tolgo, poi, se ne accorge che ci ho guardato dentro e magari mi fa una scenata. Fa niente: se la tiene, me ne comprerò un’altra.

    La carta d’identità conferma: Alice. Alice Quintana: ma che razza di cognome è?

    Rimetto tutto com’era e torno in camera da letto.

    Quasi mi dispiace svegliarla, ma già ho fatto un’eccezione a farla dormire qui: non era certo in grado di guidare ieri sera. E poi dicono che sono un bastardo: ho fatto in modo che non si ammazzasse e sono fiero di me. Certo, avrei potuta riaccompagnarla e tornare a piedi, oppure riaccompagnarla e poi ritornare a casa con la sua auto, ma questo mi costringeva a rivederla. Un bel pasticcio. Ormai è fatta. Però è bello guardare le sue tette che si alzano e si abbassano a ogni respiro.

    Sì, certo: a chi la racconto? Sto solo temporeggiando. Non ci credo nemmeno io a… Hai finito? Basta con questa sceneggiata: se ne deve andare!

    Mi chino accanto al letto e col dito le sfioro i capelli e glieli levo dalla fronte per poi baciargliela; lei sorride senza aprire gli occhi.

    No, non posso. Un idiota, ecco cosa sono. È ora che se ne vada, meglio per entrambi.

    «Alice?» le sfioro il nasino e le bacio pure quello; mi risponde con un «Mhmm». Scuoto la testa e guardo il soffitto.

    «Alice, tesoro» le sussurro all’orecchio «non vorrai farti trovare qui quando torna mia moglie, vero?»

    Spalanca gli occhi e si mette a sedere, tirandosi su il lenzuolo a coprire il seno nudo; se non fosse che la sto cacciando, tornerei a letto con lei: non so se è stata la migliore scopata, ma era da un po’ che non me la spassavo così.

    «Tua… tua mo… moglie?» balbetta, sbattendo le palpebre e inizia a guardarsi attorno.

    «Sto scherzando, tesoro» le sorrido. «Avresti dovuto vedere che faccia!» mi lancia una scarpa tacco dodici e per poco non mi prende in un occhio. «Ehi, ma sei impazzita?»

    «Sei uno stronzo» mi ringhia contro nell’alzarsi. «Solo uno pezzo di merda fa di questi scherzi» si china a raccogliere il reggiseno. «Girati, non voglio che mi guardi!»

    Ahia, l’ho fatta incazzare e un po’ mi spiace, ma la scena è comunque divertente, così mi allungo e afferro le sue mutandine di pizzo bianco. «Posso tenere almeno queste, come ricordo?» sghignazzo e schivo il suo slancio per venirsele a riprendere.

    «Ridammele! Sei proprio uno stronzo, sai?» ma io faccio di no con la testa, tenendole lontane dalla sua portata, quindi si mette a battere i pugni sul mio petto, e sembra che abbia le lacrime agli occhi. «Sì, sei proprio uno stronzo.»

    Mi insulta a ogni colpo e sento che singhiozza: il rimmel le cola lungo le guance.

    Lascio cadere per terra il suo intimo e le blocco i polsi: «Sono uno stronzo, hai ragione, ma posso sempre farmi perdona…» mi assesta una ginocchiata nelle palle che mi toglie in fiato. Mi accascio boccheggiante.

    «Tienitele pure…» si riveste davanti a me senza rimettersi le mutandine. «Però stasera, quando torno, le voglio lavate e stirate come si deve, stronzo!» mi appoggia il piede sulla spalla e sotto la gonna corta si intravede la peluria della sua vagina. «Capito, stronzo?» annuisco e lei mi spinge indietro, facendomi finire lungo e disteso. «Stasera vedi di farti perdonare» mi scavalca e io riesco a dare un’altra sbirciata «oppure te li ritrovi in gola, i coglioni.»

    Due volte di seguito con la stessa? Alice.

    Mi sto rammollendo, è così. Però, Alice…

    Idiota, sono solo un idiota. Alice Quintana: che cosa mi hai fatto?

    Venerdì 11: la cena

    Dove sei finito, Andrea? Non è che mi dai buca, vero?

    Sono qui da quasi un’ora e ho già bevuto due bicchieri di prosecco: il barista, quando non fa battute per provarci, mi guarda le tette; continuo a ridere come un’oca, ma sento che il vino sta facendo effetto.

    E tu non arrivi: dove sei? Ti ho anche mandato un messaggio, ma non l’hai ancora letto. Ora ti chiamo…

    «Ehi, ciao!» mi prende per le spalle e mi bacia sulle guance «Scusa per il ritardo, ma l’ultimo cliente…» sì, l’ultimo cliente, certo… Non lo ascolto nemmeno, mi sta dicendo qualcosa sul farsi una doccia, ma non riesco a smettere di fissare quel suo bel faccino, la barbetta incolta e gli occhi: come si fa a non perdersi in quel verde? «Che dici, andiamo?»

    «Come, scusa?» sbatto le palpebre e deglutisco.

    Mi si avvicina e me lo ripete all’orecchio: «Ho chiesto se vogliamo andare. Tutto a posto, tesoro?».

