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Realtà Paralelle
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E-book130 pagine1 ora

Realtà Paralelle

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Info su questo ebook

Un sottile quanto tenace filo rosso lega la narrazione e crea, all’interno dei quattro racconti proposti, continue assonanze e fitti richiami interni così che i racconti sembrano appartenere ad una stessa tavolozza narrativa. Il filo è quello del sogno che sfuma i contorni dell’esistenza, delle realtà parallele che si sovrappongono tra loro e rendono labili i confini del vivere, del mondo virtuale che sconfina in quello reale, delle presenze, non sempre riconoscibili e spiegabili, che abitano i nostri cammini.
Le trame narrative di Domenica Timpano sono, per questo, inquiete e inquietanti, concrete ed evanescenti insieme. I suoi personaggi si muovono in una condizione precaria, in bilico tra questa e quella realtà che sono ad un soffio l’una dall’altra. Il linguaggio si fa gravido di sovrasensi e di rimandi. La lettura è, dunque, una sfida per il lettore calato in una sorta di fascinoso duello narrativo fatto di fendenti e affilate domande esistenziali.
LinguaItaliano
Data di uscita18 mar 2014
ISBN9788868221683
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    Anteprima del libro

    Realtà Paralelle - Domenica Timpano

    DOMENICA TIMPANO

    REALTà PARALLELE

    Proprietà letteraria riservata

    © by Pellegrini Editore – Cosenza – Italy

    Edizione eBook 2014

    Isbn: 978-88-6822-168-3

    Via Camposano, 41 (ex via De Rada) – 87100 Cosenza

    Tel. (0984) 795065 – Fax (0984) 792672

    Sito internetwww.pellegrinieditore.com – www.pellegrinilibri.it

    E-mail: info@pellegrinieditore.it

    I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

     Ai miei genitori

    A Pina, vita della mia vita

    "Ad un certo punto della vita non è la speranza

    l’ultima a morire, ma il morire è l’ultima speranza."

    (L. Sciascia, Una storia semplice)

    Il giorno buio

    Seduto su una panchina, alla fermata dell’autobus, l’uomo non si era accorto che era quasi l’una di notte. Il freddo, che si era fatto più intenso, e la stanchezza lo avevano reso insofferente. Si strinse nel paletot, alzò il bavero per ripararsi dalle folate di vento che soffiava con impeto e si infiltrava rabbioso fra gli alberi. Il suo sibilo, che a quell’ora assumeva note lugubri, si diffondeva lungo le strade deserte delimitate da antichi palazzi, le percorreva con furia fino a raggiungere gli argini della Senna, in fondo alla strada, e qui andava a infrangersi. Si portava dietro uno sciame di foglie secche che, nel loro vorticare, salivano verso l’alto, poi ricadevano e giacevano ai bordi dei marciapiedi, sotto i sedili di ferro lungo il percorso del grande viale. L’ora era tarda ma lui non aveva voglia di muoversi. Da lì poteva guardare la finestra di fronte, la finestra di quella che era stata la sua abitazione. Sostava su quella panchina, come un barbone. Lo sguardo smarrito, segni di stanchezza e dolore. Rimaneva nella speranza di vedere dietro le vetrate anche solo l’ombra del figlio. Dal tardo pomeriggio, fino a notte fonda, quello era il suo rifugio, un luogo di espiazione. Era un rischio stare lì, ma non riusciva ad andare via se non quando le luci della casa si spegnevano in tutte le stanze. Solo allora poteva ritornare in albergo, dove alloggiava. Quella sera si sentiva più triste del solito. Un forte mal di testa, inoltre, lo stava tormentando da alcune ore. Si alzò dalla panchina a stento. Le sue gambe erano anchilosate. Sentiva la gola bruciargli, le estremità fredde come il ghiaccio. Alcuni gatti in calore gli avevano fatto compagnia, ma anche loro, ormai, erano spariti. Quando fu in piedi, si portò le mani alle tempie che sentiva pulsare fortemente, rimase così qualche minuto, poi barcollò. La sua fronte bruciava. Doveva attraversare gran parte della città a piedi. Era davvero tardi e la serata non prometteva bene. Fece a tempo a rifugiarsi in un portone.

