A pie' di Parigi
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Anteprima del libro
A pie' di Parigi - Stefano Rossi
A piè di Parigi
romanzo breve
Stefano Rossi
Published by Giuseppe Meligrana Editore
Copyright Meligrana Editore, 2013
Copyright Stefano Rossi, 2013
Tutti i diritti riservati
ISBN: 9788897268987
Meligrana Editore
Via della Vittoria, 14 – 89861, Tropea (VV)
Tel. (+ 39) 0963 600007 – (+ 39) 338 6157041
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INDICE
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Stefano Rossi
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I
II
III
IV
V
VI
Ultimo capitolo
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Stefano Rossi
Stefano Rossi è nato a Pesaro nel 1981, dove attualmente vive e lavora. Si avvicina alla letteratura sin dai primi anni dell’adolescenza. Autodidatta da sempre, è in continua ricerca d’ispirazione nei campi del cinema, del teatro, della musica, della letteratura... Divede il suo tempo tra lavoro, scrittura e viaggio, quest’ultimo ulteriore fonte d’ispirazione.
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rstf@libero.it
La Bellezza di Parigi sta nella consapevolezza
che chi l’attraversa, finanche lungo le vie meno battute,
sa di ritrovare quella sua poetica e sognante eleganza sempre…
e mai e poi mai sarà abbandonato,
confortato come dentro l’abbraccio di un immenso teatro.
I
Da qualche giorno frequentava il Café Des Amis.
In quel periodo gli andava di stare semplicemente lì, escludendo qualsiasi altro angolo della città. Le sue mani saltavano da un alcolico a una sigaretta, e a un’altra sigaretta ancora. La mente sciolta da particolari pensieri o premure.
Questi periodi capitavano spesso e lui li accoglieva come si accetta un regalo gradito, talmente poi erano costanti nel tempo. Così rassomiglianti al ritorno delle stagioni durante l’anno. Bastava suonasse un solo campanello, perché lui comprendesse in anticipo l’andamento dell’intera melodia di quei giorni.
Simili giornate non si riempivano tuttavia solo di fumo e alcol nell’abbraccio di sedie e tavoli del Café Des Amis. Un’ulteriore abitudine, gemella di queste, faceva capolino ostinatamente.
Si occupava, quasi fosse un tic nervoso, di contemplare e fantasticare sugli sconosciuti che gli capitavano intorno. Chiunque casualmente finisse sotto il suo sguardo veniva, nello spazio di qualche attimo, soppesato e valutato.
Un giochetto istintivo della mente. E messo in pratica, anche se ancora non se l’era chiarito con la sua coscienza, per il semplice gusto di intuire quel mistero vago e unico che abita dentro le vite di altri.
Scusi.
chiamò alzando un poco la mano.
Sì?
gli rispose il cameriere avvicinandosi e inclinandosi leggermente.
Me ne porta un altro?
.
Certo
, togliendo dal tavolo il bicchiere vuoto.
La giornata era nuvolosa, ma non troppo fredda. Iniziava l’ultimo autunno che avrebbe messo la parola fine agli anni Venti. Quel due
posizionato sul valore delle decine, come accade nei tondi contachilometri delle vetture, sarebbe a poco a poco slittato sotto e scomparso, lasciando l’intera scena per dieci lunghi anni al nuovo venuto, il numero tre.
Julien, così si chiamava, di quei ruggenti anni Venti non aveva udito nemmeno il più sommesso guaito. Proveniva dalla tranquilla esistenza di un piccolo cantone di Marsiglia e si trovava a Parigi sotto la spinta entusiastica del suo amico Michel. Aspirante pittore che, nelle lunghe notti all’osteria del paese, andava continuamente dicendo di essere alla ricerca di un valido compagno con il quale sbarcare insieme nella città che più di altre inneggiava alla vita. Cosicché Julien, pure lui sensibile al canto di sinuose sirene di marmo, si era lasciato facilmente irretire. Aveva inoltre messo da parte un discreto gruzzoletto lavorando con il padre, come aiutante, presso un negozio di riparazioni meccaniche. Ma il futuro che vedeva prospettarsi dinanzi non era certo dei più rosei: i lamentosi discorsi paterni che ogni santo giorno gli toccava sorbire e i racconti di Michel, protratti a osteria chiusa sotto il chiaro di luna, contribuirono a fare il resto.
