Langer: La conversione ecologica
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Giulio Marcon
Nato a Roma nel 1959 e laureato in Filosofia con una tesi sulla nascita del Welfare State in Gran Bretagna, Giulio Marcon è stato negli anni Ottanta segretario generale per l’Italia del Servizio Civile Internazionale e negli anni Novanta portavoce dell’Associazione per la Pace e presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà. Ha fondato l’associazione Lunaria ed è stato fino al 2013 portavoce della campagna Sbilanciamoci. Ha insegnato Politiche Sociali e Terzo Settore nelle università di Urbino e Cosenza. È stato deputato e membro della Commissione Bilancio della Camera dei Deputati.
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Anteprima del libro
Langer - Giulio Marcon
Parte prima
ALEX LANGER
L’AMBIENTALISTA CONCRETO
di Giulio Marcon
COSTRUTTORE DI PONTI
Sicuramente Alexander Langer (1946-1995)¹ può essere considerato uno dei più convinti ed originali precursori della decrescita. Non sempre usò questo termine ma molte delle sue considerazioni e delle sue proposte possono essere fatte risalire a questo progetto. I suoi scritti, la sua azione politica e i suoi comportamenti sono incardinati sulla ricerca di una società fondata sulla convivialità e la sobrietà, sulla riconversione ecologica dell’economia e su una qualità della vita rispettosa dei diritti delle persone e del pianeta. Pacifista e ambientalista fu uomo del dialogo e della convivenza. Era un costruttore di ponti e non solo tra le persone e le comunità. Ma anche tra le culture politiche e sociali, tra movimenti e associazioni. Era cultore di una politica fondata sulla coerenza tra mezzi e fini, tra le parole e i comportamenti. Gli esempi sarebbero molti, l’elenco lungo. Eletto parlamentare con i Verdi, destinò costantemente parte della sua retribuzione a progetti, campagne, iniziative sociali ed ambientali. Rendeva pubblica la sua nota spese. A lungo si recò all’Europarlamento di Strasburgo in treno, evitando l’aereo troppo inquinante. Fu obiettore di coscienza alle spese militari e disobbedì al censimento etnico voluto dalla Südtiroler Volkspartei in Sud Tirolo.
Proprio nella sua terra sperimentò le coordinate di un impegno a tutto campo che poi lo portò in Europa e in tutto il mondo. L’esperienza del rifiuto dell’esclusivismo e della segregazione etnica in Sud Tirolo e la conoscenza, l’esperienza del dramma in ex Jugoslavia lo portarono a elaborare una proposta di convivenza multietnica (un decalogo concreto e pieno di spunti originali) ancora oggi di grande attualità². Sempre in Alto Adige, l’amore per il suo territorio e il suo paesaggio, per l’equilibrio tra salvaguardia dell’ambiente e la dimensione locale, lo portò a mettere in campo un ambientalismo pragmatico, concreto (come lo era quello dei contadini e dei montanari di quelle terre), scevro da ogni ideologia e fondamentalismo. Fu un verde ecopacifista, come lo erano i Verdi in Sud Tirolo e in Germania. In Italia gran parte della leadership pacifista che aveva guidato nei primi anni ’80 il movimento contro l’installazione dei i missili a Comiso non aderì al movimento dei Verdi. E il movimento della pace nel suo complesso (dove c’erano componenti legate al PCI e alle forze della nuova sinistra) a differenza di ciò che avvenne in Germania, non si unì alla nuova forza politica. La dimensione inter-etnica dei suoi primi anni di impegno in Sud Tirolo lo portò sempre a una altissima sensibilità delle relazioni internazionali e delle peculiarità del rispetto di ciascun popolo: sapeva dire le principali parole che servono a entrare in contatto con le persone (grazie, buongiorno, come stai, mi chiamo… ecc.) di un altro paese in decine di lingue. D’altronde ne parlava correttamente molte: italiano, tedesco, spagnolo, inglese, francese… Langer aveva un interesse per le persone non strumentale. Nel «volto delle persone», nell’Altro, per dirla con Emanuel Levinas, riconosceva il rapporto con il mondo, la concreta e immediata trasfigurazione dell’umanità. Ricorda Langer:
