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Travolgente ritorno: Harmony Collezione
Travolgente ritorno: Harmony Collezione
Travolgente ritorno: Harmony Collezione
E-book151 pagine2 ore

Travolgente ritorno: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Di nuovo fra le braccia di suo marito...



Dopo due anni passati in Francia, Rowan Salazar decide di tornare a Londra per discutere della custodia del figlio, rimasto con suo marito Isandro quando lei ha deciso di fuggire. Ciò che non si aspetta, però, è che il legame che la univa a Isandro sia lì ad attenderla, come se non fosse trascorsa nemmeno un'ora dal loro addio.



Una passione che non intende tacere...



Isandro non l'ha ancora perdonata per averlo lasciato senza una vera spiegazione, ma ora che lei è di nuovo lì, davanti ai suoi occhi, non può negare di provare ancora qualcosa per lei. Qualcosa di forte. Qualcosa di travolgente.
LinguaItaliano
Data di uscita10 dic 2018
ISBN9788858991435
Travolgente ritorno: Harmony Collezione
Autore

Abby Green

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Travolgente ritorno - Abby Green

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Spaniard’s Marriage Bargain

    Harlequin Mills & Boon Modern Romance

    © 2008 Abby Green

    Traduzione di Anna Vassalli

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5899-143-5

    1

    Rowan Carmichael esitò un istante prima di varcare la soglia dell’albergo. Non aveva immaginato che fosse così esclusivo. Anche se si era vestita con cura, al punto da dare l’impressione di appartenere a quell’ambiente, aveva il timore che qualcuno potesse accorgersi di quanto si sentiva disorientata. Era passato molto tempo da quando aveva frequentato un posto simile. Era accaduto in un’altra vita. Ma ora era una donna diversa. Avrebbe dovuto scegliere un albergo meno pretenzioso. Quel lusso ostentato faceva riaffiorare troppi ricordi.

    Camminava incerta, ignara delle occhiate di ammirazione che riscuoteva per i meravigliosi capelli rosso scuro e la pelle candida.

    Serrando le labbra, cercò una poltrona in cui sedersi, imponendosi di non farsi prendere dal panico. Non era il momento di pensare al passato. Vacillò di nuovo, mentre un dolore lancinante la colpì a tradimento. Un dolore intenso, nuovo, eppure antico. E a un tratto si sentì molto più vecchia dei suoi ventisette anni.

    Si sedette accavallando le gambe, e inalò profondamente. Doveva darsi un contegno. Doveva mantenere il controllo e, soprattutto, restare calma.

    Nel giro di una decina di minuti avrebbe discusso con l’avvocato sul modo migliore per mettersi in contatto con il marito - e con il bambino - che aveva lasciato due anni prima. Il dolore la ghermì di nuovo, rendendola consapevole del poco autocontrollo che aveva. Le serviva del tempo per riprendersi. Forse aveva fissato l’appuntamento troppo presto... Era la prima volta, dopo due anni, che usciva in pubblico, nella caotica, rumorosa metropoli di Londra, una città che non credeva avrebbe mai più rivisto.

    No. Non doveva indugiare in simili pensieri. Sarebbe andato tutto bene. Dopotutto, non aveva passato momenti peggiori?

    Quello era il primo giorno della sua nuova vita. Una pagina nuova, un nuovo capitolo.

    Un nuovo inizio. E forse... Un’ombra di speranza le accarezzò il cuore. Forse un’altra occasione di felicità? Per la verità, fino a quel momento, di felicità nella sua vita ce n’era stata ben poca...

    Un bambino che, correndo, cadde proprio ai suoi piedi sul pavimento di marmo, catturò la sua attenzione. Rowan si alzò di scatto e, con un sorriso rassicurante, lo aiutò rimettersi in piedi.

    «Va tutto bene, piccolo. Non mi sembra che tu ti sia fatto male. Sei un bambino coraggioso.»

    Il bimbo si reggeva sulle gambette incerte, indeciso se piangere o meno, il labbro inferiore che tremava. Era adorabile. Capelli biondo scuro, pelle olivastra e occhi immensi... del colore delle viole. Insoliti e caratteristici.

    Troppo insoliti e caratteristici.

