Partito Democratico. Alle origini del partito che non c'è
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Anteprima del libro
Partito Democratico. Alle origini del partito che non c'è - Valentina Avantaggiato
BIBLIOGRAFIA
INTRODUZIONE
Perché il Partito Democratico?
Il progetto del Pd ha suscitato, sin dall’inizio, un’ampia discussione all’interno del panorama politico italiano. Esso si propone, infatti, al pubblico come la grande novità
, in necessario
per rinnovare e rendere nuovamente attraente il fare politica
.
Il Partito Democratico è il risultato, però, di un crescente bisogno espresso dalle forze riformiste già dal lontano 1989 e che ha avuto i punti salienti della sua genesi nella nascita dell’Ulivo e nelle sue successive evoluzioni.
Con il crollo della Prima Repubblica, infatti, si assistette ad una profonda destabilizzazione sistemica dettata dalla scomparsa dei principali partiti intorno ai quali aveva gravitato la politica italiana dal dopoguerra in poi. Numerose furono le cause di quel crollo, dalla caduta del muro di Berlino a Tangentopoli.
Il declino dei partiti di massa liberò forze progressiste che cercarono lentamente di definire il proprio ruolo nel già fragile assetto politico italiano, rigenerandosi di volta in volta all’interno di contenitori e alleanze creati ad hoc per sopravvivere alle tendenze maggioritarie delle norme elettorali.
La legge elettorale del 1993 e il conseguente passaggio ad un sistema maggioritario rappresentarono, infatti, un importante incentivo coalizionale che facilitò il trasversalismo riformista nel suo intento di unificazione delle forze classificabili di centro-sinistra all’interno dello scacchiere nostrano. Questo è l’aspetto analizzato nel primo capitolo attraverso la ricostruzione del percorso intrapreso dal Partito Democratico fin da quando, dopo la fine della Guerra Fredda, si annunciò l’esigenza di un partito che non c’è
.
Nel secondo capitolo si cerca, dunque, di evidenziare i risvolti elettorali della proposta unitaria avanzata dal centrosinistra. Sono analizzati ed indagati i risultati delle europee del 2004, delle regionali del 2005 e delle politiche del 2006 che segnano, ufficialmente, la nascita del Pd.
Il terzo ed ultimo capitolo è mirato, invece, a mettere in luce le novità proposte dal Partito Democratico ma anche le contraddizioni che lo caratterizzano, mediante un’analisi attenta dei tre elementi fondamentali nell’assetto di un partito: forma, struttura e contenuti. Questi aspetti, raccontanti dai fondatori come direttrici ed espressioni della novità introdotta dal PD all’interno del panorama politico, sono studiati e interrogati alla luce degli obiettivi che lo stesso nascente partito si pone.
Dall’analisi di documenti ufficiali, mozioni e articoli dei principali quotidiani nazionali, emerge chiaro il forte legame tra il futuro progetto politico e il contesto istituzionale nel quale dovrà realizzarsi. L’individuazione di tale connessione e il riconoscimento della sua ragion d’essere avvalorano e argomentano l’ipotesi di un Partito Democratico nato per rispondere ad un’impellente esigenza elettorale.
CAPITOLO 1
ALLE ORIGINI DEL PARTITO CHE NON C’È
1.1 La Prima Repubblica.
Alla vigilia della manifestazione di una serie di fattori, che saranno agenti responsabili del crollo del sistema politico– partitico della Prima Repubblica, e dell’inizio di una fase di transizione, che probabilmente non è ancora terminata, l’ordine politico
si presenta sostanzialmente invariato da circa quarantacinque anni.
Fondato su un sistema istituzionale i cui tratti fondamentali erano rimasti quelli tracciati dalla Costituzione del 1948 e soprattutto garantito da un sistema elettorale proporzionalistico, il sistema manifesta una certa continuità di fondo.
