Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Il Partito Democratico: Origine, organizzazione, identità
Il Partito Democratico: Origine, organizzazione, identità
Il Partito Democratico: Origine, organizzazione, identità
E-book313 pagine3 ore

Il Partito Democratico: Origine, organizzazione, identità

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Il 14 ottobre 2007, dall’esperienza dell’Ulivo, nasceva il Partito Democratico. I fondatori avevano l’obiettivo di realizzare un nuovo modello di partito più aperto e inclusivo, sviluppare una sintesi culturale tra le diverse tradizioni della sinistra italiana, dare un assetto definito al centrosinistra capace di chiudere la lunga transizione istituzionale apertasi nel 1993. A distanza di 11 anni cosa resta di quelle ambizioni? Il volume di Tedeschi prende in esame il percorso seguito dal PD, arricchendo la ricostruzione degli eventi con un’analisi di tipo politologico che si sviluppa attorno a tre quesiti: quali sono le ragioni che condussero alla nascita del Partito? Quali modelli ha seguito il suo sviluppo organizzativo? Qual è la sua identità?
 Dalla quarta di copertina: Nato dall’Ulivo nel 2007, il Partito Democratico ha influenzato profondamente la vita politica italiana: da Prodi a Renzi, dall’opposizione al Governo, dal 40% del 2014 alla sconfitta nelle politiche 2018. Tedeschi ricostruisce le tappe seguite dal PD analizzandone l’origine, le forme organizzative, le caratteristiche identitarie, e suggerendo una riflessione complessiva sulle sue prospettive future”.  
LinguaItaliano
Data di uscita18 mag 2018
ISBN9788899647568
Il Partito Democratico: Origine, organizzazione, identità

Correlato a Il Partito Democratico

Ebook correlati

Politica per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Il Partito Democratico

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Il Partito Democratico - Simone Tedeschi

    Ringraziamenti

    Indice delle tabelle

    Tabella 1.1 - Elezioni politiche 1996, Camera dei Deputati

    Tabella 1.2 - Elezioni politiche 2001, Camera dei Deputati

    Tabella 1.3 - Elezioni politiche 2006, Camera e Senato

    Tabella 2.1 - Elezioni Politiche 2001 – 2006. Confronti

    Tabella 2.2 - Elezione dell’assembrea costituente PD

    Tabella 4.1 - Elezioni politiche 2008, Camera e Senato

    Tabella 4.2 - Elezioni europee 2009, risultati nazionali

    Tabella 4.3 - Congresso PD 2009, risultati nazionali

    Tabella 5.1 - Elezioni regionali 2010

    Tabella 5.2 - Elezioni primarie 2012, risultati nazionali

    Tabella 5.5 - Elezioni europee 2014, risultati nazionali

    Tabella 5.6 - Congresso PD 2017, risultati nazionali

    Tabella 5.7 - Elezioni politiche 2018, Camera e Senato

    Tabella 5.8 - Risultati elettorali 2008-2013, confronti

    Tabella 6.1 - Vocazione maggioritaria e identitaria nei congressi PD

    Tabella 6.2 - Geografia elettorale del PD

    Prefazione

    di Fulvio Venturino

    Lo studio dei partiti politici dal punto di vista organizzativo vanta una lunga e gloriosa tradizione. Essa viene solitamente ricondotta ai classici lavori di Roberto Michels, Moisei Ostrogorski e Max Weber dei primi anni del ‘900. Quindi, pur fra qualche alto e basso, l’interesse per i partiti (la loro nascita, la loro struttura e il loro funzionamento) perdura da oltre un secolo. E si capisce perché. I partiti possono essere vituperati, come peraltro è spesso accaduto, ma certamente non trascurati. Nella celebre e citatissima frase di E.E. Schattschneider, la democrazia moderna (e rappresentativa) non può che essere pensata nella prospettiva dei partiti. I partiti insomma sono perdenti di successo con cui avremo da convivere ancora a lungo. Anche i loro critici più spietati, i movimenti populisti e anti-establishment, di solito non trovano di meglio che dotarsi di una leadership, selezionare dei candidati e presentarsi alle elezioni. Ovvero, non possono fare a meno di diventare dei partiti politici organizzati, tra l’altro spesso capaci di notevoli affermazioni.