    Lo shock la colpì come un pugno nello stomaco. Possedevano la medesima tonalità di viola di quelli che ogni giorno la guardavano dallo specchio. E quella riflessione mosse in lei qualcosa di così istintivo, primordiale e inesplicabile, che ebbe l’impressione che il mondo si capovolgesse.

    Si concentrò sul viso del piccolo. Evidentemente aveva deciso di non piangere. Lo sguardo era schietto, la bocca che si apriva in un sorriso che mostrava i dentini. Si sfregò la fronte e balbettò qualcosa di inintelligibile, ma Rowan non lo udì. Lo shock era così intenso che non riusciva neppure a respirare.

    Non poteva essere lui. Non poteva...

    Aveva sognato quel momento così a lungo da avere le allucinazioni?

    Sì, doveva essere così. Forse... Osservò il visetto e quei grandi occhi, e si impose di essere razionale. Non poteva essere lui, che diamine!

    Eppure il cuore le raccontava un’altra storia, e l’istinto reclamava a gran voce.

    Un’ondata di ansia la sommerse. Sarebbe successo ogni volta che avesse visto un bimbo di quell’età? Ma perché non veniva nessuno a prenderlo? Lei non era capace di muovere neppure un passo.

    A un tratto, un paio di scarpe nere si materializzò alle spalle del piccolo. Un uomo. Lui si mosse, e Rowan registrò all’istante la sua stazza e il suo magnetismo, che si manifestò nell’attimo in cui si chinò per prendere in braccio il bambino. L’aroma del suo dopobarba si riversò su di lei. Era familiare. Il cuore aveva già quasi smesso di battere, il sangue le si gelò nelle vene. Lasciò cadere le mani.

    Una voce profonda, fredda e ben modulata si propagò sopra il suo capo. L’uomo parlò con una cadenza appena percepibile. «Bisogna avere gli occhi anche dietro la testa, perché si muovono così in fretta...»

    Non riusciva a credere a ciò che sentiva e vedeva. L’uomo era alto, e torreggiava su di lei. Era talmente bello che il cuore le si contrasse, esattamente com’era successo la prima volta che lo aveva visto.

    Circa tre anni prima.

    Non era possibile. Era troppo, troppo crudele. La vita non poteva essere così malvagia. Eppure lo era.

    Lui stava ancora parlando, poi all’improvviso si interruppe e il caldo sorriso evaporò. Le sopracciglia bionde si arcuarono sopra un paio di occhi azzurri, del colore del ghiaccio, che la trafissero fino all’animo, squarciandolo, lasciandola esposta alla miriade di espressioni che si alternavano sul suo viso: lo shock nell’averla riconosciuta, l’incredulità... e poi qualcosa di più potente. Il disgusto, la collera... l’odio. La repulsione.

    Rowan provò a parlare, ma non riuscì a emettere un suono. Intorno a lei tutto sembrava normale, erano loro due a essere prigionieri di una bolla invisibile. Sospesi nel tempo. Uno sguardo al piccolo, ed ebbe la sensazione che il cuore le esplodesse nel petto. Era troppo. Ebbe un ultimo pensiero coerente prima di crollare, priva di sensi, ai piedi del marito. Il mio bambino!, gridò una voce dentro di lei.

    Isandro Vicario Salazar lasciò scorrere lo sguardo dalla finestra della suite in cui aveva condotto Rowan poco prima, gli occhi persi sulle torri che si scorgevano in distanza, e sul traffico caotico delle strade, ma non vedeva niente.

    Rowan Carmichael. Rowan Salazar. Sua moglie.

    Strinse le labbra. La moglie che lo aveva abbandonato, che se n’era andata poche ore dopo aver partorito, lasciando anche il proprio bambino, perché non si sentiva pronta a occuparsene. Un’ondata di collera lo sommerse, spaventandolo per la sua violenza, ma riuscì a reprimerla. Quel giorno l’aveva lasciata a riposare, dopo il parto, e qualche ora dopo, quando era tornato, aveva scoperto che se n’era andata. E non l’aveva più vista. Almeno fino a quel giorno. Barcollò, travolto dalle emozioni che l’incontro gli aveva provocato, emozioni che aveva soffocato quel giorno, quando lei aveva rivelato la sua vera natura, facendogli capire fino a che punto si fosse fatto abbindolare. Ma l’espressione del volto era impassibile.

    A un debole suono proveniente dal letto si irrigidì, e lentamente si voltò.