In passato ho forse imparato di più dai libri. Nei tempi più recenti mi sembra di imparare di più dagli incontri (ma forse era così anche prima e il ricordo mi inganna). Tra le maggiori fortune che mi sono state date in sorte, considero i rapporti con le tante e diverse persone che ho potuto incontrare e conoscere. In gran parte si tratta di incontri che non mi sono stati regalati in virtù di qualche posizione o ruolo (essere figlio di… frequentare la casa di… ricoprire la carica di…) ma conquistati e costruiti, per così dire, in proprio. Cosí mi è concesso, fino ad oggi, di conoscere persone di indole, posizione e cultura assai differente, e di stabilire scambi e amicizie su tanti piani e in tante direzioni. E se può essere emozionante conoscere da vicino Kreisky o Pertini o Gheddafi o Ingrao o Sofri o Illich, non è certo meno gratificante e fonte di arricchimento interiore coltivare amicizie e scambiarsi idee e affetto con chi non scriverà mai sui giornali né vi troverà mai stampato il suo nome. Posso dire che rifuggendo drasticamente dai salotti e dalle persone che mi cercano in funzione di qualche mio ruolo, vivo come una delle mie maggiori ricchezze gli incontri – già familiari o nuovi che siano – che la vita mi dona. Vorrei continuare ad apprezzare gli altri ed esserne apprezzato senza secondi fini. Forse anche per questo converrà tenersi lontani da ogni esercizio di potere³.
Lontano dall’esercizio del potere, fu un artigiano della politica e un innovatore dell’azione sociale e ambientalista. Praticò sempre l’azione collettiva, ma non fu mai «uomo di partito» o di organizzazione: fu sempre indipendente e autonomo, fino alla ricerca di una sua dimensione individuale – in alcuni casi solitaria – dell’impegno. Non si risparmiò mai, non ebbe mai per lui quella coscienza del limite che invece rivendicò sempre per il rispetto del pianeta e delle sue risorse materiali e naturali. Fu considerato naturalmente leader, aveva un carisma innato, non ricercò mai il facile consenso, non usò mai scorciatoie populiste e non si circondò di falsi estimatori in cerca di qualche vantaggio. Come rappresentante dei Verdi fu uomo di cerniera con altre culture politiche: non solo quella del cattolicesimo progressista e della sinistra ambientalista del PCI, ma anche quella radicale (con i radicali di Pannella e della Bonino il dialogo fu sempre buono ed intenso, radicali che lo sostennero nella sua esperienza politica in Sud Tirolo⁴) e socialista. Come Berlinguer disse che i comunisti avrebbero dovuto essere conservatori e rivoluzionari, così Langer disse che i Verdi dovevano essere politicamente radicali, ma anche conservatori (6.85)⁵. Dovevano cioè essere in prima fila per conservare l’integrità del pianeta messa in discussione dall’economia mercantilista; per conservare i valori vernacolari di una società messa in pericolo dal consumismo; per conservare il pianeta alle future generazioni. I Verdi per Langer non dovevano essere semplicemente un appendice o una riedizione della sinistra, ma dovevano fare di tutto per «sviluppare piena autonomia e per recuperare un saldo rapporto con elementi della tradizione e della «conservazione»⁶. Soprattutto negli ultimi anni del suo impegno politico fu probabilmente non compreso e isolato nel movimento dei Verdi. Forse Langer ne percepì il fallimento come movimento che avrebbe dovuto cambiare la politica e le istituzioni e che invece da queste fu progressivamente imbrigliato. Gli ultimi anni della sua azione politica sono soprattutto all’insegna della solitudine e di un lavoro individuale, anche se sempre accompagnato da tanti compagni di viaggio: associazioni, gruppi, amici, persone singole.
Ebbe una vita ricca e piena di occasioni di impegno politico, sociale e culturale. Da giovane sposò la causa del movimento studentesco, dei cristiani delle comunità di base e dei cosiddetti «cattolici del dissenso»: a Firenze, dove studiò dopo la fine del liceo, conobbe don Lorenzo Milani, padre Ernesto Balducci, don Enzo