    Annuisco e mi schiarisco la voce: «Ce… certo» continuo a far cenno di sì, mentre cerco nel portafoglio i dieci euro: il barista li prende, lascia il resto e saluta, ma si vede che gli girano le palle. Cosa credeva? Che fossi lì per lui?

    «Hai bevuto qualcosa, intanto che aspettavi?» mi cinge i fianchi e mi scorta all’uscita «Se vuoi guido io…» continuo ad annuire. Avrò le guance rosse da far spavento: perché ho bevuto? Farò la figura dell’idiota e non lo rivedrò più, ci scommetto. Lui però spinge la porta del bar e mi fa passare. Io, intanto, traffico ancora con la borsetta in cerca delle chiavi.

    «Tieni…» gli sfioro la mano e lui mi sorride, iniziando a premere il pulsante d’apertura. Le frecce lampeggiano, si sente il bip della chiusura centralizzata e ci dirigiamo verso l’auto. Anche se si è tolto la cravatta, che gli spunta dalla tasca della giacca, è elegante in quel completo blu.

    «Prego, prima le signore…» mi apre la portiera e attende di fianco, ma non stacca gli occhi dalle mie gambe: bene! Soldi ben spesi, quelli dall’estetista. Sale anche lui e sistema sedile e specchietto: «Era per le otto, giusto?» allunga il braccio verso di me e sussulto, ma si sta solo appoggiando al sedile per fare la retromarcia e uscire dal parcheggio.

    «Sì, avevi detto alle otto, otto e un quarto…» mi metto la cintura e lo guardo: «Siamo in ritardo?».

    «No, sta’ tranquilla: conosco una scorciatoia per evitare il traffico» mi guarda e ammicca. «Scusa per la macchina, ma la mia mi ha lasciato a piedi col motorino d’avviamento» scrolla le spalle e inclina il busto verso di me, con una mano sulla leva del cambio e l’altra sul volante. «Sei mai stata al Belvedere?»

    Io scuoto la testa: «No, mai stata» mi guardo la gonna nera. «Dici che il vestito va bene…»

    «Non te l’ho ancora detto che sei bellissima? Allora sono proprio un maleducato» mi rimira da capo a piedi e io abbasso subito la testa. «Ehi! Che succede, tesoro?» mi prende la mano e se la porta alla bocca. «Non mordo mica! Non subito, almeno…» e si porta le mie dita alla bocca, fingendo di addentarle.

    «È che…» non ho più salivazione e fatico a deglutire «Niente, sono solo contenta di uscire a cena con te» ritiro la mano e gli prendo la cravatta che fa capolino della giacca. «Se vuoi, questa, te la tengo io.»

    Mi fa cenno di sì, tornando a guardare la strada: «Grazie, me n’ero scordato: meglio che in tasca, sicuro».

    Il panorama è stupendo e il tavolo che ci hanno riservato è proprio vicino alla balaustra: si scorge buona parte del lago. Lui è brillante e si vede che è a suo agio: ordina il vino e le pietanze per tutti e due, ma prima mi chiede se va bene la scelta. È strano essere qui con lui: fino a un mese fa nemmeno sapeva chi fossi e aveva una ragazza diversa…

    Oddio: non è che poi, dopo stasera… Sì, può essere; però, se mi comporto come si deve, magari…

    Basta, cerchiamo di goderci questo momento; poi vedremo che succede, ma intanto la testa si abbassa.

    «Ehi, tesoro» mi sento addosso i suoi occhi verdi e quando sollevo lo sguardo dalle mie mani, appese al bordo del tavolo, li incrocio: il tempo sembra rimanere sospeso per un momento, poi lui fa un cenno e io allungo la mano, che lui mi afferra con delicatezza; col pollice mi carezza le nocche: «Allora, ti piace il posto?» mi guardo di nuovo intorno e le luci accese dei paesi del lungolago si riflettono sull’acqua creando un effetto meraviglioso. «Volevo che fosse tutto perfetto: per fortuna non ha piovuto.»

    Il cameriere porta il vino e gliene versa un goccio: lui assaggia e dà l’ok. Poi versa a me per prima. Andrea mi guarda, mi strizza l’occhio e, quando l’altro se n’è andato, alza il calice: «A questa splendida serata?».

    I bicchieri tintinnano e io bevo: è buonissimo. «Sai che non me l’aspettavo un tuo invito?» poso il bicchiere e mi sporgo verso di lui: «Mi piace star qui con te, però ecco…».

    «Non è colpa di nessuno se non ci hanno presentati prima!» sorseggia il vino e sbircia verso i tavoli che ci affiancano «Ogni tanto vengo qui con dei clienti, ma credo non mi abbiano mai visto con una donna» si protende in avanti. «No, mi sbaglio: una donna ce l’ho portata, in effetti» ridacchia «ma aveva almeno il triplo dei tuoi anni, quindi non conta.»

    «Scemo…» bevo un altro goccio di vino e il cameriere arriva con gli antipasti.

    Mangiamo e parliamo, lui racconta aneddoti divertenti e ascolta quando gli racconto

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