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Il pensiero politico di edouard laboulaye
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E-book870 pagine4 ore

Il pensiero politico di edouard laboulaye

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Saggio sull'evoluzione e le caratteristiche del pensiero politico di Edouard Laboulaye(1811-1883)


Capitolo 1: INTRODUZIONE: LA FRANCIA NEL XIX SECOLO
1.1. Un’età irrequieta
1.2. Il quadro generale
1.3. Il liberalismo

Capitolo 2: ÉDOUARD LABOULAYE
2.1. Cenni biografici
2.2. Storia, diritto, politica, morale, religione, letteratura: uno spirito enciclopedico e cosmopolita

Capitolo 3: L’APPROCCIO METODOLOGICO
3.1. La lezione dei classici
3.2. L’influsso tedesco
3.2.1. La Scuola storica del diritto
3.2.2. Laboulaye e Savigny
3.2.3. Da Savigny al liberalismo

Capitolo 4: IL PENSIERO POLITICO: I PRINCIPI FONDAMENTALI
4.1. La centralità dell’individuo
4.2. La libertà moderna
4.3. Lo stato limitato, forte e garantista
4.4. Gli errori compiuti dalla Rivoluzione e la situazione della Francia nel XIX secolo

Capitolo 5: IL PENSIERO POLITICO: LE SCELTE CONCRETE
5.1. "Le Parti libéral, son programme et son avenir"
5.2. La libertà civile
5.2.1. Le libertà individuali
5.2.2. Le libertà sociali
5.2.3. Le libertà municipali
5.3. La libertà politica
5.3.1. Il suffragio universale
5.3.2. Il principio della rappresentanza
5.3.3. Il potere giudiziario e la funzione giurisdizionale
5.3.4. La libertà di stampa

Capitolo 6: IL MODELLO AMERICANO

Capitolo 7: I CORRETTIVI DEL LIBERALISMO
7.1. Il sentimento religioso
7.1.1. W. E. Channing
7.2. L’attenzione ai problemi sociali
7.3. L’accettazione dell’avanzata democratica

Capitolo 8: CONCLUSIONI: UN PENSIERO ECLETTICO MA UNITARIO NEL FINE

BIBLIOGRAFIA
LinguaItaliano
Data di uscita7 mar 2014
ISBN9788868859367
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    Anteprima del libro

    Il pensiero politico di edouard laboulaye - Magda Moiola

    UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PAVIA

    Facoltà di Lettere e Filosofia

    Il pensiero politico

    di Édouard Laboulaye

    Tesi di Laurea

    di Magda Moiola

    Relatore:

    Chiar.mo Prof. Lando Landi

    Anno Accademico 1997/98

    INDICE

    Capitolo 1: INTRODUZIONE: LA FRANCIA NEL XIX SECOLO

    1.1. Un’età irrequieta

    1.2. Il quadro generale     

    1.3. Il liberalismo

    Capitolo 2: ÉDOUARD LABOULAYE

    2.1. Cenni biografici

    2.2. Storia, diritto, politica, morale, religione, letteratura: uno spirito enciclopedico e cosmopolita

    Capitolo 3: L’APPROCCIO METODOLOGICO

    3.1. La lezione dei classici

    3.2. L’influsso tedesco

    3.2.1. La Scuola storica del diritto

    3.2.2. Laboulaye e Savigny

    3.2.3. Da Savigny al liberalismo

    Capitolo 4: IL PENSIERO POLITICO: I PRINCIPI FONDAMENTALI

    4.1. La centralità dell’individuo

    4.2. La libertà moderna

    4.3. Lo stato limitato, forte e garantista

    4.4. Gli errori compiuti dalla Rivoluzione e la situazione della Francia nel XIX secolo

    Capitolo 5: IL PENSIERO POLITICO: LE SCELTE CONCRETE

    5.1. "Le Parti libéral, son programme et son avenir

    5.2. La libertà civile

    5.2.1. Le libertà individuali

    5.2.2. Le libertà sociali

    5.2.3. Le libertà municipali

    5.3. La libertà politica

    5.3.1. Il suffragio universale

    5.3.2. Il principio della rappresentanza

    5.3.3. Il potere giudiziario e la funzione giurisdizionale

    5.3.4. La libertà di stampa

    Capitolo 6: IL MODELLO AMERICANO

    Capitolo 7: I CORRETTIVI DEL LIBERALISMO

    7.1. Il sentimento religioso

    7.1.1. W. E. Channing

    7.2. L’attenzione ai problemi sociali

    7.3. L’accettazione dell’avanzata democratica

    Capitolo 8: CONCLUSIONI: UN PENSIERO ECLETTICO MA UNITARIO NEL FINE

    BIBLIOGRAFIA

    Capitolo 1

    INTRODUZIONE

    La Francia nel XIX secolo

    1.1 Un’età irrequieta

    Monarchie, assemblées, république, empire, royauté légitime, ou quasi légitime, tout est tombé, une seule chose est restée debout: les principes de 1789¹. Questa frase, scritta da Laboulaye nel 1863 a conclusione della Prefazione a Le Parti libéral, son programme et son avenir, mi sembra dia una corretta idea della vita politica della Francia negli anni che vanno dal 1789 al 1875.

    Si tratta di un arco di tempo caratterizzato, dal punto di vista politico-istituzionale, da una forte e cronica instabilità, un'epoca in cui la regola sembra essere quella del cambiamento, del rovesciamento periodico delle istituzioni che il popolo francese si è dato o si è lasciato imporre. In meno di un secolo, la Francia ha conosciuto più di una dozzina di testi costituzionali: da quelli rivoluzionari a quelli napoleonici, dalle Carte del 1814 e 1830, dalle Costituzioni del 1848, 1852, 1870, alle Leggi costituzionali del 1875. Senza dubbio, alcuni di questi testi non hanno mai avuto una concreta e reale applicazione², e altri sono semplici revisioni di costituzioni preesistenti. Il numero resta comunque elevato, come lo è quello dei regimi diversi e generalmente opposti che si sono susseguiti a un ritmo quasi febbrile. Una successione che non è avvenuta senza urti, ma incalzata da eventi rivoluzionari, da colpi di stato, o da disfatte militari. Un'irrequietezza, dunque, politica o une instabilité constitutionnelle, come l'ha definita senza esagerazione Maurice Duverger³, le cui origini affondano nella Rivoluzione francese⁴.

    Evento centrale nella storia nazionale, la Rivoluzione francese, pur mantenendo, come aveva riconosciuto Tocqueville⁵, elementi di continuità col passato, apre una nuova era, quella contemporanea; segna, infatti, la rottura di un ordine antico e consolidato e l'instaurazione di un nuovo regime⁶. La struttura sociale della Francia post-rivoluzionaria è radicalmente diversa rispetto a quella della Francia pre-rivoluzionaria. Essa non riposa più sugli stessi principi, sulla stessa concezione del mondo e non comprende più le medesime forze sociali. Alla vecchia società dell’Ancien Régime, strutturata in ordini gerarchizzati e perciò fondata sull’ineguaglianza e il privilegio, subentra una società nuova: la società moderna a base egualitaria ed individualista. Il n’y a plus ni noblesse, ni pairie, ni distinctions héréditaires, ni distinctions d’ordres, ni régime féodal, ni justices patrimoniales... ni aucun ordre de chevalerie, ni aucune des corporations ou décorations, pour lesquelles on exigeait des preuves de noblesse ou qui supposaient des distinctions de naissance, ni aucune autre supériorité, que celle des fonctionnaires publics dans l’exercice de leurs fonctions⁷. Ma, come ha fatto rilevare Prévost-Paradol in La France nouvelle⁸: la Révolution française a fondé une société; elle cherche encore son gouvernement. A differenza, infatti, di quella americana del 1776, la Rivoluzione francese non ha portato alla nascita di un nuovo e stabile ordine politico, di una forma definitiva di governo. Essa non ha creato alcun ordine, ma piuttosto ha posto una nuova serie di questioni, di richieste che non hanno, però, trovato un'immediata risposta: il riconoscimento dei diritti e delle libertà individuali; la sovranità popolare e il governo della maggioranza; l'uguaglianza; la conciliazione della libertà, la maggiore possibile, con la sicurezza e la garanzia della collettività.