    Scrosci di pioggia si riversarono sulla città. A fatica cercò di guadagnare la strada riparandosi sotto i balconi, fino all’angolo del Boulevard Saint-Germain. Da lì raggiunse il Quartiere Latino dove, in un piccolo hotel, viveva da qualche tempo. Il bar che dava sulla strada era ancora aperto, ne approfittò per bere un bicchiere di whisky. Quando arrivò al terzo piano di quell’antica costruzione non si reggeva in piedi. Vestito si buttò sul letto, si addormentò. Fu l’addetto alle pulizie a svegliarlo alle nove del giorno dopo. L’uomo guardò l’orologio e imprecò. Doveva essere in ufficio da più di un’ora. Era in ritardo. Andò in bagno, si lavò appena il viso, senza sbarbarsi si vestì ed uscì di corsa, dopo avere ingoiato una compressa contro la febbre. La metropolitana, stracolma, lo condusse in centro, da lì fu costretto a prendere un taxi.

    Quando arrivò in banca, incontrò il direttore, proprio davanti la porta d’ingresso. Il suo disagio fu evidente, l’enorme ritardo, la poca cura di sé lo costrinsero ad avviarsi velocemente nella sua stanza. Il direttore lo convocò subito nel suo ufficio, non fu tenero per quelle sue abitudini poco civili. Egli non rispose. Sapeva bene che le regole in banca erano molto rigide. A malincuore, prese posto dietro la sua scrivania, accese il computer, una sigaretta, nonostante fosse proibito fumare, rimase così per un po’, con lo sguardo nel vuoto, fisso davanti a sé. I suoi movimenti svogliati e lenti fecero esplodere la rabbia dei clienti. Qualcuno gli diede dell’incapace, gridò che non aveva rispetto, urlò e si diresse, per denunciare l’accaduto, dal responsabile che lo invitò, con modi che non ammettevano scuse, a firmare una domanda di ferie. Non trovava argomenti a sua discolpa. Era confuso. Un senso di nausea gli salì fin nella gola. Temendo di vomitare, si allontanò dalla stanza e se ne tornò a casa. Aveva voglia di stare solo. Fece appena in tempo a prendere un taxi di passaggio e vi si abbandonò, dopo avere dato all’autista l’indirizzo dell’albergo. Lì si sentì sollevato, ma il silenzio della stanza diede voce a quel profondo senso di solitudine che lo accompagnava. Al diavolo Lucien, devi andare al diavolo, non c’è posto per te in questo mondo! ripeté battendo i pugni sul tavolo.

    L’apatia aumentava, lo rendeva instabile nell’umore, gli impediva di programmare il futuro, di credere che qualcosa di positivo potesse ancora accadergli. Davanti allo specchio non si riconosceva più. Sperava di chiudere con i ricordi, di trovare un nuovo equilibrio, ma sentimenti devastanti glielo impedivano. Per paura di altre ingiurie si era trincerato limitando i suoi spazi vitali. E non contava più i giorni, né le ore. Viveva annichilito in balìa del nulla da cui si lasciava avvolgere, inerte. A volte, reagiva allo sfacelo, si difendeva, urlava, altre, invece, si arrendeva ad uno stato di svogliatezza che lo rendeva estraneo alla vita.

    In quei momenti, sentiva forte la voglia di farla finita. In poco tempo aveva perso la famiglia, ora anche il lavoro era a rischio. Il fallimento era totale. Si distese sul letto, ma non riuscì a trovare pace. Con gli occhi lucidi, rivolti verso il tetto ingiallito, tornò indietro ai momenti più importanti del passato, per cercare di capire dove avesse sbagliato. Aveva conosciuto Sophie ad un corso di specializzazione nelle lingue straniere. Una francesina, assai graziosa, che dalla provincia era giunta a Parigi, se ne era innamorata e non aveva più avuto voglia di allontanarsene.