    Rowan attese un attimo prima di aprire gli occhi. Era un’abitudine che aveva acquisito nel corso degli ultimi due anni. Un momento prima di affrontare la realtà, un istante per effettuare un controllo delle funzioni del proprio corpo, per registrare le sensazioni, per percepire un eventuale dolore... per sentire se stava bene. Ma in quel momento, mentre udiva i clacson e il frastuono del traffico, la tensione l’assalì. Gli attimi precedenti si riversarono su di lei. L’ultima cosa di cui si preoccupava in quel momento era il dolore fisico, o lo stato di salute.

    Aprì gli occhi e lo vide. Non era stato un miraggio. Suo marito stava con la schiena rivolta alla finestra, le mani nelle tasche di un abito di alta sartoria italiana. Come la camicia. I vestiti aderivano alla sua costituzione, evidenziando ogni dettaglio, enfatizzando le ampie spalle e i muscoli possenti. Proprio come ricordava, solo che il suo fascino era ancor più devastante, in carne e ossa.

    Sapeva che era lo shock a renderla così freddamente obiettiva. Lui era, se possibile, ancora più bello, anche se il termine bello non si adattava a un uomo tanto virile. Ed era lì, davanti a lei, vivo e vegeto, non un parto della sua fantasia. La sofferenza nel trovarselo di fronte, quando sapeva quale opinione avesse di lei, era, grazie a Dio, ancora superficiale.

    «Allora» esordì lui in tono sarcastico, «non ti aspettavi di incontrarmi, a quanto pare. Sorprendente, dal momento che questo albergo è mio.»

    La mente divenne lucida e la patina protettiva dello shock evaporò. Il suo albergo? Da quando possedeva un albergo a Londra? Non aveva mai nascosto la propria antipatia per quella città. E perché mai lei aveva scelto proprio quell’albergo, tra mille?

    Senza neppure rendersene conto, era finita nella tana del lupo.

    Come mai si trovava in quella stanza?

    E poi ricordò. Era incredibile e nello stesso tempo penoso da sopportare, e riapriva una ferita mai rimarginata. Aveva visto il suo bambino. Non poteva che essere lui. Non riusciva ancora a venire a patti con quella consapevolezza, la mente si sarebbe arenata se avesse cercato di mettere a fuoco ciò che era appena successo.

    «L’ho... l’ho spaventato?» La voce era incerta.

    L’espressione di disgusto dipinta sul viso di suo marito fu come uno schiaffo.

    «No. Se lo avessi fatto, adesso non sarei qui.»

    Il tono protettivo era inconfondibile. Rowan si mise a sedere sul letto. Era ancora intontita, come se avesse la testa imbottita di ovatta. Cauta, rivolse un’occhiata a Isandro. Era una sofferenza guardarlo dopo tanto tempo. Aveva sognato quel momento così a lungo... ma ovviamente doveva ammettere di essersi cullata nella speranza che lui sarebbe stato felice di vederla. Ed era soltanto una fantasia.

    «Lo hai chiamato Zacarias?» domandò con un filo di voce.

    «Zac. Sì.»

    «Come tuo nonno...»

    Un lampo di sdegno gli passò sul volto. «Per favore, non fingere che ti interessi.»

    Rowan fece una smorfia, il viso che diventava pallido. Aveva saputo che cosa sarebbe successo affrontando Isandro, ma non aveva immaginato che il confronto fosse così imminente. Avrebbe voluto avere il pieno controllo, la possibilità di spiegare, di essere pronta... Ma chi voleva prendere in giro? In quel momento seppe che non sarebbe mai stata pronta.

    «Il tuo amante è stato mandato via.»

    Rowan, che stava per alzarsi, ricadde sul letto. Isandro la osservava con freddezza. Fece ricorso a tutto il proprio autocontrollo per non andarsene, per non scuoterla e chiederle: e allora? Ancora una volta fu scosso dalle emozioni, e si rese conto che la più violenta assomigliava molto alla gelosia. Ma si convinse che era soltanto una questione di orgoglio, che quello sconquasso che lo aveva invaso non coinvolgeva la sfera dei sentimenti. Aveva appreso quella lezione due anni prima.

    «Il mio... cosa?» Rowan lo guardò, incredula. Adesso si sentiva realmente estraniata

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