Mentre disponeva magistralmente un po’ di tabacco lungo la cartina, una donna entrò velocemente dentro il Café, dirigendosi subito verso il bancone.
Julien portò la sigaretta appena fatta alle labbra e intuì che la giovane donna avrebbe chiesto informazioni.
Rue de Lorrain… sa per caso verso dove devo andare?
.
Mentre gioiva per la felice intuizione, strisciò il fiammifero e accese. Ma non sentì la risposta che il cameriere diede alla signora. Udì solo ...esatto, quello lì vicino
. Lei si voltò di corsa e portandosi dietro il rumore dei tacchi, uscì dal Cafè.
Forse lavoro...
stava riflettendo Julien, di quelle riflessioni leggere come l’aria che nemmeno ti accorgi che stanno transitando, ...un incontro di lavoro... o un’amica, un’amica che la sta aspettando, un’amica che sta a Parigi e lei invece è di fuori...
.
Attese inutilmente l’infrangersi del fumo contro il soffitto, dopo averlo sbuffato verso l’alto. Scrollò via la cenere dalla sigaretta. Osservandola gli vennero d’un tratto in mente quei primi giorni in cui aveva iniziato a fabbricarsele da solo. Specialmente a quella volta che, seduto sulla panchina di una piazza, gettava un fallimento dietro l’altro all’interno di un cestino al quale vide bene di mettersi accanto. E rideva, rideva, si sentiva imbranato, ma continuava a ridere, poiché era sempre stato uno spettacolo estremamente buffo e strambo per lui osservare qualcuno alle prime armi di qualche mestiere.
Il cameriere venne a posargli sul tavolo il bicchiere appena ordinato, allora Julien si riebbe e tornò ad interessarsi di una ragazza seduta a un angolo del Café. Era la miglior occupazione che aveva trovato in quel giorno d’inizio autunno.
Gli piaceva.
All’inizio gli pareva solo bella. Poi col passare dei minuti si fece interessante. Ora, osservandone qualche gesto e notando semplicemente come la sua presenza risaltava tra quei tavolini, ora, si accese qualcosa di più di un semplice interesse.
D’altronde aveva sempre saputo -uno dei pochi concetti di grazia usciti dagli eterni discorsi paterni- che il serioso valore delle cose di pregio è un profumo percepito prima lieve, con vaghi sentori, e poi acuto, con l’intera dolcezza del suo corpo.
Ciò che stava provando era il fresco mistero di una nuova bellezza all’angolo del Café. Un canto tra i tanti, delle sinuose sirene di marmo.
La ragazza era entrata sola, ma dava l’idea di aspettare qualcuno.
Impiegava il tempo con mille nonnulla: a volte girava la gamba osservandosi il tacco nero o prendeva la borsetta e giocava prima con il portafogli, passando poi al rossetto.
Dava la sensazione insomma, di costringersi a trattenersi ferma al suo posto.
Era una donna distinta, non gli venne di considerarla solo una ragazza. Ma aveva quel fascino, quella femminilità che la faceva apparire donna.
Indossava un vestito piuttosto elegante, di colore nero che la copriva dal seno, dov’era arricchito da un arabesco di pizzo, sino a scendere sotto le ginocchia. Una lunga maglia che fungeva da soprabito, di lana e di colore grigio scuro, sbottonata sul davanti, le correva aderente lungo le braccia e le copriva i fianchi fasciandoli, sino a quasi tutta la lunghezza dell’abito nero. E una sottilissima pelliccia nasceva sul risvolto di questa, girandole attorno al collo sino a scendere poco sotto il seno.
I suoi capelli erano neri, lunghi sin sulle spalle, dove si rigiravano raffinatamente ondulati. E una ciocca, più volte, insisteva nello scendere a nasconderle un poco l’occhio sinistro.
Un naso perfetto da passare inosservato. Vistose palpebre adombrate da un trucco scuro si chiudevano e si aprivano su grandi occhi castani contornati da lunghe ciglia nere. E delle labbra disegnate ugualmente