    Nel corso della sua lunga vicenda, l’approccio organizzativo allo studio dei partiti ci ha fornito conoscenze fondamentali sul funzionamento della rappresentanza e della democrazia. Grazie ad esso, sappiamo molte cose sulla partecipazione dei militanti, sulle fonti di finanziamento delle attività, sul peso relativo delle componenti parlamentari ed extraparlamentari, e così via. Dal momento che i partiti non sono di solito entusiasti delle indagini (anche se solo di carattere scientifico) condotte su di loro, talora le attività di studiosi e ricercatori si sono scontrate con i limiti generati da una scarsa trasparenza. Forse per questo motivo, talvolta sono state prodotte conoscenze nel complesso corrette, eppure eccessivamente generiche. Si pensi a mo’ di esempio alla proposta di Michels, secondo cui tutti i partiti sarebbero caratterizzati da una inarrestabile tendenza verso l’assenza di democrazia nella loro vita interna. Questa predisposizione oligarchica è nota come legge ferrea, perché non ammette eccezioni, perché i partiti sarebbero oligarchici in tutti i tempi, e lo sarebbero a tutte le latitudini. Insomma, per ciò che riguarda le loro caratteristiche basilari, i partiti sarebbero tutti uguali.

    Qualcosa di simile avviene in riferimento a una più recente categoria che sta conoscendo una grande popolarità. L’espressione partito personale evoca immediatamente qualcosa di importante che è accaduto, e sta continuando ad accadere, nelle nostre democrazie in riferimento al ruolo assunto dai leader. Si tratta di un’espressione che fa riferimento ad aspetti molto diversi: il leader è alternativamente considerato la voce parlante nei mass media, le principale fonte di voti, il dominus di tutte le decisioni che contano, e qualche volta sic et simpliciter il proprietario del partito. Così generalizzando, non ci sarebbe partito oggi che non sia personale. Plausibile. Però si finisce per ricomprendere fenomeni molto differenti sotto un’unica etichetta.

    Si pensi alle frequenti (e polemiche) analogie fra il partito personale per eccellenza, Forza Italia, e il Partito Democratico guidato negli ultimi anni da Matteo Renzi. Entrambi considerati con qualche ragione partiti personali. Però Silvio Berlusconi ha creato ex novo il suo partito, al contrario Renzi è diventato segretario di un partito che esisteva già. Berlusconi è un capo inamovibile da un quarto di secolo, mentre il Partito Democratico, nel momento in cui scriviamo, ha fissato la data per eleggere il nono leader (fra segretari e reggenti) nel giro di undici anni. Lo statuto del PD prevede limiti di mandato e possibilità di rimozione del segretario, ipotesi semplicemente inimmaginabile nel caso di Forza Italia. I segretari democratici vengono eletti dalla platea più ampia che si possa immaginare, ovvero tutti gli italiani, il leader di Forza Italia si è incoronato da solo una volta per tutte. Ci sono analogie fra FI e PD? Forse. Ma anche le differenze non mancano.

    Come orizzontarsi in questo mondo così complicato e in continua evoluzione? Come individuare le tendenze di lungo periodo che accomunano i partiti nel loro complesso, quali il contagio da sinistra un tempo reso celebre da Maurice Duverger, e insieme rendere conto delle differenze che pure permangono? Una buona e necessaria soluzione consiste nell’accostare alle analisi comparate sui partiti politici gli studi di caso incentrati sull’analisi di un partito. Il libro dedicato da Simone Tedeschi al Partito Democratico costituisce per l’appunto un eccellente esempio di studio di caso. Tedeschi prende le mosse dalla preistoria del PD, costituita dall’esperienza dell’Ulivo, per giungere fino alla sconfitta subita alle elezioni parlamentari del 4 marzo 2018. Così facendo, i sei capitoli che compongono il libro raccontano in modo esaustivo le tre fasi della fondazione, dell’istituzionalizzazione e della crisi attraversate dal Partito.

    Per chi è scritto questo libro? A quale tipo di lettore è indirizzato? Occorre dire che Il Partito Democratico non è un libro strettamente narrativo. Vero è che si tratta, in linea di massima, di una cronistoria. Ma è una cronistoria che si giova di un’organizzazione basata sulle categorie della scienza politica, disciplina che d’altra parte costituisce magna pars della formazione dell’autore. Insomma, questo libro non si segnala per il taglio polemico, né per quello agiografico. Piuttosto, è una seria analisi compiuta sine ira et studio. Nel contempo, il linguaggio utilizzato è piacevolmente semplice e adatto a ogni tipo di lettore. Insomma, nessuno dovrebbe rimanere deluso.