Tra il’48 e il’53 era emerso chiaramente che il partito più forte non sarebbe riuscito a governare autonomamente e questo quindi implicò la formazione di coalizioni obbligate
che non lasciarono spazio ad aggregazioni partitiche alternative (che in ogni caso risultarono assenti).
Più precisamente nel corso della Prima Repubblica, non nacque nessun nuovo partito rilevante che avesse cioè potenziale di coalizione o di ricatto; pochi furono i partiti nuovi, ad esempio i Verdi, e ancor meno furono quelli che scomparvero (Partito monarchico, Psiup che dal 1972 non riesce a rientrare in Parlamento){1}.
Alla fine degli anni ottanta i partiti in Parlamento erano circa nove, ma solo sette si possono essere definire rilevanti: cinque di questi avevano potenziale di coalizione (Dc, Psi, Pri, Psdi, Pli), e due possedevano potenziale di ricatto (Pci e Movimento Sociale) in quanto loro eventuali reazioni o opposizioni dovevano essere tenuti in considerazione sia nella composizione del governo, sia nella definizione della agenda politica.{2}
Inoltre, importante è considerare la composizione del sistema politico italiano, che dal ’48 mostrava una fisionomia tripolare, cioè, è organizzato intorno a tre poli: centro, sinistra e destra.{3}
Esso si presentava pluralista e polarizzato, a causa dell’incolmabile distanza tra i partiti di estrema destra e di estrema sinistra (Pci e Msi) che risultano incoalizzabili e incompatibili, agli occhi degli elettori, con il sistema politico-partitico.
In questa situazione politica l’alternanza fu decisamente impraticabile: il sistema risultava bloccato al centro e l’inevitabile convergenza su questo di ogni coalizione di governo chiudeva il sistema ad una potenziale alternanza{4}. Ciò produceva una serie di effetti negativi: i partiti di opposizione, non avendo vincoli governativi né possibilità di ottenerli, elargivano promesse irrealistiche mentre i partiti al governo si deresponsabilizzavano accusandosi vicendevolmente o usando come capro espiatorio l’opposizione estremista.
Infine, il pluralismo polarizzato risultava efficacemente conservato dal sistema elettorale proporzionale e da una situazione internazionale caratterizzata dalla divisione del mondo in due blocchi contrapposti: il blocco capitalista e il blocco comunista.
1.2 Destabilizzazione
Non è possibile individuare un’unica causa o una data precisa del crollo della Prima Repubblica e della conseguente destrutturazione del sistema partitico che la rappresentava{5}. Numerosi, infatti, sono gli avvenimenti che concorrono a definire una situazione destabilizzante per il sistema politico italiano dei primi anni’90.
In primis è necessario considerare gli effetti del crollo del muro di Berlino, simbolo della fine della Guerra Fredda e, quindi, momento simbolico di un progressivo scongelamento
delle dinamiche internazionali, fino ad allora inquadrate nell’ottica di una contrapposizione Est-Ovest.
Venne a mancare la forte carica ideologica che, nel corso degli anni precedenti, aveva garantito alla Dc, in Italia, e a governi di centrodestra, in Europa, un ruolo di baluardo anti-comunista, e quindi il successo in numerose tornate elettorali. Anche la strategia del Psi di Craxi, che traeva vantaggio dal progressivo isolamento dei comunisti e della loro emarginazione politica per svuotarne il bacino elettorale, venne ridimensionata. Gli elettori, al contrario, vissero questo momento come la fine di preferenze politiche necessarie: il cittadino poteva iniziare a scegliere il partito su basi programmatiche e non a seconda di strette appartenenze ideologiche.
In quest’ottica fu importante l’atteggiamento del Pci: il 12 novembre 1989, tre giorni dopo la caduta del muro di Berlino, Achille Occhetto incontrò alcuni vecchi partigiani ed un paio di cronisti nella sezione della Bolognina, un quartiere popolare di Bologna, dove annunciò la necessità di intraprendere strade nuove
e di trasformare il partito dando luogo a una formazione politica aperta alla sinistra diffusa
.
La cosiddetta "svolta della