    Si tratta di quei famosi Principi dell'89 che costituiscono i cardini attorno ai quali doveva articolarsi, e ha tentato di farlo, seppure con fatiche e difficoltà, l'ordine post-rivoluzionario; quei principi che rappresentano, come ha notato Laboulaye nella frase che ho riportato all'inizio del capitolo, il secondo elemento caratteristico e costante nella Francia del XIX secolo, accanto a quello dell’instabilità politica. All'interno, infatti, di quella linea continuamente spezzata che è la storia politico-istituzionale francese è possibile individuare un elemento di continuità. Al di là delle opposizioni, degli urti drammatici, delle differenze talvolta superficiali, esiste una reale unità che permette di parlare di un senso del processo storico, di un'evoluzione: si tratta di un progresso lento, verso il regime parlamentare, la repubblica, la democrazia. Si può, allora, considerare la cascata di esperienze costituzionali che rendono così caotici i primi tre quarti del XIX secolo, come i sussulti di un vecchio mondo ferito a morte dalla Rivoluzione, e considerare l'eccezionale stabilità che segue al 1875-77, come la quiete che dovette naturalmente giungere nel momento in cui i principi del 1789 furono infine accolti⁹.

    1.2 Il quadro generale

    Il 1789, per la vita politica francese, come per quella sociale, culturale ed economica, segna l’inizio di una nuova età, nella quale la politica, fino ad allora ambito riservato, sottratto alla conoscenza e al giudizio dei sudditi, diviene di dominio pubblico. Fin dai primi mesi, essa si organizza attorno ad alcuni nodi centrali, che resteranno i capisaldi di tutta la vita politica di essenza democratica: la consultazione dell’opinione pubblica e la designazione dei suoi rappresentanti per via elettiva; il numero, la composizione e le competenze delle assemblee rappresentative; i rapporti tra le assemblee e l’esecutivo; l’esercizio delle libertà necessarie all’attività politica. Si tratta di poli intorno ai quali non ha cessato di gravitare il dibattito politico, e rispetto ai quali la combinazione delle soluzioni adottate ha definito la specificità dei regimi che si sono succeduti. Da questo punto di vista, la Rivoluzione può essere considerata il banco di prova di quasi tutte le formule ideate e sperimentate in seguito; anticipazioni che avranno compimento solo nel 1848, quando, con un nuovo evento rivoluzionario, la Francia passerà dal suffragio ristretto a quello universale, dall’oligarchia alla democrazia.

    Il 18 Brumaio segna la fine della Rivoluzione e l’inizio dell’esperienza napoleonica, che, pur ponendo termine, almeno momentaneamente, all’instabilità istituzionale generata dalla Rivoluzione, non rompe con l’età precedente. Le pouvoir de Bonaparte n’est pas le fruit d’une restauration: il procède de la même source que la Révolution. Il en est en large mesure l’héritier¹⁰. Tuttavia, la vita politica francese cambia e va incontro ad una progressiva atrofizzazione. Il nuovo regime rende sì universale il diritto di voto, ma la piramide di collegi sovrapposti e la sostituzione del diritto di proposta a quello di scelta dei rappresentanti inficiano l’incidenza dell’opinione pubblica sulla politica. Altri fattori concorrono allo stesso risultato: il rovesciamento del primato delle assemblee sul governo, e l’affondamento delle libertà sancite dalla Rivoluzione dell’89, giustificato e accettato sulla base dell’aspirazione popolare alla stabilità. Dopo dieci anni di rivolgimenti politici e sociali il paese aspira al riposo, domanda di essere governato e a tal fine auspica un potere forte, capace di imporre il rispetto e l’ordine. Il cesarismo rappresenta, pertanto, il centro di alleanza di forze sociali che si erano sino ad allora dilaniate nella lotta intestina. L’adesione al regime non è, però, unanime: elementi d’opposizione esistono lungo il Consolato e l’Impero. Si tratta di alcuni realisti, di una minoranza di giacobini, di generali rivali di Napoleone, e soprattutto di quell’orientamento di pensiero liberale espresso dagli ‘Idéologues’, dal gruppo di Coppet, costituito ed animato da Mme de Staël nella residenza di suo padre Jacques Necker sulle rive del lago Lemano, nei pressi di Ginevra, e da B. Constant, che, dopo aver condiviso alcune posizioni idéologiques, diviene il maggior teorico politico di quest’ultimo gruppo.