    Cagliari, 9 aprile 2018

    Fulvio Venturino

    Introduzione

    Il 14 ottobre 2007 nasceva ufficialmente il Partito Democratico. La sua fondazione rappresentava da un lato l’epilogo di una vicenda politica cominciata 12 anni prima con la nascita dell’Ulivo, dall’altro l’inizio di un nuovo percorso non meno lungo e rilevante. Promosso dai Democratici di Sinistra, da La Margherita – Democrazia è Libertà e da altre associazioni e partiti legati all’area politica del centrosinistra, il PD nacque in un clima di grandi ambizioni e speranze. Nelle stesse parole dei suoi fondatori avrebbe dovuto rappresentare il «partito del nuovo millennio» capace di «fare un’Italia nuova. Riunire l’Italia, farla sentire di nuovo una grande nazione, cosciente e orgogliosa di sé. Unire gli italiani, unire ciò che oggi viene contrapposto: Nord e Sud, giovani e anziani, operai e lavoratori autonomi» (Veltroni, 2007).

    I compiti che gli affidarono i suoi sostenitori avevano il sapore di un cambio epocale: realizzare un nuovo modello di partito più aperto, democratico e inclusivo, capace di accendere nuove forme di partecipazione e riavvicinare i cittadini alla politica; sviluppare un’originale sintesi culturale tra le diverse tradizioni ed esperienze della sinistra italiana dando al paese la «grande forza riformista che non ha mai avuto»¹; dare un assetto definito al centrosinistra e stabilizzare la democrazia italiana in senso bipolare, superando la lunga transizione istituzionale, apertasi con la fine della cosiddetta Prima Repubblica. Non tutti naturalmente erano d’accordo. I detrattori parlavano di una semplice operazione di maquillage politico, di operazioni verticistiche o addirittura di errore storico².

    Al di là del dibattito politico contingente, però, il progetto del PD presentò da subito diversi elementi oggettivi di originalità, tali da renderlo un vero e proprio unicum nel panorama europeo. Privo di antecedenti significativi era innanzitutto il tentativo di unire due organizzazioni partitiche complesse come i DS e La Margherita, fortemente eterogenee per storia politica e modelli organizzativi. Una seconda ragione di particolarità si poteva poi riscontrare sul piano organizzativo, tanto rispetto al percorso scelto per la fondazione, quanto rispetto all’approdo immaginato per il partito. Basti qui citare la centralità assunta per il PD dalle primarie aperte, un’esperienza in quel momento unica in Europa. La novità del PD si misurava infine rispetto al profilo culturale. Per primi in Europa i fondatori posero in maniera esplicita l’esigenza per la sinistra di superare le tradizioni culturali del ’900, cercando sugli ideali democratici una nuova sintesi tra socialismo, cattolicesimo sociale e liberalismo.

    A quest’ordine di ragioni, va poi aggiunto un motivo di interesse forse più comune, ma non meno importante. Nei suoi 11 anni di vita il PD ha influenzato in maniera determinante la scena politica italiana: ha dimostrato grandi capacità di mobilitazione e di consenso; è stato protagonista di ben cinque esecutivi (trovandosi al governo per quasi 8 anni); con la sua stessa nascita ha contribuito all’evoluzione del sistema politico nazionale, incrociando i destini degli altri principali partiti. Non sorprende dunque se fin dalla nascita l’interesse intorno al PD sia stato sempre molto alto, tanto in ambito accademico quanto nella pubblicistica più generalista.

    L’obiettivo di questo volume è quello di mettere a sintesi quest’ampia letteratura, tentando un’analisi complessiva del percorso che dall’Ulivo ha portato al PD e alla sua evoluzione. Il punto di partenza attorno a cui si sviluppa il libro può essere riassunto in tre domande.

    La ricerca che ho condotto si sviluppa innanzitutto attorno ai perché del PD. Il primo grande quesito che ha investito il nuovo soggetto fin dal processo fondativo riguarda in effetti le sue ragioni profonde e può essere formulato così: quali sono le ragioni strutturali che hanno condotto alla nascita del PD?

    La seconda domanda verte invece sull’organizzazione ed è forse la più classica nella letteratura sui partiti. Afferisce in senso stretto agli aspetti organizzativi e può essere formulata così: quali caratteristiche ha seguito il percorso di strutturazione organizzativa e che modello ha effettivamente realizzato?