    All’inizio aveva preso alloggio in un albergo che la banca aveva messo a disposizione dei propri dipendenti. Concluso il periodo del corso, aveva chiesto il trasferimento e si era sistemata in un residence. La città la incantava, le consentiva di assaporare pienamente la sua libertà. Con lei Lucien aveva un rapporto curioso. All’intesa e all’amicizia si alternava l’indifferenza.

    Era Sophie a negarsi, a sparire senza dare spiegazioni, lui avrebbe condiviso volentieri con lei i giorni e le notti, rapito dalla sua sensualità. Dopo il corso, tuttavia, avevano continuato a frequentarsi, legati dalla comune passione per l’arte. Parigi era la meta ideale con i tanti monumenti, musei, luoghi storici e artistici straordinari. Indimenticabile la visita al Louvre, dove avevano trascorso un’intera giornata per ammirare bellissime opere che davano il segno della genialità dell’uomo e quella al museo Victor Hugo che custodiva le opere del grande scrittore.

    Sotto la Torre Eiffel ricordava di avere provato per lei una forte attrazione. Si era avvicinato per sentire il profumo della sua pelle e si era stretto a lei.

    Vinto dall’incanto del luogo, aveva avvertito la voglia di baciarla, ma lei era rimasta imperturbabile.

    Al diavolo! aveva rimuginato fra sé Anche i sassi qui riscoprirebbero la loro anima. Già, anche i sassi, ma non Sophie che scherniva le romanticherie. Non la capiva Lucien e non condivideva alcuni suoi comportamenti bizzarri. Sebbene li legasse un rapporto instabile, lo faceva sentire inutile, un accessorio nella sua vita, di cui servirsi solo nei momenti di noia. Si intuiva il suo carattere deciso, non amava cedere a momenti di debolezza che occultava con scatti di orgoglio.

    Lucien si era sentito intrigato da una donna così, una preda.

    La sua conquista lo eccitava, rappresentava una scommessa che voleva vincere nonostante lei si mostrasse indifferente agli sguardi che indugiavano sulle forme sinuose del suo corpo.

    Era stata Sophie, una sera, all’uscita da una festa fra amici che, all’improvviso, aveva cambiato atteggiamento. Lo aveva sorpreso. Si era stretta a lui e poi, senza esitazione, lo aveva baciato con trasporto. Che diavolo sta succedendo? si era chiesto sbigottito. Quando gli sedette accanto, in macchina, più tardi, lei continuò e non ebbe cura di coprire i seni che, dalla camicetta sbottonata, si mostravano in tutta la loro seduttività.

    Anche i suoi sguardi erano cambiati. Esprimevano desiderio. Se la ritrovò fra le braccia senza avere il tempo di riflettere. Pensò che aveva esagerato nel bere. Che il motivo di volersi improvvisamente concedere stava nella sobrietà che l’alcol le aveva regalato. E provò disagio per quella situazione che non aveva previsto in tempi così rapidi e di cui non conosceva l’origine. Ma ormai i suoi ormoni erano abbondantemente rimescolati così, nonostante tutto, si lasciò travolgere dalla voglia di lei. Mi accompagni a casa? gli disse con disincanto Pensi non abbia capito quanto mi desideri? Rise in modo ironico, poi gli prese la mano che appoggiò maliziosamente sul suo seno. Davvero non ti sembra sia giunto il momento? Rise di nuovo e si avviò verso casa dove trascorsero la notte. Lui la guardava, stupito per quella metamorfosi. Perché mi guardi? Non c’è nulla di strano, nulla. Avevo voglia di te stasera, ma nessuna fiamma arde nel mio cuore, solo chimica, ormoni da mettere a tacere disse, manifestando un dispregio dei sentimenti che lo sconcertò.

    Conosceva bene il pianeta donne, le loro stranezze, la mutabilità del carattere, le pretese, ma nessuna si era comportata come Sophie. Aveva fatto tutto lei, lo aveva scelto con determinazione senza nemmeno calcolare eventuali rifiuti. E lui, nonostante l’imbarazzo per essere stato oggetto del capriccio

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