    Con la caduta dell’impero napoleonico, inizia l’età della Restaurazione, interrotta solo momentaneamente, nel 1815, dalla breve esperienza dei Cento Giorni. Intento del nuovo regime è quello di chiudere la ‘parentesi’ che la Rivoluzione aveva aperto, e renouer la chaîne des temps¹¹, rinunciando, però, ad un ritorno integrale all’ordinamento pre-rivoluzionario. Troppi sono, infatti, i mutamenti intervenuti nella società e nelle istituzioni; l’esperienza rivoluzionaria e napoleonica ha creato nuovi costumi, ha messo radici negli animi francesi e dato risposte a quelle che erano effettive aspirazioni dell’opinione pubblica.

    Dell’impossibilità di un ritorno allo ‘status quo’ anteriore al 1789 la Carta Costituzionale di Luigi XVIII è evidente testimonianza, rappresentando un compromesso tra due tradizioni¹². Se per certi aspetti essa è in ritardo sulle innovazioni apportate dalla Rivoluzione, per altri è certamente più liberale della pratica consolare e imperiale. Diversa, nell’elaborazione e promulgazione, dalle costituzioni anteriori, essa ruota attorno a tre orientamenti che definiscono la nuova fisionomia della Monarchia: la garanzia della libertà di coscienza, opinione e stampa; la pluralità dei poteri; e una rappresentanza d’origine parzialmente elettiva. ‘Moderazione’ ne è la parola-chiave; una moderazione che caratterizza l’intero regno di Luigi XVIII e suscita lo scontento dei legittimisti, il cui peso, ridimensionato nelle elezioni del 1816, torna a farsi sentire all’inizio degli anni ’20, e diventa dominante alla morte di Luigi XVIII e alla salita al trono di Carlo X, capo degli ‘ultras’. Con quest’ultimo il tentativo di compromesso tra il vecchio ordine e il nuovo fallisce e si afferma un piano metodico di progressiva restaurazione dell’antico regime; un piano che, ostacolato dall’opposizione liberale, democratica e della borghesia finanziaria, ha il suo momento culminante nell’emanazione delle ‘quattro ordinanze’. Ad esse fa, però, seguito l’insurrezione del popolo di Parigi (27-29 luglio 1830) che costringe Carlo X ad abbandonare la capitale.

    La monarchia restaurata non è, dunque, la monarchia assoluta dell’Ancien Régime, ma una monarchia nuova, una ‘Monarchie limitée’: espressione sotto la quale vengono raccolti gli anni che intercorrono tra il ritorno dei Borbone e la Rivoluzione del febbraio 1848, un arco di tempo che, pur nella sua omogeneità, presenta due periodi distinti e divisi dall’evento rivoluzionario di cui ho detto: la Restaurazione propriamente detta e la Monarchia di Luglio. In mezzo, il 1830, col suo cambiamento dinastico e, soprattutto, col trasferimento del potere all’interno della società. Si assiste, infatti, ad un cambiamento della classe dirigente: il potere passa dall’aristocrazia fondiaria alla grande borghesia liberale, padrona, ormai, dell’economia del paese, e desiderosa di governare. Con lei la vita politica francese sembra stabilizzarsi e la Francia fa la sua prima esperienza prolungata di regime parlamentare. Il ‘paese legale’ costituisce, però, un piccolo mondo limitato ed egoista che riesce a sostenere il nuovo regime solo fino agli anni 1846-1847, quando la crisi economica, gli abusi di potere del re e il sorgere del pensiero e dell’azione operaia bussano alle porte. La Monarchia di Luglio si regge, infatti, su una base di consenso ristretta e finisce per identificarsi con i valori e gli interessi dell’alta borghesia degli affari e dell’aristocrazia liberale ad essa alleata. Ampio è, invece, il fronte dell’opposizione che vede schierati: cattolici reazionari e ‘ultras’ legittimisti, bonapartisti, e gruppi democratico-repubblicani. Si tratta di forze la cui presenza e attività rappresenta una costante minaccia rivoluzionaria, causa prima dell’involuzione conservatrice del regime orleanista operata da François Guizot. Questi, esponente del liberalismo moderato e teorico del ‘giusto mezzo’, lega il suo nome ad una politica immobilista e conservatrice, tutta centrata sulla ricerca dell’ordine e della stabilità.