    La terza domanda si riferisce infine agli esiti del processo sotto il profilo politico-culturale. La domanda in questo caso è la seguente: qual’è l’identità PD?

    Come accennato, ho fatto qui spesso ricorso ad altre ricerche e inchieste pubblicate in questi anni. Lo spunto fondamentale viene tuttavia da un contributo originale, ovvero dalla tesi di dottorato e dalle ricerche a essa connesse che ho svolto presso l’Università di Pavia dal 2008 al 2011. La tesi si occupava in realtà della fase fondativa, analizzandone gli esiti secondo l’ormai classico schema politologico dei tre livelli organizzativi: party on the ground, party in central office, party in public office.

    Pur avendo ripreso i dati e gli esiti di quel lavoro, l’impianto che ho scelto di adottare è molto diverso. Il volume si sviluppa seguendo le diverse tappe nel processo di istituzionalizzazione del partito attraverso lo schema classico delineato da Angelo Panebianco nel suo Modelli di partito (1982). In estrema sintesi, secondo Panebianco tutti i partiti, in quanto organizzazioni, attraversano due fasi di sviluppo: una fase fondativa, cui fa seguito una fase di istituzionalizzazione. Dal modo in cui l’organizzazione affronta le sfide poste in tale contesto, dipenderanno le caratteristiche politico-organizzative assunte poi stabilmente dal partito nella sua vita ordinaria.

    Seguendo questo approccio, sulle cui articolazioni tornerò nel corso del testo, ho cercato di mettere in luce le caratteristiche assunte dal processo di fondazione del PD e le ripercussioni che queste hanno avuto sul suo approdo politico-organizzativo.

    Più in generale, l’approccio di Panebianco mi ha consentito di affrontare il tema del PD seguendo l’ordine cronologico degli eventi, con un’impostazione a mio giudizio più fruibile da un pubblico non accademico. Pur sforzandomi di mantenere il massimo rigore politologico, lo scopo di questo volume è in effetti quello di parlare a un pubblico più variegato rispetto al solo ambiente universitario.

    Il volume si sviluppa così lungo cinque capitoli, ciascuno dei quali ricostruisce prima le vicende sotto forma di cronaca per poi analizzarle dal punto di vista politologico. Il primo si concentra sulla preistoria del Partito Democratico, ovvero sul lungo periodo che va dalla nascita dell’Ulivo, quando cioè il PD fu immaginato per la prima volta, fino alla sua fondazione. Il secondo e il terzo si concentrano sulla fase fondativa, analizzandone i processi organizzativi e gli aspetti politico-programmatici. Il quarto si occupa della fase di istituzionalizzazione, ovvero della strutturazione del partito a cavallo tra la fondazione e il primo congresso. Il quinto si occupa infine del PD nella sua vita ordinaria, ovvero delle vicende politiche e organizzative che hanno segnato la vita del Partito dopo la fine del processo fondativo. Infine un sesto capitolo conclusivo tenta di tirare le fila del discorso, riprendendo le tre domande che ho qui sintetizzandole e tentando un’analisi complessiva dell’evoluzione del Partito in connessione con lo sviluppo della democrazia italiana.


    ¹ Così Walter Veltroni nel discorso del Lingotto (Veltroni, 2007): «[…] un partito che nasce dalla confluenza di grandi storie politiche, culturali, umane. Che nasce avendo dentro di sé l’eredità di quelle formazioni che hanno restituito la libertà agli italiani, di quelle donne e di quegli uomini che hanno pagato con il carcere e con la propria vita il sogno di dare ad altri la libertà perduta. Quelle formazioni che hanno fatto crescere l’Italia e gli italiani, che hanno portato il nostro Paese a trasformarsi da una comunità sconfitta a una delle nazioni che siedono a pieno titolo al tavolo dei grandi della Terra […]. Ma il Partito Democratico non è la pura conclusione di un cammino. Se lo fosse, o se si raccontasse così, inchioderebbe sé stesso al passato. Invece, ciò di cui l’Italia ha bisogno è un partito del nuovo millennio. Una forza del cambiamento, libera da ideologismi, libera dall’obbligo di apparire, di volta in volta, moderata o estremista per legittimare o cancellare la propria storia».

    ² Celebre e significativa in questo senso la posizione di Emanuele Macaluso (2007).

