Céline segreto
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Anteprima del libro
Céline segreto - Lucette Destouches
Le stelle
titolo originale
Céline secret
Lucette Destouches
Véronique Robert
CÉLINE SEGRETO
a cura di Francesco Piga
traduzione di Maruzza Loria
© 2012 Lantana editore srl
© 2001 Éditions Grasset & Fasquelle
Note al testo francese a cura di Maruzza Loria
Il saggio di Francesco Piga La verità di Céline: la notte e la morte
è precedentemente apparso su «Nuova Antologia»,
n. 2258, aprile-giugno 2011.
ISBN: 978-88-97012-77-1
www.lantanaeditore.com
Nell’elaborazione grafica in copertina: false carte d’identità utilizzate
per uscire dalla Francia nel 1944, intestate a «Louis François Deletang,
rappresentante» e «Lucile Alcante, professoressa di educazione fisica».
Dettaglio di una lettera a Albert Paraz (1956):
«...che sia sotto l’occupazione o a Sigmar o a Montmartre...
sono sempre io il capro espiatorio!»
«È con te che voglio finire la mia vita, io ti ho scelto per raccogliere la mia anima dopo la mia morte» Louis-Ferdinand Céline
Danzatrice presso l’Opéra di Parigi, la giovanissima Lucette incontra l’autore di Viaggio al termine della notte nel 1936, nella Francia del Fronte popolare. Quello che nasce è un rapporto fatto di poche parole, ma in cui immediatamente ciascuno riconosce il bisogno assoluto dell’altro. Sono anni cruciali, per la carriera e il destino di Céline, nel corso dei quali cede ai richiami dell’antisemitismo e dell’anticomunismo viscerale, ma concretamente fondato sull’esperienza dopo un viaggio in incognito in Russia, in seguito al quale denuncerà gli orrori di Stalin. Lucette e Louis-Ferdinand condividono tutto: l’arte, la guerra, la fuga attraverso la Germania, l’esilio in Danimarca e il processo per collaborazionismo, la condanna per antisemitismo, l’ostracismo della pubblica opinione e della critica. I personaggi della scena letteraria e culturale di quegli anni intersecano a vario titolo l’esistenza di Céline e Lucette – da J.-P. Sartre a Gaston Gallimard, da Albert Camus a Marcel Aymé, da Dubuffet a Paul Morand a Arletty – e vengono in queste memorie tratteggiati rapidamente, in maniera efficace e imparziale. Allo stesso modo, con lucida leggerezza, sono rievocati i momenti terribili della povertà, la solitudine, le malattie, il grande amore verso gli animali. Ciò che colpisce di queste memorie – trascritte dalla voce di Lucette quasi novantenne per mano dell’allieva Véronique Robert – è prima di tutto il sentimento vivo di fedeltà e di totale dedizione nei confronti di Céline. Lucette non vive nel ricordo del passato, ma in una condizione di assoluta fedeltà, verso un uomo il cui nome è ancora oggi in bilico tra la consacrazione e lo scandalo.
CÉLINE SEGRETO
Vogliamo ringraziare Martine Boutang e François Gibault.
Che trovino qui l’espressione della nostra riconoscenza.
Le danzatrici, le vere, quelle nate,
sono fatte per così dire di onde!...
solo carne, rossori, piroette!...
le loro braccia, le loro dita... capite!...
È utile nelle ore atroci...
al di là delle parole allora!...
basta parole! Le mani solamente!
Le dita...un gesto, una grazia...è tutto...
Il fiore dell’essere...
palpitate di cuore, tornate a vivere!...
Sordo? Muto? Incatenato?
Allora... Una danzatrice vi salva!
Louis-Ferdinand Céline,
Pantomima per un’altra volta
Capitolo I.
Nella sauna: l’infanzia, la madre Gabrielle, gli animali.
«Véronique, tesoruccio mio, vieni presto, ti aspetto nella sauna».
Come al solito, Lucette comincia la sua giornata con un’alternanza di caldo e di freddo che la rimette nel proprio corpo e accoglie il mio arrivo con la sua voce flautata.
Qui tutto è unicamente odore di eucalipto e di lavanda mescolati. Le piace distillare questo profumo violento che ci afferra prima ancora di aver varcato il cancello, dall’inizio del sentiero, come un’anticipazione di quel che ci aspetta. È il suo profumo troppo forte che lei non smette di spargere per casa e perfino nell’acqua di un bagno che sfugge attraverso le condutture, profumando il sottosuolo intorno. È il suo marchio di fabbrica come la moltitudine di cesti accumulati, le innumerevoli candele e i flaconi di profumo vuoti e abbandonati. Anche gli ululati dei cani, i fischi di Toto il pappagallo, sono lei. Anche lei e soltanto lei, quel mondo strano e avvincente che si sovrappone alla realtà, che ci sorprendiamo a pensare immaginario e che temiamo di veder svanire. Un po’ come lei, che invecchia dolcemente e la cui vita è appesa quasi soltanto a un filo.