    Al conseguente impoverimento del dibattito politico si contrappone una forte vivacità economica. Sotto Luigi Filippo si registra, infatti, una prima rilevante crescita economica: i progressi nell’industria meccanica e nel campo bancario, la prosperità nel settore tessile e lo sviluppo della metallurgia segnano le prime fasi del processo di industrializzazione francese. Naturalmente la medaglia ha anche il suo rovescio: a misura che lo sviluppo industriale prende piede, il problema sociale dei lavoratori comincia ad imporsi all’attenzione dell’opinione pubblica e della classe dirigente. Sorge un nuovo protagonista: il proletariato, le cui condizioni di vita e di lavoro, in una situazione di abbondanza di manodopera e in un regime di concorrenza esasperata, peggiorano di giorno in giorno, raggiungendo, dopo il 1840, livelli che per la Francia rimangono ineguagliati. In questa porzione della società attecchiscono le idee dei primi movimenti socialisti - di un socialismo ‘critico-utopistico’ - promossi da Saint-Simon, Fourier, Blanc, Proudhon, Blanqui, fautori di una società nuova nelle istituzioni politiche e nelle strutture economiche. Protagonista delle prime lotte ed insurrezioni¹³, il proletariato lo sarà anche, nel febbraio del 1848, nella rivolta che determina la caduta della stessa monarchia. A metà secolo esso rappresenta ormai una forza nuova della società francese, le cui rivendicazioni, originariamente di carattere economico, divengono sempre più di carattere politico.

    Effervescente dal punto di vista economico e sociale, la Francia della prima metà del XIX secolo lo è pure dal punto di vista culturale. L’età della Restaurazione vede, infatti, l’affermazione della cultura romantica; una cultura che, contro il razionalismo e l’universalismo illuminista, esalta la spontaneità dei sentimenti, la creatività individuale, la fede religiosa, i valori della tradizione e della nazione, cerca nella storia la fonte di una nuova razionalità e vede in tutte le epoche storiche l’espressione di uno spirito universale o la manifestazione di un ordine divino. Annunciato da Chateaubriand e da Mme de Staël, lo spirito romantico impone, anche in Francia, il suo nuovo gusto, senza identificarsi con una determinata tendenza ideologica, ma fornendo ispirazione a quasi tutte le correnti di pensiero e ai principali movimenti politici operanti all’inizio dell’800. Esso permea di sé sia vere e proprie utopie reazionarie, come quella a sfondo teocratico di L. de Bonald e di J. de Maistre, sia il pensiero liberale. Se molti intellettuali hanno vissuto l’esperienza romantica come un ritorno al passato, alla tradizione, all’autorità, molti altri vi hanno trovato le premesse per scelte di tutt’altro genere. Romanticismo, infatti, significa anche libertà, rottura di norme consolidate e affermazione dell’individuo: valori tipicamente liberali.

    Nella prima metà dell’800 è la Monarchia di Luglio, in particolare, a fornire lo spettacolo di un intenso ribollire di idee e fiorire di sistemi. Ancor oggi - afferma Rémond - il nostro universo ideologico resta largamente dominato dalle scuole e dalle dottrine nate tra il 1830 e il 1848: radicalismo, socialismo, cattolicesimo liberale, democrazia cristiana, certe forme di democrazia¹⁴. Se è vero, infatti, che il movimento romantico impronta di sé la cultura francese ed europea dei primi decenni del secolo, non ne esaurisce, però, la ricca tematica. In un’atmosfera caratterizzata dal rapido sviluppo della scienza e della tecnica, si viene affermando la filosofia positivista che, fondata sulla valorizzazione delle scienze, è destinata a diventare dominante nella seconda metà del secolo.