    Capitolo uno

    Preistoria del Partito Democratico

    Il 14 ottobre 2007 oltre tre milioni e mezzo di persone hanno contribuito a fondare il Partito Democratico, votando per eleggerne l’Assemblea costituente e il suo leader. In quella domenica d’autunno ha preso vita un progetto ambizioso e innovativo sotto molti aspetti, contemporaneamente si concludeva una vicenda cominciata ben 12 anni prima. Tanto è passato da quando il PD fu pensato e proposto per la prima volta, tanto è durato il processo che ha condotto alla sua nascita, in modo tutt’altro che lineare. Se collocato in una prospettiva di lungo periodo, il progetto rappresenta, infatti, soltanto l’ultima delle numerose trasformazioni organizzative messe in campo dai soggetti politici italiani dalla fine della Prima Repubblica, almeno restando nel campo del centrosinistra. In questo primo capitolo cercherò di ricostruire e analizzare le vicende che hanno condotto alla nascita del PD: una sorta di preistoria del Partito Democratico che metta in luce problemi, ragioni e conseguenze politico-organizzative di questo lungo processo.

    1.1. La carovana e l’Ulivo

    In senso lato, il PD ha un suo antecedente organizzativo e culturale nell’Ulivo. Nato nel 1995, l’Ulivo presentò fin dall’inizio alcune caratteristiche che risulteranno fondanti anche in seguito: da un lato l’incontro programmatico e culturale tra cattolico-democratici e la parte più consistente della sinistra post-comunista e post-socialista; dall’altro l’idea di dare a quest’incontro una struttura organizzativa autonoma e stabile. Si trattava di un fatto peculiare nel panorama politico europeo. Intanto perché il centrosinistra diede seguito a sperimentazioni organizzative prive di antecedenti, almeno in Europa. Ma soprattutto perché si incontrarono nell’Ulivo persone fisiche e tradizioni culturali che fino a pochi anni prima erano state su fronti tra loro radicalmente alternativi. La singolarità di questo percorso ha aperto nel tempo problemi e questioni fortemente dibattute sul piano politico, storico e politologico. In particolare sono tre le domande fondamentali: quali elementi strutturali hanno reso possibile, o necessario, l’incontro tra ex-DC ed ex-PCI? Su quale base politico-culturale si è sentita la necessità di un salto organizzativo che facesse passare quell’incontro da coalizione a partito? Quale eredità ha lasciato questo percorso al nuovo partito?

    Il primo quesito è forse il più delicato. Una ricostruzione compiuta del passaggio storico che, dalla crisi del ’89, portò al nuovo assetto partitico nel ’94 non potrebbe evitare di tener conto degli aspetti contingenti, legate alle scelte personali dei singoli protagonisti. Questo genere di ricostruzione storica ci allontanerebbe però dal nostro oggetto di indagine, che è pur sempre la nascita del PD. Più del quadro interessa qui la cornice, ovvero quelle trasformazioni sociali che, agendo sul sistema politico, hanno rappresentato il presupposto delle scelte personali e organizzative.

    Da questo punto di vista una letteratura ormai consolidata ci consente di rintracciare almeno quattro elementi in grado di premere sull’intero sistema partitico italiano: a) il processo di individualizzazione del tessuto sociale maturato tra gli anni ’70 e ’80; b) la fine della guerra fredda e la cosiddetta crisi delle ideologie; c) le riforme istituzionali compiute tra il ’91 e il ’94 e la direzione maggioritaria presa dal sistema politico italiano; d) tangentopoli e l’ascesa politica di Silvio Berlusconi. La storia di come gli eredi di PCI e DC siano arrivati a concepire l’Ulivo è in gran parte la storia di come abbiano risposto alle sfide organizzative poste da queste pressioni ambientali, le cui radici affondano in un arco di tempo non breve.

    Il sistema politico italiano consolidatosi nel dopoguerra vedeva nei partiti un importante punto di ancoraggio¹. DC e PCI in particolare per decenni si dimostrarono in grado di riassorbire le tensioni sociali lungo diverse linee di frattura e di canalizzarle verso il sistema democratico. Ciò fu possibile grazie al radicamento sociale realizzato principalmente in due specifiche aree del Paese: il Nordest per la DC e il Centro per il PCI. Si tratta di zone simili, caratterizzate ancora oggi da medi e piccoli insediamenti abitativi attorno ai quali sorge un sistema

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1