A tutta velocità, mi precipito giù per le scale e la raggiungo in cantina nella sauna. Chiudo gli occhi, mi arrotolo come una conchiglia e l’ascolto raccontare.
Dalla morte di Louis, la vita non mi interessa più. È come se con lui avessi nuotato in un fiume puro e trasparente, e adesso senza di lui mi ritrovassi in un’acqua sporca e fangosa. Siamo stati solo noi due e nessun altro per venticinque anni. Lui mi proteggeva da tutto e io gli ho dato tutto.
Ho voluto fermare la mia vita come un orologio che non avrei avuto più la forza di ricaricare, mi sono infilata in qualcosa che mi paralizza.
So che se si interessano a me è perché, un giorno, la mia vita ha incrociato quella di Céline. Sfortunatamente, i miei ricordi sono come petali che cadono da un mazzo i cui fiori sono morti.
Era la storia di Céline, non la mia, ma da questa vita io sono uscita bruciata.
Se, come a teatro, dovessi definire il mio personaggio, direi che si tratta di una presenza, una dama di compagnia, non una partecipazione.
Adesso non esco più, non mi muovo più, ma quando sono nel mio letto, di notte, di giorno, percorro la mia vita a ritroso e un’immagine prevale più forte sulle altre. Allora devo solo lasciare che il film del mio cinema interiore scorra lentamente.
Ho un anno, sono sull’Île Saint-Louis nel mio passeggino, una donna si precipita addosso a me, mi strappa dalla carrozzina e dice a mia madre: «Sapendo tutto quello che vivrà, sarebbe meglio per lei se venisse gettata nella Senna».
Se, al momento della nostra nascita, potessimo vedere disegnarsi il filo della nostra esistenza, forse nessuno vorrebbe nascere. In ogni caso, io oggi non ricomincerei la mia vita, oppure al contrario, vorrei nascere vecchia e morire giovane.
Ho sempre creduto alle onde, alle premonizioni, alle streghe e alle fate, a un’intera esistenza segreta che non ha smesso per tutta la vita di mandarmi segnali.
Solo due esseri hanno veramente contato per me: mia madre e Céline. Due sole passioni mi hanno nutrita completamente: la danza e gli animali.
Ho adorato mia madre, è la persona al mondo che ho amato di più e che mi ha così mal ricambiato. Mi ha avuta a diciassette anni. Come in Nana, l’ho divertita fino a tre anni, dopo si è fatta degli amanti; per vederli mi rinchiudeva, mi ha iscritta in collegio. Mi vestiva con i suoi abiti vecchi, avevo l’aria di una stracciona. Con mio padre al fronte, ha dovuto mettersi a lavorare e mi ha piazzata dalle suore.
Era prima venditrice da Lanvin. Lì trovava come soddisfare il suo gusto per il lusso e l’amore. Amava il sesso per il sesso, era una gaudente, non una ninfomane. Aveva una pelle straordinaria e capelli biondi immensi che si tagliò perché era di moda. Attirava gli uomini. Io dovevo chiamarla col suo nome, «Gabrielle». Non era una madre, aveva qualcosa di snaturato, di mostruoso...
Beveva, giocava, mi derubava per appagare la sua passione, credo che avrebbe voluto che facessi la cortigiana per poterla mantenere.
La sua vita è stata come un romanzo. È nata su una punta di Dieppe, l’imbarcadero, per morire sull’altra punta, la scogliera. Ha fatto il giro. Se n’è andata, dopo l’estrazione dei denti del giudizio si è manifestata un’emorragia e, svuotandosi del suo sangue, è morta da sola sulle rocce. Alla fine, beveva solo champagne e mangiava solo ostriche.
Durante il mese successivo alla sua morte ho ricevuto alcuni modelli di alta moda di Patou che lei aveva ordinato e che io ho dovuto pagare. Era una donna da debiti, ne ha fatti per tutta la vita.
Ecco tutto quel che posso dire su mia madre, ma ho amato molto anche mio padre. Mamma era fiamminga e lui normanno. Porto dentro di me queste due origini, ma se in Belgio, a Ostenda, non provo nulla, l’odore del tiglio di Normandia mi fa piangere. Penso a un sole di Turner. Mia nonna aveva nell’Orne una casa con un tiglio. A cinque anni, mi ha fatto giurare di non tagliarlo mai. Quando ho venduto la fattoria, non ho fatto che pensare al tiglio, l’avevo tradita.
Mio padre desiderava più di tutto un figlio maschio. Quando sono nata, non mi