    Né previsto, né preparato, con la subitaneità di certi eventi rivoluzionari, il 1848 pone fine ad un’età della vita politica francese e ne comincia una nuova. La Rivoluzione di febbraio chiude un capitolo durato un terzo di secolo. Restaurazione e regime orleanista, infatti, al di là delle novità apportate dal 1830, appartengono ad uno stesso genere: quello di una monarchia limitata da un testo costituzionale che fissa regole ed enuncia garanzie; nella quale i sudditi godono di alcune libertà, il potere appartiene ad una minoranza definita da condizioni censitarie e la vita politica è appannaggio di un ceto di notabili. Tutto questo - forme, fondamenti, condizioni - viene di colpo rovesciato.

    Noi, ora, dormiamo su un vulcano [...]¹⁵ aveva detto Tocqueville nel discorso parlamentare del 27 gennaio 1848. Meno di un mese dopo, il 22 febbraio, la rivoluzione scoppia, travolge il regime di Luigi Filippo, decreta la morte della monarchia e il ritorno, dopo un’eclissi di quasi mezzo secolo, della Repubblica. L’affermazione è solenne: La France s’est constituée en République e questa è proclamata forme définitive du gouvernement¹⁶. Con essa tutti gli uomini sono riconosciuti uguali davanti al potere e tutti hanno un pari diritto a partecipare alla vita politica del paese.

    Le giornate di febbraio suscitano l’entusiasmo del popolo minuto che intravede la fine delle sue miserie; la proclamazione della Repubblica, l’istituzione del suffragio universale, l’abolizione della schiavitù coloniale, della pena di morte per i delitti politici, la creazione degli ateliers nationaux, sono provvedimenti che sembrano rinnovare e proseguire l’opera del 1789-1793. Per qualche settimana, si mantiene viva l’impressione che al nuovo regime non mancherà il trionfo. Nel giugno, però, ha luogo la confisca della rivoluzione ad opera dei repubblicani moderati, vincitori delle elezioni del 23 aprile: la guardia nazionale guidata dal generale Cavaignac reprime l’insurrezione operaia sorta per reazione alla chiusura degli ateliers nationaux. Segue una dura repressione con la quale ritorna il regno della paura e ha inizio il declino della stessa repubblica.

    Chi trae beneficio dalle giornate di giugno è Luigi Napoleone Bonaparte che il 10 dicembre, accompagnato da una vaga reputazione di riformatore sociale e da una propaganda ben congegnata, viene eletto presidente della Repubblica. Con lui si chiude la fase democratica della repubblica, che, meno di quattro anni dopo la sua nascita, scompare. Il colpo di stato del 2 dicembre 1851 pone, infatti, termine all’esperienza cominciata il 24 febbraio 1848; una delle esperienze costituzionali più brevi della storia politica francese del XIX secolo.

    Le condizioni cambiano: Luigi Napoleone, affrancatosi dal controllo dell’Assemblea, accentra il potere nelle proprie mani. La Repubblica assume, così, un carattere personale, legittimata in questo dal plebiscito popolare del 20 e 21 dicembre 1851 e, successivamente, dalla Costituzione promulgata nel gennaio del 1852. Il nuovo regime nasconde, pertanto, sotto le spoglie della Repubblica, il fantasma dell’Impero, la cui proclamazione, avvenuta il 2 dicembre 1852, non fa altro che ratificare una situazione di fatto già esistente. Del resto l’Empire, cette fois, n’est pas fondé: il est simplement restauré¹⁷. Luigi Napoleone sale al trono in qualità di nipote ed erede di Napoleone I e, come lui, fonda il proprio potere sul consenso popolare e sul suffragio universale. Autocrazia, dunque, e appello al popolo: due tratti che giustificano l’epiteto di ‘cesarismo democratico’ col quale vengono chiamati i due decenni che seguono al 1852. In realtà, all’interno di questo arco temporale, né il regime, né la vita politica francese costituiscono un quadro uniforme. Al di là dell’unità che la personalità dell’imperatore conferisce al periodo, questi diciotto anni hanno conosciuto cambiamenti significativi. In particolare l’anno 1860 segna una trasformazione fondamentale: a un periodo di compressione in cui tutte le espressioni dell’opposizione erano state ostacolate o perseguite, succede una fase di distensione in cui le libertà si estendono e le opposizioni assumono sempre più voce¹⁸. Napoleone III introduce, infatti, nella vita politica una serie di riforme liberali. Si tratta di aperture con le quali egli ristabilisce il contatto tra l’attività dei rappresentanti e l’opinione pubblica, alterando la natura originaria del suo regime, che viene, così, a trovarsi a metà strada tra un governo autoritario e un regime parlamentare.

    Se sotto la Monarchia di Luglio il paese conosce un primo sviluppo economico, nella seconda metà dell’800 vive la sua grande trasformazione industriale. Al rinnovo dei trasporti e alla diffusione dell’industria segue l’incremento delle attività commerciali con la creazione dei grandi magazzini e l’ampliamento del mercato interno. Si tratta di uno sviluppo favorito dalla politica economica dello stesso imperatore, il cui intervento si rivolge pure alla realizzazione di importanti lavori pubblici e alla ristrutturazione urbana di Parigi e di altre grandi città, che se da un lato crea lavoro e rende più facile la repressione delle rivolte, dall’altro rende più evidente la divisione della società in classi. In realtà, tale divisione è il risultato dello stesso sviluppo economico. La concentrazione capitalistica ed industriale contribuisce, infatti, a creare antagonismi tra le classi, facendo maturare in ciascuna di queste la consapevolezza di una situazione comune e spingendo gli operai ad associarsi per mutare la loro situazione.

    Alla radice della crescita economica francese c’è la conquista di una nuova capacità di padroneggiare la natura, acquisita grazie al progresso scientifico e tecnologico che nella seconda metà del secolo assume un ritmo accelerato. Le molteplici scoperte nel campo delle scienze naturali suscitano un entusiasmo che sta all’origine dello scientismo, della fede in un progresso scientifico capace di fornire la spiegazione dell’intero universo. Su tale progresso si fonda il positivismo di Auguste Comte che, continuato da Renan e Littré, allarga la sua influenza fino a improntare di sé una lunga stagione della cultura occidentale, affermandosi come il metodo di ricerca e di interpretazione della realtà generalmente accettato. Esso diviene anzi l’ideologia della borghesia in ascesa e il pensiero che più di tutti contribuisce ad alimentare la fiducia nel progresso dell’umanità, attraverso la convinzione di poter controllare, grazie alla scienza, il corso non solo della natura ma degli stessi processi sociali.

    Con la stessa repentinità con la quale è nata, l’esperienza imperiale cessa il 4 settembre 1870: un disastro militare, la disfatta di Sedan, ne decreta la dissoluzione. Giunto al potere grazie al prestigio del suo nome, sbarazzatosi delle opposizioni, Napoleone III, con l’intento di rinverdire le tradizioni belliche del Primo Impero, si impegna in una politica estera ambiziosa ed aggressiva che, iniziata con l’intervento nella ‘questione d’Oriente’ e la vittoriosa guerra in Crimea, continua in un progetto di egemonia francese nel Mediterraneo e di espansione coloniale. La guerra franco-prussiana, però, determina la caduta di Napoleone III, il cui regime si inquadra, così, tra due accidenti che gli danno l’apparence d’un épisode erratique¹⁹ all’interno della storia francese: una parentesi autoritaria, dopo la quale la vita politica ritrova il suo corso ordinario, in continuità con gli eventi del ’48. In realtà, i diciotto anni che hanno visto protagonista Luigi Napoleone non possono essere ridotti ad una semplice interruzione di una supposta continuità istituzionale. Quello di Napoleone III è stato, infatti, un regime che ha goduto a lungo del sostegno della maggioranza dell’opinione pubblica, che ha trovato nella società connivenze profonde e che ha lasciato alla vita politica successiva una sua eredità. Certo, si tratta di un lascito minore rispetto a quello delle esperienze precedenti. Rimane, però, una tradizione di pensiero, il bonapartismo: una tradizione politica e ideologica che associa in stretta unione la democrazia e l’autorità, l’appello al popolo sovrano e il gusto per la forza. Col

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